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«Stiamo
vivendo un momento di solitudine radicale, priva di un padre e di una
fede ultima. Tutto ciò che appartiene al passato deve essere rivissuto e
chiarito, affinché la nostra vita non si paralizzi»MARIA ZAMBRANO
Postato da: giacabi a 17:32 |
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zambrano
La conoscenza poetica
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A proposito della conoscenza poetica, Zambrano scrive: «Se la Spagna ha conservato in qualcosa la propria unità è stato nell’unità della grazia. Ben poco vale per lo spagnolo quel che è solo frutto dello sforzo. Questo è come un sapere illegittimo, un sapere disgraziato in cui si manifesta più la presunzione dell’uomo, la sua vanità o la sua superbia, che la verità, un sapere che non è desiderabile »24. La conoscenza poetica, al contrario, «è frutto di uno sforzo cui a metà cammino si offre una sconosciuta presenza. A metà del cammino perché il desiderio che cerca questa presenza non resterà mai solo, non cadrà mai nella solitudine angosciosa di chi ambiziosamente si separa dalla realtà. A costui la realtà smetterà di consegnarsi. Ma a colui che ha preferito la povertà dell’intelligenza, che ha rinunciato a ogni vanità e velleità superba che cerca di possede- re con la forza ciò che è inesauribile, la realtà si offre, gli va incontro, e questa verità non sarà una verità conquistata, rubata, violata, non sarà aletheia, ma rivelazione di grazia, gratuita. Ragione poetica»25.
Postato da: giacabi a 17:26 |
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La fatica dell’esser sempre desti:
essere sempre presenti a se stessi
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L’esser desti sembra consistere in un esser presente del soggetto a se stesso: in un sentirsi immediatamente come uno. Questo
uno fa riferimento nello stesso senso al sentire un essere, il soggetto
si sente immediatamente come un essere. Un essere sito in un luogo
determinato, pertanto in stato di quiete, in un luogo che gli è proprio,
che gli appartiene perché se n’è appropriato costantemente, in un
impercettibile sforzo che si fa sensibile nelle situazioni, qualunque
esse siano, in cui si sente fluttuare.E proprio il farsi sensibile di questo sforzo lo rivela e rivela al tempo stesso che ha luogo sempre, che è, a livello più basso, più impercettibile, tensione. Tensione, da qui la fatica dell’esser sempre desti, che sopraggiunge anche quando non si è compiuto alcuno sforzo fisico, né intellettuale, quando il dispendio energetico non è tale da giustificare la caduta nel sonno. È la tensione, alla lunga insopportabile, di appropriarsi del luogo nella realtà, tra la realtà, la tensione dell’esser sempre presente a se stesso.
Maria Zambrano, I sogni e il tempo, Pendragon
DA:http://labellezzaeunaferita.wordpress.com
Postato da: giacabi a 16:29 |
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zambrano
Destino e vocazione
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“(..) Invece della vocazione si parla di professione, spogliando questa parola dal suo senso originario, rendendola equivalente a occupazione o al semplice lavorare per guadagnarsi da vivere.
La parola vocazione ha, come tutte le parole, affinità con altre; è rinchiusa all’interno di una costellazione e, infatti, ci sono parole che sembrano consanguinee perchè hanno la stessa sorte come, per esempio, accade con la parola destino.
Non si può nemmeno parlare di destino se non risulta chiaro che ci si riferisce alla vocazione. Le persone, invece di usare destino, dicono impiego: il destino di un essere umano è ridotto a trovare ciò che gli risulta più conveniente tra gli impieghi che gli sono accessibili.”
Maria Zambrano, Per l’amore e per la libertà, Marietti 1820
La parola vocazione ha, come tutte le parole, affinità con altre; è rinchiusa all’interno di una costellazione e, infatti, ci sono parole che sembrano consanguinee perchè hanno la stessa sorte come, per esempio, accade con la parola destino.
Non si può nemmeno parlare di destino se non risulta chiaro che ci si riferisce alla vocazione. Le persone, invece di usare destino, dicono impiego: il destino di un essere umano è ridotto a trovare ciò che gli risulta più conveniente tra gli impieghi che gli sono accessibili.”
Maria Zambrano, Per l’amore e per la libertà, Marietti 1820
Postato da: giacabi a 16:13 |
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zambrano
Si cerca quello che si ha già
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Una persona distratta può essere in realtà una persona profondamente attenta, una persona assorbita da un’attenzione alla ricerca del suo tema.
Ma non si cerca in maniera così perseverante quel che in certo modo non si ha già.
Maria Zambrano, Per l’amore e per la libertà, Marietti 1820
Postato da: giacabi a 16:09 |
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zambrano
L’attenzione
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L’attenzione, dunque, si dà in circoli che descrivono una differente ampiezza. Se l’attenzione potesse materializzarsi, si potrebbe vedere come in alcuni casi esplora un ampio orizzonte,
come in altri si avvicina fino al confine stesso dell’orizzonte, nel
momento in cui sembra ormai non averlo più, e ci si perde. In altri casi circonda un brandello, un punto della realtà come se si trattasse di farsi spazio in una piazzaforte. E, in verità, è proprio così.***
Giacchè l’essenza dell’attenzione è captare, assorbire, prendere possesso avvicinandosi a questo immenso, illimitato continente che è la realtà. Dal momento che la realtà è una -non possiamo smettere di crederlo- e multipla, l’attenzione, per essere seguita da vicino, deve farsi multipla. L’attenzione dalle molteplici forme si fa irriconoscibile e può persino passare per la disattenzione più totale.
Ma l’attenzione, circondando la realtà, va a conquistarla per questa strana creatura che è l’essere umano da cui è comandata e da cui nasce. Così ci saranno tante forme essenziali di attenzione quanti sono i piani che che formano la psiche e la persona. Studiare l’attenzione nelle sue diverse forme porta contemporaneamente a studiare la struttura dell’essere umano e la struttura di come, davanti a lui, appare la realtà (..).
La presunta unità di tutte queste diverse forme di attenzione è la stessa cosa, naturalmente, della supposta intimità sostanziale di tutti i piani che compongono la struttura dell’essere umano: la necessità di avere un tema che avvolge la finalità.
Quella finalità irrinunciabile che richiede una volta e un’altra ancora e sempre l’invincibile speranza. Maria Zambrano, Per l’amore e per la libertà, Marietti 1820
DA:http://labellezzaeunaferita.wordpress.com
Postato da: giacabi a 16:05 |
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zambrano
L’attenzione è come una ferita sempre aperta
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L’attenzione è l’apertura dell’essere umano a ciò che lo circonda e, nondimeno, a ciò che trova dentro di sè, verso se stesso. E’ una disposizione e una chiamata alla realtà.L’attenzione è come una ferita sempre aperta e della ferita possiede la passività, l’essere piaga, impronta del reale, lo stare come una cavità vivente conformata per ricevere la realtà e lasciarla passare oltre se stessa: verso la pienezza della coscienza, che è giudizio e ragione, o verso le profondità della memoria, comprese quelle estreme, abissali conche dell’oblio.
Maria Zambrano Per l’amore e per la libertà, Marietti 1820
Postato da: giacabi a 21:57 |
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zambrano
Dormire per l’uomo è abbandonarsi alla vita, immerso nella notte dell’essere.
Lasciarsi andare alla vita, abbandonarsi alla vita, alla sua illimitatezza, senza l’appiglio della realtà. Chiudere gli occhi in un atto di totale fiducia. Arrendersi, fidarsi, credere. Ne deriva l’insonnia prodotta dall’inquietudine, dalla sfiducia, dalla semplice miscredenza. La preghiera che a conclusione dello stato di veglia del credente è la più adeguata preparazione all’entrata nel sonno, è l’atto di assoluta fiducia che rinvia all’abbandono completo, al commiato dalla realtà -sempre relativa nella vita umana-, al ritorno a questo stadio iniziale assoluto.
Maria Zambrano, I sogni e il tempo, Pendragon 2004
Postato da: giacabi a 21:50 |
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zambrano
Gli adulti e gli anziani chiedono di darsi,
di servire e lasciare qualcosa
al momento di morire
***
Gli
adulti e gli anziani non chiedono altro che di essere metaforicamente
mangiati. Chiedono di darsi, di servire e lasciare qualcosa al momento
di morire; qualcosa che serva di alimento all’eterna gioventù del mondo,
con il suo ineffabile segreto, la gioventù che, finché dura, non ha
passato né futuro, è eterna. Eterna. Per questo a
volte i giovani si angosciano, perché si sentono prigionieri
dell’eternità della loro gioventù. La maturità, al contrario, è tempo
accumulato, tempo adoperato, istante dopo istante, compresa l’eternità
della gioventù che si è trasformata in tempo, questo tesoro.di servire e lasciare qualcosa
al momento di morire
***
Maria Zambrano, Per l’amore e per la libertà, Marietti 1820
Postato da: giacabi a 21:40 |
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zambrano
LETTURE/
Senza Padre non c'è libertà.
La lezione di Maria Zambrano
***
sabato 5 febbraio 2011
Il
6 febbraio di vent’anni fa moriva Maria Zambrano. Il grande affetto che
la legò a suo padre costituisce uno dei fulcri del suo pensiero insieme
filosofico e poetico, capace di giungere al fondo della vita senza
perdere la concretezza dell’occasione in cui essa si manifesta. L’eco di
questo legame si avverte in un saggio intitolato Verso un sapere dell’anima:
“Niente è più decisivo in una vita delle proprie origini. Per questo il padre rappresenta molto di più di un uomo in carne e ossa che ci ha generati. Ci dà un nome. Finché la nostra vita individuale dura, sarà segnata da questo nome e grazie ad esso smettiamo di essere uno per essere qualcuno di ben definito. La nostra individualità, così concreta, è legata al nome che riceviamo da nostro padre, per noi sigillo, segno distintivo. Prima che esseri di ragione o di coscienza, d’istinto o di passione, siamo infatti figli, ed essere figlio significa dover rispondere, doversi giustificare di fronte a qualcosa di inappellabile. E’ anche fiducia, credere all’ombra di una forza protettrice, che offre un riparo di cui non si metta in dubbio forza e clemenza. È questa l’educazione fondamentale su cui deve fondarsi qualsiasi cultura successiva, è l’esperienza prima della vita, l’incontro originario e decisivo da cui proviene tutto il resto. È insostituibile.
È difficile abbandonarsi alla vita con fiducia, dar credito ad alcunché, credere, se non siamo cresciuti così, sentendoci guidati da una mano forte e delicata che sa misurare, sentendoci osservati da uno sguardo di fronte al quale non è possibile alcuna simulazione, sentendo la nostra fragilità connessa a un principio invulnerabile. Nessun terribile avvenimento successivo potrà aver ragione di questa educazione, se ha avuto luogo; nessuna catastrofe potrà portarsi via questa fiducia originaria, nessun rancore potrà cancellare nell’anima il peso della tenerezza venuta dall’alto. Nessuna ingiustizia potrà sradicare dall’anima la fiducia ingenua nella vita di chi viene guidato paternamente nei suoi primi passi”.
“Niente è più decisivo in una vita delle proprie origini. Per questo il padre rappresenta molto di più di un uomo in carne e ossa che ci ha generati. Ci dà un nome. Finché la nostra vita individuale dura, sarà segnata da questo nome e grazie ad esso smettiamo di essere uno per essere qualcuno di ben definito. La nostra individualità, così concreta, è legata al nome che riceviamo da nostro padre, per noi sigillo, segno distintivo. Prima che esseri di ragione o di coscienza, d’istinto o di passione, siamo infatti figli, ed essere figlio significa dover rispondere, doversi giustificare di fronte a qualcosa di inappellabile. E’ anche fiducia, credere all’ombra di una forza protettrice, che offre un riparo di cui non si metta in dubbio forza e clemenza. È questa l’educazione fondamentale su cui deve fondarsi qualsiasi cultura successiva, è l’esperienza prima della vita, l’incontro originario e decisivo da cui proviene tutto il resto. È insostituibile.
È difficile abbandonarsi alla vita con fiducia, dar credito ad alcunché, credere, se non siamo cresciuti così, sentendoci guidati da una mano forte e delicata che sa misurare, sentendoci osservati da uno sguardo di fronte al quale non è possibile alcuna simulazione, sentendo la nostra fragilità connessa a un principio invulnerabile. Nessun terribile avvenimento successivo potrà aver ragione di questa educazione, se ha avuto luogo; nessuna catastrofe potrà portarsi via questa fiducia originaria, nessun rancore potrà cancellare nell’anima il peso della tenerezza venuta dall’alto. Nessuna ingiustizia potrà sradicare dall’anima la fiducia ingenua nella vita di chi viene guidato paternamente nei suoi primi passi”.
Anche
Seneca è per Maria Zambrano una figura paterna, autore molto amato,
forse per la comune origine spagnola e per la persistenza dell’antico
filosofo nella cultura popolare della sua terra. Il profilo di Seneca da
lei tracciato è una vera riscoperta per il lettore italiano, che
conosce il maestro dello stoicismo, lo scrittore dallo stile spezzato,
spesso oscuro e difficile da tradurre, l’uomo a cui si rimprovera il
fallimento nell’educazione di Nerone e l’incoerenza tra i costumi e la
dottrina, a cui si riconosce la dignità di una vecchiaia appartata e la
fortezza nel suicidio.
Poco di tutto ciò nella corposa introduzione della Zambrano a una antologia che raccoglie brani della produzione di Seneca. La sua figura, più che nell’impensabile ignominia dei suoi tempi, è inserita nella lunga serie dei filosofi che a partire da Socrate regalano all’occidente il culto della ragione intera. Egli è un sapiente, “un padre molto virile e molto materno insieme”, che sostiene con la sua forza il ragionare piegato sulla complessità che anche la vita più semplice porta con sé. La sua paternità parte da una compassione per la fragile puerilità dell’uomo e si esercita nel portargli una consolazione che non è un semplice anestetico, ma la generazione di un’anima addolcita e per così dire rassegnata. Egli è il maestro di costumi più citato nel forbito linguaggio dei predicatori e dei sermoni andalusi. La sua morale parte dalla disillusione del tempo che fugge, dalla morte che sovrasta l’esistenza, ma non è una morale dell’inattività. La sua prima regola è il lavoro: non una azione precipitosa o un irrequieto andare e venire, ma un agire che modifica le cose, un atto che racchiude fede, volontà e amore.
Alcune delle sue massime racchiudono una saggezza che sembra quasi cristiana: “Ricerchiamo un bene che non sia apparente, ma solido e costante e bello d’interiore bellezza, e portiamolo alla luce. Non è lontano: basta soltanto sapere dove tendere la mano”.
Poco di tutto ciò nella corposa introduzione della Zambrano a una antologia che raccoglie brani della produzione di Seneca. La sua figura, più che nell’impensabile ignominia dei suoi tempi, è inserita nella lunga serie dei filosofi che a partire da Socrate regalano all’occidente il culto della ragione intera. Egli è un sapiente, “un padre molto virile e molto materno insieme”, che sostiene con la sua forza il ragionare piegato sulla complessità che anche la vita più semplice porta con sé. La sua paternità parte da una compassione per la fragile puerilità dell’uomo e si esercita nel portargli una consolazione che non è un semplice anestetico, ma la generazione di un’anima addolcita e per così dire rassegnata. Egli è il maestro di costumi più citato nel forbito linguaggio dei predicatori e dei sermoni andalusi. La sua morale parte dalla disillusione del tempo che fugge, dalla morte che sovrasta l’esistenza, ma non è una morale dell’inattività. La sua prima regola è il lavoro: non una azione precipitosa o un irrequieto andare e venire, ma un agire che modifica le cose, un atto che racchiude fede, volontà e amore.
Alcune delle sue massime racchiudono una saggezza che sembra quasi cristiana: “Ricerchiamo un bene che non sia apparente, ma solido e costante e bello d’interiore bellezza, e portiamolo alla luce. Non è lontano: basta soltanto sapere dove tendere la mano”.
Decisamente originale è la posizione della filosofa spagnola rispetto al femminismo. Nel 1928 firma per il giornale El Liberal una
rubrica titolata Donne. L’assenza delle donne dal contesto politico
spagnolo è allora totale e desolante e va imputata anche alla loro
volontaria resistenza al cambiamento.
“Nessuno può pensare che la donna abbia colmato la sua ansia liberatrice con la cosiddetta emancipazione economica. No, perché questa emancipazione è piuttosto un insuccesso del quale la donna si dovrà consolare con ben più alte realizzazioni. L’ideale femminista, per usare il vecchio termine, sta al di là della emancipazione economica, che non è altro che un primo passo tristemente necessario”.
E avverte:
“Di fronte a questo cambiamento femminile l’uomo si impaurisce ed avverte una nostalgia malinconica per quei tempi in cui le donne non avevano altra occupazione che quella di soddisfare le sue esigenze erotiche e domestiche. E’ stato così rapido il cambiamento della donna nelle sue esigenze che l’uomo, sconcertato, inadeguato, non è in grado o non vuole, in genere, soddisfarle”.
“Nessuno può pensare che la donna abbia colmato la sua ansia liberatrice con la cosiddetta emancipazione economica. No, perché questa emancipazione è piuttosto un insuccesso del quale la donna si dovrà consolare con ben più alte realizzazioni. L’ideale femminista, per usare il vecchio termine, sta al di là della emancipazione economica, che non è altro che un primo passo tristemente necessario”.
E avverte:
“Di fronte a questo cambiamento femminile l’uomo si impaurisce ed avverte una nostalgia malinconica per quei tempi in cui le donne non avevano altra occupazione che quella di soddisfare le sue esigenze erotiche e domestiche. E’ stato così rapido il cambiamento della donna nelle sue esigenze che l’uomo, sconcertato, inadeguato, non è in grado o non vuole, in genere, soddisfarle”.
Postato da: giacabi a 12:57 |
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seneca, zambrano
La vita
***
“La vita ci appare, nell’istante del risveglio, come qualcosa che è già lì e in tal senso è indipendente da noi, e tuttavia invoca la nostra presenza. È qualcosa che, accadendo inizialmente dall’esterno, ci invoca affinché entriamo nel suo interno poiché in esso c’è un vano che è solo nostro, di ciascuno di noi”.
Maria Zambrano
Maria Zambrano
Postato da: giacabi a 11:02 |
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zambrano
La Realtà è una promessa
***
" L'uomo non si rivolge alla realtà per conoscerla meglio o peggio, se non dopo,e a
partire da, l'averla sentita come una promessa, come una patria dalla
quale in linea di principio ci si attende tutto, nella quale si crede
possibile trovare tutto".***
Maria Zambrano
Postato da: giacabi a 07:26 |
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reale, senso religioso, zambrano
Il desiderio dell’uomo
***
“visto all'origine l'essere umano assomiglia a una ferita che non può rinchiudersi”
Maria Zambrano
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Postato da: giacabi a 08:23 |
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desiderio, zambrano
La passione di essere
***
"sotto le passioni altre passioni più fondamentali si nascondono, e al di sotto di tutte, la passione di essere. La lunga passione che obbliga l’uomo a essere …..quasi fosse il prolungamento di un Dio che lo ha creato per questo.”
Maria Zambrano da Persona e democrazia, Mondadori
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Postato da: giacabi a 07:22 |
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senso religioso, zambrano
***
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Postato da: giacabi a 20:54 |
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verità , zambrano
Ciò che fa vincere la passività
***
« L'attualità piena di ciò che siamo è possibile solo in vista di un'altra presenza, di un altro essere che ha la virtù di porci in esercizio, in atto... E come sarebbe possibile uscire da se... a meno di non essere irresistibilmente innamorati»
Maria Zambrano
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Postato da: giacabi a 10:05 |
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chiesa, amicizia, gesù, zambrano
***
«La crisi del nostro tempo mostra il cuore della vita umana, il
disorientamento dell’uomo che è rimasto senza punto di riferimento, di
una vita che si svolge senza alcuna meta, che non trova giustificazione… Ogni crisi storica
ci mette davanti al conflitto ultimo, radicale: un “si può o non si
può”….la domanda rinasce sempre: “E’ possibile essere uomo? E come?” e a
questa domanda “E’ possibile essere uomo?” L’unico modo di rispondere affermativamente non è dicendo un sì astratto, ma offendo una forma di vita»
Maria Zambrano
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Postato da: giacabi a 18:06 |
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senso religioso, zambrano
***
Quando
si annebbia, il cuore grava come peso insopportabile. Ed è difficile
reggere questo peso senza avere in odio se stessi, senza rimpiangere di
essere nati.
Maria Zambrano
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Postato da: giacabi a 19:55 |
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zambrano
L’uomo non vuole accettare l’eredità divina
***
«L’uomo si trova di nuovo incatenato alla necessità, ma ora per decisione propria e in nome della libertà: ha rinunciato all’amore a vantaggio di una funzione organica, ha scambiato le sue passioni con dei complessi, perché non vuole accettare l’eredità divina credendo con ciò di liberarsi dalla sofferenza, dalla passione che tutto il divino soffre in mezzo a noi e dentro di noi» (L’uomo e il divino, ed. Lavoro, Roma 2001, p. 236).
Maria Zambrano
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Postato da: giacabi a 14:59 |
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nichilismo, zambrano
Quando si annebbia
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«Quando si annebbia, il cuore grava come peso insopportabile. Ed è difficile reggere questo peso senza avere in odio se stessi, senza rimpiangere di essere nati»
Maria Zambrano
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Postato da: giacabi a 14:53 |
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zambrano
L’attualità piena di ciò che siamo
***
«L’attualità piena di ciò che siamo è possibile solo in vista di un’altra presenza, di un altro essere che ha la virtù di porci in esercizio, in atto… E come sarebbe possibile uscire da sé… a meno di non essere irresistibilmente innamorati»
Maria Zambrano
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Postato da: giacabi a 14:46 |
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persona, zambrano
Io, Cristo e la Zambrano
***
Davide Perillo Riportare la domanda di senso nel mondo, a cominciare dalla scuola. Ed essere «disponibili a qualcosa che accade». Solo così l’umanità può «salvarsi dal suicidio». Parola di Pietro Barcellona, filosofo ex comunista. Che al Meeting ha fatto una scoperta
«Scusi, lei è Pietro Barcellona? Volevo ringraziarla per quello che ha detto ieri». Capita anche questo, a Rimini. E lascia il segno sul filosofo del diritto già marxista
a tutto tondo, che è venuto per parlare di scuola e si ritrova
intercettato dalla gratitudine dei giessini. «L’impressione del Meeting?
Enorme. Non vedo niente di paragonabile. E non solo in Italia». Detto
da uno che ha attraversato mezzo secolo di storia nostrana partendo da
sponde lontane (è stato dirigente e parlamentare Pci, prima di entrare anche al Csm),
fa una certa impressione. Con Cl c’era già un buon rapporto, alimentato
da amicizie private (tra tutte, don Ciccio Ventorino) e uscite
pubbliche (vedi il caso del liceo “Spedalieri”, dove è sceso in campo
accanto ai ragazzi di Gs che - dopo la morte allo stadio di Filippo
Raciti - reclamavano il diritto a parlare di verità anche a scuola, cfr.
Tracce n. 4/2007). Ma da Rimini in poi, c’è da scommettere che l’amicizia si farà più salda.
Barcellona ha parlato di «verità tra i banchi». Della necessità che nelle aule si torni a porre la domanda di senso. Dell’idea che la scuola, insomma, diventi quello che deve essere: un luogo dove accade e cresce l’umano, perché - ha detto citando Saint-Exupery - «se c’è una terra su cui crescono le arance, quella è la verità delle arance», mentre una società che non si pone più il problema del destino «è destinata a suicidarsi». Molti applausi all’incontro, parecchie domande dopo, tra gli stand. E tanti fili che vale la pena di riprendere. A cominciare dalla questione di partenza.
Perché questa “domanda di vero” ormai viene regolarmente archiviata?
Non è archiviata: è combattuta. Se ne nega la legittimità. Come se riguardasse solo chi ha la testa tra le nuvole. Il senso comune oggi diffonde sostanzialmente cinismo, apatia, impotenza. Sembra che tutto quello che accade non sia controllabile. Che non ci sia nessuno spazio di intenzionalità. Siamo precipitati in un’astrazione assoluta, indeterminata. Abbiamo talmente frantumato gli aspetti del mondo che non riusciamo più a percepire le connessioni.
Da dove si può ripartire?
Da quella che Gramsci definiva «una rivoluzione morale». Le transizioni forti avvengono in maniera molecolare, per piccoli gruppi. Cenobi, comunità. Da questo punto di vista il Meeting è una cosa enorme. Ci sono migliaia di persone, qui. Se ognuna di loro facesse nascere forme di vita diverse, questa sì che sarebbe una rivoluzione. Io la rivoluzione non la penso più come un avvenimento che da un giorno all’altro cambia i connotati del potere. È un progressivo sgretolarsi dell’ideologia del potere che penetra nei nostri comportamenti. Tante pratiche diffuse, esemplari. Per esempio, questa mostra della Cometa mi ha molto colpito. Questa dimensione del rapporto comunitario nella vita di oggi è completamente esaurita. E invece riguarda le persone, le vite reali. Ecco, Rimini mi sembra una cosa importante perché si vedono le persone.
In fondo è una conferma che l’umano ricomincia da un’educazione, come diceva anche lei nell’incontro…
Io una volta ho dato questa definizione della democrazia: l’assunzione consapevole di un progetto di paideia, cioè di educazione, da parte dell’intera comunità. Non in un’ottica statalista o burocratica, ci mancherebbe. Prenda la grande tradizione greca o quella stessa cristiana: avevano grandi progetti educativi, un’idea precisa di paideia. Ma non era mica l’idea di produrre esseri omologati: avevano in testa la costruzione della libertà dell’individuo. Noi invece abbiamo confuso l’educazione con l’informazione. Abbiamo ridotto la scuola a una specie di trasmissione coatta di informazioni. Mentre le informazioni, di per sé, non significano niente, senza la capacità di elaborarle.
Per
questo lei ha parlato di una scuola «che rimetta insieme i cocci»,
ovvero che combatta gli eccessi di specialismi e ristabilisca il più
possibile dei nessi.
Io ho insegnato per anni Diritto, poi sono passato a insegnare Filosofia. Sa perché? Più spiegavo i dettagli delle norme e meno gli studenti capivano. Allora mi sono chiesto: faccio capire di più a che serve il diritto raccontando il succedersi delle leggi o affrontando, per dire, il problema del rapporto tra ordine e disordine? Questo vale per tutto, anche la medicina. Si studiano gli organi: fegato, pancreas, cuore… Ma non si studia più il malato come persona.
E questo può accadere solo se si parte dalla domanda di verità, di scoperta del nesso tra l’io e la realtà.
E chi è il pazzo che lo nega?
Be’, nella vicenda dello “Spedalieri” certi docenti mettevano in discussione proprio questo…
Il problema è che ormai c’è un arroccamento: ognuno si tiene quello che ha. Dopo quei fatti io mi sono trovato a rispondere a domande stranissime: ma che ti sei convertito? Non eri ateo? In primo luogo, mai stato ateo. Ci sono persone che non professano una fede pubblica, ma ammettono che senza il problema di Dio, il pensiero muore. Il pensiero esiste perché la prima domanda che un uomo si fa è: ma perché io non sono Dio? Una mia nipotina di sette anni ha dato questa spiegazione dell’esistenza di Dio: nonno, noi esistiamo, io sono figlia di papà e mamma, loro sono figli vostri… Ma all’inizio della catena chi c’è? Ecco, questa è una domanda che si pongono anche i bambini. Guardano la realtà e si domandano da dove viene. E infatti la sanno molto più lunga dei grandi.
Ma noi “grandi” siamo ancora capaci di appassionarci al vero?
Il problema è appassionarci alla vita. La passione per la vita ha in sé la ricerca della verità. Che, alla fine, è l’adesione alla vita. È una dimensione dell’esistenza in cui questa tensione si placa. Quando uno si trova a vivere un momento di pienezza, quella è la verità. Non è una deduzione logica da una serie di premesse. Il problema è che questa società per certi versi è la più innovativa, ma di fatto è anche la più statica. Non riesce ad avere un orizzonte diverso da quello che si è dato all’inizio della modernità: individuo, consumo, denaro. Stop.
Come si spezza la catena?
Questa domanda è un po’ nella logica della stessa modernità, che vuole sapere prima cosa succede. C’è poca disponibilità ad accogliere il nuovo, l’evento. In fondo nessuno si aspettava che Cristo nascesse. Al di là di quello che uno pensa di lui, nessuno si aspettava che arrivasse uno che andava in giro a dire: io sono il Figlio di Dio. Ecco, è la stessa cosa: i profeti possono dare delle visioni, ma nessuno può dire che ci siano ricette matematiche per prevedere quello che succederà. Né ci sono ricette che garantiscono il cambiamento.
Bisogna che accada qualcosa, allora. Un avvenimento.
Sì, ma il problema preliminare è essere disponibili a farlo accadere.
E
se l’avvenimento accadesse proprio così, come una proposta alla nostra
disponibilità? Quando parlava di “evento”, prima, lei stesso ha
accennato a Cristo.
Certo, quello è un grande evento con cui tocca misurarsi. Però anche lì non si può fossilizzarlo come un accaduto da contemplare, del passato. A me piace molto l’idea di María Zambrano di una Parola vivente. Io non ho la fortuna di avere un rapporto di fede. Ma la questione di Cristo, con questa affermazione scandalosa, «io sono il Figlio di Dio», è molto interessante. E poi, il suo era un invito a seguirlo senza promesse di benessere economico, anzi mostrando una strada segnata da povertà e rinuncia.
Però con una promessa di compimento umano.
Vero. Ma questo deve portare a un’interpretazione dinamica della presenza del Divino. Una presenza che si incarna continuamente, che rinasce.
Non le sembra che la pretesa della Chiesa, in fondo, sia proprio questa? Essere un luogo dove quella Presenza permane.
Sì, ma questo non riaccade perché c’è qualcuno che schiaccia il bottone. La Chiesa è un po’ una contraddizione che vivete anche voi. C’è il problema della gerarchia, ci sono certi schematismi...
Però la vita che si vede qui a Rimini nasce da lì, da quella Presenza.
La vita, per fortuna, come diceva Saint-Exupery, è più forte di una logica.
Perdoni la brutalità: ma lei perché non è cristiano?
Cristo è una figura che mi inquieta molto. Soprattutto per via di certe letture. Io sono stato a scuola dai preti. Poi mi sono staccato. E ho iniziato a studiare la teologia protestante. Soprattutto Kierkegaard. Oggi mi affascina molto il pensiero della Zambrano. Però, c’è una cosa che mi fa ostacolo: Cristo è venuto in un luogo e un momento precisi della storia. In un contesto che era stato preparato ad accoglierlo. E questo mi sembra strano. Perché è venuto proprio in quel momento? Questa domanda mi fa sbandare.
In
fondo, però, è la stessa questione di prima: occorre che accada
qualcosa per salvare l’umano. Ma un avvenimento può accadere solo in un
punto della storia.
Infatti continuo a pensarci. Non ho preconcetti. Ma da quello che leggo, anche dalla Zambrano, quando uno incontra Cristo ha una sensazione di pace interiore, di grande illuminazione. Ecco, io questa non l’ho mai avuta. Per ora. |
Postato da: giacabi a 15:23 |
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barcellona, senso religioso, zambrano
Il “Significato”
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Ciò che è in crisi è questo nesso misterioso che unisce il nostro essere con il reale, qualcosa di così profondo e fondamentale che è il nostro intimo sostento.
Marìa Zambrano, Verso un sapere dell'anima, Cortina editore,
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