La preghiera
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La preghiera è l’unico atteggiamento realistico di fronte al Mistero
(H.U. von Balthasar, Verbum caro, Morcelliana, Brescia 1970, 227).***
La preghiera è l’unico atteggiamento realistico di fronte al Mistero
***
Questa è la preghiera: la coscienza di sé fino in fondo che si imbatte in un Altro.
Così la preghiera è l’unico gesto umano in cui la statura dell’uomo è
totalmente realizzata.
don Giussani da:Il Senso religioso
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HANS URS VON BALTHASAR E ADRIENNE VON SPEYR:
UNA CHIESA A DUE VOCI
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HANS URS VON BALTHASAR E ADRIENNE VON SPEYR: UNA CHIESA A DUE VOCI
Giulia Paola Di Nicola1
Presentiamo
la storia inusuale della feconda amicizia spirituale tra Adrienne e
Hans Urs von Balthasar, due grandi personaggi del Novecento che,
provenendo da esperienze e contesti molto differenti, hanno unito i loro
destini in una vocazione comune, teologica ed ecclesiale, senza
dimenticare la dimensione umana e affettiva che li ha visti per
ventisette anni in una comunione piena, travagliata e nello stesso tempo
felice.
1. CHI ERA LUI
Hans Urs von Balthasar è
di gran lunga più conosciuto e studiato di Adrienne; anche la teologia
gode fama di maggiore “nobiltà” tra le scienze. Nasce a Lucerna il 12
agosto del 1905 in una famiglia cattolica (solo il nonno era
protestante) e racconta di non avere mai avuto alcun dubbio di fede.
Viene chiamato Hans Urs a ricordo di un suo famoso antenato: Franz Urs
von Balthasar, umanista e cofondatore della “Società Elvetica”. Nel
parlare di sé, Balthasar dice subito che sulla sua vita c’è meno da dire
rispetto a quella di Adrienne. «Mi ricordo di silenziose e commoventi
messe mattutine da solo nel coro della Chiesa dei francescani di
Lucerna, oppure della messa delle dieci nella Chiesa dei Gesuiti, per me
bella in modo sconvolgente. Mia madre faceva ogni giorno la ripida
strada che portava dalla nostra casa giù alla messa; alle sue preghiere e
alla sua morte precoce e dolorosa io devo senza dubbio la mia
successiva e fulminea (durante un lungo corso di esercizi per laici)
vocazione alla via di Sant’Ignazio»2.
Brillante studente, la sua prima pubblicazione riguarda la musica (“Passavo ore senza fine al pianoforte”): Die Entwicklung der musikalischen Idee. Versuch einer Synthese der Musik (1925).
«I semestri universitari nella povera, quasi affamata Vienna
dell’immediato dopoguerra m’indennizzarono con una quantità innumerevole
di concerti. Dal giorno in cui potei andare ad abitare presso Rudolf
Allers... suonavamo la sera a quattro mani per lo più un’intera sinfonia
di Mahler. Poi vennero i suddetti Esercizi e, dopo il conseguimento del
dottorato, con l’entrata nell’ordine, fu automaticamente finita con la
musica»3.
S’interessava anche di poesia tedesca (Goethe, Hölderlin, Nietzsche,
Hofmannsthal), cosa che successivamente tornerà utile alla teologia, per
il fatto di applicare lo sguardo goethiano sulla Gestalt ossia sulla forma complessiva e coerente della totalità, al di là della moderna analitica.
Nel
1929 entra nella Compagnia di Gesù ed ha la possibilità di conoscere e
frequentare la migliore intellettualità cattolica del tempo: a Monaco
incontra E. Przywara, a Lione H. de Lubac, G. Fessard, J. Daniélou.
Studia in profondità la patristica, specie Agostino, Origene, Gregorio
di Nissa. Progetta una nuova dogmatica con Karl Rahner. Con Karl Barth
stabilisce un dialogo intenso, teso ad approfondire la relazione tra analogia entis e analogia fidei.
Scrive: «Privo di questi segnavia non sarei stato capace di comprendere
in maniera sufficientemente adeguata e di riprodurre i dettati di
Adrienne von Speyr nell’esattezza delle sue intenzioni, come nella quasi
incommensurabile ricchezza delle sue penetranti visioni teologiche»4.
1 Il
presente testo si trova pubblicato, con qualche variazione, col titolo:
Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar, nel libro: Come Chiara e Francesco. Storie di amicizie spirituali, a cura di M. Chiaia e F. Incampo, edito da Ancora, Milano 2007, pp. 138-177.) 2 Hans Urs von Balthasar, Unser Auftrag, 1984, tr. it. Il nostro compito, Jaka Book, Milano 1991 (contrassegnato dalla
sigla NC), 28. 3 NC, 28. 4 NC, 30.
1Prima
di conoscere Adrienne, decisivo è l’incontro con Paul Claudel, che gli
viene presentato da un amico di Lione. Resta affascinato specialmente
dalla sua concezione della cattolicità e traduce alcune sue opere:
«L’elemento problematico nella Scarpina di raso mi era noto, ma
vinsi in due modi l’esitazione: anzitutto l’ardimento del poeta a
conferire dimensioni planetarie a un rapporto d’amore tra uomo e donna, e
poi la sua volontà di rappresentare, in appoggio alla Commedia di Dante, la dolorosa trasformazione dell’eros in pura agape,
anzitutto quello della donna istruita e purificata dall’angelo, e che
si sacrifica e si trasforma in una stella guida, la quale poi trascina
l’uomo che la segue controvoglia fino alle ultime beate umiliazioni. Ciò
che doveva verificarsi per me nell’incontro con Adrienne (sottratta da
sempre all’eros), mi è apparso come una trasposizione di questo
dramma in una sfera completamente diversa. L’aspirazione verso una
cattolicità che nulla omette fu infine ciò che io... avevo cercato e poi
trovato in Claudel, ma alla fine in pieno solo nel contenuto della
teologia di Adrienne, così come lei stessa alla ricerca della stessa
cattolicità l’ha trovato, a partire dal cielo, nel Credo cattolico e
nella sua esaltante interpretazione»5.
Quando
nel 1940 incontra Adrienne von Speyr, diviene subito suo
“accompagnatore” nel cammino dell’anima o, come si diceva allora,
“direttore spirituale”. Nel 1944 inizia a raccogliere i dettati di
Adrienne, a cominciare dal Prologo di Giovanni, nei Quaderni (Tagebuch)
che formeranno 50 opere. B. per starle dietro impara il metodo
stenografico. Lei spesso parla nella lingua madre, ossia il francese,
che lui deve tradurre in tedesco cercando di non tradire il senso
(perciò talvolta conserva la parola originaria). Il lavoro di B. è
faticoso: comprensione, stenografia, sistemazione dei contenuti nel
sapere teologico, coerenza logica ad un parlare che è rivelazione e
illuminazione. Adrienne non spiega, comunica ciò che vede. Non si
sofferma a riflettere sulla Parola, ma la trasmette con l’irruenza di
chi non vuole alterarla né essere sopraffatto da questioni semantiche.
Von B. è attento e stupito di quanto questo parlare rifletta la verità
che egli ha studiato e di come venga organizzandosi spontaneamente in
una coerenza mai contraddittoria. Sottolinea: «Molto presto i suoi
dettati diventano fluidi, le sue proposizioni così ben precise che lei
stessa rinuncia ad una revisione ed io posso trascrivere quanto lei dice
senza fatica. Talora gira attorno ad un’idea che vuol esprimere, con
più espressioni, finché trova quella esatta, allora basta che questa
sola venga data alla stampa»6. Del 1945 è la co-fondazione della Comunità di S. Giovanni.
Possiamo
immaginare quanto la fonte spirituale che A. rappresentava poteva
essere destabilizzante sia per il sapere consolidato del tempo sia per
la vocazione di von B., che era sollecitato a fare una valutazione
attenta del percorso spirituale che gli si apriva davanti. Dopo varie
difficoltà dovute alla incomprensione dei superiori e dopo numerosi
esercizi di discernimento, nel 1950 B. si sente costretto ad uscire
dall’Ordine. Incontra problemi di ogni genere fino a che ottiene
l’incardinazione nella diocesi di Coira (1956). La decisione di
abbandonare la Compagnia di Gesù, quella che egli definiva la sua
“patria”, testimonia la profonda convinzione che aveva di adempiere alla
volontà di Dio svolgendo con A. il compito comune. Se lascia, è perché
“...le prove della giustezza del passo erano frattanto evidenti in
maniera schiacciante”7.
Non è meno acuta la sofferenza per i riflessi della sua situazione su
A.: «Per A. l’assunzione di una tale responsabilità fu un peso così
smisurato, che lei desiderò morire perché potessi restare nella
Compagnia. Indovinai questo desiderio, le proibii una simile offerta e
la richiamai all’ideale della major gloria: se questa “esige la mia
uscita dalla S. J., io sono pronto ad uscire immediatamente. Non può
accadere che, a causa del mio rifiuto, venga abbreviato o mutato
qualcosa del compito affidato da Dio»8. Dal canto suo A. ad Einsiedeln sente una voce: “Il tuo destino è davvero troppo pesante, perché include il destino di H. U.”9.
5 NC, 32–33. 6 NC, 43. 7 NC, 17. 8 NC, 17.
9 T 2006. Per la vita di Adrienne, si fa riferimento a: Diario (Tagebuch), contrassegnato dalla sigla T, seguita dal numero di pagina, all’autobiografia (Dalla mia vita, Jaka Book, Milano 1989, sigla MV), a quanto lei racconta di sé in
2
Nonostante
i travagli, B. mantiene sempre un atteggiamento di correttezza sia nei
confronti dei gesuiti che nei confronti di A. Ha chiarito apertamente in
privato e in pubblico di aver attinto a piene mani al dono di lei,
riconoscendo il benefico influsso da lui subito. Ci tiene
particolarmente a non sfruttare il carisma di A. e a sottolineare che
anche i grandi testi di patristica scritti prima d’incontrarla sono
stati in qualche modo completati e rivisti nell’ottica di A. (“vennero
portati avanti e le questioni ivi ancora aperte vennero risolte o
confermate nella loro giustezza”).
Nel
1967 muore Adrienne, 21 anni prima di lui (1988), che continua il suo
instancabile impegno nella produzione teologica e nella formazione delle
anime. Balthasar si spegne un mese dopo aver ricevuto la nomina a
cardinale. È tuttora sepolto nel cimitero di Lucerna.
La sua riflessione come teologo ha come asse principale la kenosi divina: intra-trinitaria (lo spogliamento reciproco delle persone divine l’una nei confronti dell'altra), della creazione (Dio che pone fuori di sé creature capaci di opporsi a lui), dell’alleanza, con cui Dio si coinvolge con il suo popolo, e dell'incarnazione,
con la passione e la morte del Verbo. Ricorre in lui il tema della
“impotenza” di Dio, della “non figura” del Figlio insanguinato e morente
sulla croce. La kenosi del Figlio risponde alla costante preoccupazione
di Balthasar: “la salvezza per tutti”. Il Figlio subisce l'abbandono
del Padre, sino alla condivisione della condanna e alla “discesa agli
Inferi”, come una prova della “impotenza” estrema, la sola che ha potere
liberante.
La
teologia negativa, secondo Balthasar, non è l’incapacità della ragione
umana dinanzi all'infinito; è piuttosto la contemplazione del mistero
inconcepibile della kenosi divina: lo spogliamento del Figlio non è un
atto distinto dal Dio onnipotente, come se il Cristo si separasse dalla
sua onnipotenza per ricongiungersi alla condizione umana; è la
definizione stessa di Dio nella vita trinitaria. La Passione, la morte,
l'abbandono del Cristo sino alla discesa agli inferi rivelano l’essenza
di Dio da tutta l’eternità. Il mistero di un Dio sulla croce obbliga la
teologia all’umiltà del suo linguaggio, nel rispetto dei limiti di
qualsiasi costruzione “teo–logica”.
La
presenza di Adrienne, nel mentre conferma e dà spessore alla
convinzione di Balthasar sull’importanza del ministero petrino, gli
consente di constatare che Dio raggiunge ogni anima passando anche a
porte chiuse, al fine di costruire una comunità vivente nella pluralità
dei carismi. Gli studi del 1974 sull’autorità di Pietro e sui ministeri
sottolineano che il ruolo ecclesiale non può occultare e pietrificare
l’amore e che funzione e amore non vanno contrapposti l’uno all’altra10.
D’altro canto la prima comunità cristiana non può essere ridotta a
Pietro e Paolo e ai tre o quattro carismi citati da S. Paolo (apostoli,
profeti, insegnanti...). Meglio prendere in considerazione l’originaria
varietà: Maria, madre del Cristo e della comunità, Giovanni, discepolo
dell’amore, Pietro pastore, Paolo missionario, Giacomo custode della
legge, i Dodici che formano il collegio apostolico, Giovanni Battista,
ultimo profeta del Vecchio Testamento e primo martire del Nuovo. La
Chiesa appare allora a B., in sintonia col gesuita John McDade, come una
fucina complessa, in cui figure diverse si uniscono a costruire un
insieme armonico mettendo in comune il proprio carisma a vantaggio di
tutti.
Quando B. scrive Der Antirömische Affekt (“L’attitudine antiromana”) egli era una stella nascente che guardava ai “Golia” come Küng, Rahner e Schillebeeckx, ex-periti del
Concilio, famosi per il successo delle loro idee e delle loro
pubblicazioni teologiche. Nel bel mezzo di un periodo rivoluzionario e
tumultuoso per la Chiesa, B. rappresentava una novità, col suo senso
dell’autorità, che contrastava i sentimenti antiromani. La sua
ecclesiologia del discepolato rappresentava una speranza per la Chiesa.
Benché alcuni potevano vederlo come un Defensor fidei, dunque un conservatore, egli si qualificava con un forte Sensus Ecclesiae che supponeva un’intima connessione tra discepolato e autorità.
base alla coscienza delle varie età: Geheimnis der Jugend, (1966, tr. it Mistero della giovinezza, che viene indicato con
GJ). Tutte le opere di Adrienne sono state pubblicate dalla Johannesverlag. 10 H. U. von Balthasar, Der antirömische Affekt, ovvero: The Office of Peter and the Structure of the Church Ignatius
Press, San Francisco 1986.
3
Non
sarà mai possibile quantificare l’influsso esercitato da A., rispetto
alla quale B., come sacerdote, si sentiva rappresentante della Chiesa
ministeriale e sacerdotale, ma nello stesso tempo anche discepolo, e non
solo perché coinvolto umanamente.
2. CHI ERA LEI
Può
essere scioccante incontrarsi con questa donna svizzera, medico,
protestante convertita al cattolicesimo, mistica, moglie, autrice di
oltre sessanta libri sulla spiritualità e sulla teologia, Adrienne von
Speyr (1902-1967), che ci è nota grazie a quanto ha scritto lei stessa
della sua vita e alla presentazione che ne fa von Balthasar. Nasce il 20
settembre 1902 a La Chaux-de-Fonds, da una famiglia protestante. Il
padre, Theodor von Speyr, è un oftalmologo, la madre, Laure Girard,
discende da una famiglia di orologiai e gioiellieri famosi di Ginevra e
Neuenburg. Adrienne è la seconda figlia. Ha una sorella maggiore, Helen e
due fratelli: Wilhelm (Willy, 1905 – 1978, medico) e Theodor (Theo,
1913 ̧ direttore di banca). È una bimba intelligente e attiva, ma già
dall’infanzia vive le sue sofferenze: non è facile il rapporto con la
sorella e soprattutto si sente rifiutata dalla madre che la rimprovera
continuamente, inducendola indirettamente a rafforzare la fiducia in Dio
Padre.
Già
da piccola vive ben radicata nel suo mondo e nello stesso tempo in un
mondo “altro” che la mette in rapporto costante col cielo. Ben presto
manifesta dei doni particolari: una volta vede il suo Angelo che le
confida che le strade verso la verità sono diverse per sua madre e per
lei e le insegna come pregare e fare penitenza. A sei anni ha un
incontro misterioso con S. Ignazio. Un’altra volta l’angelo la invita a
comporre delle lettere con liste di cartone. Compone così prima IL (con
riferimento a S. Ignazio) e poi IJ, con riferimento “al suo amico. Si
chiama Giovanni (Jean). Ma chi sia non so”11.
Racconta che a nove anni "un angelo" le aveva detto "che i gesuiti
erano persone che amavano Gesù completamente e che la verità di Dio era
più grande di quella degli uomini, di conseguenza non era possibile dire
alla gente cose esatte su Dio se non le si capisce in Dio”12. Non è spaventata da queste esperienze ma se ne domanda il senso e si rafforza nella sua lunga ricerca spirituale.
Le
difficoltà dei rapporti con la madre sono compensate dalla vicinanza di
una di un papà comprensivo, che di tanto in tanto la porta con sé in
visita ai bambini ammalati dell'ospedale, e di una nonna speciale che
vive in campagna, cuce per i poveri e le racconta storie varie;
soprattutto parla di Dio: «Quando raccontava del buon Dio si era sicuri:
lei lo conosceva bene»13. La nonna muore quando Adrienne ha undici anni.
Nei
primi anni di scuola, Adrienne vive il rapporto di amicizia con i
compagni anche come una missione. Con loro costituisce una società a
favore dei poveri. Le capita anche di dover sostituire un’insegnate
ammalata. La caratterizza soprattutto una profonda e segreta ricerca di
Dio, come risulta dalle pagine del suo Geheimnis der Jugend (un modo di tornare da adulta agli anni prima della conversione)14.
È significativo il fatto che dalla madre, dalle amiche, dal pastore
venga frequentemente catalogata – con qualche preoccupazione – come filo
cattolica, per il suo comportamento e le sue convinzioni. Durante la
scuola secondaria rimprovera al suo insegnante di religione, il pastore
Junod, di non presentare né discutere l’insegnamento cattolico. Di
conseguenza, le verità da lui presentate risultano “come troncate, fatte
uscire dal loro contesto, prive di legami”. Dimostra così di avvertire
un certo “vuoto” che reclama un Dio diverso da quello presentatele
dall’ambiente protestante, austero e rigoroso. Von B. attesta, infatti,
che nel protestantesimo A. vedeva soprattutto due lacune: «mancava una madre; erano per così dire
11 GJ, 24. Le notizie su Adrienne si possono anche ricavare da H. U. von Balthasar, Erster Blick auf Adrienne von Speyr, 1968, sigla EB, in parte tradotto in A. von Speyr, Mistica oggettiva, antologia a cura di B. Albrecht, Jaka Book, Milano 1975, in ID., Gebetserfahrung, 1965, tr. it. Esperienza di preghiera, Jaka Book, Milano 1990, oltre che nei ricordi delle amiche co–fondatrici della Comunità di San Giovanni (cf M. Greiner, La comunità di San Giovanni. Un dialogo con Cornelia Capol e Martha Gisi, in “Communio” 109\1990, 95–109).
12 EB, 21. 13 MV, 303. 14 EB, p. 62
4
orfani.
Un missionario in vacanza le spiegò che nelle missioni c’erano anche le
mogli dei missionari e le insegnanti. “evidentemente lui non aveva
capito niente”. Solo la visione di Maria... sarà la vera risposta a ciò
che mancava. La seconda cosa che A. cercava con disperazione e quasi con
petulanza era la vera confessione»15.
Si può aggiungere anche che aveva un forte desiderio di obbedire e
dunque di avere una comunità che evitasse un rapporto individualistico
con Dio. Temeva il rischio dei fraintendimenti e delle inflessioni
psicologistiche e si sentiva più sicura se confortata dall’obbedienza a
qualcuno fuori di sé e ben visibile in carne ed ossa. Dando una
valutazione complessiva A. considera il protestantesimo “il contrario di
una promessa”, come una sorta di indietreggiamento in cui “la Parola
era sospesa per aria”.
A.
si ammala spesso ed è costretta a rimanere a letto per lunghi periodi,
particolarmente prima della Pasqua (Venerdì Santo). In ospedale si
prende cura delle sofferenze fisiche e psicologiche degli altri
pazienti. Il suo desiderio di diventare medico è appoggiato dal padre,
non dalla madre che pensa ad un impiego in banca e al matrimonio. È lei
che la costringe ad abbandonare il liceo lamentando l’eccessiva
compagnia dei ragazzi. Adrienne frequenta allora una scuola commerciale
per sole ragazze fino a che il padre non la reintegra nel liceo, dove
torna ad essere una leader amata dai compagni per la sua socievolezza,
il fascino naturale e il buon umore. Secondo von B.: «Fin dal ginnasio
c’erano sempre ragazzi che le svolazzavano attorno: “ho un mucchio di
amici, potrei sposarne uno quasi ogni settimana”». Egli aggiunge: «si
dissocia istintivamente quando qualcosa sta per scivolare nell’erotico»16.
Nel
1917 Adrienne ha una visione mistica: Maria le appare circondata da
angeli e santi. Le trasmette “una gioia forte e dolce” che imprimerà un
carattere mariano alla sua spiritualità. In quella occasione le si apre
una ferita nella zona del cuore, che non si chiude più. Quando
incontrerà von B. nel 1940, riconoscerà chiaramente: «“Ora sei tu colui
da cui ho la ferita”. Ella mi aveva visto nella visione – scrive von B. –
inginocchiato dalla parte di Maria “Tu sai pure che io ho poi ricevuto
la tua ferita, e che il Buon Dio ti ha messo dentro”». B. conclude: «Ero
io quello che aveva aspettato e per il quale aveva avuto quella ferita»17.
Con
la madre il rapporto è sempre critico, non solo per le scelte concrete
della vita ma soprattutto per la visione religiosa del mondo. Adrienne è
determinata nel seguire la sua strada e tra le due si scava un silenzio
pesante, specialmente dopo la morte del padre, scomparso per una
malattia improvvisa quando lei ha quindici anni. Tale morte, che la
ragazza ha previsto, provoca un traumatico cambiamento dello stile di
vita (senza domestica, trasferimento di casa...). Nel 1918 ha un tale
crollo fisico, con tubercolosi in entrambi i polmoni, da far
diagnosticare la morte in un anno. Viene mandata a curarsi a Leysin,
dove può raccogliersi spesso in preghiera in una cappella e dove vive
l’esperienza della povertà, giacché la madre non le invia denaro e
nemmeno l’aiutano i cugini, che pure pagano la retta al sanatorio
(«finalmente appresi, nel più profondo di me stessa, cosa significa
essere un mendicante»18).
Soprattutto a Leysin prende sempre più coscienza del suo interiore
percorso verso la Chiesa cattolica. Secondo Balthasar, le esperienze
dolorose la stavano avvicinando a Dio più ancora del generoso servizio
reso al prossimo.
Per
diventare medico Adrienne deve lottare anche contro lo zio, la salute
fragile, la mancanza di mezzi (compensa con più di venti lezioni private
a settimana), il maschilismo. Deve lasciare lo studio della musica, in
singolare parallelismo con quanto fa von B. a vantaggio della teologia:
«La musica mi prese uno spazio sempre più grande, praticamente affogavo
in essa e speravo di arrivare a Dio attraverso la musica... per potergli
offrire la vita senza riserve... ». Ma comprende che: «non poteva
realizzare entrambe le cose: medicina e musica... E così volevo
sacrificare la musica per i miei futuri pazienti, mi immaginavo che
sarebbe stato meglio per accostarmi ad essi compiere una rinuncia»19. È convinta che per lei diventare medico è il modo d’amare il prossimo
15 NC, 21. 16 NC, 26. 17 Rispettivamente NC, 27 e GJ, 45. 18 Testimonianza rip. In AA: VV., La missione ecclesiale di Adrienne von Speyr, Atti del II Colloquio Intern. del
pensiero cristiano, Istria, Jaka Book, Milano 1986, 38, col titolo Povera per arricchire. 19 MV 199–202.5
e soprattutto di “obbedire a Dio”20,
benché anche la medicina abbia il suo limite: «L’imperfetto nella
medicina è che non si può prender su di sé quel dolore che tocca agli
altri»21.
La vita le dà ragione: come medico Adrienne riscuote successo (sessanta
- ottanta pazienti al giorno, soprattutto casi particolari, poveri,
ragazzi soli..). Sarà la prima donna Svizzera ammessa alla professione.
Vi sono testimonianze anche di numerose e miracolose guarigioni.
Nell’estate
del 1927, grazie al suo primo periodo di vacanza reso possibile da una
somma regalatale da una cugina, conosce un professore di storia, Emil
Dürr, vedovo con due figli, che s’innamora profondamente di lei. Per
Adrienne non è facile prendere una decisione, ma alla fine lo sposa,
come ci riferisce von B., “per compassione”. Sembra in effetti che
inizialmente, lo abbia sposato spinta dal desiderio di aiutarlo (giunge a
vedere se stessa: «come i martiri che sono in qualche modo nella
strettoia, semplicemente prigionieri, senza via d’uscita»22),
ma certamente vivendo con lui lo ha amato con cuore di carne. A.
racconta: «Credevo molto fermamente di essere destinata alla verginità,
ma non ne vedevo la forma; mi sembrava che un legame fosse assolutamente
necessario; lo vedevo, anche nel matrimonio, come un legame a Dio, ma
come?». A. è dunque incerta sulla sua strada, benché sia una ragazza
naturalmente libera dalle pulsioni della sessualità. Teme sposandosi di
non fare ciò che Dio vuole, ma sa che rifiutando il matrimonio “farei
ancora meno ciò che Dio vuole”. Balthasar conclude: «l’esperienza
matrimoniale, che non poté evitare, le divenne utile non solo per la sua
professione, ma anche per le sue profonde cognizioni sulla “teologia
dei sessi” (fondata sul rapporto Cristo–Chiesa), e per la comprensione
del valore positivo della corporeità all’interno di una religione
dell’incarnazione; anche se, come è scritto nei diari, anche la
verginità le venne ridonata... Ella è fin dal principio
incomprensibilmente esposta e insieme inspiegabilmente protetta.
Protetta in un’innocenza che fin dall’infanzia la caratterizza»23.
Interessante
è il concetto di purezza che matura nella coscienza di A.: il
matrimonio la obbliga a collegarlo alla sola volontà di Dio: «Si è
creati per ciò che Dio vuole e non per ciò che io voglio. Questo intendo
con la parola purezza»24.
Resta in lei una sensazione di mistero attorno alla sessualità (“C’è
qualcosa che non si comprende affatto. Sul rapporto con uomini”); in
ogni caso è convinta che la vita matrimoniale sarebbe impura solo se si
cullassero intenzioni impure25.
A. trasferisce la sua carica integra di affettività e generosità nei
rapporti con il marito, amato “per la sua distinzione e il suo amore” e
con i figli di lui. Ha tre aborti. Balthasar scrive in proposito:
«Avvennero nel tempo in cui io mi decidevo a diventare prete e
religioso. Ed era la risposta per la missione»26.
Questo – sempre secondo von B. – l’atteggiamento di A. nei confronti
della sessualità maschile: «Nonostante un’informazione rozza e sommaria
sui rapporti sessuali verificatasi a Leysin, anche durante gli studi di
medicina (dove due bravi suoi compagni la difendevano da eventualità
licenziose), non ha avuto vere conoscenze quanto ad organi maschili,
benché per un certo tempo dovette più volte cateterizzare uomini e
prendere quindi ogni volta in mano il membro virile. Questo pure non le
aveva fatto nessuna impressione»27.
Quando
il marito muore per una caduta e A. rimane vedova dopo appena sei anni
di matrimonio (1934), non le è facile accettare questa inattesa volontà
di Dio. Non può recitare le prime frasi del Pater senza provare
una sensazione angosciosa. Dopo un periodo di sofferenza, in cui viene
aiutata da un amico cattolico e sollecitata a prendersi cura dei figli
di Emil, arriva una nuova inaspettata sorpresa: Werner Kaegi, un
professore allievo di Dürr, che aveva preso la sua cattedra a Basilea,
le fa la sua proposta di matrimonio. A. s’interroga a fondo sulla sua
vita. Infine A. matura un consenso cosciente e sereno. Lo sposa nel
1936: «Avevo in modo del tutto
20 Cf NC, 23 e A. von Speyr, Das Buk des Gehorsam, 1966, tr. It. Il libro dell’obbedienza, Il Messaggero, Padova 1983, 4–33.
21 GJ, 195–196. 22 GJ, 241 (NC, 24). 23 NC, 24–25. 24 NC 25. 25 Cf rispettivamente GJ, 170 e GJ, 241. 26 T 1662. 27 NC, 25.
6
impersonale
l’impressione che lui avesse bisogno di una donna... era così insicuro
nella vita... e se già mi amava perché non avrebbe dovuto avere me? E
poi ci sono i figli»28.
C’è dunque da una parte l’unione solidale ed empatica di A. al “bisogno
di una donna” che Werner lascia trasparire e dall’altra l’attenzione ai
figli di Emil. Chiosa von Balthasar: «L’unione, a dispetto di un vero
affetto, non sarà molto facile. Il matrimonio non viene consumato, così
che più tardi A. potrà fare il voto di verginità. Ma senza l’amichevole
ospitalità di Werner Kaegi non sarebbero mai stati possibili il mio
lavoro con A. e poi la mia dimora in Münsterplatz»29.
Nel
frattempo Adrienne si confronta con diversi preti protestanti, ma non
trova ciò che cerca. Constata in essi mediocrità, ricerca del prestigio,
perbenismo, attitudine alla predica e insistenza sul rigore. Un
pastore, padre della sua amica le impone di fatto dodici sermoni. Lei
osserva questi modi di fare con distacco interiore, talvolta con
umorismo. Fa diversi tentativi d’incontrare preti cattolici, ma non ci
riesce, fino all'autunno del 1940, quando viene presentata a von B.
(allora gesuita), da poco nominato cappellano universitario a Basilea.
Lui è un magnifico e ben assestato “ponte” per entrare nella Chiesa
cattolica: Adrienne viene battezzata nella festa di “Tutti i Santi”, con
disappunto della sua famiglia. Il giorno del battesimo (“ella crede sì
che è già stata battezzata, e che tuttavia con il battesimo cattolico si
è aggiunto qualcosa di nuovo”) accade quello che viene giudicato da von
B. «un fatto strano. Recitando la confessione tridentina della fede, si
blocca alle parole “la Chiesa cattolica extra quam nulla salus” e le salta. Suo marito, che era presente, dirà di aver sentito chiaramente le parole, ma come pronunciate da un’altra voce»30.
È probabile che A. vivesse il suo percorso in una continuità
discontinua col protestantesimo e che facesse fatica a “rifiutare” la
sua storia precedente e a credere nell’impossibilità di salvarsi fuori
del cattolicesimo.
Balthasar
ha scritto che subito dopo la sua conversione: «una vera inondazione di
grazie mistiche si è riversata su Adrienne, come una tempesta che l’ha
sconvolta. Grazie ottenute soprattutto durante la preghiera: veniva
trasportata oltre la preghiera vocale e la meditazione verso un qualche
luogo e un tempo imprecisati». Adrienne sperimenta nuove comprensioni
della fede, avverte un'unione sempre più intima con Maria e un nuovo
amore per il prossimo. Guidando verso casa una notte, subito dopo la
conversione, vede una grande luce davanti all'automobile e sente una
voce che le dice: “Tu vivrai in cielo e sulla terra”.
L’espressione diviene una linea guida: «Noi operiamo sempre troppe
distinzioni tra questi due mondi apparentemente separati. Mi domando se
noi non viviamo, nel senso proprio della parola, più lassù che quaggiù»31.
Gli
anni successivi al 1940 sono particolarmente duri (attacco di cuore,
diabete, artrite e infine cecità), ma anche ricchi di esperienze
mistiche (stigmate comprese). La valanga di esperienze spirituali e
mistiche non distoglie Adrienne dall’azione: tutto appare all’esterno
immutato anche se dentro è stato rivoluzionato. Continua la cura dei
poveri e dei malati, l’attenzione particolare alle famiglie e ai
bambini. Si aggiungono i confronti appassionanti con Balthasar sulla
teologia. È lui ad aprirle i contatti con i grandi teologi cattolici del
tempo. A. ha l’opportunità di frequentare Romano Guardini, Hugo Rahner,
Erich Przywara, Henri de Lubac, Reinhold Schneider, Annette Kolb e
Gabriel Marcel. Insieme a von Balthasar fonda un istituto secolare, la Comunità di San Giovanni.
Tra
1940 e il 1953 detta le sue interpretazioni dei libri della Scrittura.
Balthasar ha scritto: «La mia fatica, quando poco dopo cominciarono le
straordinarie esperienze di A. consisterà soprattutto nell’inserirle
nella tradizione della Chiesa»32;
«Raramente dettava per più di mezz'ora al giorno. Durante le vacanze
occasionalmente riusciva a dettare per due o tre ore». Egli ha saputo
riconoscere l’autenticità delle ispirazioni di A., dare il consenso a
trascrivere i dettati,
28 GJ, 299. 29 NC, 259. 30 NC 41. 31 A. von Speyr, Nachlassbände, 10 voll. inediti curati da von Balthasar, ora accessibili e indicati di seguito con la sigla
NB (NB 8, n. 877, 384). 32 NC 41.
7
farsi
conca e canale della fonte. Benché B. l’abbia aiutata decisamente nel
presentarle, farle comprendere e amare i tesori della Chiesa cattolica,
nello stesso tempo, egli si riconosce profondamente debitore. In omaggio
alle profonde intuizioni di A. dirà: «Un vero insegnamento teologico io
non l’ho mai dato ad Adrienne»33. Si dirà convinto inoltre che la produzione di A. sarebbe potuta essere ancora più abbondante, data la fecondità della fonte.
Nel
dettare, grande è l’attenzione di A. ad evitare ogni ripiegamento sulla
propria psicologia, sul godimento delle rivelazioni personali. In
questo senso il suo atteggiamento è asciutto e rigoroso, diffidente
dell’elaborazione di una sua dottrina e di una sua missione personale.
Si tratta semplicemente di farsi canale, di eseguire e portare avanti
ciò che Dio le affida, senza inquinamenti, per non sciupare i talenti
che le sono confidati. Come le conferma von B., la sua anima deve
diventare un’anima ecclesiale, un’ “Anfora del mistero di Dio” e
svolgere un compito mariano, creativo e nello stesso tempo accogliente.
Dal
1954 Adrienne abbandona la pratica medica. È talmente malata che i
medici si meravigliano della sua sopravvivenza. Ama ormai niente altro
che intrattenersi davanti al SS. Sacramento e stare in compagnia dei
santi, di cui neanche sa il nome, ma che von B. riconosce. Mantiene
inoltre una fitta corrispondenza con persone che la conoscono e le
scrivono dalla Germania e dalla Francia (molte lettere non sono ancora
recuperate).
Gli
ultimi mesi sono carichi di terribili sofferenze. A., che è ormai cieca
dal 1964, le sopporta serenamente, continuando ad interessarsi di tutto
e a chiedere scusa all’amico per avergli causato tante difficoltà.
Muore a 65 anni, il 17 settembre 1967, festa di S. Ildegarda, mistica e
medico. Negli ultimi tempi, è ancora più grata a von B. per la sua
vicinanza, riserva una maggiore attenzione alle ragazze della comunità
di San Giovanni, dispiaciuta di procurare fastidi agli altri per la sua
malattia. Ama dire “Que c’est beau de mourir!”. Sulla pietra sepolcrale è stato scolpito il simbolo della Trinità.
3. L’INCONTRO
Quando
Adrienne incontra von Balthasar, lui è già un teologo di fama, con alle
spalle una produzione abbondante e qualificata. Lei è una donna
sposata, un medico di successo, una persona che ha fatto esperienza di
ricchezza e di povertà, di salute e di malattia. Ha avuto un attacco
cardiaco con ricovero, ha vissuto l’aridità di una sete inappagata.
Nell’autunno
del 1940 un amico comune organizza l’incontro tra i due in una terrazza
sul fiume Reno. L’amore per la cultura francese fa da apripista.
Infatti parlano di letteratura francese e in particolare dei poeti che
von B. stava traducendo: Claudel e Péguy. Ad un certo punto A. prende il
coraggio a quattro mani, evidentemente già consapevole di aver
incontrato la persona giusta, e confida il suo desiderio di diventare
cattolica. «Dio cerca sempre – ha scritto – persone che nel momento
decisivo non hanno affatto paura»34.
Von B. racconta: «Subito parlammo della preghiera e appena le mostrai
che con “sia fatta la tua volontà” non proponiamo a Dio la nostra opera,
ma la nostra disponibilità ad essere assunti dalla Sua opera e sempre
impegnati in essa, fu come se avessi premuto inavvertitamente un
interruttore che di colpo accende nella sala tutte le luci»35.
Gran
parte del cammino spirituale in lei era già compiuto, sotto la guida
diretta del “Pastore” delle anime e del suo angelo. Lo testimonia
l’episodio del periodo di Leysin, quando Adrienne dona conferenze su
vari temi (Dostojewskij, la verità religiosa, la libertà...) e
impressiona fortemente una ragazza, Luisa Jacques. “Tu mi costringerai a
diventare cattolica”, le dice Luisa e un anno dopo è clarissa (morirà a
Gerusalemme in fama di santità). E tuttavia la luce che la visione
cattolica accese le consentì di colmare le lacune del protestantesimo e
stabilire un rapporto con Dio più caldo, più concreto e più completo.
33 NC 42. 34 NB 9, NC 35. 35 EB, 18.
8
Balthasar
dovette certamente apprezzare in lei la forte personalità, la profonda
sete di Dio, nonché uno spirito verginale in una donna sposata ben due
volte. Egli ha scritto che le caratteristiche che colpivano maggiormente
erano lo spirito gioioso, il coraggio, l’infanzia spirituale. In Il nostro compito (Ignatius,
1994), egli fornisce questo abbozzo del carattere: «Si caratterizzava
per umore e intraprendenza... Su pressione della madre aveva dovuto
lasciare la High School, ma aveva continuato a studiare il Greco
segretamente di notte al lume di candela, in modo da poter continuare al
ritmo degli altri. A Leysin ha studiato il Russo. Dopo il suo
trasferimento nella High School a Basilea, ha imparato
velocemente il tedesco e contemporaneamente ha preso un corso
d’inglese... è riuscita a pagare i suoi studi di medicina tramite
l'insegnamento». Cita inoltre il suo coraggio raccontando il seguente
episodio dell’adolescenza: quando un insegnante colpisce un ragazzo sul
volto con un righello, lei scatta in piedi e, facendo voltare
l’insegnante verso la classe, grida: "Volete vedere un vigliacco? Eccone
uno!"36.
Un ulteriore episodio ne è la riprova: un assistente in aula fa
un’iniezione ad un malato e gli stronca la vita. L’assistente riversa la
colpa sull’infermiera, ma viene protetto dal professore. A. inizia
un’opera di boicottaggio delle lezioni di quel professore presso i suoi
compagni, tanto da costringerlo a trasferirsi altrove. «Proprio questo
coraggio, che sopporta anche dolori fisici estremi, è stata la
condizione che le ha permesso, dopo la conversione, di assumere
continuamente su di sé, per decenni, ogni specie di sofferenza
spirituale e fisica – perfino la partecipazione all’angoscia del Cristo
nell’orto degli ulivi e sulla croce – anzi, quando in seguito ne intuì
il significato per la riconciliazione del mondo a Dio, pregò di poter
avere queste sofferenze a lungo»37.
L’altra
caratteristica che dovette colpire Balthasar fu il vivere di Adrienne
tra cielo e terra, quasi rompendo le barriere che normalmente si
frappongono fra i due mondi. La già ricca esperienza di lei nei contatti
con l’al di là, dopo l’incontro con von B. e il battesimo diviene
frequentazione quotidiana. I santi sono amici capaci di condurre a Dio
rivelandone un volto ancora non conosciuto e originale, in modo da
evidenziare un’unità in Dio, nella comunione dei santi, che rispetta ed
esalta le differenze. Lo scrive von B. in Il nostro compito: «Non
serve a nulla studiare un singolo santo e rappresentarlo nella sua
singolarità, proporlo come degno di imitazione, quando non lo si
rappresenti nello stesso tempo come una singola porta verso la totalità
del Signore... Bisogna vedere Lui illuminato dai santi, ma in pari tempo
essi devono avere il loro lume, la lo forma, il loro rilievo affinché
tutto non si risolva nella forma del Signore... Dunque si tratta sempre e
insieme di universalizzazione e individualizzazione»38.
L’unità
delle anime era sorprendente, sul piano culturale, affettivo,
spirituale e teologico. Un tale accordo non era stato costruito né
cercato, perciò non poteva che avere radici in cielo. Avevano fatto
percorsi diversi che ora si ricongiungevano e formavano una mirabile
sintonia, in grado di valorizzare le differenze e moltiplicare i frutti
spirituali e di intelligenza teologica. Per esempio: Adrienne sarà
sempre convinta che la verginità fisiologica si giustifica sulla base di
una verginità ontologica nel senso di una consacrazione interiore che
fa sì che l’anima appartenga a Dio. Questo tipo di verginità non è una
scelta volontaristica o il frutto di un’ascesi, ma un dono gratis dato e
un segno dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Un tale dono può essere
concesso ad una persona al di là delle esperienze tumultuose della sua
vita e forse anche grazie a queste («Ella che aveva fatto l’esperienza
del matrimonio, più tardi riebbe dal Signore la verginità corporea»39).
I consigli evangelici sono apparsi universali ad A. solo se vissuti
nell’amore divino. A tal proposito von Balthasar riporta delle sue
riflessioni a partire da Origene sulla Chiesa come Casta Meretrix (titolo
di un libro che v. Balthasar scrive sull’onda di Sant’Ambrogio): Cristo
trova la sua Chiesa caduta dal cielo sulla terra come una donna di
malavita, ma Egli la trasforma in una vergine: «Facendo questo lavoro
non avevo alcun presentimento che le cose che scrivevo dovevano
adempiersi in modo incomprensibile nell’Adrienne maritata, qui veramente
36 MV, 65. 37 NC, 26. 38 NC, 48, nota 9. 39 NC 47, T 1644.
9
“Personam ecclesiae gerens”, come dicono i Padri»40.
È solo un esempio di come molti temi che avevano attratto il teologo e
lo avevano portato a riformulare in modo nuovo il pensiero cattolico,
erano al contempo oggetto della riflessione di Adrienne, sicché, a loro
insaputa, essi avevano fatto un percorso simile, mentre erano distanti
fisicamente, geograficamente, culturalmente e religiosamente. Dopo
l’incontro hanno potuto riprendere i temi l’uno dell’altra: «...Nel mio
ultimo atto della Teodrammatica 5 – scrive von B. – mi sono
appoggiato egualmente su di lei e sui testi patristici» (NC, 12). È dopo
averla conosciuta che von B. scrive Der Herz der Welt (1945)41.
Adrienne,
dal canto suo, aveva trovato il suo tu spirituale, poteva mettere
finalmente un punto fermo al suo percorso e trovare quella pace
dell’anima che la faceva sentire finalmente a casa. Per A. fu un trovare
un appoggio importante, consolante, ratificante. Inveni portum,
aveva trovato il luogo dove depositare il suo carico prezioso: «Sa lei
che in seguito e in certi momenti anche durante quel tempo (la passione
del Venerdì Santo) è una grande opera buona il fatto che Lei c’era.
Avevo un luogo dove potevo deporre il mio capo e, nonostante lo
spavento, mi rimane un gran bene da quelle stesse lunghe ore, bene che
mi è stato donato con la Sua presenza»42.
Lo
sceglie e si sente scelta. Rivolge a lui numerose domande
chiarificatrici sulla liturgia, sul culto mariano, sul corpo mistico. In
breve tempo impara tutto ciò che l’amico può insegnarle sulla
preghiera, sui sacramenti, specie la Confessione e l’Eucaristia, sulle
verità della fede, sui dibattiti teologici in atto. Ormai è tutta presa
dall’opera di Dio, dall’accogliere e fare ciò che Egli ama. Si sente
privilegiata, come se Dio le avesse fatto l’onore di desiderare e
attendere a lungo il suo consenso: «Dio aspetta il nostro sì»43.
Guardando alla vita come se tutta dipendesse da alcuni sì, che
delineano la vocazione di ogni persona di fronte alla chiamata e al
compito che Dio le affida. Perciò “Il sì di Maria è la prima preghiera
cristiana”44,
necessaria ad ogni donna e uomo che voglia dirsi tale. Se Maria «avesse
respinto la proposta di Dio, sarebbe diventata una pia ebrea, avrebbe
condotto una vita senza angosce... Ma ci sarebbe stato in questa
rappresentazione un vuoto che sarebbe diventato sempre più
intollerabile»45.
L’attesa
di quel qualcuno che lei già conosceva interiormente, la sorpresa
incantevole dell’incontro, la convinzione di essere al centro della
volontà di Dio, nonostante gli ostacoli e le infermità, provocano la
riflessione sulle anime chiamate insieme a servire Dio: «Esistono nella
Chiesa diversissime specie di missioni. Alcune sono “sole davanti a Dio,
come Adamo all’inizio era solo davanti a Dio”, ad esempio la missione
di Paolo, Agostino, Ignazio. “Sarebbe totalmente sbagliato se uno, che
si sente inviato in questo modo, cominci a percorrere il mondo in cerca
di un’integrazione. Ognuno ha ricevuto da Dio ciò che Dio gli dà”. Ma
esistono anche “Missioni doppie”, che devono integrarsi come “due metà
lunari, dove i singoli di cui si tratta “sono stati prima condotti lunga
la complicata strada necessaria affinché alla fine si venisse a una
giusta combinazione» (NC, 15).
La
loro sarà una vocazione “a due voci” e avrà il suo modello archetipo in
Maria e Giovanni, come a formare “l’originaria cellula verginale della
Chiesa”. Von Balthasar si sente confermato dagli esempi di Giovanni
della Croce e Teresa, Giovanni Eudes e Maria del Vallées, Francesco di
Sales e Giovanna di Chantal. I due concludono che: «Si possono dare
missioni doppie che esteriormente non lavorano insieme; e ne esistono
anche di quelle in cui la cosa decisiva avviene una volta sola per
entrambe le parti nel confessionale»46.
Pian
piano von B. vede più chiaramente il compito teologico–ecclesiale di
A., che si concretizza nel dettare a lui le rivelazioni–riflessioni sul
Vangelo di Giovanni, a partire dal maggio 1944 e nella comprensione
dell’esperienza del Sabato Santo. A. diviene per lui un
40 NC, 31. 41 H. U. von Balthasar, Il cuore del mondo, Morcelliana, Brescia 1964. 42 NC, 60. 43 NB 312, NC 37. 44 EP, 31. 45 NC 38. 46 T 1993.
10
impegno
poderoso, che si aggiungeva a quelli inderogabili del suo sacerdozio e
del suo impegno teologico. In 27 anni di comunione con A. egli non smise
però di occuparsi di lei, di accogliere senza dubitare i suoi dettati,
completare e fare discernimento sul suo carisma, avendo sempre più
chiaro che le loro missioni sarebbero state combinate e congiunte47.
La lettura e l’interpretazione della Parola sono ormai il compito
dominante. Nella Parola “ che incessantemente genera in noi il nuovo che
apre a Dio”48,
A. e von B. cercano la comprensione del mistero e nello stesso tempo il
loro specifico compito nella Chiesa, in un intreccio inestricabile tra
preghiera ed ermeneutica. Ogni parola viene presa sul serio, meditata,
studiata, pregata, rivestita di nuovi significati. A. veglia a che
l’esegesi non risulti mai disgiunta dalla spiritualità, senza la quale
sarebbe puro esercizio della mente. Grazie alla contemplazione, l’anima
viene trasportata nella preghiera del Cristo e in Lui in quella
trinitaria. Tutta l’attività pratica, quella teologica ed ecclesiale
acquistano senso nella contemplazione di Dio che è preghiera di
adorazione: «Nulla è più fondato dell’adorazione – scrive A. – Essa è
qualcosa di così eterno che la nostra commozione davanti a Dio è
solamente una debole eco dell’eterna commozione di Dio davanti a Dio»49.
4. I TRAVAGLI DELL’UNITÀ
La
longevità del dialogo tra A. e von B. attesta la fecondità spirituale e
umana della loro sintonia. Eppure vi erano tra i due differenze
evidenti sul piano esistenziale e culturale. La Speyr era sposata ed era
medico aduso più a concetti teorico–pratici che ad elucubrazioni
metafisiche. Si capisce quanto fosse estranea a dispute di carattere
teologico ed ecclesiale. Von B. era invece un teologo tipo, piuttosto
solitario, un sacerdote gesuita, con un patrimonio di studi patristici
alle spalle.
Von
B. avverte la responsabilità di questo legame e non vuole viverlo in
maniera individualistica, perché si sente pienamente dentro la famiglia
della compagnia di Gesù. Non è certo agevole per lui far passare i
contenuti dei dettati nell’ambiente angusto del cattolicesimo svizzero e
in particolare entro l’ordine dei gesuiti. Essere fraintesi e giudicati
è il minimo che poteva aspettarsi. Egli non si lascia fermare, tuttavia
si sente stretto tra i gesuiti, cui sa di appartenere. Resta però
attento alla sua vocazione, allala necessità di seguire il corso
dell’anima di A., di accordare le interpretazioni di A. a quella della
esegesi più classica, di muoversi sempre tra ortodossia e accoglienza
del carisma. Ne parla con i confratelli e con i superiori, raccontando
l’esperienza mistica di lei, chiede che lo sostengano per eventuali
pubblicazioni conseguenti alle rivelazioni.
Il
superiore si oppone a questo rapporto soprattutto per le “chiacchiere”
che in città circolano e danneggiano lui e l’Istituto. Al provinciale le
cose arrivano inevitabilmente inquinate. Non mancano momenti di
scoraggiamento per l’incomprensione, il senso di solitudine e di
amarezza. Soffre per l’interpretazione malevola del suo
percorso–compito, per le accuse e i pettegolezzi al suo riguardo, che lo
fanno apparire come persona doppia, orgogliosa e sleale. «Devo lasciare
a Dio il giudizio su queste cose e lo supplico di illuminarmi. Del
resto più qualcuno dei miei confratelli scoprirà in me dei difetti, più
io avrò diritto di contare sulle sue preghiere... non c’è verità che
nella preghiera»50.
Si
riferiscono informazioni negative al vescovo, si frappongono ostacoli
alla fondazione della casa editrice (successivamente fondata ad
Einsiedeln col nome di Johannesverlag). L’obiettivo è di
ricondurlo alla norma, ad essere cioè un gesuita affidabile. Von B. è
costretto a recarsi a Roma per parlare con il Padre generale
dell’Ordine, ma le cose non si chiariscono. Finisce così che gli viene
proibito di frequentare la casa di Adrienne, d’incontrarla nel suo
ufficio, di parlare di lei ai
47 Una
volta «Adrienne disse che mia madre, che lei aveva incontrato in
paradiso (e che senza dubbio ha offerto la sua grave malattia e la sua
morte precoce per la mia vocazione sacerdotale), mi aveva affidato a
lei: T 961» (NC, 50).
48 EP, 18. 49 MP, 69–70. 50 H. De Lubac, Mémoire sur l’occasion de mes écrits, Culture et Vérité, Namur 1989, 371–72, tr. it E. Guerriero, Hans
Urs von Balthasar, Jaka Book, Milano 1991, 371–377.
11
novizi.
Si può immaginare quanto A. trovi assurdo un tale atteggiamento e
d’altra parte si sente indirettamente responsabile delle peripezie
gesuitiche che von B. deve sopportare per causa sua. Ella si assume
anche responsabilità che non ha, fino a desiderare di morire pur di non
nuocere a von B.. Nello stesso tempo vede con obiettività i limiti della
Compagnia: «L’attuale Compagnia di Gesù, come la maggior parte degli
altri Ordini, sono a tal punto convinti della giusta forma in essi
impressa, da pensare di non dover più ascoltare la voce sempre presente
di Dio»51.
Benché
sia l’uno che l’altra abbiano affrontato e parlato del loro rapporto in
modo semplice e chiaro, senza esibirlo e senza ad ogni costo
nasconderlo, entrambi in vita si sono sentiti minacciati dallo sguardo
sospettoso, talvolta ironico, dai fraintendimenti o piuttosto
pettegolezzi, che circolavano tra gli amici comuni, a Basilea.
Inevitabilmente i due si saranno chiesti se abbandonare o perseverare
sino a mettere a dura prova la profondità del loro legame. La decisione
finale era sempre la stessa: rimanere legati in un cammino durato quasi
un trentennio, nella consapevolezza di percorrere la strada che Dio
aveva segnato per loro e che il loro rapporto non li distoglieva, ma li
rafforzava nella specifica vocazione ecclesiale. Le critiche, le
proibizioni non l’hanno avuta vinta perché entrambi hanno saputo tenere
fermo il timone verso quello che hanno sempre considerato il compito
richiesto loro da Dio. Erano del resto in grado di esercitare un sano e
attento discernimento e di padroneggiare la dimensione affettiva, nel
senso di orientarla alla comune vocazione e missione, nel rispetto delle
differenze. Come ha scritto opportunamente P. Ricci Sindoni: «Si può al
riguardo accettare l’espressione di J. Roten che parla di una “intimità
oggettiva”, di un legame forte che, pur radicato nella reciproca
dimensione della loro esperienza umana, è in grado di trascendere una
simbiosi psicologico–spirituale, per rivelare il carattere teleologico
della missione comune. Ciò significa “ricevere e trasmettere” (compito
di Adrienne), “ponderare e interpretare” (compito di von B.), perché
fosse poi possibile insieme immettere la Parola di Dio nella realtà
umana tramite la riscoperta della vocazione “cattolica” di tutta la
Chiesa»52.
Le
conclusioni del pellegrinare di von B. non furono piacevoli né
coerenti: fu invitato a rimanere tra i gesuiti ma a determinate
condizioni, fu dissuaso a lasciare l’Ordine, fu invitato a considerare
la sua incapacità personale di tenere fede alla scelta vocazionale.
L’iter durò un anno e mezzo e si concluse l’11 Febbraio 1950 con
l’uscita dalla Compagnia. A H. U. v. B. rimase la sensazione di essere
stato intrappolato e che la sua uscita si sarebbe potuta evitare se ci
fosse stata una buona disposizione da parte di tutti.
La
realizzazione di una certa forma di reciprocità uomo–donna, nel campo
teologico e mistico aveva avuto un effetto dirompente, anche per il
fatto che l’obbedienza piena di A. al suo confessore aveva per
contrappeso l’obbedienza di lui al carisma di lei: «Questa obbedienza,
basilare in ogni senso, concerneva in ultima analisi ambedue le parti e
venne portata fino alle ultime conseguenze»53.
L’esito sofferto ma inevitabile di questa disposizione obbediente anche
da parte di lui è l’uscita di lui dalla Compagnia di Gesù, che era «per
quanto mi riguarda la “patria” a me donata e amata sopra ogni cosa»54.
Per von B. si trattò di accettare una lacerazione voluta da Dio stesso:
«Il pensiero che si dovesse “lasciar tutto” più di una volta nella
vita, per seguire il Signore, anche un Ordine, non mi era mai venuto e
mi colpì come un duro colpo»55.
De Lubac ha pubblicato la lettera di saluto che von B. ha scritto ai
confratelli e nella quale egli conferma che il suo uscire dalla
compagnia origina da una interiore obbedienza a Dio: “Dio mi ha
riservato un incarico personale, particolare, che io non posso affidare
ad altri”56.
51 NB, n. 1925, NC, p. 54. 52 P. Ricci Sindoni, Adrienne von Speyr, SEI, Torino 1996, p. 20. 53 NC, 17. 54 NC, 17. 55 NC, 53. 56 Egli
si era venuto a trovare nel contrasto tra la voce di Dio e quella della
Compagnia, proprio ciò che un laico come Silone descrive nel romanzo Severina, una suora che esce dall’Istituto per seguire la voce
di Dio e rifiutare i compromessi (cf I.Silone, Severina, in Romanzi e Saggi, II, Mondadori, Milano 1999, 1441-1488; cf anche G. P. Di Nicola- A. Danese, I. Silone. Percorsi di una coscienza inquieta, Fondazione Silone, Roma 2005).
12
Molti
si sono domandati perché A. ha dettato le sue intuizioni solo a von B. A
suo tempo è stato fatto persino un tentativo di sostituire von B. con
un giovane gesuita amico di entrambi, pensando che la cosa essenziale
fosse il ruolo ministeriale. A. non accettò la sostituzione: di fronte
al sostituto, dopo poche parole s’interruppe. Non poteva andare avanti
senza che ci fosse la stessa condivisione delle anime e del progetto: le
persone non sono intercambiabili e tanto meno i rapporti di vera
amicizia. Si capisce che non è un prete in quanto prete il destinatario
dei dettati. Solo con von B. è possibile generare quell’atmosfera di
reciprocità che è il terreno più adatto all’accoglienza, è lui l’amico
dell’anima, il fratello che non dubita della verità dei dettati, non si
stanca, non si lascia sopraffare dalle critiche, le è unito per
vocazione, il confessore mediatore tra la fonte divina e il
destinatario, cioè la Chiesa. Il suo sacerdozio sa essere servizio e
contemplazione dell’Opera che Dio vuole fare tramite A. Inoltre egli,
come esperto e noto teologo, ha la possibilità di rendere i dettati
compatibili col patrimonio della Chiesa cattolica, di farne perciò un
uso universale e non il diario intimo di una donna graziata dall’amore
di Dio. Il dovere di A. di essere veramente cattolica passa per von B.
Dal
canto suo von B. vuole essere fedele e non perdere alcunché di ciò che
scaturisce dalla meditazione della Parola. Avverte il privilegio di
essere chiamato ad essere l’unico interlocutore e nello stesso tempo il
peso di questo compito oneroso. Egli trascriverà più di sedicimila
pagine in più di trenta anni e le preparerà per la stampa insieme alle
lettere, alle pagine autobiografiche e ai volumi postumi.
Le
difficoltà di quel periodo (che s’intrecciano con la fondazione della
comunità di S. Giovanni) preparano anni di solitudine e lontananza. Von
B., dopo l’uscita dall’Ordine si trasferisce a Zurigo, città accogliente
per eccellenza e incrocio di culture, per poi spostarsi in altri paesi
europei, cercando i mezzi per sopravvivere attraverso conferenze,
scritti e incontri di vari.
A.
e von B. rimangono lontani sei anni senza lasciare che le difficoltà
scalfiscano i due impegni principali che essi hanno in comune: la
comunità di S. Giovanni e l’elaborazione del pensiero teologico a
partire dalle esperienze mistiche di Adrienne. Alla fine, la situazione
precaria di von B. si risolve con l’incardinamento nella diocesi di
Coira nel 1956, che gli consente di riprendere l’attività a Basilea. Il
dolore degli strascichi infiniti a cui la loro relazione aveva dato
luogo non spegne la convinzione della bontà del loro compito ma diviene
addirittura propulsore dell’impegno nella comunità di S. Giovanni. Dalla
sofferenza scaturisce il bene aggiuntivo di una maggiore vicinanza: von
B. si trasferì in casa Kaegi, vivendo con la famiglia di Adrienne per
quasi 15 anni.
Vengono
poi anche i riconoscimenti: il Premio Romano Guardini nel 1971, il
premio dell’Istituto Paolo VI del 1985, l’apprezzamento di G. P. II, che
lo insignì della porpora cardinalizia (1988), gli studi che si
moltiplicarono attorno al suo pensiero, senza contare le numerose lauree
h. c., e tutti gli altri riconoscimenti nelle varie parti del mondo.
Lei
non ha avuto gli stessi riconoscimenti. Eppure le riflessioni
teologiche di von B. sono impregnate dei dettati di Adrienne, tanto che
sarebbe impossibile distinguere in modo preciso il pensiero dell’uno da
quello dell’altra. Tutto è stato ridiscusso: la scelta dei temi, il modo
di svilupparli e concepirli, il continuo supermento della distanza tra
teologia a tavolino e teologia in ginocchio, le meditazioni sulla
Chiesa, sulla missione, sui tre giorni della Settimana Santa,
sull’obbedienza e su Maria. Von B. ha sempre voluto che il carisma
specifico di A. fosse riconosciuto in quanto prettamente ecclesiale e
cristologico.
Vi
sono tra i due amici momenti in cui è lui a “guidare” ed altri in cui è
lei. Infatti A. da una parte è obbediente, come si confà ad un’anima
assetata di cattolicità, dall’altra non si può dire che accetti tutto
pedissequamente. Von B. racconta: «La sua gratitudine per il mio
accompagnamento e talvolta anche per l’aiuto teologico non la
tratteneva... dal darmi ammonimenti anche drastici, anche per strada.
Qualche esempio: “Tu non devi lavorare così tanto. Devi dormire ed
essere grato: questo sei senz’altro tu, ma devi dormire e riposare,
perché i
13
pochi
giorni di vacanza portino frutto”. “Prego, Lei si riposi davvero, ne ha
proprio bisogno, e Lei non deve produrre libri senza interruzione”»57.
Guardando
a ritroso all’incontro delle due strade, von B. conclude: «Nel nostro
caso era prevista un’intensa collaborazione, volta a un’opera esterna
comune, la cui lunga preparazione... era già interiormente orientata
verso un’integrazione. Tutto ciò richiedeva due cose: una forte
diversità delle strade – per lei ci fu una ricerca in apparenza
interminabile della verità cattolica, la professione di medico, anche
l’esperienza del matrimonio – ; per me la formazione filologica, poi
filosofico–teologica, volta alla conoscenza della tradizione spirituale
della Chiesa, all’interno della quale poi fui in grado di situare quanto
c’era di speciale e di nuovo nelle intuizioni di Adrienne – e in egual
modo un’affinità o coordinazione che fece accordare il diverso nel
complementare»58.
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von spyr, von balthasar
La Bellezza
***
La
nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima
parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa
non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile,
il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto.
Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era
incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi
dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e
alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è piú amata e custodita
nemmeno dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto,
mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire
incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza
alla quale non osiamo piú credere e di cui abbiamo fatto un’apparenza
per potercene liberare a cuor leggero. Essa è
la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno
altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e
la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle
senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. Chi,
al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il
ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri
che – segretamente o apertamente – non è piú capace di pregare e,
presto, nemmeno di amare. Il
secolo XIX si è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle
vesti della bellezza fuggente, alle cocche svolazzanti del vecchio mondo
che si dissolveva (“Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce, la
veste e il velo gli rimangono tra le braccia... le vesti di Elena si
dissolvono in nubi, circondando Faust, lo sollevano in alto e si
dileguano con lui”, Faust II,atto III);
il mondo illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo,
presto ormai soltanto musica, ma, dove la nube si dissolve, rimane
l’immagine insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché
però non c’è piú nulla e tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar
qualcosa, allora si spinge l’uomo del nostro tempo a questo Imene
impossibile, che alla fine gli fa venire in uggia qualsiasi forma di
amore. Ma ciò di cui l’uomo non è piú capace, ciò
per cui è diventato impotente, non può piú, proprio perché si sottrae
alla sua sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o
circondarlo di un silenzio di morte.***
In un mondo senza bellezza – anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso –, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è piú in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto piú eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede piú capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda piú nessuno e la stessa conclusione non conclude piú.
E se è cosí dei trascendentali, solo perché uno di essi è stato trascurato, che ne sarà dell’essere stesso? Se Tommaso poteva contrassegnare l’essere come “una certa luce” per l’ente, questa luce non si spegnerà là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non si lascia piú che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e incomprensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per colui il quale non riesce piú a cogliere il bello.
H. U. von Balthasar, Gloria,Jaca Book, Milano, 1985, vol. I, pagg. 10-12
Postato da: giacabi a 06:48 |
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bellezza, von balthasar
Nessuno conosceva il nome del Padre
***
H.U. von Balthasar, Il cuore del mondo
Postato da: giacabi a 21:40 |
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von balthasar
Il regalo di beni esterni
***
Il regalo di beni esterni è sempre inessenziale nell’amore, un espediente di ripiego, il quale mira a eliminare se stesso, a riempire l’ineguaglianza, gli spazi intermedi. Solamente quando non ci sarà più nient’altro da donare che amore, questo amore sarà gratuito alla piena misurazione.
[Hans Urs Von Balthasar]
Postato da: giacabi a 18:25 |
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von balthasar, amore
La bellezza
***
La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La
bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di
pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di
splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il
loro indissolubile rapporto.
Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era
incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di
piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua
cupidità e alla sua tristezza. Essa
è la bellezza che non è piú amata e custodita nemmeno dalla
religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo
scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli
uomini.
Essa è la bellezza alla quale non osiamo piú credere e di cui abbiamo
fatto un’apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa
è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno
altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e
la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due
sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. Chi,
al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il
ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri
che – segretamente o apertamente – non è piú capace di pregare e,
presto, nemmeno di amare. Il
secolo XIX si è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle
vesti della bellezza fuggente, alle cocche svolazzanti del vecchio
mondo che si dissolveva (“Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce,
la veste e il velo gli rimangono tra le braccia... le vesti di Elena
si dissolvono in nubi, circondando Faust, lo sollevano in alto e si
dileguano con lui”, Faust II, atto III); il mondo
illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo, presto
ormai soltanto musica, ma, dove la nube si dissolve, rimane l’immagine
insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché
però non c’è piú nulla e tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar
qualcosa, allora si spinge l’uomo del nostro tempo a questo Imene
impossibile, che alla fine gli fa venire in uggia qualsiasi forma di
amore. Ma
ciò di cui l’uomo non è piú capace, ciò per cui è diventato
impotente, non può piú, proprio perché si sottrae alla sua
sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o
circondarlo di un silenzio di morte.
In
un mondo senza bellezza – anche se gli uomini non riescono a fare a
meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra,
equivocandone il senso –, in un mondo che non ne è forse privo, ma che
non è piú in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il
bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo
dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto piú eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici?
In un mondo che non si crede piú capace di affermare il bello, gli
argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di
conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo
prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici
che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il
processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda piú
nessuno e la stessa conclusione non conclude piú.
E se
è cosí dei trascendentali, solo perché uno di essi è stato trascurato,
che ne sarà dell’essere stesso? Se Tommaso poteva contrassegnare
l’essere come “una certa luce” per l’ente, questa luce non si spegnerà
là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non si
lascia piú che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che
avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito,
pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia
completamente oscura e incomprensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per colui il quale non riesce piú a cogliere il bello.
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Postato da: giacabi a 22:02 |
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bellezza, von balthasar
La bellezza
***
La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto
H.U.von Balthasar, La percezione della forma
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Postato da: giacabi a 17:51 |
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bellezza, von balthasar
Colui che abbiamo sfuggito ***
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Postato da: giacabi a 11:16 |
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von balthasar
È l’uomo libero che diventa giusto ***
« Solo
l’uomo libero è capace di stabilire dei rapporti veri, è l’uomo libero
che diventa giusto e non l’uomo giusto che diventa libero.
L’Esodo comincia con la liberazione; dopo, all'interno di questa
liberazione (operata da Dio), si può chiedere al popolo di stabilire dei
rapporti giusti. La decisione di giustizia parte dall’uomo; se il suo cuore è schiavo, egli non può avere il concetto di rapporti giusti, guardate Lenin.
Non ci sono esempi di rivoluzioni che non abbiano rafforzato il regime
amministrativo e poliziesco. Non dimentichiamo che Satana si traveste da
angelo di luce. Le nostre
illusioni sono spesso a base di generosità. La libertà degli altri non è
qualcosa che io scelgo. Non ne sono la fonte. La
perversione del paternalismo porta a proclamare: io scelgo il tuo
benessere, la tua felicità. Ora, il mondo è pieno di questa pretesa, di
scegliere la nostra felicità, è perfino un tema politico. In questo mondo il Vangelo è inintelligibile. Leggete tutto il libro, pubblicato da Centurion, 1984. La politicizzazione della carità è quindi un altro modo di pervertire la follia della Croce.»
Von Balthasar al meeting di Rimini1984
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Postato da: giacabi a 21:01 |
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von balthasar
Il tradizionalismo
***
« Esso non nega espressamente lo scandalo del Cristo e quello della sua Chiesa, ma il
centro del suo interesse è altrove: nell’affermazione che non si deve
toccare il deposito tramandato che per esso si esprime innanzitutto
nella “lettera”:
la “lettera” della messa di Pio V, la “lettera” dei Concili precedenti,
il Vaticano II il quale, interpretando alcune verità secondo lo
Spirito, avrebbe tradito la “lettera” e sarebbe perciò inaccettabile.
Questo è la negazione implicita della presenza di Cristo per mezzo
atteggiamento dello Spirito nella Chiesa di tutti i tempi, quindi anche
in quella d’oggi.
Lo
scisma rappresentato dal tradizionalismo estremo e antiromano non è che
una nuova forma di un letteralismo sopraggiunto dopo ogni Concilio
ecumenico importante, fin da Nicea e Calcedonia. È
una forma di razionalismo che, invece di credere allo Spirito che regna
nella Chiesa, si fida del proprio sapere, del proprio maggior sapere, e
tradisce quindi la folle sapienza di Dio per aderire alla propria umana
sapienza.»
Von Balthasar al meeting di Rimini1984
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Postato da: giacabi a 20:55 |
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von balthasar
“progressismo”
***
«è un aperto rifiuto dello scandalo, si deve adattare la dottrina cristiana alla comprensione dell’uomo d’oggi.»
Von Balthasar al meeting di Rimini1984
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Postato da: giacabi a 20:51 |
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von balthasar
Nella Chiesa l’amore è sempre più veloce del ministero
***
“Correvano
tutti e due insieme. Ma l’altro discepolo fu più svelto di Pietro e
arrivò per primo al sepolcro. Entrambi corrono più in fretta che
possono, ma nella Chiesa l’amore è sempre più veloce del ministero. Si accorge più in fretta di quello che bisogna fare, e si impegna sempre con generosità. Il ministero, anche quando procede con la massima rapidità, non può raggiungere l’amore. Il
ministero deve farsi carico di tutti, deve cercare di portare avanti
tutti, deve tener conto di tutti, deve sforzarsi di agire nel modo più
uniforme. Non può andare al Signore soltanto con quelli che camminano
più in fretta, deve preoccuparsi di tutto il gregge che gli è stato
affidato, non deve abbandonare i lenti e i tiepidi. L’amore
consiste nella generosità: in questo è più rapido… Ma l’amore non è un
pazzo che corre in maniera insensata. Entrambi corrono insieme. L’amore rimane in contatto col ministero e a sua disposizione, ma nello stesso tempo lo trascina”
H. Urs von Balthasar
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Postato da: giacabi a 14:23 |
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von balthasar
I santi
***
" sono appesi in croce tra l'aldiqua e l'aldilà; esiliati dalla terra e non ancora accolti in cielo; da questa loro posizione, come da un pulpito, predicano con tutta la propria vita il cielo sulla terra”
Hans Urs von Balthasar
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Postato da: giacabi a 20:33 |
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santi, von balthasar
l’abitudine!
***
“Piano piano, inavvertitamente tutto ciò che la mia vita sarebbe potuta essere è diventato un meccanismo, dietro al quale la mia anima si è messa a riposo.
La vita è così lunga, la continua ripetizione dell’identico così
addormentante; chi abita presso la cascata non sente più, dopo una
settimana, il rumore dell’acqua. Così abbiamo disimparato la vigilanza, la vista sveglia. Le sfere cantano, ma noi sentiamo ormai solo noi stessi e la cantilena dei nostri interessi. Fessure
vengono otturate sempre più spesso, la voce divina viene sempre più
ovviamente soffocata, murata, demolita nel sistema autonomo della nostra
vita. […] Sotto
il peso della mia buona coscienza, dentro il largo ripostiglio del mio
buon cuore, la voce della verità è stata soffocata. Da troppo tempo è
ammutolita”
H.U. von Balthasar, Il cuore del mondo
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Postato da: giacabi a 14:01 |
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von balthasar
Ti amerò domani
***
“L’occhio
che indefesso guarda verso di me intende sempre l’oggi: «Precisamente
adesso voglio essere amato». Ma io abbasso i miei occhi e dico: ti amerò
domani. Domani
vedrai che cosa sono capace di fare per te. Il sacrificio che ti
offrirò. Domani ti pagherò il doppio se mi concedi anche solo l’ora
odierna. […] Sono addirittura pronto a prendere su di me la tua croce, a
fare la tua via crucis stazione per stazione fino al sacrificio totale, fino alla morte definitiva. Ma a una condizione: domani.
Voglio anche tapparmi l’orecchiò, lo voglio già oggi, in mezzo al
piacere, già ci penso e me lo tengo chiaro davanti agli occhi: domani ti
seguirò. Come
il condannato ad ogni boccone del suo ultimo pranzo pensa a domani, così
io penso a te, con il proposito di darmi a te. Ma domani, domani, non
oggi”
H.U. von Balthasar
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Postato da: giacabi a 13:54 |
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von balthasar
Prigionieri di noi stessi
***
“La sorgente della vita, inesauribilmente aperta per me, che muoio di sete. Lo
sguardo è interamente calmo, non ha un briciolo di forza magica, di
costrittività ipnotica. È uno sguardo che domanda, mi lascia libero. Sul
suo fondo si alternano le ombre dello struggimento e della speranza. Abbasso gli occhi; guardo da lato. Non voglio affrontare quegli occhi per dirgli in faccia di no.
Lascio loro il tempo di volgersi altrove, di ritirarsi nella loro
caverna che è l’eternità. Di farsi crepuscolari, di scomparire. Non sono
a casa; il signore fa dire che non è disponibile per il momento. Lascio
a quegli occhi il tempo di lasciar di nuovo calare le pesanti palpebre
dell’eternità, il sipario. Per
un secondo, proprio nell’attimo in cui me ne rendo conto. Troppo tardi,
mi trapassa un dolore senza nome: la felicità è giocata, l’amore
disprezzato, nessuno me lo riporta indietro! La porta del carcere riempie il castello col suo rumore: prigioniero un’altra volta. In ciò che mi è così caro, così odioso: in me stesso”
H.U. von Balthasar, Il cuore del mondo
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Postato da: giacabi a 14:30 |
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von balthasar
Non ho voglia!
***
“Lo so, dovrei; ma non ho voglia. Mi do per sordo, mi raggomitolo, divento ispido: nessuno deve permettersi di toccarmi. La freccia della chiamata, esattamente mirata, si spunta su di me. Ho una pelle dura, una pelle ben ingrassata; su di essa scivola il richiamo come acqua su piume di anitra. Mi
rifaccio ai miei diritti, garantiti molto in alto, in forza della
natura che ho ricevuto, che io sono, in forza degli impulsi e delle
abitudini radicatesi in me che vogliono vita e sviluppo. Che nessuno mi
contesti questi diritti, neppure in alto loco. E se qualcuno osasse
tentarlo, deve saperlo: non ho voglia”
(H.U. von Balthasar, Il cuore del mondo).
Grazie a: cogitor.splinder.com/
|
Postato da: giacabi a 19:59 |
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von balthasar
L’Amore di Cristo in croce
***
“Dove
ho vinto io se non sulla croce? Siete ciechi come giudei e pagani, fino
a vaneggiare che il Golgotha sarebbe la mia caduta e bancarotta, e
credete che solo più tardi, tre giorni più tardi, mi sarei ripreso dalla
mia morte e che sarei emerso arrampicandomi a fatica dall’abisso
dell’Ade di nuovo in mezzo a voi? Ecco: questo è il mio segreto e non ne
esiste un altro in cielo o sulla terra: la mia croce è salvezza, la mia morte è vittoria, la mia tenebra è luce. Allora,
quando io pendevo nel mio martirio, e lo spavento mi invadeva l’anima
per l’abbandono, la riprovazione, l’inutilità della mia vita, e tutto
era oscuro, e solo la rabbia della massa
fischiava sarcasmi contro di me, mentre il cielo taceva, serrato come la
bocca di chi dispregia - ai polsi però pulsava il mio sangue attraverso
le porte aperte delle mani e dei piedi, e più vuoto diventava il mio
cuore ad ogni battito, la forza usciva da me in ruscelli, e in me
rimaneva solo impotenza, stanchezza mortale e il senso di un fallimento
infinito - e alla fine si avvicinava il misterioso luogo, l’ultimo,
sull’orlo dell’essere, e poi la caduta nel vuoto e il ribaltare
nell’abisso senza fondo, il dileguare, finire, sfinire. L’immensa morte, che io da solo morivo (a voi tutti questo è risparmiato mediante la mia morte e nessuno farà l’esperienza di che cosa significhi morire): questa fu la mia vittoria. Mentre cadevo e cadevo, il mondo nuovo saliva. Mentre ero sfinito oltre ogni debolezza, si rafforzava la mia sposa, la chiesa. Mentre
mi perdevo e del tutto mi donavo e mi spremevo dallo spazio del mio io e
senza possibilità di rifugio (neppure in Dio) dal nascondiglio più
segreto del sé venivo espulso: allora io mi svegliavo e mi alzavo nel
cuore dei miei fratelli”
H.U. von Balthasar, Il cuore del mondo)
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Postato da: giacabi a 17:52 |
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croce, von balthasar
I veri teologi
***
“ Gli unici teologi che mi interessano sono i santi”
(citazione von Balthasar fatta dal cardinale Schonborn - Tracce lug/ago 2006 pag.18)
grazie a: Dixit Definitivo
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Postato da: giacabi a 12:20 |
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von balthasar
Bellezza e ragione
***
Autore: Riva, Sr. Maria Gloria Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
Il
papa nella sua vacanza a Bressanone non cessa di essere padre e
pastore, sollecitato infatti dalla domanda di un sacerdote ha proposto a
tutti una straordinaria riflessione sulla bellezza come necessaria
componente della verità.
Un tema a noi particolarmente caro grazie anche alla lezione di mons. Giussani che, dello sguardo alla Bellezza capace di rendere più acuto il vedere della ragione, ha fatto il leit motiv della sua vita. Il Santo Padre afferma che «quando, in questa nostra epoca, discutiamo della ragionevolezza della fede, discutiamo proprio del fatto che la ragione non finisce dove finiscono le scoperte sperimentali, essa non finisce nel positivismo; la teoria dell’evoluzione vede la verità, ma ne vede soltanto metà: non vede che dietro c’è lo Spirito della creazione. Noi stiamo lottando per l’allargamento della ragione e quindi per una ragione che, appunto, sia aperta anche al bello e non debba lasciarlo da parte come qualcosa di totalmente diverso e irragionevole». Un pensiero che non può non rimandare al grande Hans Urs von Balthasar e alla sua monumentale opera di teologia estetica intitolata Gloria. Nel primo volume dal titolo Percezione della forma, egli fin dalle prime battute invita a riflettere come anche la Chiesa nel nostro tempo (e lo diceva già nel 1961) abbia privilegiato il verum e il bonum dimenticando il pulchrum. Si è data cioè maggior attenzione alla verità e alla ragione, all’aspetto più speculativo dell’esperienza umana, si è data maggior attenzione all’etica, alla dimensione morale della vita, dimenticando quell’aspetto strettamente contemplativo, che coinvolge così interamente lo stupore, quale è la Bellezza. La Bellezza è il terzo trascendentale senza il quale l’uomo non può stare, è quella parola a cui il filosofo perviene ma dalla quale non potrà mai partire, è quella parola dalla quale certa scienza e financo certa teologia prenderà le distanze perchè anacronistica e fragile, mentre è la parola da cui l’uomo religioso, il credente parte perchè è la sola vera parola iniziale dalla quale anche il vero e il bene traggono forza. «La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza alla quale non osiamo più credere e di cui abbiamo fatto un’apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che - segretamente o apertamente - non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare. Il secolo XIX si è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle vesti della bellezza fuggente, alle cocche svolazzanti del vecchio mondo che si dissolveva (“Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce, la veste e il velo gli rimangono tra le braccia... le vesti di Elena si dissolvono in nubi, circondando Faust, lo sollevano in alto e si dileguano con lui”, Faust II, atto III); il mondo illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo, presto ormai soltanto musica, ma, dove la nube si dissolve, rimane l’immagine insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché però non c’è più nulla e tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar qualcosa, allora si spinge l’uomo del nostro tempo a questo Imene impossibile, che alla fine gli fa venire in uggia qualsiasi forma di amore. Ma ciò di cui l’uomo non è più capace, ciò per cui è diventato impotente, non può più, proprio perché si sottrae alla sua sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o circondarlo di un silenzio di morte. In un mondo senza bellezza - anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso -, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda più nessuno e la stessa conclusione non conclude più. E se è così dei trascendentali, solo perché uno di essi è stato trascurato, che ne sarà dell’essere stesso? Se Tommaso poteva contrassegnare l’essere come “una certa luce” per l’ente, questa luce non si spegnerà là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non si lascia più che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e incomprensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per colui il quale non riesce più a cogliere il bello». [H. U. von Balthasar, Gloria, Jaca Book, Milano, 1985, vol. I, pagg. 10-12] Una posizione affascinante se pensiamo a quali conseguenze stiamo assistendo per l’esilio di questo terzo trascendentale. La verità è precipitata in un relativismo inafferrabile, la morale è concepita solo dentro un soggettivismo cieco ed aberrante e la bellezza è stata confinata entro un’estetica svuotata di contenuti valoriali. Persino la ragione si è persa, direbbe il Magnificat, nei pensieri superbi del cuore se sganciata da questa mistero estatico della Bellezza carica di Mistero. La riflessione di Benedetto XVI getta allora una luce straordinaria sul nostro vivere quotidiano: «Questo è il punto. Questo, penso, è in qualche modo la prova della verità del cristianesimo: cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano. E quanto più noi stessi riusciamo a vivere nella bellezza della verità, tanto più la fede potrà tornare ad essere creativa anche nel nostro tempo e ad esprimersi in una forma artistica convincente» Sì davvero questo è il punto. Il punto da cui partire e a cui tendere con tutta la propria condotta. ad:A. |
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