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Meno dibattiti più battiti.
(Giovanni Testori)
Meno dibattiti più battiti.
Postato da: giacabi a 11:34 |
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testori
Cristo di nuovo in croce
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Autore: Fighera, Giovanni Curatore: Leonardi, Enrico
Fonte: CulturaCattolica.it
sabato 2 aprile 2011
Una
commozione ci riempie il cuore nel sentir parlare un essere così
piccolo, innocente, che dapprima sembra insistere sull’affettività dei
genitori, poi sul buon senso e sulla ragionevolezza, poi sembra
implorare pietà, proprio come un condannato a morte. Infine, la sua voce
si tramuta in maledizione e profezia di distruzione per chi osa
perpetrare un tale abominio! Sono toni che ricordano la lauda drammatica
«Donna de Paradiso» di Iacopone da Todi. Ivi, Cristo è imprigionato, sottoposto alla passione, crocefisso! Ancora lo «Stabat mater» di Iacopone è presente in quel «fa’ che arda,/che la bruci […]. Fa’ che spada/ sia d’amore/ che trafigga/in madre/ cuore». La Madonna rimase ai piedi della croce accanto al Figlio assassinato. Qui la madre diventa lei stessa omicida, degenere, lussuriosa. Non
a caso Testori la apostrofa con un’allusione dantesca alla figura della
lussuriosa Pasifae, la moglie del mitico Minosse sovrano di Creta,
colei che fece costruire una vacca di legno e vi si pose dentro per
unirsi carnalmente ad un toro di cui si era innamorata (dall’unione
nacque il Minotauro):
Il feto demistifica tutte le moderne giustificazioni dell’aborto, presentato come manifesto del diritto e della libertà della donna, quando esclama:
Un destino di rovina attende quell’uomo e quella società che non riconosce la vita, che non l’abbraccia, dimentica del nulla che anche noi siamo stati e di quel Tutto che ci ha voluti e ci ha chiamato alla vita:
Nell’omicidio di un bimbo si manifesta il rifiuto di Cristo che si è fatto uomo, si palesa il rifiuto di Dio che è venuto ad abitare in mezzo a noi. L’uomo rinnega la carne della propria carne, ma non osa dirselo, non osa riconoscerlo! Un tempo, almeno, gli antichi consideravano come madre degenere quella Medea che aveva ucciso i due figli e che con l’omicidio si suicidava, rifiutava la sua stessa vita. Oggi l’uomo non riconosce più il male che compie contro di sé con il rifiuto del figlio. Per questo, a ragione, Madre Teresa vedeva nell’aborto, nel non riconoscimento del senso della nascita, il rischio più grande per la distruzione del mondo.
Più che bestia
tu t’imbesti
nella bestia
- lui, lo sposo -
che t’impesta!
Il feto demistifica tutte le moderne giustificazioni dell’aborto, presentato come manifesto del diritto e della libertà della donna, quando esclama:
«È per vivere
- ti dici –
Per avere libertà».
Libertà
di spegner vita?
Libertà
di violar Dio?
Libertà per te
è finita.
Che comincia
è l’urlo eterno,
primavera uccisa,
inverno,
sempre gelo,
sempre brina.
Mai sarete
come prima.
Un destino di rovina attende quell’uomo e quella società che non riconosce la vita, che non l’abbraccia, dimentica del nulla che anche noi siamo stati e di quel Tutto che ci ha voluti e ci ha chiamato alla vita:
Cadrai tu,
rovinerai
terra che
rifiuti vita,
vita spegni
dentro ventre;
vino in sangue,
pane in carne
trasformato
uccidendo
chi non nato
esser vita
pur doveva
hai calpestato,
vomitato,
assassinato.
Nell’omicidio di un bimbo si manifesta il rifiuto di Cristo che si è fatto uomo, si palesa il rifiuto di Dio che è venuto ad abitare in mezzo a noi. L’uomo rinnega la carne della propria carne, ma non osa dirselo, non osa riconoscerlo! Un tempo, almeno, gli antichi consideravano come madre degenere quella Medea che aveva ucciso i due figli e che con l’omicidio si suicidava, rifiutava la sua stessa vita. Oggi l’uomo non riconosce più il male che compie contro di sé con il rifiuto del figlio. Per questo, a ragione, Madre Teresa vedeva nell’aborto, nel non riconoscimento del senso della nascita, il rischio più grande per la distruzione del mondo.
Postato da: giacabi a 06:51 |
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aborto, testori
Meeting di Rimini
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«Allora, grazie per questi dieci anni che mi avete dato, in cui mi avete sopportato, portato, aiutato, in cui mi
avete abbracciato senza chiedermi niente di tutti i miei errori, di
tutte le mie colpe, di tutte le mie stramberie, di tutta la mia
disperazione. Grazie di aver fatto quello che avete fatto per tutti, per i morti e per i vivi, per chi crede e per chi non crede. Di esserci, di
diventare sempre più così precisi, così più forti, stratificati e nello
stesso tempo così più larghi, così più aperti, così più innamorati di
quella disperante, sacra cosa, meravigliosa e dolorosa e anche gioiosa,
che è la vita»
Giovanni Testori al popolo del Meeting
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Postato da: giacabi a 21:20 |
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testori
La fede
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Io
credo infatti che il pittore debba avere in sè l’immagine, prima di
realizzarla sulla tela, e che questa immagine non gli possa nascere che
da una sua posizione davanti e dentro il mondo, da una verità, insomma,
che quella sua posizione e convinzione determini. Ora io sono comunista,
tu lo sai bene, ma cristiano e cattolico, e, proprio perché tale, non
posso impedire a ciascuno la ricerca di quella che egli crede sia la
verità e poi l’affermazione di essa, anche se per me tale non è (non posso insomma ripetere l’errore che hai fatto tu parlando di Cristo in modo spicciolo, sbrigativo e volgare. Cristo non si ferisce con queste piccole ed errabonde irriverenze, credimi, ma tanto meno in tal modo lo si può liquidare),
ma mi domando se tutto questo equivoco che sta alla base di tanta
pittura e anche della vostra, non sia da cercare in un altro equivoco,
che tu hai perpetrato scrivendo queste parole: “una verità attiva, una
verità combattuta, cercata nel mare della fantasia e dell’immaginazione”
[...] Ma la verità può essere cercata nel mare della fantasia e
dell’immaginazione? E che verità sarà mai, se pur la doveste trovare?
Ancora e soltanto quella di un pittore, quella della fantasia di un
pittore? Non ti accorgi che, se mai, nel mare della fantasia e
dell'immaginazione si può trovare una forma figurativa della verità, che
sarà sempre però della verità un relativo? [...] Caro
Guttuso, io non credo che il problema sia di poter arrivare alla
realtà, ma di poter partire dalla realtà. Di avere cioè una fede che
questa partenza permetta. E non tanto per dipingere, credimi, quanto per
vivere».
Giovanni Testori, da Lettera a Renato Guttuso, "Numero-Pittura" 1947
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Postato da: giacabi a 22:14 |
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testori
L’esigenza del mistero
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E' la stessa irrinunciabile
esigenza dell'uomo ad esprimersi con la voce, con le parole, con i segni ad avere a che fare con quello che noi chiamiamo mistero. E' un'esigenza indipendente da ogni progetto e da ogni ipotesi di una sua concreta realizzazione, è qualcosa che sta prima che centra con la vita stessa, con la sua originaria struttura. Per questo le forme e le metafore che da questa irrinunciabile esigenza son create, sono strettissimamente legate al mistero, al mistero della vita stessa. Anche al teatro. Giovanni Testori
grazie ad: annina
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Postato da: giacabi a 17:37 |
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mistero, testori
Cristo mendicante dell’uomo
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In
una mia poesia dicevo a Cristo: “T’ho cercato, t’ho sputato, t’ho
bestemmiato; tutto puoi dire di me tranne che ti ho evitato”. Questo
alcuni anni fa. Oggi dovrei scrivere tutta un’altra cosa: “T’avevo cercato, t’avevo sputato, t’avevo bestemmiato; tutto puoi dire di Te, tranne che Tu mi hai evitato”.
• Pensavo di essere io che non volevo evitare Cristo. In verità era Cristo che non voleva evitare me.
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Postato da: giacabi a 14:15 |
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testori
Gesù
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“T’ho amato con pietà
Con furia T’ho adorato.
T’ho violato, sconciato,
bestemmiato.
Tutto puoi dire di me
Tranne che T’ho evitato”.
Giovanni Testori
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Postato da: giacabi a 20:20 |
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gesù, testori
Giovanni Testori
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Conversazione con la morte” dieci anni dopo
Milano, 13 marzo 1983
E adesso io, dopo dieci anni con voi. Dopo alcuni articoli comparsi
sul Corri ere della Sera circa dieci anni fa, si parlò della mia
conversione. Io sono sempre stato un cattivo cristiano, in certi
momenti disperato, sono nato non solo in una famiglia cristiana,
ma anche in una cultura cristiana. Non è la mia una conversione:
è una precisazione del mio povero modo di essere cristiano,
cui sono stato indotto dalla morte di mia madre. Mia
madre, morendo, ha ridato peso, grembo, latte a questo mio povero
modo di essere cristiano. Quando scrissi questi articoli,
nessun vescovo, nessun cardinale, nessun uomo politico mi ha
contattato. Mi hanno invece telefonato quattro ragazzi: "Siamo
di Comunione e Liberazione: vorremmo parlarle". E sono venuti
nel mio studio; la cosa che mi ha stupito è che non erano tutto
quello che dicono essi siano. Non mi hanno mai chiesto niente:
come fosse la mia povera vita, quali fossero i miei errori; ma mi
hanno accolto (e io credo di averli accolti) come amici. Io non
sono di Cl, voi lo sapete: sono molto vicino. Le sono vicino per
una cosa sola: perché hanno questo senso dell’amicizia, questo
senso dell’umanità, questo senso dell’integrità della fede. Sono
tutti di un pezzo, poi anche loro fanno errori, per fortuna. Però
hanno questa rocciosità per quel che riguarda l’uomo. Non chiedono
niente, non domandano conto di niente. Solo su questo
piano di umanità. Don Giussani mi raccontava cos’è stato per lui
la scoperta, il senso più abissale della sua posizione di prete e di
uomo, quando, subito dopo essere stato ordinato, in una delle
prime confessioni, si è trovato di fronte a un giovane che, dall’altra
parte del confessionale, non riusciva a dire, a parlare. E lui
lo esortava: "non c’è niente che tu abbia fatto che non possa essere
perdonato, che non possa essere accolto"; ma l’altro faceva
fatica e don Giussani, con le parole che riesce a tirare fuori
dalla sua fede, dalla sua umanità, lo invitava fraternamente. A
un certo punto, sentì questo giovane dire: "ho ucciso un uomo".
Don Giussani rimase lì un attimo, un’eternità, e rispose: "Solo
uno?". Poi mi raccontava: "Lì ho capito cos’è la carità, la fraternità,
l’amore, cos’è il perdono di cui lui è soltanto il tratto". E
l’altro scoppiò a piangere. Da allora sono diventati, credo, amici.
Il ragazzo è andato a confessare alle autorità il suo gesto e
sono diventati amici. Io, perché sono diventato amico di quelli
di Cl? Perché se io dicessi a loro tutte le porcate che ho fatto,
direbbero “solo questo?”.
Senza carità la fede è niente
Perdete pure tutto; ma non perdete questo senso “oltre tutto”,
questa umanità che non si scandalizza di niente. Questo sapere
che l’uomo può compiere qualunque gesto, può essere di qualunque
parte, ma è prima di tutto uomo, figlio di Dio, creatura
redenta da Dio diventato Uomo. Se perdiamo questo perdiamo
il senso dell’incarnazione, cioè perdiamo il senso totale del nostro
essere cristiani. Come mi diceva continuamente Giussani,
"senza carità", senza amore, anche la fede è niente. La fede è
proprio questo amore: questo amore prima di tutto. Io devo ringraziare
questi ragazzi di questa capacità di amore, di umanità,
perché arriverà il momento che la leggeranno anche quelli che
oggi non la sanno leggere. Ma, se anche non la leggeranno, non
importa: l’importante è offrire. Siete troppo giovani per voler diventare
“maestri” di questa verità, di questo amore; però cominciate
a diventare allievi, visto che il maestro lo avete: di
questa capacità di apertura, di questa capacità di accogliere
chiunque. Anzi, più è misterioso, direi, più deve essere grande
l’amore. Io, ad esempio, sono chiamato, preso, affascinato da chi
è nelle situazioni più terribili, più dolorose: credo che questo sia
il vostro segreto. Se le mie parole hanno qualcosa di buono, di
non troppo deficitario, lo hanno in quanto sono stato voluto,
creato per scrivere e perché ho avuto intorno a me una famiglia
e una cultura e una città e un paese e degli amici che mi hanno
fatto riconoscere cos’è la vita, la verità, l’amore.
C’è Lui
Ecco perché dico che non è stata una conversione, ma è stato
un di più, una presa di coscienza di qualcosa che c’è sempre stato,
anche per la vostra vicinanza, per gli anni che passano e perché
voi mi avete anche insegnato soprattutto quella cosa per
cui io vi amo e che è la capacità di carità, di amore. Tutto questo
mi ha accentuato ancora, mi ha reso ancora più sanguinante,
incarnato in me Lui: c’è un nome solo, anche se adesso faccio
fatica a dirlo. Non è più forse un inseguimento come prima
che io facevo. È che lo sento certo, qui, in me, nel mondo terribile,
turpe: c’è Lui. E c’è in noi e c’è nel modo che è minacciato
e già piegato dal peccato, che è la cosa che dimentichiamo più
di sovente. Credo che negli ultimi miei lavori che sono molto più
rischiosi, meno quieti, c’è però più Lui, meno distanza tra la scena
e la parola, la scrittura e la Sua presenza. Io parlo quasi sempre
di disperati: io purtroppo non riesco a trovare la Speranza
che, al limite, dentro la disperazione. Non mi è comodo dire
questo, ma forse Lui vuole questo. Ogni volta che presumo e mi
rendo calmo e speranzoso mi allontano da Lui e da voi e dal
mondo e costruisco o cedo alle costruzioni del potere; in ogni
caso divento astratto.
Insurrezionali e resurrezionali
Ma oggi mi sembra tutto così minacciato da non essere, che anche
la carne, la carne sbagliata, anche la carne e il sangue che
errano devono gridare, devono alzarsi, insorgere. Credo che il
mondo e soprattutto i cristiani hanno la responsabilità e il destino,
che è la sola speranza, di tentare di essere contemporaneamente
contemporaneamente insurrezionali e resurrezionali. Nel frangente di storia nel quale Dio ci ha messi non si può risorgere senza insorgere: insorgere
contro ciò che si sta operando contro l’uomo creato e la
creazione tutta. Qualsiasi insurrezione che non nasca da una certezza,
da un bisogno e da una speranza di resurrezione cade, diventa
oggi più che mai vittima e strumento del potere. C’è solo
Lui, Cristo, in tutti, anche in chi non crede. Solo Lui però ha e ci
dà questa capacità di essere insurrezionali e resurrezionali: è Lui
che è insorto ed è risorto. In mezzo c’è la croce, c’è il dolore. Allora
la speranza è una cosa terribile: grande, greve. Io non riesco
a essere molto allegro: non sono felice, non sono mai stato felice,
non so cosa sia la felicità. So solo cosa sia qualche volta non
essere troppo porco, troppo traditore. Ma la felicità è ridere; ma
quale serenità? Continua a soffrire: è duro vivere, ma è giusto vivere
e passarlo e parteciparlo e renderlo attivo, insurrezionale all’interno
del dolore riconosciuto e non riconosciuto che c’è.
Rimanere aperti
La passione di essere aperti a tutti e guai se vi venisse la tentazione
di chiudervi. Credo che sia la tentazione più terribile: perché
un mondo così chiuso ha bisogno di chi sta spalancato: imparate
da chi vi ha fondato come si fa a essere stupiti. Allora
imparate da lui a sentirvi sempre aperti, di stupirvi di chi viene,
a stupirvi anche delle cattiverie, delle ingiustizie, bisogna saperle
combattere perché è giusto, ma al fondo che bello se qualcuno
riuscisse a pregare per chi vi e ci colpisce; non perché non ci
colpisca più, ma perché trovi un po’ di serenità, un momento di
quiete in cui si riconosca. Polemizzare e pregare per. Sulla barricata,
ma sempre con quella carità, quell’amicizia, quell’affetto
di stare lì pronti, per cui io, quando siete venuti, ho capito che
c’era qualcosa che conoscevo nei miei fratelli, sorelle, ma che
non conoscevo fuori.
Giovanni Testori
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Postato da: giacabi a 18:28 |
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testimonianza, testori
L’unico punto in cui il mondo può salvarsi
***
Così è proprio in quel punto d’avvicinamento e di congiunzione
che gli uomini, tutti gli uomini, in qualunque posizione ideologica si
trovino, sono chiamati dal loro stesso essere uomini a incontrarsi e ad
agire. Un
punto che è l’unico per il quale il mondo può salvarsi, non solo dalla
cecità d’un dolore demente, e senza significato, ma dalla sua stessa
distruzione e dalla sua stessa rovina; e accogliere, ove pure non arrivi a meritarlo, il miracolo della speranza che continua a scendere in noi dalla Croce.
Giovanni Testori
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Postato da: giacabi a 19:34 |
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gesù, testori
Tua è Signore,la sola Verità
***
“Epperò mai,
ora sappiamo,
mai il Potere,
neppure fabbricandoci
macchine irreali,
potrà la memoria di Te
dal cosmo
via gettare.
Sempre lì
resterà,
come segno di te,
o sola Verità.
Lo dannerà
a demenza,
sì che alla fine,
com'ebbe a fare
nel bosco della notte
il traditore,
lui stesso
al suo disegno
strozzando
appenderà.
Tua è
Signore,
la sola Verità.
Quella che noi
qui adesso
afferra.
Da Lei sola
lasciandoci sapere
ci è dato,
sia pure nella fine
che ci prende,
-guardate, spettatori –
e ci cancella,
speranza e vera scienza
contenere,
la vita dare
non tenere,
realtà essere
non avere.
Così nel segno di Te,
dove tutto comincia
e rifluisce,
la nostra azione,
continuando in dolori
e in orrori,
si sigilla.
E qui,
in questa stanza,
che è sede di teatro,
senza fine si alza
la nostra sfatta voce.
Sperando disperata
a Te s’aggrappa,
o Padre,
e alla tua Croce.”
.
G. Testori Post-Hamlet
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Postato da: giacabi a 09:07 |
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gesù, testori
La negazione del Padre
***
“
DON GIUSSANI
Sì, è il volersi da sé; è la dimenticanza. lo sento molto di dover insistere su un'altra parola cristiana: memoria. Quello che dici è come la perdita totale della memoria, perciò la dimenticanza d'essere stati voluti, a cui si sostituisce la presunzione di volersi da sé.
Basta volermi da me, Che in un primo tempo, astrattamente parlando, può
anche non esplicitare la negazione del Padre, la negazione di Dio. Ma è
la negazione del Padre, non la negazione di Dio come entità astratta.
Sennonché la negazione del Padre, praticamente, immediatamente e poi
anche teoricamente, è la negazione di Dio. La negazione che la propria consistenza è nell'essere figlio, cioè nell'essere voluto. È proprio come l'arma della menzogna di Satana; la descrizione del peccato originale è la dimenticanza; l'arma di Satana è la dimenticanza. La cortina fumogena in cui sferrare la menzogna è la dimenticanza, la perdita della memoria. Infatti, tutta la forza di una personalità sta nella memoria.
E così questa perdita della memoria è qualificante sempre di più di
questa cultura, questa cultura nostra che vuole essere atea: la perdita
totale della memoria. Solgenicyn insiste molto su questo. In- somma quella
sostituzione del padre che è lo stato, nella situazione attuale, fa di
tutto per cancellare la memoria; attraverso i suoi slogan e tutta la
burocrazia del suo pensiero.
TESTORI
Tornando al momento del peccato originale, a me ha sempre dato un senso dì terribile sbigottimento il fatto che la prima conseguenza dì questo non riconoscersi figlio sia stato un delitto. La prima conseguenza, il primo gesto terribile compiuto dall'uomo dopo il rifiuto d'essere figlio del Padre, è stato un assassinio.
DON GIUSSANI
Sì, il primo gesto significativo di quella storia è stato proprio un assassinio.
TESTORI
La perdita di questa memoria, di questa coscienza dell'essere voluto, diventa subito l'uccisione dell'uomo.
DON GIUSSANI
Il volersi da sé coincide con l'uccisione dell'altro. Ma questo è strutturale: che il volersi da sé coincida sempre con l'assassinio di un altro.
TESTORI
Che è prima, o nello stesso tempo, dimenticanza dell'altro.
DON GIUSSANI
Sì,
la dimenticanza dell'altro. Infatti l'amore dell'uomo con la donna,
l'amore dei figli e la convivenza sociale oggi è tutta impostata cosi. L'uccisione
del Simbolo supremo genera la dimenticanza dell'altro che poi,
praticamente e quotidianamente, diventa la strumentalizzazione
dell'altro.
TESTORI
Quindi la riduzione a oggetto.
lo vorrei tornare su quel primo gesto, l'assassinio: un gesto d'odio;
anzi il gesto stesso dell'odio. Nella mia esperienza ho sempre provato
che la direzione dell'odio è sempre verso chi ha una realtà più piena e più colma dell'essere figlio. Allora, nel caso del primo assassinio, credo che l'odio
fosse verso chi aveva il senso dell'essere figlio e la soppressione sia
stata perché la presenza di chi aveva in sé accettato e glorificato il
senso di quell'essere figlio non potesse più determinarne in chi aveva
compiuto il delitto, la memoria.
DON GIUSSANI
Questa è una cosa colossale...
TESTORI
Un
cerchio che si spezza con Caino e che poi si chiude e si redime solo
con Cristo che là, sulla croce, dice come in un testamento: «Madre, ecco
tuo figlio »; si ricompone, cioè, per sempre solo con la morte e la
resurrezione di Cristo; fino a quel punto non è mai più stato ricomposto.
Comunque è certo che l'odio è sempre verso chi fa testimonianza, verso
chi fa memoria, verso chi è memoria e testimonianza vivente di
quest'essere voluto. L'uomo ha gelosia e invidia verso l'uomo che è più ricco; ma l'odio
lo riserva sempre e solo a un uomo che è più buono di lui; l'odio lo
rivolge sempre e solo verso l'inerme, verso chi non ha voluto essere
super-uomo, ma ha accettato lo stato d'umiltà e persino l'umiliazione
d'essere e restare figlio.
DON GIUSSANI
Comunque l'odio è l'attacco armato alla memoria o a chi richiama la memoria.
TESTORI
Tu
non credi che nei nostri tempi, l’odio abbia subito un’evoluzione, anzi
una degradazione ulteriore, certo una meccanizzazione, un’astrazione
senza precedenti. Oggi l’odio vero è la dimenticanza.”
:
G. Testori - don Giussani : Il senso della nascita, Il Sabato dic.1989
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Postato da: giacabi a 08:14 |
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ateismo, testori, giussani
Qualcuno vuol uccidere la maestà dell’ uomo
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La grande battaglia dei nostri giorni è solo in apparenza una battaglia tra opposte ideologie; solo in apparenza essa è una battaglia di classi; in verità è la battaglia tra il sacro segno di Dio che vive nell’uomo, tra il suo essere utile e suprema maestà creativa perché creata, e l’ imitazione o la sostituzione che di quell’uomo , di quella maestà, il meccanismo, che sempre più tenta di essere unico e totale, cerca e cercherà di compiere.
Tutto questo è terribile. Ma poiché
l’ uomo quel segno e quel sigillo li porta dentro di se come porta le
sue ossa e il suo sangue,tutto questo assume il senso e la grandezza d’
un rito in cui la salvezza dell’ anima è la salvezza stessa dell’ umana
entità. E’ solo per questo che il
corpo alberale in cui l’ essenza religiosa dell’ uomo va cercando di
farsi carne rappresenta, in questa battaglia, una luce da proteggere,
affinché possa crescere e reggere all’ urto in cui, ogni ora, ogni
giorno, a essere messo in gioco è e sarà il senso e il destino stesso
dell’ uomo, della sua maestà.
G. Testori, Qualcuno vuol uccidere la maestà dell’ uomo
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Postato da: giacabi a 18:56 |
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persona, testori
Testori:
l’incontro con Cristo
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Postato da: giacabi a 22:12 |
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gesù, testori
La Grazia di Dio è dentro queste cose
***
“Il
povero padre Turoldo, anche lui malato di tumore, diceva che la
sofferenza non può venire da Dio, perché Dio è buono e non può volere
il male. Per me è l’opposto; io
non posso pensare a me stesso, non posso concepire la mia stessa
esistenza senza questa malattia, con le cure, la chemioterapia, la
cobalto, i controlli periodici e tutto il resto: perché la Grazia di Dio è dentro queste cose, oppure non esiste”.
“Più sono annientato più vivo per Cristo. Anche tu che leggi è Lui che aspetti, è per lui che vivi, anche se non lo sai”
Giovanni Testori
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Postato da: giacabi a 15:11 |
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testori
La realtà senza Dio!
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(...)
Dove può mai giungere una società che intenda spiegar tutto politicamente, tutto politicamente decifrare (senza per altro riuscirvi) anche e proprio nel momento in cui il cumulo degli errori, delle responsabilità, delle vergogne e dei tradimenti (e, primo fra tutti, il tradimento dell'anima) suona i suoi cupi e fatali rintocchi? Quando questi rintocchi annunciano contemporaneamente la povera morte di alcuni innocenti là, sulle strade che fin a poco prima sembravano calme e serene, e la morte morale della stessa concezione dell'esistenza, una concezione per cui dall'assalto allo Stato e dall'assassinio di cinque suoi figli non si riesce a cavare neppure un dubbio sulla sua reale capacità di consistere, anche solo storicamente e anche solo socialmente? (...) Perché almeno ieri, almeno oggi, almeno adesso, non si pone fine al sistema delle retoriche, opposte eppur eguali, e non si aiuta l'uomo a porsi con terribile chiarezza di fronte alla realtà?
Perché chi ha la possibilità e, dunque, il dovere di farlo, non l'aiuta a capire come sia proprio la realtà sociale a naufragare una volta che essa venga privata del suo sangue sacro e religioso? Perché s'è avuto e si
ha ancora il timore di dire che il Dio rifiutato è un vuoto che nessuna
demagogia del benessere e dell'eguaglianza, o d'ambedue assieme, può
colmare; e che quel vuoto, a riempirlo, sarà solo il cupo inferno della
materia impazzita e della sua impazzita cecità e solitudine? (...)
L'uomo
e la sua società stanno morendo per eccesso di realtà; ma d'una realtà
privata del suo senso e del suo nome; privata, cioè, di Dio. Dunque,
d'una realtà irreale. (...)
Affondare
gli occhi nel nostro male tenendo presente il Dio che abbiamo lasciato
o, quantomeno, il dolore d'averlo lasciato, non significa veder meno:
significa vedere ancora di più; e significa, inoltre, non poter più usare la parola (quella parola che è appunto ciò che si fa carne) come menzogna; menzogna
che è servita e serve per usare la carne; per colpirla, crivellarla e
stenderla, assassinata, su una delle strade che avevamo costruito per il
nostro bene e per la nostra vita.
Giovanni Testori
Corriere della Sera, 20 marzo 1978
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Postato da: giacabi a 20:59 |
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nichilismo, testori
TESTORI CONTRO LA TRISTEZZA LURIDA DELLA PRETESA GAY
Luca Doninelli, Conversazioni
con Testori, Guanda, 1993
Doninelli: Tu
sei un personaggio noto, ed è inevitabile che la tua omosessualità
abbia subito diverse reazioni e interpretazioni. Tra queste, quali hanno
maggiormente salvaguardato la tua dignità?
,
Testori: La sola posizione giusta e rispettosa dei segreti, dei misteri, degli affetti e dei rapporti che ho e che ho avuto, è stata quella della mia famiglia, degli amici più cari e dei giovani di Comunione e Liberazione: da tutti loro non mi sono mai sentito giudicato, ma solo accolto in virtù di un atto di carità che è anche giustizia. Tutto ciò che è in più - approvazione, giustificazione, esternazione, spettacolarizzazione dell'omosessualità - lo trovo «fuori», non necessario, non utile. Non aiuta a star meglio, ad essere più felici. E mi riferisco ai cosiddetti «movimenti di liberazione». Non parliamo, poi, di questa esecranda idea di nozze tra ragazzi. Che senso ha questo spirito di rivalsa a tutti i costi, questa sindrome dell'ufficialità? Io capisco, e difenderei con tutte le mie forze, il terribile diritto che l'uomo ha di svolgere il proprio destino. Immaginiamo che in un paese totalitario si fucilino gli omosessuali, o si leghino e si gettino in mare. Allora sì, per un diritto totale alla vita, mi batterei. Ma queste qui sono mascherate. Solo mascherate? O qualcosa di peggio? Certo che c'è di peggio. Oggi non siamo più nell'antica Grecia, o prima di Cristo. Io trovo che questi qui facciano tutto quello che fanno per dimostrare a se stessi di avere estirpato da sé qualunque senso di colpa o di peccato. Se potessi parlare con loro, li vorrei convincere innanzitiutto della tristezza di queste loro carnevalate. Perché in questi rapporti - ma, credo, in qualunque rapporto d'amore - c'è una tristezza sconfinata. Tuttavia, se questa tristezza viene accettata e accolta con carità, in primis come parte della coscienza di sé, allora diventa dramma, e può offrire qualcosa agli altri. Ma se viene esternata in modo incosciente, allora diventa una tristezza lurida. Hanno un bel rinfacciarmi l'incongruenza del mio essere cristiano con il mio modo di vivere. Cosa intendi per «lurido»?
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poeta e drammaturgo Giovanni Testori Lurido è tutto ciò che si esibisce con la pretesa di essere, poi, lasciati in pace, o, per dir meglio - perché la pace è un'altra cosa - di farsi gli affari propri. Inoltre trovo che l'accentuazione autoesibita dell'elemento carnale, sensuale sia una falsità. Viene completamente eliminata la tristezza, che è connaturale all'amore. Per quanto mi riguarda, l'interesse per l'incontro con un uomo viene sempre dall'abbacinamento della bellezza, dalla commozione: qualcosa che poi, non lo nego, cerca anche la soluzione del rapporto fisico. Ma il punto della questione non è mai stato lì, per me, e credo non possa essere lì per nessuno. |
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