“La Sindone non è un falso”
(di Marco Tosatti su Vatican Insider del 14/12/2011)
Una nuova ricerca dell’Enea sul sacro Lino custodito a Torino.
L’Enea, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha pubblicato un rapporto sui cinque anni di esperimenti svolti nel centro Enea di Frascati sulla “colorazione simil-sindonica di tessuti di lino tramite radiazione nel lontano ultravioletto”. In parole povere: si è cercato di capire come si è impressa sul telo di lino della Sindone di Torino l’immagine così particolare che ne costituisce il fascino, e il più grande e radicale interrogativo, di “individuare i processi fisici e chimici in grado di generare una colorazione simile a quella dell’immagine sindonica”.
Nell’articolo linkato si trova lo sviluppo della ricerca. Gli scienziati (Di Lazzaro, Murra, Santoni, Nichelatti e Baldacchini) partono dall’ultimo (e unico) esame completo interdisciplinare del lenzuolo, compiuto nel 1978 dalla squadra degli scienziati americani dello STURP (Shroud of Turin Reasearch Project). Una base di partenza di cui troppo spesso chi scrive e discetta di Sindone preferisce non tenere conto, a dispetto dell’evidenza dei dati, verificati da un accurato controllo su riviste “peer rewieved”, cioè approvate da altri scienziati in modo oggettivo e indipendente.
Il rapporto dell’Enea smentisce, con molto fair play, quasi “en passant”, ma con molta chiarezza, l’ipotesi che la Sindone di Torino possa essere opera di un falsario medievale. L’ipotesi è stata avvalorata – contro molte argomentazioni di peso – dall’esito delle discusse, e probabilmente falsate – misurazioni al C14; un esame la cui credibilità è stata resa molto fragile oltreché dalla difficoltà oggettiva (le possibilità di contaminazione di un tessuto di cui non si conosce che in parte il percorso storico sono altissime), anche da errori fattuali di calcolo, dimostrati, e dall’impossibilità di ottenere per i controlli necessari i “dati grezzi” dai laboratori. A dispetto delle reiterate richieste. Un’omissione che basta da sola a gettare un’ombra pesante sulla correttezza scientifica dell’episodio.
Scrive il rapporto: “La doppia immagine (frontale e dorsale) di un uomo flagellato e crocifisso, visibile a malapena sul lenzuolo di lino della Sindone di Torino presenta numerose caratteristiche fisiche e chimiche talmente peculiari che rendono ad oggi impossibile ottenere in laboratorio una colorazione identica in tutte le sue sfaccettature, come discusso in numerosi articoli, elencati nelle referenze. Questa incapacità di replicare (e quindi falsificare) l’immagine sindonica impedisce di formulare un’ipotesi attendibile sul meccanismo di formazione dell’impronta. Di fatto, ad oggi la Scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone.
A parziale giustificazione, gli Scienziati lamentano l’impossibilità di effettuare misure dirette sul lenzuolo sindonico. Infatti, l’ultima analisi sperimentale in situ delle proprietà fisiche e chimiche dell’immagine corporea della Sindone fu effettuata nel lontano 1978 da un gruppo di 31 scienziati sotto l’egida dello Shroud of Turin Research Project, Inc. (STURP). Gli scienziati utilizzarono strumentazione all’avanguardia per l’epoca, messa a disposizione da diverse ditte produttrici per un valore commerciale di due milioni e mezzo di dollari, ed effettuarono numerose misure non distruttive di spettroscopia infrarossa, visibile e ultravioletta, di fluorescenza a raggi X, di termografia e pirolisi, di spettrometria di massa, di analisi micro-Raman, fotografia in trasmissione, microscopia, prelievo di fibrille e test microchimici”.
Le analisi effettuate sul telo sindonico non trovarono quantità significative di pigmenti (coloranti, vernici) né tracce di disegni. Sulla base dei risultati delle decine di misure effettuate, i ricercatori STURP conclusero che l’immagine corporea non è dipinta, né stampata, né ottenuta tramite riscaldamento. Inoltre, la colorazione dell’immagine risiede nella parte più esterna e superficiale delle fibrille che costituiscono i fili del tessuto di lino, e misure effettuate recentemente su frammenti di telo sindonico dimostrano che lo spessore di colorazione è estremamente sottile, pari a circa 200 nm = 200 miliardesimi di metro, ovvero un quinto di millesimo di millimetro, corrispondente allo spessore della cosiddetta parete cellulare primaria della singola fibrilla di lino. Ricordiamo che un singolo filo di lino è formato da circa 200 fibrille.
Altre importanti informazioni derivate dai risultati delle misure STURP sono le seguenti: Il sangue è umano, e non c’è immagine sotto le macchie di sangue; la sfumatura del colore contiene informazioni tridimensionali del corpo; le fibre colorate (di immagine) sono più fragili delle fibre non colorate; la colorazione superficiale delle fibrille di immagine deriva da un processo sconosciuto che ha causato ossidazione, disidratazione e coniugazione della struttura della cellulosa del lino. “In altre parole, la colorazione è conseguenza di un processo di invecchiamento accelerato del lino”.
Come già accennato, fino ad oggi tutti i tentativi di riprodurre un’immagine su lino avente le medesime caratteristiche sono falliti. Alcuni ricercatori hanno ottenuto immagini aventi un aspetto simile all’immagine sindonica, ma nessuno è mai riuscito a riprodurre simultaneamente tutte le caratteristiche microscopiche e macroscopiche. “In questo senso, l’origine dell’immagine sindonica è ancora sconosciuta.
Questo sembra essere il nodo centrale del cosiddetto “mistero della Sindone”: indipendentemente dall’età del lenzuolo sindonico, che sia medioevale (1260 – 1390) come risulta dalla controversa datazione al radiocarbonio o più antico come risulta da altre indagini, e indipendentemente dalla reale portata dei controversi documenti storici sull’esistenza della Sindone negli anni precedenti il 1260, la domanda più importante, la “domanda delle domande” rimane la stessa: come è stata generate l’immagine corporea sulla Sindone?”. Ci sono due possibilità, scrivono gli scienziati, su come il lenzuolo sindonico sia stato posto intorno al cadavere: posato sotto e sopra (non completamente a contatto con tutto il corpo irrigidito dal rigor mortis) oppure pigiato sul corpo e legato in modo da avere un contatto con quasi tutta la superficie corporea.
“La prima modalità è avvalorata dal fatto che esiste una precisa relazione tra l’intensità (sfumatura) dell’immagine e la distanza fra corpo e telo. Inoltre, l’immagine è presente anche nelle zone del corpo non a contatto con il telo, ad esempio immediatamente sopra e sotto le mani, e intorno la punta del naso. La seconda modalità è meno probabile perché sono assenti le deformazioni geometriche tipiche di un corpo a tre dimensioni riportato a contatto su un lenzuolo a due dimensioni. Inoltre, manca l’impronta dei fianchi del corpo. Di conseguenza, possiamo dedurre che l’immagine non si è formata dal contatto del lino con il corpo”.
E’ proprio questa osservazione, “unita alla estrema superficialità della colorazione e all’assenza di pigmenti” che “rende estremamente improbabile ottenere una immagine simil-sindonica tramite metodi chimici a contatto, sia in un moderno laboratorio, sia a maggior ragione da parte di un ipotetico falsario medioevale”. Sotto le macchie di sangue non c’è immagine. Questo significa che le tracce di sangue si sono depositate prima dell’immagine.
Quindi l’immagine si formò in un momento successivo alla deposizione del cadavere. Inoltre tutte le macchie di sangue hanno contorni ben definiti, senza sbavature, quindi si può ipotizzare che il cadavere non fu asportato dal lenzuolo. “Mancano segni di putrefazione in corrispondenza degli orifizi, che si manifestano dopo circa 40 ore dalla morte. Di conseguenza, l’immagine non dipende dai gas di putrefazione e il cadavere non rimase nel lenzuolo per più due giorni”.
Una della ipotesi relative alla formazione dell’immagine era quella di una forma di energia elettromagnetica (ad esempio un lampo di luce a corta lunghezza d’onda), che potrebbe avere i requisiti adatti a riprodurre le caratteristiche dell’immagine sindonica, quali la superficialità della colorazione, la sfumatura del colore, l’immagine anche nelle zone del corpo non a contatto con il telo e l’assenza di pigmenti sul telo.
I primi tentativi di riprodurre il volto sindonico tramite radiazione, utilizzarono un laser CO2 che hanno prodotto una immagine su un tessuto di lino simile a livello macroscopico. Tuttavia, l’analisi microscopica ha evidenziato una colorazione troppo profonda e molti fili di lino carbonizzati, caratteristiche incompatibili con l’immagine sindonica. Invece i risultati dell’Enea “dimostrano che un brevissimo e intenso lampo di radiazione VUV direzionale può colorare un tessuto di lino in modo da riprodurre molte delle peculiari caratteristiche della immagine corporea della Sindone di Torino, incluse la tonalità del colore, la colorazione superficiale delle fibrille più esterne della trama del lino, e l’assenza di fluorescenza”.
Tuttavia, avvertono gli scienziati dell’Enea, “va sottolineato che la potenza totale della radiazione VUV richiesta per colorare istantaneamente la superficie di un lino corrispondente ad un corpo umano di statura media, pari a IT superficie corporea = 2000 MW/cm2 17000 cm2 = 34mila miliardi di Watt rende oggi impraticabile la riproduzione dell’intera immagine sindonica usando un singolo laser eccimero, poiché questa potenza non può essere prodotta da nessuna sorgente di luce VUV costruita fino ad oggi (le più potenti reperibili sul mercato arrivano ad alcuni miliardi di Watt)”.
Però l’’immagine sindonica “presenta alcune caratteristiche che non siamo ancora riusciti a riprodurre, – ammettono – per esempio la sfumatura dell’immagine dovuta ad una diversa concentrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrille non colorate”. E avvertono: “Non siamo alla conclusione, stiamo componendo i tasselli di un puzzle scientifico affascinante e complesso”. L’enigma dell’origine dell’immagine della Sindone di Torino rimane ancora “una provocazione all’intelligenza”, come aveva detto Giovanni Paolo II.
Una nuova ricerca dell’Enea sul sacro Lino custodito a Torino.
L’Enea, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha pubblicato un rapporto sui cinque anni di esperimenti svolti nel centro Enea di Frascati sulla “colorazione simil-sindonica di tessuti di lino tramite radiazione nel lontano ultravioletto”. In parole povere: si è cercato di capire come si è impressa sul telo di lino della Sindone di Torino l’immagine così particolare che ne costituisce il fascino, e il più grande e radicale interrogativo, di “individuare i processi fisici e chimici in grado di generare una colorazione simile a quella dell’immagine sindonica”.
Nell’articolo linkato si trova lo sviluppo della ricerca. Gli scienziati (Di Lazzaro, Murra, Santoni, Nichelatti e Baldacchini) partono dall’ultimo (e unico) esame completo interdisciplinare del lenzuolo, compiuto nel 1978 dalla squadra degli scienziati americani dello STURP (Shroud of Turin Reasearch Project). Una base di partenza di cui troppo spesso chi scrive e discetta di Sindone preferisce non tenere conto, a dispetto dell’evidenza dei dati, verificati da un accurato controllo su riviste “peer rewieved”, cioè approvate da altri scienziati in modo oggettivo e indipendente.
Il rapporto dell’Enea smentisce, con molto fair play, quasi “en passant”, ma con molta chiarezza, l’ipotesi che la Sindone di Torino possa essere opera di un falsario medievale. L’ipotesi è stata avvalorata – contro molte argomentazioni di peso – dall’esito delle discusse, e probabilmente falsate – misurazioni al C14; un esame la cui credibilità è stata resa molto fragile oltreché dalla difficoltà oggettiva (le possibilità di contaminazione di un tessuto di cui non si conosce che in parte il percorso storico sono altissime), anche da errori fattuali di calcolo, dimostrati, e dall’impossibilità di ottenere per i controlli necessari i “dati grezzi” dai laboratori. A dispetto delle reiterate richieste. Un’omissione che basta da sola a gettare un’ombra pesante sulla correttezza scientifica dell’episodio.
Scrive il rapporto: “La doppia immagine (frontale e dorsale) di un uomo flagellato e crocifisso, visibile a malapena sul lenzuolo di lino della Sindone di Torino presenta numerose caratteristiche fisiche e chimiche talmente peculiari che rendono ad oggi impossibile ottenere in laboratorio una colorazione identica in tutte le sue sfaccettature, come discusso in numerosi articoli, elencati nelle referenze. Questa incapacità di replicare (e quindi falsificare) l’immagine sindonica impedisce di formulare un’ipotesi attendibile sul meccanismo di formazione dell’impronta. Di fatto, ad oggi la Scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone.
A parziale giustificazione, gli Scienziati lamentano l’impossibilità di effettuare misure dirette sul lenzuolo sindonico. Infatti, l’ultima analisi sperimentale in situ delle proprietà fisiche e chimiche dell’immagine corporea della Sindone fu effettuata nel lontano 1978 da un gruppo di 31 scienziati sotto l’egida dello Shroud of Turin Research Project, Inc. (STURP). Gli scienziati utilizzarono strumentazione all’avanguardia per l’epoca, messa a disposizione da diverse ditte produttrici per un valore commerciale di due milioni e mezzo di dollari, ed effettuarono numerose misure non distruttive di spettroscopia infrarossa, visibile e ultravioletta, di fluorescenza a raggi X, di termografia e pirolisi, di spettrometria di massa, di analisi micro-Raman, fotografia in trasmissione, microscopia, prelievo di fibrille e test microchimici”.
Le analisi effettuate sul telo sindonico non trovarono quantità significative di pigmenti (coloranti, vernici) né tracce di disegni. Sulla base dei risultati delle decine di misure effettuate, i ricercatori STURP conclusero che l’immagine corporea non è dipinta, né stampata, né ottenuta tramite riscaldamento. Inoltre, la colorazione dell’immagine risiede nella parte più esterna e superficiale delle fibrille che costituiscono i fili del tessuto di lino, e misure effettuate recentemente su frammenti di telo sindonico dimostrano che lo spessore di colorazione è estremamente sottile, pari a circa 200 nm = 200 miliardesimi di metro, ovvero un quinto di millesimo di millimetro, corrispondente allo spessore della cosiddetta parete cellulare primaria della singola fibrilla di lino. Ricordiamo che un singolo filo di lino è formato da circa 200 fibrille.
Altre importanti informazioni derivate dai risultati delle misure STURP sono le seguenti: Il sangue è umano, e non c’è immagine sotto le macchie di sangue; la sfumatura del colore contiene informazioni tridimensionali del corpo; le fibre colorate (di immagine) sono più fragili delle fibre non colorate; la colorazione superficiale delle fibrille di immagine deriva da un processo sconosciuto che ha causato ossidazione, disidratazione e coniugazione della struttura della cellulosa del lino. “In altre parole, la colorazione è conseguenza di un processo di invecchiamento accelerato del lino”.
Come già accennato, fino ad oggi tutti i tentativi di riprodurre un’immagine su lino avente le medesime caratteristiche sono falliti. Alcuni ricercatori hanno ottenuto immagini aventi un aspetto simile all’immagine sindonica, ma nessuno è mai riuscito a riprodurre simultaneamente tutte le caratteristiche microscopiche e macroscopiche. “In questo senso, l’origine dell’immagine sindonica è ancora sconosciuta.
Questo sembra essere il nodo centrale del cosiddetto “mistero della Sindone”: indipendentemente dall’età del lenzuolo sindonico, che sia medioevale (1260 – 1390) come risulta dalla controversa datazione al radiocarbonio o più antico come risulta da altre indagini, e indipendentemente dalla reale portata dei controversi documenti storici sull’esistenza della Sindone negli anni precedenti il 1260, la domanda più importante, la “domanda delle domande” rimane la stessa: come è stata generate l’immagine corporea sulla Sindone?”. Ci sono due possibilità, scrivono gli scienziati, su come il lenzuolo sindonico sia stato posto intorno al cadavere: posato sotto e sopra (non completamente a contatto con tutto il corpo irrigidito dal rigor mortis) oppure pigiato sul corpo e legato in modo da avere un contatto con quasi tutta la superficie corporea.
“La prima modalità è avvalorata dal fatto che esiste una precisa relazione tra l’intensità (sfumatura) dell’immagine e la distanza fra corpo e telo. Inoltre, l’immagine è presente anche nelle zone del corpo non a contatto con il telo, ad esempio immediatamente sopra e sotto le mani, e intorno la punta del naso. La seconda modalità è meno probabile perché sono assenti le deformazioni geometriche tipiche di un corpo a tre dimensioni riportato a contatto su un lenzuolo a due dimensioni. Inoltre, manca l’impronta dei fianchi del corpo. Di conseguenza, possiamo dedurre che l’immagine non si è formata dal contatto del lino con il corpo”.
E’ proprio questa osservazione, “unita alla estrema superficialità della colorazione e all’assenza di pigmenti” che “rende estremamente improbabile ottenere una immagine simil-sindonica tramite metodi chimici a contatto, sia in un moderno laboratorio, sia a maggior ragione da parte di un ipotetico falsario medioevale”. Sotto le macchie di sangue non c’è immagine. Questo significa che le tracce di sangue si sono depositate prima dell’immagine.
Quindi l’immagine si formò in un momento successivo alla deposizione del cadavere. Inoltre tutte le macchie di sangue hanno contorni ben definiti, senza sbavature, quindi si può ipotizzare che il cadavere non fu asportato dal lenzuolo. “Mancano segni di putrefazione in corrispondenza degli orifizi, che si manifestano dopo circa 40 ore dalla morte. Di conseguenza, l’immagine non dipende dai gas di putrefazione e il cadavere non rimase nel lenzuolo per più due giorni”.
Una della ipotesi relative alla formazione dell’immagine era quella di una forma di energia elettromagnetica (ad esempio un lampo di luce a corta lunghezza d’onda), che potrebbe avere i requisiti adatti a riprodurre le caratteristiche dell’immagine sindonica, quali la superficialità della colorazione, la sfumatura del colore, l’immagine anche nelle zone del corpo non a contatto con il telo e l’assenza di pigmenti sul telo.
I primi tentativi di riprodurre il volto sindonico tramite radiazione, utilizzarono un laser CO2 che hanno prodotto una immagine su un tessuto di lino simile a livello macroscopico. Tuttavia, l’analisi microscopica ha evidenziato una colorazione troppo profonda e molti fili di lino carbonizzati, caratteristiche incompatibili con l’immagine sindonica. Invece i risultati dell’Enea “dimostrano che un brevissimo e intenso lampo di radiazione VUV direzionale può colorare un tessuto di lino in modo da riprodurre molte delle peculiari caratteristiche della immagine corporea della Sindone di Torino, incluse la tonalità del colore, la colorazione superficiale delle fibrille più esterne della trama del lino, e l’assenza di fluorescenza”.
Tuttavia, avvertono gli scienziati dell’Enea, “va sottolineato che la potenza totale della radiazione VUV richiesta per colorare istantaneamente la superficie di un lino corrispondente ad un corpo umano di statura media, pari a IT superficie corporea = 2000 MW/cm2 17000 cm2 = 34mila miliardi di Watt rende oggi impraticabile la riproduzione dell’intera immagine sindonica usando un singolo laser eccimero, poiché questa potenza non può essere prodotta da nessuna sorgente di luce VUV costruita fino ad oggi (le più potenti reperibili sul mercato arrivano ad alcuni miliardi di Watt)”.
Però l’’immagine sindonica “presenta alcune caratteristiche che non siamo ancora riusciti a riprodurre, – ammettono – per esempio la sfumatura dell’immagine dovuta ad una diversa concentrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrille non colorate”. E avvertono: “Non siamo alla conclusione, stiamo componendo i tasselli di un puzzle scientifico affascinante e complesso”. L’enigma dell’origine dell’immagine della Sindone di Torino rimane ancora “una provocazione all’intelligenza”, come aveva detto Giovanni Paolo II.
Postato da: giacabi a 14:51 |
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sindone
MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE DAVANTI ALLA SACRA SINDONE
Cari amici,
questo è per me un momento molto atteso. In un’altra occasione mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come Successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità. Ringrazio Dio per il dono di questo pellegrinaggio, e anche per l’opportunità di condividere con voi una breve meditazione, che mi è stata suggerita dal sottotitolo di questa solenne Ostensione: “Il mistero del Sabato Santo”.
Si può dire che la Sindone sia l’Icona di questo mistero, l’Icona del Sabato Santo. Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio. Venuta la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato solenne di Pasqua, Giuseppe d’Arimatea, un ricco e autorevole membro del Sinedrio, chiese coraggiosamente a Ponzio Pilato di poter seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia a poca distanza dal Golgota.
Ottenuto il permesso, comprò un lenzuolo e, deposto il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con quel lenzuolo e lo mise in quella tomba (cfr Mc 15,42-46). Così riferisce il Vangelo di Marco, e con lui concordano gli altri Evangelisti. Da quel momento, Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel suo valore e nel suo significato.
Il Sabato Santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica Omelia: “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi” (Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte”.
Cari fratelli, nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità.
E tuttavia la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini.
Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo: “Passio Christi. Passio hominis”. E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale.
In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio.
E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi. Passio hominis”.
Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione. Ed ecco, mi sembra che guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede si percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore. Questo è il potere della Sindone: dal volto di questo “Uomo dei dolori”, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati - “Passio Christi. Passio hominis” - promana una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio.
Come parla la Sindone?
Parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.
Cari amici, lodiamo sempre il Signore per il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo, portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e di carità. Grazie.
© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana
Postato da: giacabi a 22:27 |
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benedettoxvi, sindone
Se la botanica studia la Sindone
La primavera di Gerusalemme
***
La primavera di Gerusalemme
***
di Tania Mann
Cristo Pantocrator
Monastero di Santa Caterina del Sinai
In sole cento pagine illustrate, Avinoam Danin, professore emerito del Dipartimento di Evoluzione sistematica ed ecologia della Università Ebraica di Gerusalemme affronta il compito ambizioso di rispondere a ogni domanda che si è posto in quattordici anni di ricerca sulla Sindone. Il libro Botany of the Shroud: The Story of Floral Images on the Shroud of Turin (Gerusalemme, Danin Publishing, 2010, pagine 104, dollari 25) descrive con chiarezza gli elementi dai quali deriva un insieme di importanti conclusioni.
Come spiega Danin, quanto è avvenuto sulla Sindone somiglia al processo dell'essiccamento dei fiori fra le pagine di un libro. Centinaia di immagini di piante sono rimaste impresse sul tessuto. Queste immagini, quindi, contribuiscono a determinare dove e quando quei fiori sono stati posti sul lenzuolo. Sono decifrabili anche le immagini di nove spine, per la maggior parte intorno al capo e alle spalle, di una canna posta lungo il corpo dell'Uomo della Sindone, e di circa 2.600 frutti sparsi su tutto il corpo. Sono inoltre visibili immagini parziali di una corda.
Danin cominciò a fare ricerche sulla Sindone nel 1995, quando vide alcune sue fotografie ingrandite. Riconobbe subito, al primo sguardo, immagini di piante dell'area di Gerusalemme. La lista dei successi di questo studioso, ampiamente pubblicati nel campo della botanica, specie a proposito di piante del Medio Oriente, è molto lunga. Basti dire che nei suoi quarantaquattro anni di carriera ha scoperto specie di piante mai rinvenute prima in Israele, sul Sinai e in Giordania e che la sua opera ha permesso la creazione di un database da cui si è potuta ricavare una mappa fitogeografica di Israele.
La prima conclusione che Danin ha tratto dalla sua ricerca botanica è che, apparendo negli stessi punti le immagini delle piante, sia sulle fotografie ricavate da differenti tecniche fotografiche, sia sul lino della Sindone, esse devono necessariamente essere vere e non sono state create artificiosamente dall'uno o dall'altro metodo fotografico. Fra le centinaia di immagini di fiori, Danin ha scelto per la propria ricerca quelle più utili come indicatori geografici nonché quelle di piante dai periodi di fioritura più specifici. Ha così concluso che "l'area in cui le tre piante fresche scelte come indicatori avrebbero potuto essere raccolte e poste sulla Sindone accanto al corpo dell'uomo crocifisso è quella compresa fra Gerusalemme e Hebron". Quanto ai periodi di fioritura, egli osserva che "marzo e aprile sono i mesi dell'anno in cui fioriscono dieci delle piante identificate sulla sindone".
A proposito delle spine, Danin presume che appartengano alle piante Ziziphus spina-christi e Rhamnus lycioides, che sono "importanti indicatori storici". Entrambe sono considerate fra le piante "più feroci" in Israele e le spine della seconda furono "utilizzate dagli agricoltori arabi come lame per l'aratro".
Le immagini della corda sulla Sindone mostrano che le funi erano fatte di fibre vegetali secondo un antico metodo utilizzato per migliaia di anni a Gerusalemme. Si ritiene che questa corda sia stata quella con cui l'Uomo della Sindone venne legato sulla croce. La sindonologia, ovvero lo studio della sindone, ha sempre affascinato da un punto di vista botanico Danin, che afferma di non essere minimamente interessato a un suo eventuale significato religioso.
Riferendo la conversazione avuta nel 2000 con l'allora nunzio apostolico di Gerusalemme, Danin scrive: "Gli dimostrai il mio entusiasmo per aver visto sulla sindone le immagini delle piante che avevo visto anche sulle fotografie. Gli dissi che non provavo alcuna emozione particolare verso quell'oggetto venerato da milioni di persone(...) e nel dire questo mi sentii quasi in dovere di giustificarmi. Mi rispose di proseguire le mie ricerche perché se non fossi stato ebreo, ma cristiano, pochi mi avrebbero creduto".
Da allora, gli anni di ricerca di Danin come sindonologo lo hanno portato a concludere che il lenzuolo per la sepoltura esisteva già nell'viii secolo e anche che "la grande somiglianza del volto dell'Uomo della Sindone con un'icona del Pantocrator nel monastero di Santa Caterina, sul Sinai" rivela la conoscenza della Sindone già intorno al 550.
Quella che il botanico definisce "era olografica" della sindonologia cominciò nel 2007 e implicò la collaborazione del dottor Petrus Soons, creatore, insieme con i suoi collaboratori del Dutch Holographic Laboratory, a Eindhoven, di ologrammi tridimensionali della sindone. Durante quel periodo Danin poté osservare "un tappeto quasi omogeneo" di più di trecento corolle di fiori poste ordinatamente intorno al capo dell'Uomo della Sindone.
Un'altra scoperta, scaturita dalla collaborazione con Soons, è la presenza di un elmetto di spine, quindi non di una corona, utilizzato per torturare l'uomo. Soons ha spiegato che "quando ha creato ologrammi a grandezza naturale e li ha esposti presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, a Roma, hanno dovuto prendere una scala per vedere la sommità del capo. Questa parte del corpo dell'Uomo della Sindone prima non era mai stata vista da nessuno". Lì Soons osservò tante piccole ferite che avevano sanguinato e che sulla fronte non erano visibili.
Il valore di queste conclusioni è di fatto immenso. Ognuna di queste osservazioni scientifiche ricorda una sofferenza analoga a quella di Cristo: alla sua passione e alla sua crocifissione così come sono state commemorate nei giorni di Pasqua dalla Chiesa in tutto il mondo. La ricerca di Danin, accompagnata da quella di altri sindonologi, può dunque contribuire a rivelare solo una realtà fisica mentre il credente è spinto a meditare su una verità trascendente: la morte e la resurrezione di Cristo. Con le parole di Papa Giovanni Paolo ii: "La Sindone ci presenta Gesù al momento della sua massima impotenza, e ci ricorda che nell'annullamento di quella morte sta la salvezza del mondo intero" (cfr. Discorso in occasione della visita pastorale a Vercelli e a Torino, 24 maggio 1998). Infatti quando i cristiani parlano della Sindone, parlano del lenzuolo autentico in cui fu avvolto l'unico essere umano che abbia mai spezzato le catene della morte. È un reperto concreto del suo straordinario stato temporaneo di morte - "il mistero del Sabato Santo", ha detto Benedetto XVI nella sua visita del 2 maggio. Così "La Sindone - proseguiva Papa Wojtyla - diventa un invito a vivere ogni esperienza, compresa quella della sofferenza e della suprema impotenza, nell'atteggiamento di chi crede che l'amore misericordioso di Dio vince ogni povertà, ogni condizionamento, ogni tentazione di disperazione".
(©L'Osservatore Romano 12 maggio 2010)
Postato da: giacabi a 20:39 |
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La Sindone ai tempi del 3d
di David Rolfe Ho numerose ragioni per essere grato all'Uomo della Sindone. Ho prodotto il mio primo documentario sull'argomento, The Silent Witness, (titolo italiano: Il testimone silenzioso) nel 1977. Ateo convinto e consapevole dell'esistenza di numerose reliquie false, avevo deciso di scoprire e mostrare come e da chi era stata contraffatta la Sindone. Non potevo pensare che ci fosse un'altra spiegazione.
In quell'epoca pre-internettiana era possibile che ci fossero speciali gruppi di interesse isolati totalmente ignari dell'esistenza di altri che, altrove, si occupavano dello stesso argomento. Come avrei poi scoperto, c'erano molti gruppi e singoli individui interessati a diversi aspetti degli studi sulla Sindone. I miei viaggi di ricerca per il documentario hanno contribuito a metterli in contatto fra loro e, nel corso dell'operazione, le varie prove hanno cominciato a combaciare perfettamente.
Per esempio, lo storico Ian Wilson, utilizzando la sua conoscenza delle raffigurazioni artistiche di Cristo, ha formulato idee sul collegamento con il Mandylion di Edessa. Max Frei, botanico e perito giudiziario, ha completato la sua identificazione dei tipi di polline presenti sulla Sindone, che appartenevano anche ad alcune piante della regione di Edessa. Il mio documentario ha mostrato, per la prima volta, le prove raccolte da quei gruppi e, lungi dal rivelare la contraffazione, è divenuto un argomento affascinante per la probabile autenticità della Sindone. Il documentario ha vinto il British Academy Award e molti altri premi internazionali. Avevo ventisei anni e quel lavoro fece decollare la mia carriera. Questo è un buon motivo per essere grato all'Uomo della Sindone.
Scoprire e raccontare questa storia mi ha portato in Medio Oriente, in Anatolia, a Istanbul e in varie città europee e statunitensi. Mi sono fatto numerosi amici (e alcuni nemici) e ho raccolto storie da narrare. Il mio breve libro sulla produzione del documentario è divenuto un best seller nel Regno Unito. Ecco, dunque, altri motivi di gratitudine.
La Sindone è entrata a far parte del corso di studi in molte scuole. Il documentario è divenuto un prerequisito per studi religiosi nel Regno Unito e altrove. Quale miglior modo per affascinare i bambini del grande giallo della Sindone? Storia, fisica, religione, chimica, biologia, anatomia, arte, tessitura e molte altre materie entrano in gioco e, al centro della storia, ci sono due domande valide. La persona impressa sul tessuto chi potrebbe essere se non il fondatore del Cristianesimo? E il processo che ha prodotto l'immagine potrebbe essere forse niente di meno che una funzione dell'evento che ha cambiato il mondo, la Resurrezione? È stato "un dono dal cielo" per gli insegnanti.
Noterete da come mi esprimo che nel corso della produzione sono divenuto credente e cristiano. È difficile studiare la Sindone per tanto tempo senza diventarlo. Questo non riguarda tanto aspetti oggettivi, sebbene siano piuttosto impressionanti, quanto soggettivi. La sua sottile immagine monocromatica è un'opera di genio sublime nel comunicare l'essenza del momento storico in cui è nato il Cristianesimo, attraverso le azioni di Gesù di Nazaret. Se un giorno, in un angolo della Sindone si scoprissero le iniziali del contraffattore, nulla cambierebbe nella mia fede. Questo è il motivo più importante per cui sono grato all'Uomo della Sindone. (Dovrei aggiungere anche che nella Chiesa ho conosciuto mia moglie!).
Nel 2008 ho prodotto un nuovo documentario per la Bbc e per la Rai sulla tensione attuale fra i risultati del test del c14, risalente a vent'anni fa, e i nuovi studi sulla Sindone. A Torino mi è stato permesso di avere un accesso privilegiato alla Sindone per filmarla in alta definizione per la prima volta. Poco dopo mi è stato chiesto di girare il documentario ufficiale per commemorare l'esposizione attuale: l'ho intitolato Shroud.
La rivoluzione digitale ha reso possibile a un regista concepire una serie di immagini e sapere che la tecnologia, in mani esperte, può renderle reali. La Sindone è un soggetto unico e adatto a essere ripresa in 3d perché contiene già in se elementi tridimensionali. Il nuovo documentario si pone la domanda legittima: è questa l'epoca per la quale è nata la Sindone?
Il mio prossimo obiettivo sarà trovare un modo per portare la storia della Sindone a un pubblico più ampio in tutto il mondo.
da:http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/index.html#top
Postato da: giacabi a 14:59 |
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SINDONE
Tornielli (Il Giornale):
ecco perché credere che quel telo ha coperto Gesù è ragionevole
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Cultura INT.
Andrea Tornielli
giovedì 22 aprile 2010
Nella confusione del dibattito scientifico sull'autenticità o meno della Sindone interviene Andrea Tornielli, vaticanista del Giornale. «In ogni caso è necessario un approccio multidisciplinare. Altrimenti si finisce per affermare che la scienza ha dimostrato che la Sindone è un falso medievale a partire dal risultato del radiocarbonio». L’uomo della Sindone, dice Tornielli, è realmente Gesù di Nazareth.
Tornielli, quando comincia l’interesse scientifico attorno alla Sindone?
Sul finire del 1800, quando un fotografo dilettante, che di mestiere faceva l’avvocato, fotografa la reliquia che fino a quel momento era esclusivamente un oggetto di culto venerato dai cristiani. L’improvvisato fotografo si accorge che sopra la lastra negativa c’è l’immagine in positivo. Tanto è vero che sono quelle nere le raffigurazioni in cui si vede il volto bianco. Da questo momento si avvia l’interesse, cui seguono le ricerche negli anni ’70. È il periodo in cui si crea un pool di scienziati. Scattano i prelevamenti dei campioni e le analisi. La Sindone viene addirittura lasciata due giorni nelle loro mani affinché possano esaminarla.
Da questi esami emergono dubbi e scetticismi sull’autenticità del lenzuolo. Si parla addirittura di falso medievale.
Il discrimine della grande polemica è la datazione a radiocarbonio del 1988. Commissionata a tre differenti laboratori: Oxford, Zurigo e Tucson in Arizona. Secondo i loro risultati si stabilisce un’età compresa tra il 1260 e il 1390, dunque una datazione medievale. Giusto per chiarezza ricordo l’ultima pubblicazione del Sis Magazine (rivista scientifica di statistica, ndr), dove quattro docenti universitari, tre italiani e un inglese, dimostrano la non-attendibilità del risultato del 1988. Individuano un trend lineare secondo il quale trasferendo questi dati (la datazione emersa da quei 4 cm di lenzuolo) a tutto il lenzuolo ne risulta una variazione di data che va dall’anno 33 d.C. al 20000 d.C. Evidentemente il risultato del 1988 è sballato.
Si tratta di un errore?
I laboratori hanno operato abbastanza bene, almeno nella fase di campionatura vera e propria. Mentre nella fase di rielaborazione dei dati qualcosa è successo di certo.
In che senso?
Fu prelevato un pezzo dall’angolo superiore a sinistra in prossimità dell’impronta frontale dei piedi di Gesù. E venne sezionato in almeno 6 pezzi, a ciascuno dei laboratori ne venne consegnato uno. Al termine della prima fase di esami i tre laboratori, causa problemi matematici nei risultati, si consultarono fra loro. Sta di fatto che il risultato, ormai inquinato, venne alterato. La cosa interessante, però, è che non sono stati presi tre campioni da punti diversi del lenzuolo, ma da un unico angolo. Ricerche del chimico americano Raymond Rogers (quello che aveva bombardato la Sindone con gli ultravioletti) dimostrano come proprio quell’angolo lì sia uno dei più contaminati.
Per quale motivo quello è l’angolo più contaminato?
Siamo nel campo delle spiegazioni possibili. Willard Frank Libby, premio Nobel 1960 per la chimica grazie all’invenzione del carbonio 14, diceva che era impossibile datare qualcosa di cui
non si poteva ricostruire la storia delle contaminazioni. In più per il telo di lino è particolarmente difficile: se poi è stato esposto a ostensioni, al fuoco delle candele, se è stato toccato dai fedeli e sottoposto a un incendio (nel 1532 a Chambéry) la situazione si complica. Non possiamo sapere a che livello è arrivata la contaminazione.
Il chimico Raymond Rogers ha scoperto le zone di rammendo invisibile…
Ha individuato proprio nella zona del campione prelevata per il radiocarbonio del 1988 delle inserzioni di rammendo invisibile con filo di cotone. I medievali erano in grado di fare rammendi e cucire un buco che si fosse aperto senza lasciarne traccia. Il cosiddetto rammendo invisibile, che si otteneva attorcigliando parte del filo della stoffa preesistente con quello che veniva aggiunto per creare la toppa o il rammendo. Rogers ha dimostrato che esistono tracce di filo di cotone sulla Sindone (tessuta con filo di lino), quindi il rammendo è datato molto dopo. Al tempo in cui le suore clarisse del monastero di Chambéry, in seguito all’incendio del 1532, mettono le toppe a tutti i buchi. Toppe che oggi non ci sono più, perché tolte nel corso della restauro del 2002. L’ effetto (hanno messo un telo bianco come fondo) l’ha resa più chiara e meno visibile.
Si parla molto di manipolazioni ad opera di lobby sul sacro lenzuolo. Cosa c’è di vero?
Sulle lobby non dico niente. Certo è che ci sono forti dubbi su come sono stati lavorati quei dati. Perché, comunque, c’è un problema dimostrato dagli statistici del Sis Magazine e da altri professori della “Sapienza” di Roma un paio di anni fa. Che hanno dimostrato che è stato cambiato un numero per fare arrivare la soglia di attendibilità di tutto il ragionamento dall’1 al 5%, vale a dire la soglia minima per poter presentare l’esame scientificamente.
Tirando le somme, come bisogna lavorare su questa reliquia?
In ogni caso è necessario un approccio multidisciplinare. Altrimenti si finisce per affermare che la scienza ha dimostrato che la Sindone è un falso medievale a partire dal risultato del radiocarbonio. E poi non si riesce a spiegare come si sia prodotta l’immagine, come questo falsario avrebbe riprodotto nell’immagine, non si sa come, le caratteristiche storico-archeologiche della crocifissione non di un uomo qualsiasi ma di Gesù con delle modalità diverse da quelle conosciute nel Medioevo e dall’iconografia classica.
Ovvero?
Parlo di chiodi sui polsi, invece che sul palmo. Della corona di spine, un casco completo, invece di un “serto” che è una striscia.
In uno dei suoi articoli sul Giornale lei paragona questo pseudo-falsario medievale a Superman...
Sì. Perché il falsario medievale avrebbe dovuto cospargere la Sindone di pollini che per tre quarti appartengono all’area mediorientale e in alcuni casi reperibili solo nella zona di Gerusalemme. E poi il falsario medievale avrebbe dovuto saper distinguere tre tipi di sangue: venoso, arterioso e post-mortem, che sono quelli individuati sul lenzuolo. A parte gli scherzi, checché ne dicano Garlaschelli e il Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) la scienza non è mai riuscita a riprodurne una copia. Quelle di Garlaschelli non sono solo brutte, sono pessime. Non reggono il confronto a occhio nudo, figurarsi al microscopio. Garlaschelli ha ottenuto la sua copia, usando un modello e strofinando poi dall’esterno con dell’ocra. L’immagine che si è formata è stata costruita dall’esterno.
Mentre l’immagine della Sindone…
…è formata da dentro, quasi fosse un’impronta o un’irradiazione al lenzuolo. In più, secondo la copia di Garlaschelli, il volto restituito dal color ocra è deforme. Ed è inevitabile, dato che si è avvolto un volto con un lenzuolo e dopo averlo disteso il risultato era un’oscenità. Al contrario nella Sindone il volto ha caratteristiche tridimensionali al pari di una proiezione sul lenzuolo. Non contento Garlaschelli ha tentato anche di rifare le macchie di sangue mettendole al posto giusto. Peccato che nel sacro lenzuolo, ed è provato scientificamente, le macchie si sono trasferite prima dell’immagine.
Può spiegarsi?
I decalchi di sangue sono trasferiti prima sul lenzuolo. E lo sappiamo perché sotto le macchie non c’è immagine. Il sangue ha fatto da schermo. Dunque prima si è trasferito il sangue che si è mescolato al lino e ha incollato i fili, poi c’è stata l’immagine, non con una pittura, bensì un’ossidazione, una disidratazione in ogni singola fibra di lino ma a un livello totalmente superficiale, nell’ordine dei millimetri). Per darne un’idea fisica: se lo spessore del lino fosse il mio braccio l’immagine interessa solo i peli. I fisici dell’Enea di Frascati hanno ottenuto qualcosa di simile, bombardando con un laser a eccimeri, per cui con raggi di luce potentissimi e velocissimi, del tessuto. Solo così sono riusciti a ottenere una colorazione simile a quella dell’immagine della Sindone.
Un’«esplosione di luce» all’origine dell’immagine, giusto?
È un’ipotesi, quella che si avvicina di più alla verità. Gli scienziati fanno le loro prove. Nessuno, comunque, è riuscito a ottenere una copia della Sindone. Che la scienza non sia ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine, pone un problema alla stessa radiazione del radiocarbonio. Perché si data un fenomeno che ancora non si è riusciti a riprodurre in laboratorio? Torno a ripetere che l’approccio necessario è quello multidisciplinare. E, anche solo per un calcolo di probabilità, la Sindone è al 99,9% autentica. Quello è il lenzuolo che nel primo secolo d.C. ha avvolto il corpo di Gesù Cristo.
Come spiega le posizioni del Cicap, oltre a tutte le altre riserve che fanno leva sulla discordanza dei dati, o si appoggiano alla parzialità di alcuni dati scientifici - come Wikipedia quando cita le analisi al Carbonio 14 - per negare l’autenticità del lenzuolo?
Strumentalizzazioni. Avevo molta stima del Cicap per la loro attività nello smascherare il paranormale. Ma vedendo come hanno lavorato sulla Sindone, con quel trionfalismo tronfio e scientista con cui sbandierano risultati che sono ridicoli, quando ho visto questo ho messo in dubbio tutto il loro lavoro. Finiranno per farmi credere anche nei fantasmi e negli astrologi se vanno avanti così. Quelli che si battono contro l’autenticità della Sindone sono un gruppo di persone finanziate dall’Unione Atei e razionalisti italiani. Il problema è che non svolgono questi studi con l’ipotesi di un aiuto alla ricerca. Li sbandierano come risultati. Che in realtà non dimostrano niente. Perché, riproducendo la Sindone, che cosa si dimostra? Solo che l’hai riprodotta, non che è falsa.
Lei ha scritto Inchiesta sul Mistero. Come nasce il suo libro?
Parto dalla Sindone. Un telo di lino, un tessuto a spina di pesce con un filo a torcitura “Z” da un telaio antico rudimentale. Un tipo di tessitura pregiato, ricercato, quasi regale. Che studi su tessuti hanno affermato che si suppone sia la stoffa usata per le vesti del sommo sacerdote. Fatto sta che Giuseppe d’Arimatea porta non un lenzuolo funebre ma una stoffa pregiata e Gesù ha una sepoltura regale. Altra caratteristica: sempre in queste tessiture manuali la successiva tessitura contiene, tra la trama e l’ordito della nuova, tracce e microtracce della precedente. Se hai tessuto una tunica di lana, poi tessi la Sindone di lino, sicuramente nel lino rimane una microtraccia di lana. La curiosità è che il lino della Sindone presenta microtracce di cotone (che risale alla Palestina del I sec d.C.), ma non ha neanche un micron di lana, e questa è una stranezza perché la lana era il tessuto più usato all’epoca. Una stranezza, se non ipotizziamo che la Sindone sia stata tessuta in area mediorientale, di preciso in area ebraica. Come dice il Deuteronomio (22,11) “non porterai una veste tessuta di lana e lino insieme”. Perché la lana proviene da un animale mentre il lino è un vegetale. Ed è per questo che gli ebrei usavano telai diversi, in uno potevano tessere il lino e il cotone, nell’altro la lana. Poi le grandi striature, le bruciature, i fori dovuti all’incendio di Chambéry e anche a danneggiamenti precedenti. Tre forellini che si ripetono simmetrici, che noi ritroviamo nel Pray, il manoscritto del 1191 conservato a Budapest, dove c’è una miniatura della resurrezione di Gesù e si vede la Sindone con tessuto a spina di pesce e questi forellini. Significa che era un danneggiamento avvenuto prima di quelle date con cui si vorrebbe provare la non autenticità.
Dove vediamo le macchie di sangue? A quali ferite corrispondono?
C’è un “tre” rovesciato che corrisponde esattamente alla vena frontale con una colatura di sangue abbondante ma che scende lentamente; c’è una macchia sui capelli, uno schizzo sottile (di sangue arterioso). Infine c’è la ferita sul costato destro, abbondantissima fuoriuscita di sangue già coagulato e separato dal siero (sangue post-mortem). La ferita è stata procurata da un oggetto appuntito: un’asta (ellisse maggiore di 4 cm e minore di 3 cm). Una ferita i cui lembi sono rimasti aperti. Sangue e siero,come dice il vangelo di Giovanni: “Ne uscì sangue e acqua”. Inoltre l’uomo della Sindone ha circa 30 fori dovuti alle spine e ha i segni di almeno 120 colpi di flagello (composto da un pezzo di bastone e cuoio da cui si dipartivano due o tre strisce di cuoio all’estremità delle quali c’erano una coppia di sfere di metallo oppure una punta di osso. Uno strumento dolorosissimo. I colpi sono stati dati da due direzioni diverse con Gesù al centro).
Come si è visto nel film The Passion…
…esatto. Il minimo è 120 colpi, almeno quelli che riusciamo a contare davanti e sul retro. Ma dell’impronta della Sindone ci manca la parte laterale. Quindi ne dobbiamo ipotizzare di più. Inoltre nell’impronta dell’uomo della Sindone ci sono tracce anche di terriccio nella zona dei piedi, delle ginocchia e sulla punta del naso (analisi di un cristallografo americano) e questo terriccio contiene una quantità di aragonite che ha le stesse caratteristiche di impurità, in percentuale identica, di quella contenuta nel terriccio delle grotte di Gerusalemme. Il fatto che ci sia del terriccio sul naso fa capire che Gesù, l’uomo della Sindone, è caduto durante il percorso che portava al patibolo.
(Stefano Regondi)
Postato da: giacabi a 14:21 |
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La Sindone
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SINDONE/ Zaccone (Centro Internazionale Sindonologia): ecco la vera storia del Lenzuolo che percorse l'Europa
venerdì 9 aprile 2010
Comincia
domani, 10 aprile, la nuova ostensione della Sacra Sindone. Il
Sudario potrà essere visitato dal pubblico fino al 23 maggio. Il 2
maggio si recherà in visita il Santo Padre Benedetto XVI, nell’ambito
della sua visita pastorale alla città di Torino. Questa esposizione
della Sindone segue quella del Giubileo del 2000 e quella del 1998; la
precedente risale a vent’anni prima, cioè al 1978.
Dalle
prime testimonianze accertate, intorno alla metà del XIV secolo, cioè
quando Geoffroy de Charny depositò nella sua chiesa di Liray, in
Francia, il lenzuolo, fino al restauro conservativo del 2002, la
Sindone racconta una lunga storia. Ilsussidiario.net la ripercorre con
Gian Maria Zaccone, vicedirettore del Centro internazionale di
Sindonologia e direttore del Museo della Sindone.
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Negli
anni intorno al 1356, a Lirey in Francia, un nobile personaggio,
Geoffroy de Charny, all’epoca una delle figure di rilievo del Regno di
Francia, depositava presso la chiesa da lui stesso fondata un lungo
lenzuolo di lino sul quale si poteva vedere quella che venne subito
interpretata come l’impronta di Cristo crocifisso e morto.
È questa la data a partire dalla quale la Sindone che nel 1578 giungerà a Torino presenta
una storia documentata, tale da permettere di ricostruirne con
certezza spostamenti e vicissitudini, in modo da escludere la
possibilità che vi sia stata una qualsiasi sostituzione, da allora
sino ad oggi.
Il
periodo della Sindone a Lirey è accompagnato da una significativa
presenza di testimonianze documentarie e iconografiche, che
testimoniano l’interesse immediato suscitato dalla sua comparsa, pur tra
le questioni e perplessità suscitate dall’insolito e particolare
oggetto.
Ceduta dall’ultima discendente di Geoffroy ai Savoia nel 1453, la Sindone rimase di loro proprietà sino al 1983, quando
fu destinata per testamento da Umberto II di Savoia alla Santa Sede.
Nel 1506, anno in cui ne vennero approvati il culto pubblico e
l’ufficio, la Sindone fu stabilmente riposta nella Sainte-Chapelle di
Chambéry. Qui la notte del 4 dicembre 1532 scoppiò l’incendio dal
quale il Lenzuolo fu salvato a fatica, ma non prima che si
verificassero i danni ancor oggi ben visibili.
Tornata
a Chambéry dopo il lungo peregrinare dovuto all’occupazione del
Ducato sabaudo durante le guerre tra Francesco I e Carlo V in cui fu
coinvolto il duca Carlo II di Savoia, nel 1578 la Sindone venne
spostata a Torino. Fu Emanuele Filiberto, nella sua opera di
riorganizzazione del Ducato, a trasferire il centro di comando dei suoi
domini a Torino, e con questo anche la Sindone, considerata il
“palladio” legittimante della casa e dello Stato.
Dopo
varie collocazioni provvisorie, nel 1694 il Lenzuolo trovò la
sistemazione definitiva nella Cappella del Guarini. Lì è stata, salvo
alcuni periodi nei quali fu messa al sicuro da pericoli bellici, sino
al 1993, quando, per permettere i restauri della Cappella, è stata
trasferita nella teca dietro l’altar maggiore del Duomo. Di qui è stata
asportata la notte dell’11 aprile 1997, a seguito dell’incendio che ha
gravemente danneggiato la Cappella del Guarini, ed ha anche
minacciato l’integrità del Lenzuolo, rimasto comunque fortunatamente
indenne.
Al
termine dell’ultima ostensione (2000) il Lenzuolo è stato
definitivamente sistemato, completamente disteso, nella sua nuova teca
- lunga oltre cinque metri, che permette di garantire i necessari
parametri ambientali e di sicurezza per una sua ottimale conservazione.
La teca a sua volta è stata collocata nella cappella del transetto
sinistro del Duomo di Torino, appositamente ristrutturata per
contenere anche i complessi apparati che consentono di mantenere i
parametri citati.
Nel
2002 il programma scientifico per la conservazione della Sindone è
stato completato con gli interventi autorizzati dalla Santa Sede che
hanno liberato la Sindone dalle tensioni dovute ai restauri effettuati
Clarisse di Chambéry nel 1534, su cui nel tempo si erano inseriti
numerosi ulteriori interventi, che avevano reso estremamente instabile
l’insieme Sindone-toppe-telo di rinforzo
L’esistenza
della Sindone è stata scandita nel tempo dalle ostensioni, sino al
‘700 periodiche, ed in seguito celebrate solo più per solennizzare
eventi dinastici o di particolare rilievo. Durante l’ostensione del
1898 Secondo Pia ebbe l’autorizzazione di effettuare, per la prima volta
nella storia, la fotografia della Sindone. Il risultato, che come
noto rivelò l’insospettato comportamento di negativo fotografico
dell’impronta sindonica, diede origine alla stagione degli studi
scientifici sulla Sindone. Nel secolo scorso la Sindone è stata
pubblicamente esposta nel 1931, 1933, 1978, 1998 e 2000. È inoltre da
ricordare l’ostensione televisiva del 1973. La prossima ostensione è
prevista per la primavera 2010.
Per
quanto riguarda invece il periodo precedente alla comparsa in
Francia, non abbiamo alcuna certezza, ma solo un certo numero di
ipotesi che presentano dei risvolti abbastanza interessanti,
soprattutto come spunti di ricerca, nel tentativo di accertare la
compatibilità, dal punto di vista storico, con la tradizione che vuole
essere la Sindone il lenzuolo funerario di Cristo.
A
parte le testimonianze piuttosto generiche ma abbastanza concordanti
circa la possibile conservazione del corredo funerario di Cristo, la
ricerca storica oggi tende ad approfondire l’ipotesi che la Sindone
possa in qualche modo essere collegata al venerato “Mandilion” di
Edessa. Come noto il “Mandilion” è tradizionalmente un piccolo
asciugamano contenente l’immagine del volto di Cristo. Un’antica
tradizione vuole che l’impronta sia stata miracolosamente impressa
dallo stesso Gesù.
Alcune
ricerche hanno tuttavia portato ad evidenziare delle fonti che
farebbero pensare che quel “Mandilion” fosse di dimensioni ben
maggiori, e che non custodisse solo la figura di un volto, ma anche
quella di un corpo, mentre altri testi ipotizzano che l’immagine si
fosse formata durante la passione per effetto del sudore e del sangue.
Su queste basi è stata presa in considerazione l’ipotesi che il
“Mandilion”, pur conservando l’impronta di un intero corpo, sia stato
ripiegato in modo da offrire alla vista solo il volto. In questo modo
l’ipotesi di un’identità tra Mandilion e Sindone diventerebbe
suggestiva, anche se al momento sussistono serie obiezioni a tale
interpretazione.
Nel
1203-4, durante la IV crociata, il cavaliere piccardo Robert de Clari
afferma di aver venerato in una chiesa di Costantinopoli una sindone
sulla quale era visibile l’impronta di tutto il corpo di Gesù. Dopo il
saccheggio della città tuttavia tale Sindone scomparve, e, continua
Robert de Clari, non se ne ebbero più notizie.
Dai
dati che abbiamo non possiamo con sicurezza affermare che si
trattasse della stessa Sindone che apparirà più tardi in Francia, però
la notizia è egualmente molto interessante in quanto documenta con
certezza l’esistenza di una Sindone figurata a Costantinopoli. Non si
deve sottovalutare in questo senso una miniatura di area bizantina,
contenuta in un codice della fine del XII secolo, il cosiddetto
Manoscritto Pray, dove nelle due scene giustapposte della sepoltura di
Cristo e della visita delle mirofore sembrano potersi cogliere
espliciti riferimenti alla Sindone oggi a Torino.
Ma
ipotizzando che quella descritta da Robert de Clari fosse la Sindone
che giungerà in Francia, quale può essere stato il percorso? Due sono
le ipotesi su cui si è maggiormente soffermata l’attenzione degli
studiosi. Quella legata ad un possibile intervento dei Templari poggia
su basi documentarie assai labili e pare al momento difficilmente
percorribile.
La
seconda, più interessante, confortata da documenti tuttavia ancora da
verificare nella loro completezza, presuppone un passaggio in Grecia,
dove vi furono insediamenti importanti di feudatari latini, tra cui i
citati Charny.
Dobbiamo,
quindi, constatare che sulla base delle fonti documentarie che
certamente si riferiscono alla Sindone di Torino non possiamo andare,
da un punto di vista strettamente storico, oltre la metà del XIV
secolo.
Tuttavia
questo silenzio delle fonti non si può interpretare quale
inappellabile sentenza circa l’impossibilità di far risalire la
Sindone ad epoca anteriore a quella medievale, anche perché, come si è
visto, alcune piste di indagine sono aperte ed invitano a ricercare
ulteriori elementi. Né va dimenticato che alcuni elementi relativi
all’iconografia del Cristo ed alle antiche rappresentazioni della sua
sepoltura sembrano contenere un rimando suggestivo alla Sindone di
Torino.
Altre
strade, quindi, sono state battute e devono essere battute,
specialmente considerando l’esigenza del confronto diretto con il
Lenzuolo, dal quale principalmente dobbiamo attendere delle risposte
agli interrogativi di carattere scientifico.
(Gian Maria Zaccone)
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La Sindone ci guarda dentro
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In anteprima il nuovo libro di Baima Bollone. Tra storia e scienza, alla vigilia dell’ostensioneIl volto della Sindone nell’elaborazione tridimensionale di Nello Balossino PIERLUIGI BAIMA BOLLONE Il brano che qui anticipiamo è tratto dalle Conclusioni di Sindone. Storia e scienza, 2010, il testo più completo e aggiornato sui risultati delle ricerche storiche e della indagini scientifiche intorno al discusso reperto. Lo ha scritto Pierluigi Baima Bollone, già titolare della cattedra di Medicina legale a Torino e ora professore emerito, nonché autorevole sindonologo. Il volume, di 335 pagine, è edito da La Stampa con Priuli & Verlucca e sarà distribuito, a e9,90 più il prezzo del giornale, da mercoledì 31 marzo nelle edicole di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Su richiesta nel resto d’Italia. Tra i reperti di maggior pregio è esposto il coperchio di legno di una cassa ritrovato tra i materiali di reimpiego del tetto, dove forse era stato intenzionalmente celato dopo essere stato ricoperto di stucco, di quella che fu una caserma di questo ordine religioso militare nel villaggio inglese di Templecombe, nel Somerset in Inghilterra. Le dimensioni paiono corrispondere a quelle della Sindone ripiegata su se stessa. Sulla faccia anteriore del pannello è dipinto un volto, al centro di una decorazione a fiori di giglio di tipo francese. Secondo molti specialisti, sarebbe il coperchio di un contenitore del telo e proverebbe che esso fu davvero in mani templari.Le fotografie non rendono giustizia a questo volto. Visto da vicino, mostra la capigliatura abbondante, l’ampia fronte, uno spazio aperto tra le sopracciglia, la bocca dalle grandi labbra leggermente storta, con baffi e barba che ricordano veramente da vicino il volto della Sindone.[...] Che il volto della Sindone fosse conosciuto nei secoli centrali del primo millennio ha una importante conferma numismatica. Nel 691-692 l’imperatore bizantino Giustiniano II favorisce la decisione del Concilio Trullano o Quinisesto che Cristo venga rappresentato come uomo e non più con simboli come avvenuto fino ad allora. In ossequio a tali disposizioni conciliari Giustiniano fa rappresentare per la prima volta con impressionante realismo il volto di Gesù che vediamo sulla Sindone.Poiché questa è un originale e non una copia, se ne trae il ragionevole convincimento che già all’epoca fosse ben conosciuta. Quanto poi al passaggio da Edessa a Costantinopoli, sappiamo che dal 670 è conservato nella chiesa di Santa Sofia di Urfa il Mandylion che in aramaico, greco e arabo ha il significato della moderna parola di foulard. Vi sono indizi per ipotizzare che il Mandylion fosse proprio la Sindone ripiegata quattro volte su se stessa e sistemata in un reliquiario che ne lasciava vedere soltanto il volto. Nei quattro secoli e mezzo tra il 544 e il 994 la notorietà del Mandylion si diffonde a tutto l’impero di Bisanzio. L’autorità centrale non può ignorarlo. L’imperatore Romano I Lecapeno (920-944) nell’ultimo anno del suo regno invia il generale Giovanni Curcas che con un breve assedio costringe la città a cedere il reperto. Con un viaggio trionfale l’immagine viene portata a Costantinopoli dove giunge il 15 agosto. Vi rimarrà per oltre due secoli, sino al saccheggio della città da parte delle armate della IV Crociata del 1204. Da allora, per circa un secolo e mezzo, non se ne sa più nulla e una delle ipotesi è che sia caduta nelle mani dei Templari che l’hanno gelosamente conservata per circa cent’anni sino allo scioglimento dell’Ordine disposto da Filippo II agli inizi del XIV secolo. Per questa ragione il pannello di Templecombe da cui siamo partiti potrebbe essere significativo. Difficile, salvo scoperte oggi imprevedibili, che si possano trovare riscontri diretti di questa ipotesi. Essa non è certo l’unica per giustificare l’arrivo del lenzuolo in Europa. Sta di fatto che intorno alla metà del XIV secolo la Sindone compare a Lirey in Champagne, nelle mani della famiglia Charny. Il 22 marzo 1453 l’ultima erede Margherita la cede certo non disinteressatamente al duca Ludovico di Savoia e alla sua consorte Anna di Lusignano. Da allora resta di proprietà della Casa di Savoia per ben 530 anni. Agli inizi del XVI secolo viene collocata stabilmente a Chambéry, in una cappella all’interno del Palazzo Ducale costruita appositamente. La notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532 un incendio di notevoli proporzioni distrugge la cappella, fonde il reliquiario in cui è conservato il prezioso lenzuolo piegato su se stesso in 48, ne distrugge un angolo e ne strina un margine. Nel 1534 si devono far eseguire lavori di riparazione alle suore Clarisse di Chambéry che applicano grandi toppe sulle perdite di sostanza principali e cuciono il lenzuolo originale su una tela di supporto di lino proveniente dall’Olanda. Nel 1578 Emanuele Filiberto trasporta la Sindone a Torino per rendere omaggio a Carlo Borromeo che la vuole raggiungere a piedi da Milano, onde sciogliere il voto fatto durante la grande peste del 1576-77.In realtà il trasferimento, che diverrà definitivo, fa parte del progetto di fare di questa città la capitale del Ducato. Nel 1694 la Sindone viene solennemente trasferita nella cappella commessa all’abate Guarino Guarini sita tra il Duomo e il Palazzo Reale e sistemata alla sommità dell’altare centrale, opera di Antonio Bertola, dentro una preziosa cassetta. [...] Nel 1983 muore a Ginevra Umberto II, ultimo re d’Italia, che la lascia per legato testamentario alla Santa Sede. Nel 1988 viene eseguito un tentativo di radiodatazione con il C14 i cui risultati non hanno resistito alle critiche. La notte tra l’11 e il 12 aprile 1997 un incendio di vaste proporzioni divampa nella cappella del Guarini sita tra il Duomo e il Palazzo Reale di Torino, ma come tutti sanno la Sindone ne esce indenne. Il trasferimento di proprietà ha facilitato l’ostensione del 1998 e quella del 2000. La prima ha richiamato l’afflusso di oltre due milioni e mezzo di persone provenienti da ogni parte del mondo che si erano prenotate e di altre 350 mila giunte a Torino senza preavviso. Nel 2000 i visitatori sono stati circa 1 milione e mezzo ai quali vanno aggiunte circa 250 mila persone senza prenotazione. Dopo i delicati e provvidenziali lavori di riparazione del 2002 con asportazione delle toppe applicate nel 1532 e sostituzione della tela di supporto, è conservata distesa in un apposito contenitore in una cappella laterale del Duomo. Siamo così giunti all’ostensione che si terrà il 10 aprile e il 23 maggio di questo 2010 con l’annunciata visita di Benedetto XVI il 2 maggio.Il significato è quello di offrire ai visitatori, che si preannunciano numerosissimi, e al resto del mondo attraverso i media, l’immagine sensibile di un volto e di una sofferenza che hanno cambiato la storia. Nessun pannello di Templecombe, che beninteso pur colpisce il visitatore di Venaria, e nessuna altra immagine proveniente dal profondo passato delle nostre radici religiose e culturali può mettere di fronte l’uomo a se stesso come la Sindone. da: http://www.lastampa.it |
Postato da: giacabi a 21:18 |
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La Sindone
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Postato da: giacabi a 08:06 |
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La Sindone
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Postato da: giacabi a 08:11 |
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(Sembra credibile)
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NELL'IMMAGINE DEL VOLTO DELLA SACRA SINDONE DI TORINO SONO RINTRACCIABILI LE PIEGHE DEL TELO DEL VOLTO SANTO DI MANOPPELLO. Questa eccezionale scoperta è venuta alla luce, dopo che al computer sono riuscito a definire la perfetta sovrapposizione, in scala 1:1, delle foto dei reperti sacri.
Le pieghe di cui ho parlato, sul Santo Volto passano in verticale per
gli zigomi e sono contraddistinte dai punti d'incrocio con un'altra
piega in orizzontale, la quale si trova all'altezza del mento. La cosa
sorprendente, è che nell'immagine sindonica esse figurano delimitando il
volto da lato a lato. Per chi crede allora all'autenticità di queste
due reliquie, c'è da dire questo: "Seppure con la Sindone si contempla
il corpo di Gesù morto, solo all'altezza del volto, però, si scoprono i
segni del telo del Volto Santo con l'immagine di Gesù risorto"; ciò
sarebbe spiegabile per la proiezione, mediante un'irradiazione di luce,
del volto di Cristo. Il
bisso marino del Volto Santo, durante la sepoltura di Gesù, sarebbe
stato posto a contatto diretto con la Sindone all'altezza del capo.
la
prima immagine, è quella del Volto della Sindone di Torino oscurata al
computer; la seconda, è la sovrapposizione della prima immagine alla
terza, ottenuta mediante un rafforzamento del contrasto; la terza, Volto
Santo di Manoppello
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