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martedì 7 febbraio 2012

davenia alessandro


Bianca come il latte, rossa come il sangue

le frasi che più mi hanno colpito del libro di Alessandro D'Avenia
***

  • Strappare la bellezza ovunque sia e regalarla a chi mi sta accanto. Per questo sono al mondo.
  • .E' l'amore che rende la vita nuova.
  • Quando ci sembra di non pensare a niente, in realtà noi pensiamo a quello che ci sta a cuore.L'amore è una specie di forza di gravità: invisibile e universale, come quella fisica. Inevitabilmente il nostro cuore, i nostri occhi, le nostre parole, senza che ce ne rendiamo conto vanno a finire lì, su ciò che amiamo, come la mela con la gravità.
  • Solo i sogni lasciano il segno.
  • I nostri sogni sono nascosti nelle cose che incontriamo veramente, quelle che amiamo: un luogo, una pagina, un film, un quadro... i sogni ce li prestano i grandi creatori della bellezza.
  • Non sono i nostri umori che contano ma i nostri amori.
  • Incenerire i sogni. Bruciare i sogni è il segreto per abbattere definitivamente i propri nemici, perché non trovino più la forza di rialzarsi e ricominciare. Non sognino le cose belle delle loro città, delle vite altrui, non sognino i racconti di altri, così pieni di libertà e di amore. Non sognino più nulla. Se non permetti alle persone di sognare, le rendi schiave.
  • L'amore non esiste per renderci felici, ma per dimostrarci quando sia forte la nostra capacità di sopportare il dolore.
  • La maturità non si vede nel voler morire per una nobile causa, ma nel voler vivere umilmente per essa.
  • Regalare il proprio dolore agli altri è il più bell'atto di fiducia che si possa fare.
  • Solo l'amore dà senso alle cose.
  • L'amore non vuole avere, l'amore vuole soltanto amare.

Postato da: giacabi a 08:06 | link | commenti
davenia alessandro

mercoledì, 24 agosto 2011

Giornata mondiale dell’insegnante
***

Un rabbino dice che quando un uomo arriva nell’altro mondo gli viene domandato: “Chi è stato il tuo maestro e cosa hai appreso da lui?”.
Chi insegna, dice. Chi dice, mostra. “Dire” deriva dal greco “mostrare”, “indicare”. Ciascuno uomo parlando è maestro. La parola è strumento pedagogico per eccellenza. Non esiste disciplina senza maestri e discepoli: la conoscenza è trasmissione. Anche Dio nel farsi uomo ha scelto l’identità sociale di falegname prima (imparando da un padre) e di maestro dopo (dicendo il Padre).
La giornata mondiale del professore è la giornata mondiale di chiunque usi la parola per indicare il mondo a qualcun altro: dai genitori al passante che risponde ad una domanda (sarà per questo che ci dispiace così tanto quando non sappiamo esaudire una richiesta di informazioni stradali?).
Le cose stanno così perchè la struttura stessa del mondo è pedagogica: mostra senza costringere. Pedagogo è colui che guida il bambino, il ragazzo verso sé stesso. Agli occhi del Creatore siamo bambini guidati a sé stessi e di riflesso a lui, che ha ripetuto spesso che solo i bambini accedono. Se questo è vero, se il Creatore è anche il Bene onnipotente, la struttura stessa del mondo è una continua pedagogia pratica che ci conduce a ciò che – sembra assurdo – resistiamo a fare di più: vivere. Sono venuto perchè abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza, diceva.
Vivere è perdere la paura. Il principio di opposizione alla struttura pedagogica del mondo è la nostra resistenza ad amare e ad essere amati. Pur avendone un bisogno primordiale, resistiamo. Resistiamo ad essere amati per paura che chi ci ha dato la vita non sia Padre ma tiranno, pronto a strapparci ciò che abbiamo (il servo che riceve un solo talento ha paura di un “padrone” che miete dove non ha seminato). Sospettiamo del padre e quindi sospettiamo della libertà. Liberus in latino vuol dire figlio: senza libertà non si vive, ma solo da figli si è liberi. Resistiamo ad amare, perchè il senso dell’amore è dono di sé, e questo richiede un’uscita continua da sé, per fare degli altri il centro dell’universo anziché di noi stessi. Ma questo fa paura perchè richiede creatività e sforzo quotidiani.
In entrambi i casi è la paura che ci frena o vince. Ma la realtà – l’amore che per l’universo si squaderna direbbe Dante - sembra fatta per abbattere il muro di paura. “Dio è iconoclasta”, diceva Lewis nel Diario di un dolore: spezza tutte le immagini finte, gli idoli che costruiamo e imbrigliano la nostra capacità di amare ed essere amati. A noi resta la libertà di scegliere se arrenderci all’amore o no, se muoverci verso il polo della paternità o rintanarci in quello della solitudine.
Il maestro, dopo e insieme ai genitori, partecipa alla struttura pedagogica del mondo più di chiunque altro. Il professore è chiamato ad essere in una stessa persona padre e madre. Quando un papà lancia il bimbo in aria, la mamma preoccupata chiede al marito di metterlo giù. La madre tiene il figlio ancorato a terra, lo protegge, il padre lo lancia nel futuro, nell’ignoto, spingendolo a credere nelle proprie capacità. Solo questo sguardo duplice rende i ragazzi capaci di stare al mondo essendo sé stessi: comprensione e sfida, attenzione e slancio.
Quando il mio professore di lettere mi prestò la sua edizione del poeta da lui preferito dicendomi “Questo tu lo puoi capire”, accelerava la mia percezione della struttura paterna e materna della realtà e quindi della libertà. Vedeva una mia qualità ancora tenue e la incoraggiava riponendo in essa una fiducia maggiore di quello che in quel momento valeva. Quel libro mi obbligò a scoprire la bellezza della poesia senza obbligarmi. Faceva nascere la libertà di impegnarmi da un surplus di fiducia, che nello stesso atto mi comprendeva e mi lanciava nel futuro. Madre e padre insieme.
Ogni professore, che lo voglia o no, è chiamato a porre questo sguardo sul proprio alunno. Gli psicologi lo chiamano effetto Pigmalione, il famoso sculture mitico che creò una donna tanto bella da innamorarsene e da costringerla a diventare di carne e ossa, tale era il suo amore. È ormai assodato che uno studente “non amato” dal suo professore andrà male, indipendentemente dalle sue capacità.
Insegnare è mettersi al servizio di ciò che di più vitale ha un essere umano, conservare e proteggere il nocciolo più intimo di una persona. Un insegnamento scadente, una pedagogia improvvisata, uno stile di istruzione cinico nei suoi obiettivi puramente utilitari, sono rovinosi, distruggono la speranza alle radici, sono un assassinio.
I genitori sono, con il loro amore unito, la grande risorsa pedagogica del mondo. I professori partecipano a questa pedagogia per privilegio e alleanza. Il loro sguardo può contribuire a trasformare una statua in un uomo, a rendere un ragazzo libero di essere sé stesso. Felice.
 

Postato da: giacabi a 14:45 | link | commenti
davenia alessandro

INTERVENTO DIALESSANDRO D’AVENIA  ALLA FESTA  MGS
***
Parma – Palaraschi, 10 aprile 2011
Allora, io dopo tutto questo sono un po’ in difficoltà perché sono soltanto un prof,
un prof che il primo giorno di scuola voleva togliersi una soddisfazione a proposito
di acqua: la volevo fare nel bagno dei prof. Erano le 8 meno 10 di mattina, entro
nel bagno dei professori e mi trovo di fronte una collega che mi dice “tu qui non ci
puoi stare” quindi il mio esordio come insegnante è un sogno costruito da una
vita, a 15-16 ho cominciato ad intravedere questo sogno e ormai si realizzava e il
primo giorno di scuola sono stato cacciato dal bagno dei professori.
Allora mi sono chiesto “ma forse ho sbagliato?” poi siamo diventati grandi amici
con questa professoressa “sono il collega di latino e greco e la faccio anche io
come tutti gli altri” e lì è iniziata un’amicizia e come diceva lui l’acqua:
io uso sempre l’acqua per dire una cosa molto semplice, loro hanno parlato
dell’essere acqua. L’acqua è una relazione: H2O quindi prima ancora di dire che ti
tipo di acqua vuoi essere andiamo a vedere quei due elementi lì che cavolo fanno.
Se li incontri per strada non gli dai una lira, neanche li vedi: idrogeno, ossigeno,
neanche li vedi. Poi questi due si incontrano e creano una relazione in cui
l’idrogeno dà all’ossigeno ciò di cui l’altro ha bisogno. Questa storia d’amore
funzione ed è una cosa bella, pura, bevibile perché è una relazione in cui
ciascuno dà all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno. Allora vi propongo di fare questa
rivoluzione in cui creiamo storie d’amore che funzionano nella loro semplicità
quando uno la smette di pensare di essere il centro dell’universo e guardando
l’altro dice “sai che c’è? Voglio darti tutto ciò di cui tu hai bisogno” ed è ciò che ho
imparato a 16 anni (dai miei genitori da bambino) da due miei insegnanti allora vi
chiedo.
Io vi guardo e mi chiedo “questi ragazzi di cosa hanno bisogno in questo momento
della vita?” e guardate che io me la sto facendo sotto perché siete tanti. Io faccio
lo scrittore perché sto davanti al mio computer tranquillo a scrivere libri. Faccio
l’insegnante perché al massimo ne ho 25-30 di fronte.
Una mamma mi ha raccontato che il prof di lettere entra in classe e si trova di
fronte più di 30 ragazzi, li guarda, non dice nulla, e poi pronuncia questa frase
“siete troppi, vi ridurremo” è una frase molto bella che penso sia stata
pronunciata nei campi di concentramento ed è molto interessante perché dice ad
un quattordicenne “la tua vita fa schifo ed è fatta per essere ridotta” esattamente
il contrario dell’acqua.Cioè tu non sei uno che ha bisogno di me e io mi sforzo di
dirti “siete tanti ragazzi, non sarà facile portarvi tutti avanti ma voi ed io ce la
metteremo tutta” che non nasconde il problema ma mette l’insegnante e l’allievo
dalla stessa parte. Comincio a darti ciò di cui tu hai bisogno per essere te stesso
perché questa è la cosa che mi entusiasma di più del fare l’insegnate. Dico
sempre che è un mestiere impagabile perché, i colleghi lo sanno, non viene pagato
e perché il vero stipendio siete voi. Tu passi tutta la vita a studiare delle cose che
ami e ti illudi che le cose che ami, le ameranno anche i tuoi alunni e allora fai


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degli sforzi, ti impegni, prepari una lezione e sei lì la sera prima che dici “ma io
domani cosa porto di nuovo alla lezione dell’ultima volta?” e allora ripensi a tutti i
tuoi sforzi di anni di università, magari anche un dottora tori di ricerca… fai la
lezione (mano che si alza) “posso andare in bagno?” Ecco, questa è la meraviglia
di fare gli insegnanti: tutto quello che tu hai amato in cui metti tutti i tuoi sforzi
ha un unico grande effetto.. diuretico.
L’unico errore che Dante ha fatto nel Paradiso.. ecco, ragazzi, il paradiso è un
posto bello dove andare. Perché a noi il cristianesimo ci pare una noia mortale
perché siccome Dio ha sta barba bianca lunga e uno dice “ma il paradiso è un
posto in cui io guardo uno che c’ha sta barba bianca lunga e me viene pure a me
sta barba bianca lunga e dici chi me lo fa fare? Sempre la stessa cosa per tutta
l’eternità”. Leggete Dante e scoprite che è un posto in cui succede quello che avete
fatto voi prima: cantare, ballare.. è un posto in cui un minuto dopo sei più
innamorato di un minuto prima. Ve lo ricordate quando vi siete innamorati la
prima volta? (faccia a bocca aperta) “ma è scemo?” “No, è innamorato”. Ma oggi
fuori piove è una giornata schifosa e quello canta, com’è?? E’ scemo? No, è
innamorato. Il paradiso è così: un minuto dopo sei più innamorato di un minuto
prima. E allora cosa fai? Stai lì a bocca aperta o canti.

Dante ha fatto un unico errore, si è dimenticato il cielo dei docente che è il cielo
più vicino a Dio perché Dio dovrà poter allungare la mano e dire “non ti
preoccupare, è finita. Adesso tu stai con me.”
Noi, ragazzi, quando finiamo le lezioni andiamo a casa, abitiamo anche noi in
quelle cose rettangolari, no?
E mangiamo su quelle tavole rettangolari e ci sbrodoliamo mentre mangiamo..
quelle cose che fanno gli uomini comuni. E poi dobbiamo incominciare il
pomeriggio, dobbiamo correggere i vostri compiti e come voi non abbiamo voglia di
correggere i compiti e allora tu vai su FB giusto un attimo per consolarti da
questa frustrazione e scrivi “non ho voglia di correggere i compiti dei miei alunni”
e compaiono 25 mi piace e di chi sono? Dei tuoi alunni che sono già tutti lì.. in
attesa spasmodica di trovare la versione di latino da scaricare, una scusa per non
cominciare ei compiti e poi quella meravigliosa benedetta notifica che mi dice “io
esisto”.
Una volta una ragazza mi ha detto “ma io quando non ricevo una notifica sono
triste” e io le ho detto “ tu sei scema quando non ricevi una notifica, allora l’acqua
H2O, dare a ciascuno quello di cui l’altro ha bisogno allora, per favore, ogni tanto
le notifiche vivetele, uscite da quella cavolo di stanza andate dal vostro amico, lo
prendete per le guance e gli dite ti voglio bene, la notifica in carne ed ossa e gli
date un abbraccio. C’è una psichiatra che dice che ci vogliono 4 abbracci al giorno
per sopravvivere, 8 per vivere, 12 per crescere. Allora io vi chiedo: Voi quanti ne
date ogni giorni? Oltre che quanti ne ricevete? Perché il problema sta tutto lì..
Cosa abbiamo in comune voi e io?
2 tragedie, analizziamo queste tragedie:
1) sveglia, suona la sveglia e uno dice alla Charli Brown “ecco un’altra giornata
lungo la quale strisciare”. Ora questo è il bello della sveglia, che sei venuto alla
luce, un'altra volta, quello che succede è che la terra ti richiede e ti mette
orizzontale ma poi ci rende di nuovo creature e ci ricorda che quando siamo
creature siamo distesi e poi fine, distesi per sempre e sarà qualcun altro che ci
metterà in piedi per sempre. Ma io come faccio ad affrontare questa giornata? In


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più io quando mi sono svegliato stamattina ho pensato”devo incontrare tanti
ragazzi a Parma e non so cosa dire” …Strizza, paura… però noi tutte le volte che
veniamo alla luce succede questo, come i bambini, che piangiamo e il bambino
quand’è che smette di piangere? Quando c’è qualcuno che lo abbraccia, lo porta
al seno e dice “non ti preoccupare”. Ora nell’adolescenza, quello che succede, è
che si viene di nuovo alla luce ma non sono il papà e mamma che bastano -per
fortuna- e allora questa tragedia del mattino, è una tragedia salutare. Voi ragazzi
dovete sapere perché la mattina vi alzate e vale la pena che quella giornata
cominci; prima di qualsiasi altra cosa. Stamattina quando è suonata la sveglia
qual è la prima cosa che vi ha salvato dal fatto di dover cominciare una nuova
giornata? Avrete sicuramente pensato alle cose più belle che vi sarebbero capitate
nella giornata… Cosa sono queste cose belle? Se là fuori c’è qualcuno capace di
dirmi “ti amo” , ti amo.. allora mi sveglio la mattina e non ho paura della sveglia.
Ora, non sono più papà e mamma tanto che voi 3-4 anni fa tornavate a casa e
raccontavate “Mamma sai, è stata una giornata bellissima e ho fatto questo,
questo e questo…” e vi dovevano fermare; stasera voi tornate a casa e la mamma
speranzosa vi chiede “che hai fatto?” rispondete voi in coro: “niente!”. Ora questo
niente è sacrosanto perché sta venendo alla luce qualcosa di nuovo che solo voi
potete iniziare. La tragedia del venire alla luce ogni mattina si risolve se là fuori
c’è qualcuno capace di dirmi ti amo e se io so perché cavolo porto il mio corpo in
giro tutti i giorni. Mi devo incollare addosso il motivo per cui vivo. Altrimenti non
c’è soluzione, non andate a cercare altre cose, questa domandina qui è
fondamentale. Perché abbiamo così bisogno di qualcuno che ci dica ti amo?
Perché dire “ti amo” ad una persona significa dire questo: è bello che tu esista, se
tu non esistessi io ti ricreerei esattamente nella stessa maniera in cui sei
compresi i difetti: ti amo. E’ un chilometro.. lo ripeto: è bello che tu esista, se tu
non esistessi io ti ricreerei esattamente nella stessa maniera in cui sei compresi i
difetti. Allora se voi dite ti amo ad una persona, chiedetevi se sareste disposti a
ricrearla così com’è compresi i difetti.. perché se non è così, quel ti amo è falso, è
falso, e quella storia è destinata a finire. C’è lì fuori qualcuno capace di creare con
me una relazione che mi sappia dire la cosa di cui ho più bisogno sempre e
comunque io ti amo? E lo lascio in sospeso.
2) lo specchio: siete entrati in bagno e uno si chiede ma io con quella faccia come
faccio ad uscire oggi? Ora a 33 anni tu quella faccia la conosci da 33 anni e sai
che dici? Vabbè sai che c’è? Ci conosciamo da 33 anni, andiamo fuori.. ma tanto
là fuori c’è qualcuno che mi dice ti amo, quindi vado bene così! E se non c’è?
Siamo fregati, siamo fregati. Ma ritorniamo al dramma dello specchio. sei lì
davanti e vorresti mettere le mani dentro lo specchio e potere cambiare quella
faccia e per potertela incollare addosso secondo quella voce che esplode dicendo
“quello sono io”, quello sono io, ragazzi questa è la benedizione della vostra età
che finalmente una voce esplode è venuta ad iniziare qualcosa che nessun altro
può iniziare. Allora la seconda domanda che vi pongo è: Tu che cosa sei venuto ad
iniziare? Forse non lo sai e l’età in cui stai è fatta per questo.. c’è una filosofa
Hannah Arendt che dice questo: “la libertà è essere creati per un nuovo inizio”.
Allora io vi chiedo: volete essere unici e originali come vogliono essere tutti gli
adolescenti? Incollatevi addosso quello che è già dentro di voi e non sta fuori.
(esempio eco e Narciso). Per costruire che cosa? L’immagine perfetta di quella voce
che esplode, allora proteggetela perché quella roba lì non ve la siete data voi, è un
regalo che vi è stato fatto ed è già grande, bella, libera, potente dentro di voi,


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indipendentemente da voi; è questo il bello. Se dentro quella voce c’è già il ti amo
di cui parlavo prima, è fatta, io sono già salvo adesso. E cosa mi salva? Se quella
voce lì me la incollo addosso e se quella voce lì è voluta da un ti amo. Ora non vi
succede la stessa cosa quando rimanete bloccati davanti a uno schermo di
computer a rispondere a quei quiz? Ma tu che personaggio saresti…? Perché è il
tentativo di mettere le mani nello schermo e trovarsi, chi cavolo sono io? Cosa ci
sto a fare al mondo?
Ma voi vi immaginate nell’aldilà.. sei stato felice? Aspetta che controllo su
FB…Non ci sarà FB là.. Anzi, là, ci è stato detto in un libro bellissimo che
nessuno legge (apocalisse) che ci sarà dato un sassolino bianco con su scritto il
nostro vero nome. Porca miseria, porca miseria… E ci sarà finalmente il ti amo
che ti dice “adesso ti dico io chi eri tu per me e quanto tempo hai perso a
costruire cose finte che non esistevano.. io ti volevo così tanto che è bello che tu
esista e se tu non fossi esistito ti avrei ricreato esattamente nella stessa maniera
con gli stessi difetti, tanto che ce lo darà lui il sassolino.
L’augurio che vi faccio è che davanti allo specchio non inizi una dannazione ma
una ricerca, di incollarvi quella voce addosso per scoprire di quale cosa sarete
iniziatori!
Conviene essere sognatori? Vedi don Bosco.. se avesse ascoltato le migliaia di
persone che gli dicevano “ma figurati, ma chi te lo fa fare? E’ inutile..”. Se non
avesse sognato noi non saremmo qui.
Se non ci fosse quel ti amo lì io in questo momento sparirei… perché per lui
conoscermi, amarmi e farmi esistere sono la stessa cosa. E voi non è che direste
“dov’è finito D’Avenia?”, no niente, non ci sarebbe mai stato, nessuno si
renderebbe conto di niente. Allora il mio io è per sempre perché per sempre è il ti
amo che mi ha generato. E allora terzo punto: quando voi non riuscite ad essere
iniziatori di qualcosa e incollarvi addosso quella unicità di cui siete portatori, il
vero coraggio è quello di essere fragili perché la propria unicità uno se la incolla
addosso non a partire primariamente dalle cose in cui ha talento, ma da quelle in
cui non lo ha, perché se tutti cerchiamo questo benedetto ti amo che ci perdona il
fatto di essere limitati come siamo, allora non sarà che la mia unicità è basata più
sui miei limiti che sui miei punti di forza? E siccome la vita non ha Photoshop, è
una benedizione essere limitati, io non scrivo perché sono bravo, scrivo perché
sono limitato, perché ho bisogno di darmi delle risposte che direttamente non so
affrontare, scrivo perché me la faccio sotto. Allora la paura in questo è un grande
alleato ma bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto, vi racconto due episodi:
-il mio prof di religione si chiamava Padre Giuseppe Puglisi. Quest’uomo è stato
ucciso dalla mafia quando io facevo la quarta liceo. Voi immaginatevi il vostro prof
di religione che non entra più in classe perché è stato ucciso due quartieri di
fianco alla scuola. Quartiere in cui lui portava dei ragazzi a fare volontariato per
strada. Allora io a 17 anni ho detto che cavolo sto facendo della mia vita? Perché
adesso quel sangue lì mi entra nelle vene e io devo deciderne cosa farne. Quel prof
per cose che diceva era disposto a morire, ed è morto con un sorriso. Perché colui
che gli ha sparato, 5 anni dopo, si è pentito ed ha cominciato a collaborare con la
giustizia e ha raccontato questo:io il rimorso che ho avuto non è stato quello di
aver ucciso un uomo, perché ne ho uccisi tanti, ma il modo in cui mi ha sorriso.”
A me le persone che sanno morire mi affascinano perché sono quelle che hanno
anche vissuto alla grande. Nel libro è Gandalf. Lui cambiava la realtà, in silenzio.


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-il mio prof di lettere (genitori non parlo perché avrei parlato solo di loro; però ogni
tanto ragazzi, tornando da scuola comprate una rosa andate da mamma e ditele
“mamma grazie perché mi cucini tutti i giorni”) allora la smettiamo di essere il
centro del’universo e diamo a ciascuno ciò di cui ha bisogno?? A parte che uscite
28 sabati di seguito, ma poi, la mamma, ha bisogno della vostra gratitudine.
Dovete smetterla di dire che la vita è cattiva, che i prof sono cattivi, che la società
fa schifo, che politica fa schifo.. la libertà è una roba che vi è stata donata e
decidete voi se farvela togliere. Una persona che inizia dire “tutto fa schifo, non
posso fare niente” si è fatto già rubare la libertà, perché la posizione nel mondo la
scegli tu, l’atteggiamento da avere nelle cose di tutti i giorni, anche quelli più
brutti, lo scegli tu. C’è una ragazza Etty Hillesum, ebrea, che ha scritto un diario
meraviglioso in campo di concentramento e questa ragazza ad un certo punto dice
-sa che sta andando a morire- “se Dio non mi aiuta più, allora sarò io ad aiutare
Dio” e invece noi a dire “Dio ma ti sei dimenticato di me?” e ci
arrabbiamo…cambiate prospettiva, aiutateLo invece di voler sempre essere
aiutati. E come finisce quel paragrafo di quella pagina di diario? In campo di
concentramento “adesso apparecchio la tavola” ecco la libertà di una donna che
sta andando a morire: cosa posso fare io per gli altri?
E il mio prof di lettere era così, ultima ora del sabato, l’ora più difficile perché le
ragazze pensano al vestito per la sera, i ragazzi è meglio se non diciamo a cosa
stanno pensando legato a quel vestito e i prof vogliono godersi un po’ di riposo e
lui veniva in classe con il registratore e ascoltavamo per un’ora Beethoven in
quella classe scalcinata, brutta, con i bachi rotti, i muri sporchi. Entrava un’ora
di bellezza pura ed era intatta e io capivo che mia vita era fatta per quello che io
un giorno avrei fatto qualcosa di così bello perché quella cosa così bella avrebbe
strappato un sorriso a quei giovincelli che pensavano solo al calcetto e io avevo
nostalgia di quella cosa lì. Io voglio fare una cosa così grande e nessuno può
strapare questo. Un giorno mi chiama e mi dice “Questo è il mio libro di poesie
preferito, te lo presto, me lo restituisci tra 3 settimane”. Aveva capito, a 16 anni, i
miei 16 anni,che io avevo i segni di qualcosa che mi avrebbe reso forte un giorno e
mi prestava il suo libro di poesie preferito. E io per 3 settimane ho letto quel libro
di poesie, non tanto i versi ma le note a margine scritte a matita dal mio
professore perché a 16 anni ti interessa una sola cosa degli adulti che conosci: tu
ci sei o ci fai? Perché se ci fai non mi interessi, se ci sei ti vengo dietro in capo al
mondo, per prendere poi la mia strada.A proposito di cammino che si
intraprende se qualcuno già sta camminando. Natalie diceva “Provoca vocazione
solo chi ha vocazione”, io a 33 so che cavolo ci sto a fare al mondo e per questo mi
alzo la mattina e dico “vai!” e adesso quello che sta succedendo, oltre a strapparvi
un sorriso è che vedo un po’ di ansia crescente, perché è normale, quando viene
l’ansia, la paura è la realtà che ti sta dando del tu. E tu stai pensando “cavolo, se
questo ha ragione io oggi torno a casa devo riflettere” e mi devo mettere davanti
allo specchio e dire “che cavolo sto facendo?” si dilatano le pupille e le pupille si
dilatano quando tu hai a che fare con la realtà e le vuoi bene di più o dopo esserti
fatto una canna. Solo che, dopo che ti sei fatti una canna finisce l’effetto e la
realtà è uguale a prima e te ne devi fare un’altra perché non è cambiata. Quando
è così sei tu che di metti in viaggio e ti devi mettere in moto e cambi. Io in 33 anni
non mi sono mai fatto una canna perché mia madre mi ha insegnato che la realtà
è una enorme canna che puoi sempre fumarti per 24 ore. Io mi sveglio la mattina
e dico “dov’è lo sballo oggi?” 40 alunni..


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Non cercate l’ecstasy fuori, l’estasi è dentro. Quel prof mi salvava la vita grazie a
quell’attenzione, a quel tu perché mi diceva come le mamme “tu sei bello,hai un
punto di forza che ancora non vedi” e poi aveva la modalità papà “ti sfido, tra 3
settimane me lo restituisci”. Ragazzi lasciatevi sfidare dalla realtà, ponetevi mete
alte, se non portate le cose che vi appassionano nella realtà alla soglia della
passione che vuol dire alla soglia del patimento, non le amate le cose. Per amare
bisogna patire, patire dare la propria vita -ciò che ami-… quali sono le 2-3 cose
per cui voi dareste la vita in questo momento? Lì sta il segreto della vostra
esistenza, lì. O come dice Hitch all’inizio di quel film voi lo sapete per cosa perdete
il respiro? Quando non ci riuscite fatevi aiutare, fatevi guidare, chiedete aiuto!
Ma è così difficile farsi vedere fragili, ma è così bello perché è così liberante.
Sapete la parola libero da dove viene? Liberus dal latino vuol dire figlio.. noi siamo
pienamente liberi solo quando diventiamo figli di qualcuno. Io sono stato libero di
diventare professore perché sono diventato figlio di quel professore quando mi ha
prestato quel libro. Allora voi chiedetevi di chi siete figli, a chi appartenete, a chi
appartenete? Solo questo vi rende liberi; perché la libertà non è fare ciò che si
vuole, nè che finisce dove inizia quello di un altro. Che cosa me ne faccio di
queste definizioni di libertà? Vuote. La prima “cambia il colore dei tuoi occhi!
…sono cambiati? No” e allora non è fare quello che si vuole è accettare come
compito la vita che ti è data, qualunque essa sia. E non finisce dove inizia quella
di un altro perchè è chiaro che se io adesso mi lancio su questi qua davanti gli
faccio del male, la libertà è decidere per cosa mi gioco la vita. E per decidere dove
spendo la mia vita devo sapere da chi dipendo, chi mi rende libero, di chi sono
figlio. Voi di chi siete figli? A chi appartenete veramente? Chi vi sa dire quel ti amo
davvero? Allora questo vi auguro, di trovare quell’appartenenza forte che vi
metterà le ali.Perché il contrario di liberus, in latino, è captivus, prigioniero
allora non sarà che tanti ragazzi “captivi” semplicemente on appartengono a
nessuno? Non hanno ancora trovato a chi appartenere? Cercate a chi
appartenere, chi vi libera perché vi vuole talmente bene che vi protegge da voi
stessi quando voi non riuscite ad essere se stessi. L’ho capito un giorno, è la
storia un ragazzo che si chiama Geremia. Questo ragazzo ha un difetto: è
balbuziente, antico testamento, e come tutti i ragazzi ha un difetto che lo fa
soffrire ciascuno di voi ha una debolezza, una fragilità che vorrebbe che non ci
fosse. Dio lo chiama e dice “Geremia puoi fare il profeta?” Dio mi fa morire, è
divertente, ha il senso dell’ironia -giraffa- Dio è commedia è divertente e noi
invece con questa idea di un Dio noioso con la barba lunga..commedia divina,
perché finisce sempre bene. Allora Geremia dice “ ok che sei Dio ma forse ti sei
distratto un attimino.. vuoi che io faccia il profeta e io sono balbuziente, potevo
pensarci un po’ prima…” allora Dio risponde “ma Geremia io ti conoscevo prima
che tu entrassi nel grembo di tua madre -questa frase, per favore, incollatevela in
testa: voi siete conosciuti e in Dio conoscere è amare, far esistere, siete
conosciuti, voluti, sognati prima di entrare nel grembo delle vostre madri, difetti
compresi.- E cosa succede, che Geremia dice “o cacchio, io vado bene così” e
comincia a fare il profeta e quando profetizza non balbetta e quando smette,
balbetta. Così non si dimentica mai che le cose grandi che sa fare sono frutto di
un dono e lo capisce grazie ad un suo limite.
Allora se questa frase è vera, se ciascuno di voi si può sentire dire “io ti conoscevo
prima che tu entrassi nel grembo di tua madre” tutto questo discorso è risolto.
Auguri

Postato da: giacabi a 14:31 | link | commenti
davenia alessandro

martedì, 23 agosto 2011
Per i fratelli dell’Iraq e per restare figli
***
Una splendida riflessione sulla preghiera (AV)
 
«Pregare. A che serve?», mi chiedono alcuni studenti con un misto di ironia e curiosità. «Ad essere amato e amarvi», pen­so dentro di me, ma non posso rispondere così. La cultura oggi dominante è basata sul binomio sapere/fare. Si acquisiscono conoscenze per un’utilità più o meno immediata. Solo ciò che è spendibile sul piano del fare serve, solo quel tipo di conoscenza, adatta a una ragione di tipo pragmatico è utile.
Tutto ciò che non serve a fare, è inutile. Non è un caso che poesia, silenzio, dolore, malati... diventino cianfrusaglie. La fede sfugge al binomio sapere/fare che non può abbracciare tutto. Non è un insieme di precetti che serve a fare qualcosa e chi la riduce a questo si trasforma presto in fariseo o la abbandona per asfissia.
La fede è l’ampiezza della vita stessa e si basa quindi su tutt’altro binomio: stare/comprendere. Chi ha fede sta . Chi occupa il posto affidatogli dall’eternità, prima che fosse nel grembo della propria madre, ha un fondamento da cui guardare il reale a 360 gradi. Solo chi sta ha la possibilità di comprendere, con una ragione universale (cattolica). Comprendere è parola ricca di un valore conoscitivo e di uno affettivo: comprendere (dal latino prendere insieme ) è capire e abbracciare allo stesso tempo. Solo chi sta , solo chi è collocato nel reale dalla prospettiva di Dio può comprendere: capire e abbracciare tutto, senza paura. Adamo prima del peccato stava: era collocato nel mondo, perché lo lavorasse e custodisse (Gn 2,15). Poteva stare e comprendere tutto, ma volle essere autonomo: cadde.
La preghiera è strada per risollevare Adamo e riportarlo a stare, ma ciò richiede il coraggio di affrontare la precarietà radicale del nostro essere che preferisce essere autonomo. Chi prega scopre la roccia sotto i suoi piedi di carne: sta .
Chi prega accetta e risponde (la preghiera è sempre risposta) al nome che gli è assegnato da sempre e da quel luogo può comprendere tutto e tutti, persino i suoi persecutori. Noi oggi pregheremo per i nostri fratelli d’Iraq, per i cristiani perseguitati e per i loro carnefici. Pregheremo – e sarà tutta la Chiesa che è in Italia a farlo – per comunità ferite e spezzate, per centinaia e centinaia di vite ferite e spezzate, per fratelli di fede costretti all’esilio dalla loro millenaria terra madre. Pregheremo perché abbiano pace, nella giustizia e nella verità, perché il mondo apra gli occhi. Ma quando noi preghiamo, non preghiamo per piegare la realtà alla nostra volontà (per quello ci sono idoli e maghi), ma per piegare noi al Bene onnipotente, perché il bene regni in noi e attraverso noi. Il cristiano che non prega entra nell’utopia disincarnata che si ritorce contro di lui: abbando­nerà di fronte a risultati non conformi ai propri desideri o tenterà di realizzare i suoi desideri sul piano del fare, spesso ubriacandosi di un attivismo dai frutti precari quanto le sue radici. Solo chi prega trasforma la realtà, perché permette a Dio di trasformare sé, in figlio. Figlio in latino è «liberus». Solo chi è figlio è erede dei doni di un padre, solo chi è figlio diventa libero, perché è reso responsabile di tutto ciò che gli è donato.
Chi non prega perde libertà, perché smette di es­sere figlio e cerca di modificare la realtà secondo progetti di corto respiro, perché autonomi. Se prego cambio il mondo, perché permetto a Dio di essere in me, dicendogli sì, che è l’unica cosa di cui ha voluto aver bisogno: un fiat . Baudelaire alla fine della sua vita scriveva malin­conicamente alla madre: «Desidero con tutto il cuore (con quale sincerità nessuno può saperlo come me) credere che un essere invisibile s’interessi al mio destino, ma come fare per crederlo? … Se credi che una preghiera possa essere efficace (non scherzo) prega per me, e vigorosamente». Pregare è ricevere sé stessi, far sì che cose e persone siano ciò che sono nel piano della Paternità abissale di Dio.
Alessandro D’Avenia, in Avvenire 21 novembre 2010.

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baudelaire, davenia alessandro

CENSIS/ D’Avenia: per guarire il desiderio, andiamo a "caccia" di persone felici

 

INT.
Alessandro D'Avenia

mercoledì 15 dicembre 2010

 
«Ho conosciuto persone nobili che hanno perduto la loro speranza più elevata. E da allora calunniano tutte le speranze elevate». Comincia citando Nietzsche l’intervista del sussidiario con lo scrittore Alessandro D’Avenia a proposito dell'ultimo volantino di Cl. No, non è il desiderio ad essere in crisi, dice D’Avenia, ma il nostro senso per il bene capace di suscitarlo. Un senso che si è smarrito nell’indistinto dei tanti vizi che riempiono la nostra pancia. La sfida? «Trovare la bellezza nascosta nel quotidiano, trasformando in versi la prosa dell’ordinario», dice l’autore di Bianca come il latte, rossa come il sangue. «Occorre andare a caccia di persone felici».
 
Secondo lei è vero che c’è un «calo del desiderio», come dice il Censis il quale si spinge fino a parlare di declino della nostra soggettività morale e profonda, di una «nirvanizzazione» dei nostri bisogni e desideri?
 
«Niente di nuovo sotto il sole. “Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono eguali. Una vogliuzza per il giorno e una per la notte: salva restando la salute. ‘Noi abbiamo inventato la felicità’ - dicono e strizzano l’occhio. Io ho conosciuto persone nobili che hanno perduto la loro speranza più elevata. E da allora calunniano tutte le speranze elevate. Da allora vivono sfrontatamente di brevi piaceri e non riescono più a porsi neppure mete effimere. Perciò hanno spezzato le ali al loro spirito: che ora striscia per terra e contamina ciò che rode...”. Queste parole appartengono a Nietzsche, che aveva intuito con un secolo di anticipo la chiusura della mente e del cuore borghesi e la sostituzione della felicità con il piacere e del bene con il benessere. Il desiderio è tensione verso il bene. Non è calato il desiderio, ma è calata la presenza visibile e l’appetibilità del bene. Basti pensare ad un tema come quello del Paradiso. Nessuno vuole andare in Paradiso, neanche i cristiani: sembra un posto noioso».
 
Sta dicendo che il problema oggi non è l’esaurimento del desiderio, ma l’esaurimento del bene come qualcosa di desiderabile e quindi da realizzare...
  
«…anche se a fatica. Il piacere soddisfatto sempre e comunque atrofizza il desiderio. Al bambino che chiede il secondo gelato il papà fa bene a resistere, presentando come desiderabile una realtà diversa, fatta di attesa e quindi di scoperta. Il bambino sempre soddisfatto diventa un tiranno obeso. Di contro, il bambino il cui desiderio non è sempre soddisfatto, entra nella realtà, va alla ricerca del nuovo, gioca, scopre, crea. Questo vale anche per gli adulti: se il desiderio è sempre soddisfatto non c’è ricerca, non c’è creatività.

Si scatena così una lettura pessimistica del reale, come luogo incapace di soddisfare tutti i desideri, e delle persone, come mezzo o ostacolo per la soddisfazione di quei desideri. Le dipendenze, di qualunque tipo siano, sono frutto di un desiderio immediatamente e infantilmente soddisfatto, che non sa più uscire dal circolo autoreferenziale e confrontarsi con la realtà, come l’ubriaco de Il Piccolo Principe, che alla domanda: “Perché bevi?”, risponde “Perché ho vergogna”. “Di cosa hai vergogna?” - rincara il bambino. “Di bere” - risponde l’ubriaco».
 
Lei oltre che scrittore è uomo di scuola. Qual è secondo lei la cifra più emblematica del “cuore” dei giovani in questi anni? Che cosa desiderano?
 
«Il cuore dei giovani è lo stesso di sempre, siamo noi adulti ad essere diventati spesso incapaci di mostrare il bene, la verità, la bellezza. Se una facoltà non viene utilizzata si rattrappisce, sparisce. Oggi è lo spirito ad essere nascosto, rattrappito, addormentato. Basta però andare a prendere i ragazzi in questo pozzo profondo di insoddisfazione, perché il desiderio riscopra se stesso e si metta in viaggio. Baudelaire, altro grande profeta della condizione moderna, all’inizio del suo poema dice che il grande vizio della natura umana è la noia, che tutto divora. I suoi Fiori del male sono il resoconto della ricerca dell’antidoto alla noia del piacere soddisfatto, che ha momenti di esaltazione e di prostrazione, con quella bipolarità tipica dell’adolescente. La soluzione è nascosta nell’ultima parola dell’ultima poesia, intitolata Il viaggio. Questa parola è “nuovo”. La ricerca del nuovo è ciò che vince la noia e rimette in moto il desiderio. I ragazzi hanno un disperato bisogno di uscire dalla noia di una libertà che gira a vuoto, perché è ridotta a banale “non invadere” lo spazio altrui. Il nuovo è percepito come ciò è più recente, cioè in realtà ciò che è meno vecchio. Questo però non è il vero nuovo che disseta il cuore e vince il nemico della noia della routine quotidiana. Il nuovo si trova solo in ciò che sa dare sempre più di sé stesso ad ogni incontro, ciò che ha profondità. Dante è sempre nuovo, Shakespeare è nuovo, un panorama, un amico, un amore sono nuovi. Dio è il nuovo per eccellenza. Chesterton diceva che Dio è giovane, siamo noi ad essere vecchi. Sarà per questo che il Figlio dell’uomo nell’Apocalisse promette la grande soluzione: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”».
 
Don Luigi Giussani ha sempre definito il “cuore” in senso biblico, come unità di ragione - intesa in senso ampio, non ridotta secondo il paradigma razionalistico - e di affezione. È questa la scaturigine del desiderio umano. È una chiave di lettura che trova confermata?
 

«Ne sono convinto. Sto incontrando centinaia di ragazzi, insegnanti, genitori grazie al mio romanzo. Mi scrivono altrettanti. Cosa accomuna tutte le domande e le lettere delle persone che incontro? La sete di senso. Il cuore è inaridito. La testa è smarrita. Cuori freddi. Teste calde. Occorre ri-armonizzare testa e cuore, rendendo i cuori “pensanti” o le teste “accorate”. Dante più si avvicina al centro dell’Inferno più trova lande di ghiaccio e dannati dagli occhi ghiacciati: il ghiaccio di cuori freddi, la solitudine che si richiude su sé stessa. Un ghiaccio del cuore che si cerca di sciogliere surriscaldandolo con artifici virtuali o alcolici, “stupefacendosi” invece di stupirsi. Diventiamo così incapaci di sperimentare il calore buono della vita quotidiana, capace di estasi appaganti in una pagina, in un volto, in un panorama, in una sfida, in un amore. Ma siamo capaci di queste estasi? Le possono testimoniare?».
 
«Il desiderio - ha scritto Luigi Giussani, citato nel volantino - può appiattirsi se non trova un oggetto all’altezza delle sue esigenze». Cosa manca allora al desiderio oggi e qual è la crisi che lo investe?
 
«Ho già risposto prima. Aggiungerei che manca bellezza. Se la verità è amore che si manifesta, la bellezza è amore che si realizza. Quando Dante entra in Paradiso, sente e vede cose che provocano questa reazione: “La novità del suono e ‘l grande lume / di lor cagion m’accesero un disio / mai non sentito di cotanto acume”. Sperimenta un desiderio mai provato prima di allora, causato da cosa? La novità della bellezza percepita. Senza bellezza spariscono il bene e la verità. Il bene perde desiderabilità e la verità non ha più forza persuasiva. Già lo diceva Leopardi: “Ma con l’esperienza, (il giovane) trovandosi sempre in mezzo ad eccessive piccolezze, malvagità, sciocchezze, bruttezze ecc. A poco a poco si abitua a stimare quei piccoli pregi che prima disprezzava, a contentarsi del poco, a rinunziare alla speranza dell’ottimo o del buono, e a lasciar l’abitudine di misurar gli uomini e le cose con se stesso”. La sfida è trovare la bellezza nascosta nel quotidiano, trasformando in versi la prosa dell’ordinario».
 
«Chi o che cosa può ridestare il desiderio?» Lei cosa risponde?
 

«Testimoni della felicità. Oltre alla bellezza, questo è l’argomento che lascia ammutolito chiunque. Una vita felice dal primo all’ultimo momento è una vita che vale la pena di essere vissuta. Andare a caccia delle persone felici e chiedere loro ragione della loro felicità. Solo questo risveglierà il desiderio di una vita più grande e piena. Una volta una studentessa dopo una lezione sulla poesia mi disse che avrei fatto meglio a leggere meno poesia e a guardare di più il “Grande Fratello”. Credevo di avere fallito: mi sbagliavo. Quella ragazza in realtà mi stava chiedendo di non provocare più la sua libertà, di non portare in classe la differenza tra il bello e il brutto. Mi chiedeva di tornare nel mondo piccolo e brutto della tv e di smetterla di complicarle la vita comoda che aveva scelto. Il relativismo è la cultura dell’indifferenza (non c’è differenza tra le cose) e genera indifferenti, capaci di consolarsi solo con forti e continue emozioni. Solo chi sa, vuole e ha il coraggio di testimoniare ciò che fa la differenza tra il vero e il falso, tra il bene e il male, tra il bello e il brutto, provoca la libertà a scegliere. La libertà ha bisogno oggi di essere chiamata all’appello, non con la sterile proposta di regole, ma con la promessa di avventura che è la vita di ciascuno a partire dalla pienezza della propria. Solo chi ha una vocazione può provocarne altre. Ogni uomo è creato per essere l’inizio di qualcosa di unico: solo chi sa che la sua vita è un progetto sognato dall’eternità, può vincere il pessimismo e il disfattismo dilaganti».
 
Nel volantino si dice che la grande alternativa oggi è tra ideologia ed esperienza. Che cosa vuol dire questo per lei, e in generale per un educatore?
 
«L’unica ideologia che domina oggi è quella del luogo comune, prodotto per lo più dai media. L’esperienza è il valico aperto verso la pienezza, perché è un linguaggio che tutti comprendono. Per esperienza non intendo il banale “fare esperienze”, al plurale, come garanzia di crescita, ma “fare esperienza” come capacità di andare in profondità, non rassegnarsi a risposte preconfezionate, a soluzioni di comodo. Oggi facciamo esperienze di ogni tipo, in orizzontale, ma ci manca la verticalità e quindi la profondità. Si può fare esperienza solo se lo spirito è desto e non si rassegna alle superfici, ma va oltre, le spezza, alla ricerca della vita piena, grande, bella. Quella vita che ci redime e che si manifesta in alcuni momenti privilegiati e segnati dalla beatitudine. Per fare questo però occorre tornare ad usare i cinque sensi. Stare nella realtà con i cinque sensi. Solo chi usa i sensi, sviluppa lo spirito. Solo chi usa i sensi coglie il senso della vita. Senso vuol dire: sostanza e direzione. Solo chi vede, ascolta, tocca, annusa, assaggia trova il senso profondo, perché scopre che ogni fibra del nostro corpo è fatta per il bene, il vero, il bello. Gli educatori sono chiamati ad incoraggiare l’uso dei sensi, per poi guidare verso la ricerca del senso ultimo delle cose. Dante si ritrova nella selva oscura, senza sapere come, colpito da un sonno che non sa bene come lo abbia colto. Virgilio lo aiuta a ritrovare sé stesso attraverso l’esperienza della verticalità totale: dalla selva oscura all’Amore che muove il sole e le altre stelle».
 

Postato da: giacabi a 14:48 | link | commenti
davenia alessandro

D'AVENIA
Io, don Puglisi e la sfida del Papa a Palermo

di Giuseppe Di Fazio
11/10/2010 - Dopo la visita del Papa a Palermo, lo scrittore e prof palermitano Alessandro D'Avenia interviene sul quotidiano "La Sicilia". Dalla questione giovanile alla crisi della scuola
Il suo primo romanzo (Bianca come il latte, rossa come il sangue) è risultato un best seller, che l’ha portato a divenire un autore di riferimento della «letteratura adolescenziale». Ma Alessandro D’Avenia, 33 anni, palermitano, una laurea in lettere classiche e un mestiere di insegnante praticato in un liceo milanese, non è un nuovo Moccia. Nella sua scrittura ci sono la passione educativa di un prof e le domande «dense» dei suoi allievi. E c’è anche l’esperienza dell’intellettuale emigrato con la nostalgia della propria terra e quella dello studente che a Palermo ebbe un prof di religione sui generis: don Pino Puglisi (il sacerdote ucciso dalla mafia a Palermo nel 1993). D’Avenia interviene nel dibattito sulle nuove generazioni aperto dal nostro giornale, prendendo spunto dall’incontro fra Benedetto XVI e i giovani siciliani. «Il richiamo del Papa a Palermo - dice - spinge i ragazzi a cercare una vita grande, piena di senso. La crisi, infatti, è crisi di significato». Ma spesso i giovani non ne hanno colpa. I loro insegnanti o i loro genitori difficilmente riescono ad essere maestri di vita e a prendere sul serio le domande più profonde che vengono dai ragazzi, che, in questo modo, finiscono per rifugiarsi nell’ideale di una vita comoda.

Professore, l’apatia dei giovani è divenuta - per dirla con Pietro Barcellona - una vera e propria malattia sociale. Tutto il contesto (scuola, università, mass media) sembra congiurare per ridurre o addormentare il cuore dei ragazzi e le loro domande più profonde. Qual è radice di questa realtà?
L’apatia dei giovani è l’apatia degli adulti. Diceva Chesterton che «l’evoluzione è ciò che avviene quando dormiamo, la rivoluzione quando siamo svegli». L’uomo è uno spirito in carne e ossa. Lo spirito oggi è invitato a dormire, a lasciarsi andare ad una dolce anestesia interrotta periodicamente da dolorosi risvegli: insoddisfazione, frustrazione, paura, smarrimento. I ragazzi non trovano maestri capaci di svegliare il loro spirito. La crisi dei ragazzi è la crisi della cultura che li ha generati. Una cultura dominata dal relativismo, che è privare la realtà delle differenze, genera indifferenti. Il relativismo banchetta con la testa e il cuore dei ragazzi. La sfida è rendere i ragazzi “cuori pensanti”, riconciliando la verità con la vita di tutti i giorni.

Come docente, qual è il suo rapporto con gli studenti? A cosa tiene di più nel rapporto con i giovani?
Imparo da loro e loro da me. Diceva Confucio: «Se percorrerò la strada con altri due uomini, almeno uno di loro sarà il mio maestro». La scuola è una relazione vitale, di continuo scambio: se non imparo, vuol dire che non sto insegnando. Ciò a cui tengo di più è la libertà. Insegnare è educare ad essere liberi. Sta crollando su sé stesso il mito della libertà assoluta: fare ciò che voglio purché non leda la libertà altrui. Non basta. Il segreto della libertà è essere impegnata per qualcosa e qualcuno. Quando il mio professore di lettere, Mario Franchina, mi prestò la sua edizione del poeta che preferiva, dicendomi: «Questo tu lo puoi capire», faceva scaturire la responsabilità dall’interno della libertà. Mi aiutava a vedere una mia qualità ancora tenue e la incoraggiava riponendo in essa una fiducia maggiore di quello che in quel momento valeva. Quel gesto mi obbligò senza obbligarmi a mettermi in gioco. Faceva nascere la libertà di impegnarmi da un surplus di fiducia, che nello stesso atto mi comprendeva e mi lanciava nel futuro. La libertà è parola che viene dal latino: liberus, che vuol dire figlio. Se mi rapporto ai miei alunni come un padre allora cominciano ad essere liberi, cerco di mettermi al servizio di ciò che hanno di più intimo, per preservarlo, incoraggiarlo, li aiuto a diventare sé stessi nel massacro di identità odierno.

Il professore nella scuola di oggi è divenuto un burocrate. Perché ci sono sempre meno educatori e maestri?
Fare il professore è una vocazione. Diventa burocrate solo chi non ha questa vocazione. Ci sono molti più maestri di quel che crede, ma nessuno li racconta.

I giovani siciliani sono sempre più costretti a emigrare. Per cercare un lavoro, ma anche per motivi di studio. Come s’intreccia questo viaggio con la ricerca di una pienezza della vita?
La pienezza della vita ci è data solo stando nella realtà. Il presente richiede mobilità. Si tratta di trasformare un destino crudele in vita. Non è un atteggiamento pusillanime, arrendevole, ma un invito a stare nella realtà con le sue sfide e trasformarla dal di dentro gradualmente. Anche io sono un siciliano “emigrato”. Cerco la pienezza là dove mi è dato trovarla e spero in un ricambio generazionale che porti in Sicilia una nuova primavera.

Domenica scorsa il Papa a Palermo ha lanciato ai giovani una proposta alta: «Siate santi, cambierete la Sicilia». Alcuni commentatori hanno definito questa proposta avulsa dai problemi reali dei giovani...
Centinaia di ragazzi mi scrivono dopo aver letto il mio libro e mi ringraziano perché ho affrontato temi come la morte, il dolore, Dio dal punto di vista di un sedicenne. Quei commentatori ignorano i veri problemi dei ragazzi, che non sono l’alcol, le droghe, le dipendenze... Queste sono solo conseguenze di una libertà che gira a vuoto, perché non ha scoperto l’orizzonte in cui essere impegnata. Quando il Papa lancia questo richiamo, spinge i ragazzi a cercare una vita grande, piena di senso. La crisi dei ragazzi è crisi di senso. La cultura crea l’uomo: questa cultura lo spinge alla fuga da sé stesso. Già più di un secolo fa Nietzsche, che aveva previsto la chiusura della mente borghese e la sua rinuncia alla vita, diceva: «Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono eguali. Una “vogliuzza” per il giorno e una per la notte: salva restando la salute. “Noi abbiamo inventato la felicità” - dicono e strizzano l’occhio. Io ho conosciuto persone nobili che hanno perduto la loro speranza più elevata. E da allora calunniano tutte le speranze elevate. Da allora vivono sfrontatamente di brevi piaceri e non riescono più a porsi neppure mete effimere. Perciò hanno spezzato le ali al loro spirito: che ora striscia per terra e contamina ciò che rode... Ma, ti scongiuro: mantieni sacra la tua speranza più elevata!». E Nietzsche non era certo uomo di Chiesa...

Lei è stato alunno di don Pino Puglisi, che domenica scorsa il Papa ha indicato come modello ai siciliani. Qual era il tesoro di padre Puglisi come insegnante e come prete?
Il sorriso. Un sorriso che radicava in Dio e lo rendeva tangibile. Il suo sorriso era la manifestazione chiara del Bene onnipotente, che, nonostante le apparenti e provvisorie sconfitte, in realtà trionfa sempre, gradualmente, sommessamente. Amava dire «i sogni colorano il buio». Spingeva ad amare la verità, senza avere paura. Ripeteva che solo la verità rende liberi. Sembravano parole astratte, come l’invito del Papa, eppure ha cambiato i cuori di una scuola intera, il volto di un quartiere in mano alla mafia. Viveva per quello che diceva in classe, come è chiamato a fare ogni professore.


(Da La Sicilia, 11 ottobre 2010)

Postato da: giacabi a 14:37 | link | commenti
davenia alessandro

lunedì, 22 agosto 2011

Cose che nessuno sa (sui nostri figli e… su noi). Scoperte parlando con Alessandro D’Avenia a proposito di Madrid e di Rimini

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19 agosto 2011 / In News
Bianca come il latte, rossa come il sangue
  • Titolo: Bianca come il latte, rossa come il sangue
  • Autore: Alessandro D'Avenia
  • Editore: Mondadori
  • ISBN: 9788804595182
  • Pagine: 254
  • Prezzo: € 19.00
“La giovinezza è la scoperta del corpo e dello spirito… è lo stupore e il desiderio del proprio corpo e lo stupore e il desiderio della propria anima che arde di domande su di sé, sulla vita, la morte, l’amore e Dio. Ma è l’anima, lo spirito, che esplode verso l’infinito desiderio. Il corpo cerca solo, arrancando di stargli dietro”.
Mi folgora così Alessandro D’Avenia. Invece la mentalità dominante vede, esalta e amplifica solo i desideri della carne fino a renderli ossessivi, alla fine malati perché non appagano.
Perché anche il piacere più sublime, lascia alla fine insoddisfatti e soli. L’uomo è l’unica creatura sulla terra che non trovi in natura ciò che esaudisce totalmente il suo desiderio e la sua attesa.
Così bisogna vedere le immagini di quel milione di giovani che sono andati a Madrid per ascoltare il papa, a ferragosto. O quelli che la settimana prossima andranno al Meeting di Rimini.
Portati fin lì da “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, quell’amore misterioso che fa correre vertiginosamente le galassie, che fa ruotare i pianeti e fa vibrare l’infinitamente piccolo. E non ci fa star quieti.
Il desiderio arde nelle fibre più intime di questi ragazzi arrivati a Madrid esattamente come nella carne dei loro coetanei di Ibiza.
Loro, però – che magari stavano essi pure su qualche spiaggia – sono partiti per Madrid e se lo portano in quelle infuocate piazze spagnole, sotto il sole cocente, perché hanno intuito, più o meno confusamente, che ciò che infiamma la carne, che dà fame e sete anche di abbracci e di baci e di amore fisico, che sembra così forte, è solo una piccola scintilla del vero, infinito, Amore che tutti gli uomini cercano.  
Quel “Sommo Piacere” (come Dante chiama Dio) che è finalmente appagante e ristoratore.
Sono pazzi? Il dettaglio più impressionante delle cronache, per me, sono quei 40 gradi di temperatura, sommati alle altissime temperature della carne nella giovinezza.
Cosa ci dicono?
Che cercano davvero il dolce refrigerio, dell’unica sorgente inesauribile di acqua fresca: Gesù, “il più bello fra i figli degli uomini”, il cui volto hanno intravisto fra la folla.
E lo stanno cercando soprattutto perché hanno saputo che Lui sta cercando loro, ciascuno di loro, chiamando ognuno per nome.
Perché sono affascinati da questa notizia?
Alessandro D’Avenia, autore di un romanzo bellissimo, “Bianca come il latte, rossa come il sangue” (Mondadori), che è il vero caso editoriale di questi anni, ama appunto raccontare gli adolescenti, i quali saranno al centro pure del suo prossimo romanzo, “Cose che nessuno sa”, in uscita a novembre: “quella è l’età nella quale le cose sono nude, senza sfumature. Dunque è una straordinaria lente di ingrandimento di ciò che veramente interessa a uomini e donne: la scoperta di sé come corpo e come anima”.
Aggiunge: “ogni stagione della vita è un po’ come la nascita: in ogni stagione veniamo un po’ alla luce e ci facciamo un pianto. Ma mentre il primo pianto, quello della nascita, passa con l’abbraccio della madre, quando si diventa adolescenti si viene alla luce con un dolore ancor più vivo a lenire e confortare il quale non bastano più la mamma e il babbo”.
E dunque?
“Allora sei costretto a toccare con mano la tua solitudine, quindi scopri la bruciante necessità dell’altro, dell’amicizia, dell’amore”.
Anche nella ricerca del corpo dell’altro, che è una scoperta che incanta, si cerca quell’abbraccio che fa sentire “a casa”, che fa ritrovare se stessi.
Ma paradossalmente si trova in realtà un altro “io” che anche lui, brancolando nel buio, cerca di lenire il suo dolore e cerca la sua anima e così è una miscela esplosiva, perché può essere una grande avventura di verità, ma pure un’esperienza che provoca nuove ferite.
O spesso tutte e due le cose insieme.
D’Avenia però sottolinea il positivo: che in questa stagione della vita c’è la verità di noi, siamo allo stato creaturale, nudi, col nostro splendore e la nostra povertà.
“Mi ha colpito” dice “un pensiero di Benedetto XVI che ha detto: la giovinezza è l’età in cui capire cosa mantenere quando la giovinezza finisce. E’ così, perché poi l’abitudine dissecca l’anima e si perde quell’antica freschezza”.
A D’Avenia – che pur essendo un professore e uno scrittore è molto giovane (ha solo 34 anni) e che ha partecipato a due “Giornate mondiali della gioventù” – domando perché i media fanno così fatica a raccontare un evento come quello che porta un milione di giovani a Madrid a ferragosto.
“Perché dall’esterno vedi solo un movimento di masse giovanili simile a quello dei concerti rock. Però dovrebbero almeno cogliere la diversità. Perché qui i ragazzi sono sorridenti e quieti?”
E’ vero, non hanno bisogno di urlare o sballarsi, non lasciano sporcizia e non spaccano, non cercano di lenire il dolore della vita affogandosi nel gruppo.
“Perché qui non si tratta di consumare un’emozione e stop. C’è qualcosa che sfugge al colpo d’occhio”.
Forse perché è una domanda che si agita nella singolarità, unica e irripetibile, di ogni cuore?
“Sì. Perché è un evento di massa, ma è tutto e solo personale. Pur fra un milione di coetanei ti sembra che Qualcuno ti stia dando del ‘tu’ e questo non accade con il cantante rock che urla sul palco. Qui, allo stesso tempo, siamo insieme, ma anche in un solitario faccia  a faccia col Mistero”.
La mia sensazione è che sia proprio questa sincerità, questa nudità personale di fronte alla vita, alla morte, all’amore e a Dio, il materiale altamente infiammabile che i media non sono capaci di trattare.
Li imbarazza. Non sono attrezzati. Fuggono spaventati.
Perciò, come scriveva Rilke: “Tutto cospira a tacere di noi/ un po’ come si tace un’onta/ forse un po’ come si tace/ una speranza ineffabile”.
Dio e la propria infelicità personale sono l’unico argomento di fronte al quale l’intellettuale medio si ritrae scandalizzato come le signorine perbene facevano una volta se si parlava di sesso.
Forse è per questo che anche il successo del romanzo di D’Avenia  – che ha colpito tanti giovani – è stato accolto da un certo imbarazzo dei media e dei salotti letterari. Omaggi frettolosi alla qualità della scrittura, ma poi via a gambe levate a chiacchierare dei soliti romanzetti conformisti su questi nostri anni tristi.
 D’Avenia mi spiega: “alcune persone, addetti ai lavori, molto attenti, mi hanno detto: lei ha scritto un romanzo trasgressivo. Ah, bene, ho detto. E perché? Mi hanno risposto: il libro parla di un professore che ama il suo lavoro, di dolore e di Dio. E’ vero, ho pensato, la vita ordinaria è diventata la vera trasgressione”.
Io ho sentito parlare molto di “Bianca come il latte, rossa come il sangue”. L’ho letto però quando mi è stato consigliato da mio figlio di 14 anni che mi ha detto: “leggilo. Mi ha cambiato la vita!”. E mi ha stupito che tutti i suoi amici lo avessero letto e ne fossero rimasti affascinati. Questi sono fenomeni importanti.
“Anche a me” dice D’Avenia “colpiscono molto le lettere che ricevo dai ragazzi ed è bellissimo incontrarli quando mi invitano a parlare del libro nelle scuole”.
Perché?
“Sono straordinari. Loro si sentono autorizzati ad andare subito al cuore del problema e non si vergognano di chiedermi durante queste assemblee: ‘che rapporti hai con Dio?’, ‘perché mia mamma si è ammalata di tumore?’, ‘perché mio fratello si droga?’. Loro hanno il coraggio di tirar fuori questo. E tantissimi ragazzi dicono di volere un amore grande come quello di Leo per Beatrice (i due protagonisti del romanzo, nda)”.
Malgrado la rappresentazione mediatica della realtà che invita i giovani a prendere, consumare e buttare l’amore come una lattina di Coca Cola?
“Malgrado questo quell’amore che è ‘per sempre’ lo desiderano tutti, è ciò che il cuore di tutti brama”.
E siccome si ha paura di guardare dentro il proprio cuore si evita di fare i conti con chi ti parla di te, fino al punto di protestare  – come fanno gli “indignados”  in Spagna – contro i giovani venuti dal Papa.
Con tutti i problemi che ha provocato Zapatero, vanno a protestare contro la giovinezza. L’ideologia è capace pure di scioperare contro la primavera.
  Antonio Socci
 da :www.antoniosocci.com Da “Libero”, 20 agosto 2011

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