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sabato 25 febbraio 2012

Tarkovskij


E' fuggita l'estate......,
***
E' fuggita l'estate,

più nulla rimane.

Si sta bene al sole.ù

Eppur questo non basta.

Quel che poteva essere

una foglia dalle cinque punte

mi si è posata sulla mano.

Eppur questo non basta.

Ne' il bene ne' il male

sono passati invano,

tutto era chiaro e luminoso.

Eppur questo non basta.

La vita mi prendeva,

sotto l'ala mi proteggeva,

mi salvava, ero davvero fortunato.

Eppur questo non basta.

Non sono bruciate le foglie,

non si sono spezzati i rami...

Il giorno è terso come cristallo.

Eppur questo non basta.

Arsenij Tarkovskij

grazie ad Anna Ascione

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sabato, 23 luglio 2011

L'uomo occidentale
***
Da tempo l'uomo occidentale ha bruciato la bisaccia e il bastone del viandante, con la sua commovente attitudine alla domanda.
La dimora dell'uomo non è più l'orizzonte, ma il nascondiglio, dove non incontra nessuno e dove per ciò comincia a dubitare della sua stessa esistenza.

(Andrej Tarkovskij - in "Obbiettivo Tarkovskij" di Antonio Socci - Edit 1987 p.27)

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tarkovskij

mercoledì, 13 luglio 2011

   

L'ultima intervista di Andrej Tarkovskij 
"Le Figaro" - Ottobre 1986
***
I miei due ultimi film si basano su impressioni personali, ma non hanno nulla a che fare né  con l'infanzia né col passato, essi riguardano piuttosto il presente. Richiamo l'attenzione sulla parola "impressioni". I ricordi dell'infanzia non hanno mai fatto di un uomo un artista. Vi rimando ai racconti di Anna Achmatova sulla sua infanzia. Oppure a Marcel Proust. Noi attribuiamo un significato eccessivo al ruolo dell'infanzia. Il metodo degli psicoanalisti di guardare alla vita attraverso l'infanzia, di trovare in essa la spiegazione di tutto, e uno dei modi di infantilizzazione della personalità. Poco tempo addietro ho ricevuto una strana lettera da un famoso psicoanalista, il quale cerca di spiegarmi la mia attività creativa con i metodi della psicoanalisi. L'approccio al processo artistico, alla creazione da questo punto di vista, se me lo consentite, rattrista addirittura. Rattrista perché i motivi e l'essenza della creazione sono molto più complessi, di gran lunga più impercettibili che i semplici ricordi sull'infanzia e la loro spiegazione. Ritengo che le interpretazioni psicoanalitiche dell'arte sono troppo semplicistiche, persino primitive. Ogni artista nel corso della sua permanenza sulla terra trova e lascia dopo di se una particella di verità sulla civilizzazione, sull'umanità. Il concetto stesso di ricerca e oltraggioso per un artista. Assomiglia alla raccolta di funghi in un bosco. Forse ne troveremo o forse no. Picasso diceva addirittura: "io non cerco, trovo". A mio parere, l'artista non procede affatto come un ricercatore, egli non agisce empiricamente in nessuna maniera ("proverò a fare questo, tenterò quest'altro"). L'artista da una testimonianza sulla verità, sulla sua verità del mondo. L'artista deve essere certo che egli e la sua creazione rispondono alla verità. Io rifiuto il concetto di esperimento, di ricerca nella sfera dell'arte. Qualsiasi ricerca in questo ambito, tutto ciò che chiamano pomposamente "avanguardia" e semplicemente menzogna. Nessuno sa che cos'è la bellezza. L'idea che la gente si fa della bellezza, il concetto stesso di bellezza, mutano nel corso della storia assieme alle pretese filosofiche e al semplice sviluppo dell'uomo nel corso della sua vita personale. E questo mi spinge a pensare che, effettivamente, la bellezza e il simbolo di qualcos'altro. Ma di cosa esattamente? La bellezza e simbolo della verità. Non dico nel senso della contraddizione "verità/menzogna", ma nel senso di cammino di verità, che l'uomo sceglie. La bellezza (si intende quella relativa!) ha nelle diverse epoche testimoniato del livello di consapevolezza, che gli uomini di una determinata epoca hanno della verità. Ci fu un tempo in cui questa verità aveva l'aspetto della Venere di Milo. Ne consegue che l'intera collezione di ritratti femminili, diciamo, di un Picasso non ha, a rigor di termini, la minima relazione con la verità. Ma qui non parliamo della capacita di attrazione ne di qualcosa di carino - parliamo della bellezza armonica, della bellezza nascosta, della bellezza in quanto tale. Picasso, invece di celebrare la bellezza, si e comportato come il suo distruttore, il suo detrattore, il suo sterminatore. La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non puo essere ne decifrata ne spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l'uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua. Mi sembra che l'essere umano sia stato creato per vivere. Vivere nel cammino verso la verità. Ecco perché l'uomo crea. In una certa misura l'uomo crea nel cammino verso la verità. Questo e il suo modo di esistere, e l'interrogativo sulla creazione ("Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?") e senza risposta. Effettivamente ogni artista non soltanto ha una sua concezione sulla creazione ma ha anche un suo modo personale di interrogarsi su ciò. Questo si collega a quanto io adesso dico sulla verità, alla quale noi tendiamo, alla quale contribuiamo con le nostre piccole forze. Un ruolo fondamentale gioca qui l'istinto, l'istinto del creatore. L'artista crea istintivamente, egli non sa perché proprio in quel momento fa una cosa oppure un'altra, scrive proprio di questo, dipinge proprio questo. Soltanto dopo egli comincia ad analizzare, a trovare spiegazioni, a filosofeggiare e giunge alle risposte che non hanno nulla in comune con l'istinto, col bisogno istintivo di fare, creare, esprimere se stesso. In un certo senso la creazione e rappresentazione dell'essenza spirituale nell'uomo ed è la contrapposizione all'essenza fisica; la creazione è in un certo senso la dimostrazione dell'esistenza di questa essenza spirituale. Nell'ambito delle attività umane non c'è nulla che sarebbe più inutile, più senza scopo, non c'e nulla che sarebbe più a se stante della creazione. Se si esclude dalle attività umane tutto quanto attiene al raggiungimento del profitto, rimarrà soltanto l'arte. Per contemplazione io intendo soltanto dire quello che origina l'immagine artistica o l'idea che noi ce ne facciamo. Questo è assolutamente individuale. L'immagine artistica, il significato dell'immagine artistica possono scaturire soltanto dall'osservazione. Se non si basa sulla contemplazione, l'immagine artistica si trasforma in simbolo, cioè in qualcosa che forse puo essere spiegato dalla ragione, e, allora, l'immagine artistica non esiste: essa infatti non riflette più l'umanità, il mondo. L'autentica immagine artistica deve riflettere non soltanto la ricerca di un povero artista alle prese con i suoi problemi umani, con i suoi desideri e bisogni. Essa deve riflettere il mondo. Ma non il mondo dell'artista ma il cammino dell'umanità verso la verità. Della semplice sensazione del contatto con l'anima, che qui, da qualche parte, al di sopra di noi, dinanzi a noi vive nell'opera d'arte in misura tale da stimarla geniale. In questo e l'impronta originale del genio.
Ci fu un tempo in cui io potevo chiamare miei ex-maestri, le persone che hanno avuto un'influenza su di me. Adesso, nella mia coscienza, si conservano soltanto dei "personaggi", per meta santi, per meta folli. Questi "personaggi" sono forse un po' invasati ma non dal diavolo; si potrebbe dire che sono "i pazzi di dio". Tra i vivi cito Robert Bresson. Tra i morti, Lev Tolstoj, Bach, Leonardo da Vinci... In fin dei conti, tutti costoro erano pazzi. Perché non hanno assolutamente cercato nulla nella loro testa. Hanno creato senza il concorso della testa... Essi mi spaventano e mi ispirano. Non e assolutamente possibile spiegare la loro creazione. Sono state scritte migliaia di pagine su Bach, Leonardo e Tolstoj ma, in conclusione, nessuno ha potuto spiegare nulla. Nessuno, grazie a dio, ha potuto trovare, sfiorare la verità, toccare l'essenza della loro creazione! Questo dimostra ancora una volta che il miracolo è inspiegabile...
Nel senso più alto di questo concetto - la libertà, soprattutto nel senso artistico, nel senso della creazione, non esiste. Si, l'idea della libertà esiste, e una realtà nella vita sociale e politica. In diverse regioni e paesi gli uomini vivono avendo più o meno libertà; ma vi sono note testimonianze che dimostrano che nelle più orribili circostanze ci sono stati uomini che hanno avuto una inaudita libertà interiore, un mondo interiore, nobiltà. Mi sembra che la libertà non consista nella qualità della scelta: la libertà è una condizione dello spirito. Per esempio, si può essere socialmente, politicamente, completamente "liberi" e non di meno morire per la sensazione di precarietà, di oppressione, di mancanza di futuro. Per ciò che concerne la libertà della creazione, di questo non si può assolutamente discutere. Senza di essa non può esistere una sola arte. L'assenza della libertà deprezza automaticamente l'opera d'arte, poiché questa assenza impedisce a chi viene per ultimo di rivelarsi nella forma migliore. L'assenza di questa libertà porta a che l'opera d'arte, nonostante la sua esistenza fisica, non esista di fatto. Nella creazione dobbiamo vedere non soltanto la creazione. Purtroppo, nel XX secolo appare predominante la tendenza secondo la quale l'artista- individualista, invece di tendere alla creazione dell'opera d'arte, se ne serve per evidenziare il proprio "io". L'opera d'arte diventa manifestazione dell'io del suo creatore e si trasforma, possiamo dire, in megafono delle sue minime pretese. Questo vi e noto meglio che a me. Ne ha scritto molto Paul Valery. Al contrario, il vero artista, e a maggior ragione il genio, appaiono schiavi del dono che distribuiscono. Essi sono legati da questo dono agli uomini, al cui nutrimento spirituale e al cui servizio sono stati scelti. Ecco in cosa consiste per me la libertà

Andrej Tarkovskij


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sabato, 27 novembre 2010

01/06/2002
Tracce pp. ss
Verso il Meeting
Il bello è splendore del vero
***
Mimmo Stolfi

Luzi, Degas, Solmi, Weil… Pillole di genialità verso il prossimo Meeting: «Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza». Apparenza, Mistero e realtà nella percezione di artisti del Novecento
Con buona pace di Platone e di tutti i suoi seguaci, numerosissimi ancora oggi, la bellezza non è l’idea del bello. L’oggetto dell’estetica è la percezione, non un concetto. Non c’è dunque niente di più concreto della bellezza, la cui contemplazione non avviene nell’iperuranio, ma qui e ora nel mondo attraverso i sensi. Ecco perché in questa scelta antologica ispirata alla frase «il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza», non troverete quasi mai citazioni tratte da filosofi di professione, ma piuttosto pensieri di poeti, artisti, scrittori. Tutta gente per la quale la bellezza non è materia teorica, ma quello stimolo, quella scossa o quella carezza che la realtà spesso concede a chi non distolga lo sguardo dalle cose e dai volti. Ma la potenza della bellezza è tale che spesso assume i caratteri di una vera propria epifania. Di un’apparizione improvvisa che può coglierci anche nel tran tran quotidiano. Un vero e proprio urto che ci scuote suscitando in noi quell’anelito a un oltre, soffocato dal chiacchiericcio assordante che ci circonda. È quello che accade, per esempio, nella poesia A una passante di Baudelaire: «La via assordante strepitava intorno a me./ Una donna alta, sottile, a lutto, in un dolore immenso,/ passò sollevando e agitando/ con mano fastosa il pizzo e l’orlo della sua gonna/ (...) Un lampo...poi la notte! - bellezza fuggitiva/ dallo sguardo che m’ha fatto subito rinascere,/ ti rivedrò solo nell’eternità?». L’urto della bellezza risveglia anche quella promessa di felicità, quel desiderio di infinito che alberga in ogni uomo. E ancora una volta a donarci le parole più intense per dire quell’emozione che ci lavora dentro, e la cui intensità è tale che spesso non riusciamo a verbalizzarla, è un poeta. Un poeta, Rainer Maria Rilke, che quella felicità, quella bellezza, non la coglie in un platonico “mondo delle Idee”, ma nella terra, la nostra terra: «E noi che pensiamo la felicità/ come un’ascesa, ne avremmo l’emozione/ quasi sconcertante/ di quando cosa ch’è felice, cade».
«Quella che io intendo per bellezza, ed è la sola che mi interessa, mi tocca e mi commuove, è una promanazione interiore armonizzata con la forma esterna».
(Mario Luzi, Intervista a Doriano Fasoli, Radiotre)
«Tanto in cuore aver d’amore/ da dire tutto è bello,/ anche l’uomo e il suo male,/ anche in me quello che m’addolora».
(
Umberto Saba, Canzoniere)
«Se non vedi il gioiello nel sassolino circondato da fili d’oro, può darsi che ti lavi le mani così spesso da sbiadire i pensieri che vi sono stati riposti».
(Emily Dickinson, Poesie)

«Ho visto cose bellissime, grazie alla diversa prospettiva suggerita dalla mia perenne insoddisfazione, e quel che mi consola ancora, è che non smetto di osservare».
(Edgar Degas, Scritti)
«Il colore di ogni cosa ci commuove come un’armonia; ci vien voglia di piangere vedendo che le rose son rose o, se è inverno, scorgendo sui tronchi delle piante dei bei colori verdi quasi riflettenti; e, se un poco di luce batte su quei colori, come, ad esempio, nell’ora del tramonto, quando il lilla bianco fa cantare la propria bianchezza, ci si sente inondati di bellezza».
(
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto)
«Altrove, senza dubbio, esistono i tramonti. Ma perfino da questo quarto piano sulla città si può pensare all’infinito. Un infinito con magazzini sottostanti, è vero, ma con stelle all’orizzonte».
(Fernando Pessoa, Il libro)

«L’abbandono di fronte alle cose e l’apertura al mistero si appartengono l’uno all’altra».
(Martin Heidegger, L’abbandono)
«La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l’uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua».
(Andrej Tarkovskij, Intervista a Poiesis)

«La rivelazione della poesia, una volta affacciandomi a una finestra, si impersonò per me in un grande mandorlo fiorito, candido nell’abbagliante chiarore della luna piena».
(Sergio Solmi, Meditazioni e ricordi)

«Ma perché essere qui è molto, e perché sembra che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste effimere che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri».
(
Rainer Maria Rilke, Elegie duinesi)
«Sono solo un uomo, ho bisogno di segni sensibili, costruire scale di astrazioni mi stanca presto. Desta, dunque, o Dio, un uomo in un posto qualsiasi della terra e permetti che guardandolo io possa ammirare Te».
(
Czeslaw Milosz, La mente prigioniera)
«Ringraziavo Dio del fatto di avermi creato artista per amare tutte le forme in cui Egli si manifesta, e piangere di esultanza e di giubilo davanti ad esse».
(
Boris Pasternak, Il soffio della vita)
«Il bello è l’apparenza manifesta del reale».
(
Simone Weil, Quaderni)
«L’uomo non può fare a meno della bellezza, e la nostra epoca finge di volerlo ignorare. Essa non vede il bello perché s’irrigidisce per raggiungere l’assoluto e il dominio, vuole trasfigurare il mondo prima di averlo esaurito, ordinarlo prima d’averlo capito. Per quanto dica, essa diserta da questo mondo».
(Albert Camus, Lo straniero)
«La bellezza si nasconde in ogni piega del mondo, anche nei posti più inimmaginabili. Coglierla significa dischiudersi alle ricchezze della vita. E anche comprenderne la responsabilità».
(Elaine Scarry, Sulla bellezza)

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lunedì, 13 settembre 2010

La felicità reale
È straordinario e ricco di insegnamenti il destino storico del genio. Questi martiri prescelti  da Dio, condannati a distruggere in nome del movimento e della ricostruzione, si trovano in una contraddittoria situazione di equilibrio instabile tra l’aspirazione alla felicità e la convinzione che essa, come realtà o condizione concreta, non esiste. La felicità, infatti, è un concetto astratto, morale, e la felicità reale, la felicità felice, consiste, com’è noto, nell’aspirazione a quella felicità che per l’uomo non può essere che assoluta: quell’assoluto di cui siamo assetati.
Andrej Tarkovskij


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sabato, 11 settembre 2010

IL SACRIFICIO (Andrej Tarkovskij)

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mercoledì, 16 settembre 2009


La bellezza
 ***
«L’uomo non può fare a meno della bellezza, e la nostra epoca finge di volerlo ignorare. Essa non vede il bello perché s’irrigidisce per raggiungere l’assoluto e il dominio, vuole trasfigurare il mondo prima di averlo esaurito, ordinarlo prima d’averlo capito. Per quanto dica, essa diserta da questo mondo».
(Albert Camus, Lo straniero)
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«La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l’uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua».
(Andrej Tarkovskij, Intervista a Poiesis)



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giovedì, 11 giugno 2009

Lo scopo dell’arte
***
Il senso della verità religiosa è racchiuso nella speranza. La filosofia cerca la verità definendo il significato dell’attività umana, i confini della ragione dell’uomo, il significato dell’esistenza. Anche quando il filosofo perviene all’idea dell’assurdità dell’esistenza e della vanità degli sforzi umani. La destinazione funzionale dell’arte non consiste affatto, come talvolta ritengono gli artisti stessi, nell’instillare pensieri, nel contagiare con delle idee, nel servire da esempio. Lo scopo dell’arte consiste nel preparare l’uomo alla morte, nell’arare e nel rendere soffice la sua anima in modo che sia atta a rivolgersi al bene.
 A. Tarkovskij

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venerdì, 03 aprile 2009

 Lo scopo dell’arte
***

Lo scopo dell’arte [...] è quello di spiegare a se stessi e a chi ci sta intorno perché vive l’uomo, qual è il significato della sua esistenza, di spiegare agli uomini qual è la ragione della loro apparizione su questo pianeta. O, se non di spiegarlo, di porre loro questo problema [...] Per mezzo dell’arte, l’uomo si appropria della realtà attraverso un’esperienza soggettiva. [...]
La scoperta artistica si presenta come una rivelazione, come un desiderio appassionato e improvviso di afferrare intuitivamente tutte in una volta le leggi del mondo – la sua bellezza e il suo orrore, la sua umanità e la sua ferocia, la sua infinità e la sua limitatezza. [...]
L'arte esiste e si afferma là dove esiste quell'eterna e insaziabile nostalgia della spiritualità, dell'ideale, che raccoglie gli uomini attorno all'arte. È erronea la via per la quale si è avviata l'arte contemporanea, rinunciando alla ricerca del significato della vita in nome dell'affermazione del valore autonomo della persona.
La cosiddetta creazione comincia ad apparire una sorta di eccentrica occupazione a cui attendono personalità sospette che affermano il valore intrinseco di qualsiasi atto personalizzato. Ma nella creazione la personalità non si afferma, bensì è al servizio di un'altra idea generale e di ordine superiore.
L'artista è sempre un servitore che si sforza per così dire di sdebitarsi per il dono che gli è stato concesso come una grazia. Tuttavia l'uomo moderno non è disposto ad alcun sacrificio, benché soltanto il sacrificio costituisca un'autentica affermazione".

da: annina

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domenica, 08 marzo 2009

Il frutto dell’obbedienza
***
«Un giorno un anziano nativo di Thivanda, dal nome di Pavve, prese un albero secco, lo piantò sulla montagna e ordinò a Giovanni Colobos di bagnare ogni giorno quell’albero secco versando un secchio d’acqua, sinché l’albero non fruttificasse. Ora non c’era dell’acqua se non molto lontano di là: bisognava partire il mattino per riportarla la sera. Alla fine del terzo anno, l’albero prese vita e diede frutti. Il vecchio colse un frutto e, portandolo alla chiesa dei fratelli, disse loro: “Avvicinatevi e assaporate il frutto dell’obbedienza”».
A. Tarkovskij, Martirologio. I diari, Firenze, 2002, pp. 458-459).


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sabato, 04 ottobre 2008

se l'uomo non rinuncia a se stesso
***

Tratto dall'ultimo scritto del regista russo Andrej Tarkovskij
Il desiderio che questo film (Il Sacrificio, ndr) fosse il più importante
per me è diventato sempre più insopprimibile, man mano che coglievo il
marchio del materialismo impresso sul volto del nostro pianeta, man mano che
mi scontravo con la sofferenza umana, e incontravo sempre più
persone vittime di psicosi, segno della loro incapacità e non volontà di
capire come mai la vita aveva perso per loro ogni attrattiva e valore,
e stavano così a disagio.
L'uomo contemporaneo si trova ad un bivio, davanti a lui si pone un dilemma: o continuare questa cieca esistenza consumistica, sottomessa all'inarrestabile avanzare delle nuove tecnologie e alla crescente accumulazione dei beni materiali, o cercare e trovare la strada verso la responsabilità spirituale che, in ultima analisi, potrebbe diventare la salvezza reale non solo per lui come individuo, ma per la stessa società.
Ciò significa tornare a Dio.
E' l'uomo che deve risolvere questo problema, solamente lui può trovare
la strada verso un'equilibrata vita spirituale.
Proprio scegliere in questo senso potrebbe essere un passo verso la responsabilità
nei confronti della società. Questo è appunto il sacrificio, ossia il concetto
cristiano del sacrificio di sè. Ma sovente sembra che l'uomo scarichi decisioni,
che dice non dipendere da lui, su delle fantomatiche “leggi oggettive”,
che decidono tutto al suo posto. Avanzo l'ipotesi che l'uomo contemporaneo,
nella gran massa, non è pronto a rinunciare a se stesso e ai propri beni in favore di altre persone e in nome di ciò che è Supremo, Essenziale;
è pronto piuttosto a mutarsi in un robot.
Sono ben cosciente che certamente l'idea del sacrificio, dell'amore evangelico verso il prossimo, non gode oggi di molta popolarità, anzi è tutt'altro che popolare: nessuno esige da noi il sacrificio di sè, che viene classificato come qualcosa di “idealistico” o di irrealizzabile. Ma noi possiamo constatare con i nostri occhi i risultati dell'esperienza passata: la perdita dell'individualità a favore di un egocentrismo apertamente dichiarato; la trasformazione dei legami umani in relazioni prive di significato, non solo tra persone, ma anche tra gruppi e, ciò che è ancor più terribile, la perdita dell'ultima possibilità di salvezza, quella di tornare a una vita spirituale degna dell'uomo.
Invece che la vita spirituale noi oggi esaltiamo la vita materiale e i suoi
cosiddetti valori. Come conferma del fatto che il mondo è disgregato dal
materialismo porto un piccolo esempio.
Dalla fame ci si può facilmente salvare mediante il denaro.
Oggi noi cerchiamo di usare lo stesso triviale meccanismo marxista del
“denaro” e della “merce” per salvarci dal disagio spirituale.
Una volta percepiti i sintomi di una incomprensibile inquietutine,
della depressione e della disperazione, ci affrettiamo immediatamente a
ricorrere allo psichiatra o, il che è più chic, al sessuologo;
costoro costituiscono il padre spirituale, che guarisce la nostra anima
e la riporta alle condizioni normali.
Una volta tranquillizzati paghiamo l'onorario.
E quando sentiamo il bisogno di amare, ci dirigiamo al bordello,
e anche qui saldiamo il conto in contanti, anche se in un certo senso
il bordello può anche essere superfluo.
Eppure sappiamo perfettamente che né l'amore né la tranquillità d'animo
si possono acquistare con il denaro.
.....

Oggi l'umanità civilizzata, in massima parte non credente, ha un atteggiamento
del tutto positivistico.
Neppure i positivisti si accorgono dell'assurdità del marxismo quando afferma che
l'universo esiste da sempre e che il mondo è casuale. Come è possibile?
Aiuto! Ci derubano!
L'uomo contemporaneo non è più capace di sperare negli avvenimenti inattesi nei fatti contraddittori che non rispondono alla logica “normale”,
ancor meno è pronto ad ammettere, fosse anche solo in linea teorica, il miracolo, e a credere alla sua magica forza.
La devastazione spirituale causata dall'assenza di questa qualità dovrebbe
da sola indurci a meditare, a fermarci.
Tuttavia per arrivare a questo, l'uomo stesso deve capire che la sua vita
non può essere valutata come misura umana, ma è nelle mani del Creatore
e che l'uomo deve abbandonarsi alla Sua volontà.
......

Il mio film non vuole esaltare né stroncare i protagonisti del pensiero
contemporaneo o il loro modo di vivere.
Mio desiderio fondamentale era porre e far emergere le domande
fondamentali della nostra esistenza e chiamare lo spettatore alle sorgenti
spente e inaridite della nostra esistenza. I film, le espressioni visive,
sono in grado di farlo non peggio della parola, soprattutto nel momento
in cui la parola ha perso il suo significato misterioso ed esorcizzante.
....

Noi ci sentiamo soffocare sotto la massa smisurata di informazioni, e tuttavia
i messaggi più importanti, capaci di cambiare la nostra vita, non giungono
fino alla nostra coscienza.
Il nostro mondo è spaccato in due metà: il bene e il male.
Spiritualità e pragmatismo.
Il nostro mondo umano è progettato e modellato in base a leggi materiali,
così come l'uomo ha plasmato la sua società sul modello della morta materia.
Ha trasportato su di sé le leggi della natura inanimata.
Perciò non crede allo Spirito e rifiuta Dio. Perchè si nutre di solo pane.
Come potrà dunque vedere lo Spirito, il Miracolo, Dio, se queste cose secondo
il suo punto di vista non edificano nulla di concreto? Esse non sono necessarie.
E l'uomo semplicemente non le vede.
Ma là dove non ce n'è bisogno, dove regna l'empirismo puro, improvvisamente,
di tanto in tanto, emergono dei prodigi, come la fisica.
E la stragrande maggioranza dei più illustri fisici contemporanei,
come è noto, chissà perchè, crede in Dio.
Una volta ho discusso su quest'argomento col fisico sovietico Landau, ora defunto.
Luogo dell'azione: la Crimea; una spiaggia, ciottoli.
Io: Secondo lei, Dio esiste o no?
Landau (gettandomi un'occhiata inerme): credo di si.
...

C'è nell'uomo la speranza di sopravvivere nonostante i segni incombenti
di una quiete apocalittica, preannunciata da fatti evidenti?
La risposta a questa domanda viene forse dall'antica leggenda
dell'esistenza di un albero inaridito, privo della linfa vitale, leggenda
che ho posto a base del film più importante per la mia biografia artistica.
DUn monaco, passo dopo passo, secchio dopo secchio,
attinge l'acqua e annaffia un albero inaridito, sicuro, senza ombra di dubbio,
che la sua opera è necessaria, e non abbandona neppure per un istante
la certezza nella potenza myiracolosa della sua fede nel Creatore.
Per questo fa esperienza del miracolo:
una mattina i rami dell'albero riprendono vita e si coprono di giovani foglie.
Forse questo è solo un miracolo? No, è la verità.
Andrei Tarkovskij
Grazie a: StellaNuova

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domenica, 08 giugno 2008

don Julián Carrón -
***
 
 Testimonianza di don Julián Carrón


Cosa ha portato qui

Macerata-Loreto, 7 giugno 2008
1. Il vero protagonista è il mendicante
 . Che cosa  ha portato ognuno di noi questa sera soltanto il riconoscimento e l'aver preso sul serio il proprio bisogno umano, solo un momento di lealtà con se stessi, con la propria umanità. Perché ognuno di noi è proprio questo: bisognoso. È bello essere bisognosi, perché ci rimanda all'Unico che può rispondere a questo bisogno. Ma bisognosi di che cosa? Il Papa nella si domandava nella Spe salvi(n
Cosa ha portato qui ognuno di noi, questa sera? Soltanto il riconoscimento e l'aver preso sul serio il proprio bisogno umano, solo un momento di lealtà con se stessi, con la propria umanità. Perché ognuno di noi è proprio questo: bisognoso. È bello essere bisognosi, perché ci rimanda all'Unico che può rispondere a questo bisogno. Ma bisognosi di che cosa? Il Papa nella si domandava nella Spe salvi(n. 11): che cosa vogliamo veramente? «In fondo» - diceva il Papa citando sant'Agostino - «vogliamo una sola cosa: la vita che è semplicemente vita, semplicemente "felicità". Non c'è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera. Verso nient'altro ci siamo incamminati: di questo solo si tratta. Ma poi Agostino dice anche: guardando meglio, non sappiamo affatto che cosa in fondo desideriamo, che cosa vorremmo propriamente», e tuttavia «sappiamo che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti».
Non è scontato riconoscere che ognuno di noi ha questo bisogno e che deve esistere qualcosa che non conosciamo, perché - come ci ricorda il regista Tarkovskij - "da tempo l'uomo occidentale ha bruciato la bisaccia e il bastone del viandante, con la sua commovente attitudine alla domanda". L'uomo ha rinunciato ad essere pellegrino, vale a dire ha rinunciato a capire che la vita è cammino verso un destino infinito, e allora "la dimora dell'uomo non è più l'orizzonte, ma il nascondiglio, dove non incontra più nessuno e dove perciò comincia a dubitare della sua stessa esistenza".
 L'epoca contemporanea è una tragica documentazione di ciò cui l'uomo arriva nella pretesa di autonomia, di farsi da sé, di realizzarsi da sé, di crearsi da sé. Per questo la lotta è tra il mendicante, tra chi si riconosce bisognoso, e l'autosufficiente, chi pensa di non aver bisogno di niente e di bastare a se stesso. È una lotta fra due concezioni dell'uomo, fra chi appartiene a qualcosa di più grande e chi appartiene a se stesso.
Ognuno di noi sa di essere immerso in questa lotta: perciò la domanda più stringente è come venirne fuori vincitori. Per don Giussani è chiaro qual è il primo passo da compiere: l'uomo ritorna ad essere se stesso quando torna ad essere mendicante, a mendicare il suo traguardo, il suo destino, come un bambino che mendica la madre. Il pellegrinaggio che stiamo per compiere è un'occasione unica di ritornare ad essere mendicanti. Il mendicante è l'uomo vero, l'uomo che riconosce tutta la grandezza del suo desiderio: che è così grande che noi non siamo in grado di rispondere da soli. Per questo, Signore - come dice il salmo (Is26 8-9) -, "è al tuo nome e al tuo ricordo che si volge tutto il nostro desiderio". La cosa più stupefacente è che vedendoci così bisognosi il Signore è diventato lui stesso mendicante di noi: "Cristo mendicante del cuore dell'uomo". Chi guarda questa mendicanza di Cristo del nostro cuore non può non essere colpito: "Che cosa mai è l'uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell'uomo perché te ne curi?" (Sal8, 5).
È la notizia arrivata a quella ragazza di 15/17 anni, a Nazareth, che la fa esultare di gioia, come esprime lei stessa davanti a Elisabetta: "Il Signore ha guardato l'umiltà" - il niente - "della sua serva". Il Cristianesimo è l'annuncio di questa notizia, di questo sguardo nuovo, pieno di compassione, di Cristo per ognuno di noi. Per farsi riconoscere Dio è entrato nella storia, nella vita di ogni uomo, come uomo, secondo una forma umana: e così il pensiero e tutta l'affezione sono stati "bloccati", calamitati, diceva don Giussani. Chi ha incrociato questo sguardo è rimasto segnato, investito di una gioia senza pari, come successe a quel pubblicano di Gerico, che quando Gesù lo guarda e gli dice "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua, in fretta accorse pieno di gioia. È questo sguardo che attraversa il Vangelo: quando Gesù, rivolgendosi alla gente, le dice - come dice adesso a ognuno di noi - "perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati"; o a quella donna che va a seppellire il figlio: "Donna, non piangere". Queste espressioni dicono tutta la tenerezza di Cristo nei nostri confronti.
Questo è il nostro valore: noi, che non siamo niente, siamo stati guardati - siamo guardati ora - così, e perciò chi ha incontrato questo sguardo non ha potuto non essere preso fino al midollo. Da allora tutti quelli che lo hanno incrociato sono diventati, anche loro, mendicanti di Cristo. "Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo": come noi facciamo questa sera, cercando di immedesimarci nella Madonna, che lasciava entrare questo sguardo; come hanno fatto i discepoli, che appena hanno trovato quell'uomo sono stati così calamitati dalla sua presenza che non hanno potuto evitare di andarlo a cercare il giorno dopo; o di Paolo, il fariseo che dopo averlo incontrato dice: «Tutto quello che prima consideravo guadagno l'ho considerato una perdita, a motivo di Cristo; (...) non però che io abbia conquistato il premio: solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anche io sono stato conquistato da Cristo» (Fil.3). Anche noi siamo tutti stati conquistati da Cristo, e per questo oggi siamo venuti qua per correre, per conquistarlo ancora, perché tutta la nostra vita sia investita dalla sua presenza. Come succede a San Paolo: «Non più io, ma Cristo che vive in me».
Questa vita nella carne io la vivo nella fede nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Lasciare entrare questa presenza si chiama memoria: è quello che consente che tutte le nostre prigioni diventino luogo di respiro, che qualsiasi circostanza, anche quella più brutta, possa essere investita da un respiro e da una novità nuova. La vita ci è stata data per questo: per riconoscere sempre di più che cos'è Cristo. Che qualsiasi circostanza ci tocchi affrontare o vivere, che qualsiasi dolore, qualsiasi sofferenza, possano essere luogo, occasione in cui Cristo svela se stesso, ci fa capire di più fino a che punto Lui ama la nostra vita e vuole cambiarla, farla diventare grande.
Amici, percorriamo la strada verso Loreto coscienti del nostro niente, perché altrimenti saremmo formali, incoscienti del nostro bisogno. Non abbiamo altro, per sostenere la strada, se non questo nostro bisogno, con gli occhi fissi nella Madonna "di speranza fontana vivace" (Dante, Par./span> XXX 12), guardando Lei senza censurare niente. Ecco come la nostra vita può riempirsi di speranza. Qualsiasi sia il momento che attraversiamo, andiamo verso di Lei con tutto il nostro bisogno, perché Cristo possa riempire la nostra vita della sua Presenza.................        Grazie a: Graciete

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tarkovskij, agostino, carron

lunedì, 12 maggio 2008

Abbiamo bisogno di Cristo
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 E' FINITA L'ESTATE
E' fuggita l'estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.
Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.
Ne' il bene ne' il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.
La vita mi prendeva,
sotto l'ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.
Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami...
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.
Arsenij Tarkovskij

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tarkovskij, senso religioso

lunedì, 17 marzo 2008

E LA BELLEZZA DOV’ E’ ?
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C’è qualcuno – fra i partiti che si azzuffano alle elezioni per poi spartirsi la torta del potere – che metterà al primo punto del suo programma la Bellezza, la difesa della Bellezza, il diritto alla Bellezza in questa Italia che fu (e dolentemente sarebbe ancora) la patria della Bellezza? E c’è qualcuno che se ne ricorderà soprattutto a Roma che è la città della Bellezza? Sicuramente no. Eppure la Bellezza non è un lusso, è il pane dei poveri, la loro unica ricchezza. La Bellezza non è fatta di lustrini e veline, povere ombre effimere di un teatro di cannibali (il volto di Madre Teresa era bellissimo e quello di Karol Wojtyla più bello di qualunque attoruncolo hollywoodiano). La Bellezza dà senso alla vita. Ammoniva Dostoevskij nei “Demoni” (che è il suo romanzo più politico, quello dove profetizza l’orrore che l’ideologia provocherà nel Novecento): “Sappiate che l’umanità può fare a meno degli Inglesi, che può fare a meno della Germania, che niente è più facile per lei che fare a meno dei Russi, che per vivere non ha bisogno né di scienza né di pane, ma che soltanto la bellezza le è indispensabile, perché senza bellezza non ci sarà più niente da fare in questo mondo”.

Non c’è nessuno che abbia il senso tragico del momento che viviamo. Nessuno che si alzi di un centimetro sopra gli avvenimenti e ne sappia leggere la logica (suicida), il punto di approdo e di crollo. Non solo nella “classe dirigente” (si fa per dire) italiana. La tecnocrazia europea è assai peggiore. Eppure la gente lo sente, avverte che abbiamo perduto l’essenziale. Vorrei sentir dire a qualcuno le parole di Robert Kennedy: Il dramma della gioventù americana è che sa tutto eccetto una cosa. E questa cosa è l’essenziale”. Continuerà a ignorarlo e ad affossarsi, la nostra gioventù, se – per esempio – le università saranno sempre nelle mani di minoranze fanatiche che inalberano cartelli dove sta scritto: “Non vogliamo padri” (come è accaduto all’Università di Roma per impedire l’arrivo del Papa).

A volte mi viene in mente un’invettiva
dell’autore del “Piccolo principe” che dice brandelli di verità: “Odio la mia epoca con tutte le mie forze. In essa l’uomo muore di sete e non esiste al mondo un problema più grande di questo: dare agli uomini un senso spirituale, un’inquietudine spirituale. Non si può vivere di frigoriferi, di bilanci e di politica. Non si può! Non si può vivere senza poesia, senza colore, senza amore. Lavorando unicamente per acquistare dei beni materiali finiremo con il fabbricarci una vera e propria prigione”.

Un inferno. Popolato di demoni e beni di consumo. Di monnezza e di palline da golf perdute. Di vecchi abbarbicati al potere e di giovani incapaci della più piccola nobiltà d’animo. Di assatanati del sesso. Di incapaci di rispettare i deboli. Di ragazze ridotte a cose da possedere anche a costo di violentarle. Di figli ridotti a prodotti da “fabbricare” a proprio gusto o da scartare ed eliminare se “difettosi”. Di una cultura che esalta solo e sempre la brama di possesso, il potere e il denaro (e soprattutto la loro esibizione), mentre la vita reale della metà delle famiglie italiane sta sprofondando letteralmente nella povertà. E se ne approfitta per produrre parole parole parole…

Giorni fa vedevo un programma d’informazione in tv che da anni fa la stessa puntata: non parla che delle bollette e delle buste paga, della finanziaria e della rata del mutuo. Da mesi e da anni. Oltretutto un parlare del tutto vano perché la gente, sempre più impoverita, non si sente dire la verità, non si sente dire “per colpa di chi”. E ora non riesce più neanche ad acquistare le medicine per curarsi. Nessuno ha il coraggio di dire la verità e nessuno la difende.

Ma mi chiedo se la vita e il destino di un popolo sia tutto e solo lì, nelle bollette. Oltretutto questo popolo non fa più figli, perché fare figli significa essere condannati alla povertà; perciò fra venti anni il popolo italiano sarà vicino all’estinzione. Senza speranza. Dicono certi sondaggi che quello italiano è un popolo triste e senza speranza. Nel dopoguerra eravamo molto più poveri, addirittura fra le macerie, un paese in ginocchio. Ma avevamo una grande risorsa che ha fatto “il miracolo”. Qual era? Cosa abbiamo perduto? Perché nessuno sa dirlo? Beh, lo dirò io: la fede cristiana. Questo abbiamo perso. Cioè l’amore alla vita.
“L’umanità è giunta a un punto vergognoso! Non siamo liberi da noi stessi. Io parlo perché tutti capiate che la vita è semplice e che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il vostro futuro, dovete ritornare al punto dove vi siete persi, dove avete imboccato la via sbagliata! Bisogna tornare al punto di prima, in-quel-punto dove voi avete imboccato la strada sbagliata”.

E’ il “folle di Dio”, Domenico, nel film “Nostalghia” di Andrej Tarkovskij, che grida queste parole, poco prima di sacrificare se stesso sopra la statua del Marco Aurelio in Campidoglio. Ma in quale punto abbiamo “imboccato la via sbagliata”? A quale crocevia ci siamo smarriti? Sfogliando un libro di antiche icone russe, Alexander, il protagonista del “Sacrificio” (il successivo e ultimo film di Tarkovskij), si dice colpito da quelle splendide tavole per la “saggezza e spiritualità (…) profonda e virginale nello stesso tempo. Incredibile come una preghiera”. Ma aggiunge, con sconcerto: “tutto questo è andato perduto. Non siamo più neppure capaci di pregare”.

Due sequenze con le quali Tarkovskij ci dice che si sono perdute (o abbandonate) al tempo stesso la Bellezza e la Fede. Che poi sono la stessa cosa. Pavel Edvokimov scrive: “Ciò che è bello è la presenza di Dio fra gli uomini”. Un cataclisma si è dunque consumato agli esordi del Novecento. Preparato da qualche secolo. Si è preteso di cancellare – anche al prezzo di stragi e persecuzioni bestiali – la presenza di Dio fra gli uomini.

Così si è cancellato l’uomo. E si è cancellata anche la bellezza. Infatti non c’è più bellezza, neanche nelle chiese. Non c’è più la forma umana. E non c’è più neanche lo stupore per la realtà creata. Un filosofo straordinario come
Wittgenstein diceva: “E ora descriverò l’esperienza di meravigliarsi per l’esistenza del mondo, dicendo: è l’esperienza di vedere il mondo come un miracolo”. Non è più così. I “miracoli” sono stati aboliti innanzitutto dai teologi che si scagliano contro i santi e pretendono di legare le mani alla bontà di Dio. Ebbe modo di prevedere questa china quel grande che era Franz Kafka quando notò:Non ci sono più miracoli, ma solo istruzioni per l’uso. Ci sono solo norme, regole, vademecum, anche nella Chiesa che pure è il luogo dei miracoli, che pure sarebbe cielo e terra nuova, dove i miracoli veramente accadono. Dice Tarkovskij: “non si è più capaci di ammettere, neppure per ipotesi, il miracolo”. Perduto il significato siamo precipitati tutti – uomini, popoli e cose create - nell’assurdo e quindi anche nel brutto. L’arte si è disumanizzata e ha celebrato la distruzione del “personaggio uomo” e della realtà creata. Sono diventate “opere d’arte” gli orinatoi e la “merda d’artista”. Così “l’abolizione della bellezza è la fine dell’intelligibilità del mondo” (F. Schuon). Ma è anche la fine del mondo.

Antonio Socci
(da “Libero”, 24 febbraio 2008)

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giovedì, 27 dicembre 2007

Un solo viaggio possibile:
nel nostro mondo interiore
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 " C'è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore. Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta, così come non credo che si viaggi per tornare. L'uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato. Da sè stessi non si può fuggire. Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l'uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l'uomo deve poter viaggiare."

 Tarkowsky


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tarkovskij, senso religioso

domenica, 28 ottobre 2007

La Bellezza
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«La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l’uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua».
Andrej Tarkovskij, Intervista a Poiesis
 

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bellezza, tarkovskij

sabato, 22 settembre 2007

Il cuore
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Non è l'intelletto che ci deve guidare, ma il cuore…E' solo per mezzo del cuore che si può intendere il segreto dell'infinito.
Andrej Tarkovskij

 

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mercoledì, 04 luglio 2007

 Lo sguardo umano
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“Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più.
E d'un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno - uno sguardo umano - ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”.
Tarkovskij

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venerdì, 13 aprile 2007

LA BELLLEZZA
E’ SIMBOLO DELLA VERITA’
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“Ogni artista nel corso della sua permanenza sulla terra trova e lascia dopo di se una particella di verità sulla civilizzazione, sull'umanità. Il concetto stesso di ricerca e oltraggioso per un artista. Assomiglia alla raccolta di funghi in un bosco. Forse ne troveremo o forse no. Picasso diceva addirittura: "io non cerco, trovo". A mio parere, l'artista non procede affatto come un ricercatore, egli non agisce empiricamente in nessuna maniera ("proverò a fare questo, tenterò quest'altro"). L'artista da una testimonianza sulla verità, sulla sua verità del mondo. L'artista deve essere certo che egli e la sua creazione rispondono alla verità. Io rifiuto il concetto di esperimento, di ricerca nella sfera dell'arte. Qualsiasi ricerca in questo ambito, tutto ciò che chiamano pomposamente "avanguardia" e semplicemente menzogna. Nessuno sa che cos'è la bellezza. L'idea che la gente si fa della bellezza, il concetto stesso di bellezza, mutano nel corso della storia assieme alle pretese filosofiche e al semplice sviluppo dell'uomo nel corso della sua vita personale. E questo mi spinge a pensare che, effettivamente, la bellezza e il simbolo di qualcos'altro. Ma di cosa esattamente? La bellezza e simbolo della verità. Non dico nel senso della contraddizione "verità/menzogna", ma nel senso di cammino di verità, che l'uomo sceglie. La bellezza (si intende quella relativa!) ha nelle diverse epoche testimoniato del livello di consapevolezza, che gli uomini di una determinata epoca hanno della verità. Ci fu un tempo in cui questa verità aveva l'aspetto della Venere di Milo. Ne consegue che l'intera collezione di ritratti femminili, diciamo, di un Picasso non ha, a rigor di termini, la minima relazione con la verità. Ma qui non parliamo della capacita di attrazione ne di qualcosa di carino
 parliamo della bellezza armonica, della bellezza nascosta, della bellezza in quanto tale. Picasso, invece di celebrare la bellezza, si e comportato come il suo distruttore, il suo detrattore, il suo sterminatore. La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere ne decifrata ne spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l'uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua. Mi sembra che l'essere umano sia stato creato per vivere. Vivere nel cammino verso la verità. Ecco perché l'uomo crea. In una certa misura l'uomo crea nel cammino verso la verità. Questo e il suo modo di esistere, e l'interrogativo sulla creazione ("Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?") e senza risposta. Effettivamente ogni artista non soltanto ha una sua concezione sulla creazione ma ha anche un suo modo personale di interrogarsi su cio'. Questo si collega a quanto io adesso dico sulla verità, alla quale noi tendiamo, alla quale contribuiamo con le nostre piccole forze. Un ruolo fondamentale gioca qui l'istinto, l'istinto del creatore. L'artista crea istintivamente, egli non sa perché proprio in quel momento fa una cosa oppure un'altra, scrive proprio di questo, dipinge proprio questo. Soltanto dopo egli comincia ad analizzare, a trovare spiegazioni, a filosofeggiare e giunge alle risposte che non hanno nulla in comune con l'istinto, col bisogno istintivo di fare, creare, esprimere se stesso. In un certo senso la creazione e rappresentazione dell'essenza spirituale nell'uomo ed è la contrapposizione all'essenza fisica; la creazione è in un certo senso la dimostrazione dell'esistenza di questa essenza spirituale. Nell'ambito delle attività umane non c'è nulla che sarebbe più inutile, più senza scopo, non c'e nulla che sarebbe più a se stante della creazione. Se si esclude dalle attività umane tutto quanto attiene al raggiungimento del profitto, rimarrà soltanto l'arte. Per contemplazione io intendo soltanto dire quello che origina l'immagine artistica o l'idea che noi ce ne facciamo. Questo è assolutamente individuale. L'immagine artistica, il significato dell'immagine artistica possono scaturire soltanto dall'osservazione. Se non si basa sulla contemplazione, l'immagine artistica si trasforma in simbolo, cioè in qualcosa che forse puo essere spiegato dalla ragione, e, allora, l'immagine artistica non esiste: essa infatti non riflette più l'umanità, il mondo. L'autentica immagine artistica deve riflettere non soltanto la ricerca di un povero artista alle prese con i suoi problemi umani, con i suoi desideri e bisogni. Essa deve riflettere il mondo. Ma non il mondo dell'artista ma il cammino dell'umanità verso la verità. Della semplice sensazione del contatto con l'anima, che qui, da qualche parte, al di sopra di noi, dinanzi a noi vive nell'opera d'arte in misura tale da stimarla geniale. In questo e l'impronta originale del genio.
Ci fu un tempo in cui io potevo chiamare miei ex
maestri, le persone che hanno avuto un'influenza su di me. Adesso, nella mia coscienza, si conservano soltanto dei "personaggi", per meta santi, per meta folli. Questi "personaggi" sono forse un po' invasati ma non dal diavolo; si potrebbe dire che sono "i pazzi di dio". Tra i vivi cito Robert Bresson. Tra i morti, Lev Tolstoj, Bach, Leonardo da Vinci... In fin dei conti, tutti costoro erano pazzi. Perché non hanno assolutamente cercato nulla nella loro testa. Hanno creato senza il concorso della testa... Essi mi spaventano e mi ispirano. Non e assolutamente possibile spiegare la loro creazione. Sono state scritte migliaia di pagine su Bach, Leonardo e Tolstoj ma, in conclusione, nessuno ha potuto spiegare nulla. Nessuno, grazie a dio, ha potuto trovare, sfiorare la verità, toccare l'essenza della loro creazione! Questo dimostra ancora una volta che il miracolo è inspiegabile...
Nel senso più alto di questo concetto
 la libertà, soprattutto nel senso artistico, nel senso della creazione, non esiste. Si, l'idea della libertà esiste, e una realtà nella vita sociale e politica. In diverse regioni e paesi gli uomini vivono avendo più o meno libertà; ma vi sono note testimonianze che dimostrano che nelle più orribili circostanze ci sono stati uomini che hanno avuto una inaudita libertà interiore, un mondo interiore, nobiltà. Mi sembra che la libertà non consista nella qualità della scelta: la libertà è una condizione dello spirito. Per esempio, si può essere socialmente, politicamente, completamente "liberi" e non di meno morire per la sensazione di precarietà, di oppressione, di mancanza di futuro. Per cio che concerne la libertà della creazione, di questo non si puo assolutamente discutere. Senza di essa non puo esistere una sola arte. L'assenza della libertà deprezza automaticamente l'opera d'arte, poiché questa assenza impedisce a chi viene per ultimo di rivelarsi nella forma migliore. L'assenza di questa libertà porta a che l'opera d'arte, nonostante la sua esistenza fisica, non esista di fatto. Nella creazione dobbiamo vedere non soltanto la creazione. Purtroppo, nel XX secolo appare predominante la tendenza secondo la quale l'artista
 individualista, invece di tendere alla creazione dell'opera d'arte, se ne serve per evidenziare il proprio "io". L'opera d'arte diventa manifestazione dell'io del suo creatore e si trasforma, possiamo dire, in megafono delle sue minime pretese. Questo vi e noto meglio che a me. Ne ha scritto molto Paul Valery. Al contrario, il vero artista, e a maggior ragione il genio, appaiono schiavi del dono che distribuiscono. Essi sono legati da questo dono agli uomini, al cui nutrimento spirituale e al cui servizio sono stati scelti. Ecco in cosa consiste per me la libertà.”
Andrej Tarkovskij.
Dall’'ultima intervista (inedita in italiano) da lui concessa a"Le Figaro" nell'ottobre 1986

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