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grazie ad Anna Ascione
Postato da: giacabi a 19:12 |
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tarkovskij
L'uomo occidentale
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Da tempo l'uomo occidentale ha bruciato la bisaccia e il bastone del viandante, con la sua commovente attitudine alla domanda.***
La dimora dell'uomo non è più l'orizzonte, ma il nascondiglio, dove non incontra nessuno e dove per ciò comincia a dubitare della sua stessa esistenza.
(Andrej Tarkovskij - in "Obbiettivo Tarkovskij" di Antonio Socci - Edit 1987 p.27)
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tarkovskij
L'ultima intervista di Andrej Tarkovskij
"Le Figaro" - Ottobre 1986
"Le Figaro" - Ottobre 1986
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I
miei due ultimi film si basano su impressioni personali, ma non hanno
nulla a che fare né con l'infanzia né col passato, essi riguardano
piuttosto il presente. Richiamo l'attenzione sulla parola "impressioni".
I ricordi dell'infanzia non hanno mai fatto di un uomo un artista. Vi
rimando ai racconti di Anna Achmatova sulla sua infanzia. Oppure a
Marcel Proust. Noi attribuiamo un significato eccessivo al ruolo
dell'infanzia. Il metodo degli psicoanalisti di guardare alla vita
attraverso l'infanzia, di trovare in essa la spiegazione di tutto, e uno
dei modi di infantilizzazione della personalità. Poco tempo addietro ho
ricevuto una strana lettera da un famoso psicoanalista, il quale cerca
di spiegarmi la mia attività creativa con i metodi della psicoanalisi.
L'approccio al processo artistico, alla creazione da questo punto di
vista, se me lo consentite, rattrista addirittura. Rattrista perché i
motivi e l'essenza della creazione sono molto più complessi, di gran
lunga più impercettibili che i semplici ricordi sull'infanzia e la loro
spiegazione. Ritengo che le interpretazioni psicoanalitiche dell'arte
sono troppo semplicistiche, persino primitive.
Ogni artista nel corso della sua permanenza sulla terra trova e lascia
dopo di se una particella di verità sulla civilizzazione, sull'umanità.
Il concetto stesso di ricerca e oltraggioso per un artista. Assomiglia
alla raccolta di funghi in un bosco. Forse ne troveremo o forse no.
Picasso diceva addirittura: "io non cerco, trovo". A mio parere,
l'artista non procede affatto come un ricercatore, egli non agisce
empiricamente in nessuna maniera ("proverò a fare questo, tenterò
quest'altro"). L'artista da una testimonianza sulla verità, sulla sua
verità del mondo. L'artista deve essere certo che egli e la sua
creazione rispondono alla verità. Io rifiuto il concetto di esperimento,
di ricerca nella sfera dell'arte. Qualsiasi ricerca in questo ambito,
tutto ciò che chiamano pomposamente "avanguardia" e semplicemente
menzogna. Nessuno
sa che cos'è la bellezza. L'idea che la gente si fa della bellezza, il
concetto stesso di bellezza, mutano nel corso della storia assieme alle
pretese filosofiche e al semplice sviluppo dell'uomo nel corso della sua
vita personale. E questo mi spinge a pensare che, effettivamente, la
bellezza e il simbolo di qualcos'altro. Ma di cosa esattamente? La
bellezza e simbolo della verità. Non dico nel senso della contraddizione
"verità/menzogna", ma nel senso di cammino di verità, che l'uomo
sceglie. La bellezza (si intende quella relativa!) ha nelle diverse
epoche testimoniato del livello di consapevolezza, che gli uomini di una
determinata epoca hanno della verità. Ci fu un tempo in cui questa
verità aveva l'aspetto della Venere di Milo.
Ne consegue che l'intera collezione di ritratti femminili, diciamo, di
un Picasso non ha, a rigor di termini, la minima relazione con la
verità. Ma qui non parliamo della capacita di attrazione ne di qualcosa
di carino - parliamo della bellezza armonica, della bellezza nascosta,
della bellezza in quanto tale. Picasso, invece di celebrare la bellezza,
si e comportato come il suo distruttore, il suo detrattore, il suo
sterminatore. La
verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non puo essere ne
decifrata ne spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una
persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa
bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua
presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La
bellezza è come un miracolo, del quale l'uomo diventa involontariamente
testimone. Tutto qua. Mi sembra che l'essere umano sia stato creato per
vivere. Vivere nel cammino verso la verità. Ecco perché l'uomo crea. In
una certa misura l'uomo crea nel cammino verso la verità.
Questo e il suo modo di esistere, e l'interrogativo sulla creazione
("Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?") e senza risposta.
Effettivamente ogni artista non soltanto ha una sua concezione sulla
creazione ma ha anche un suo modo personale di interrogarsi su ciò.
Questo si
collega a quanto io adesso dico sulla verità, alla quale noi tendiamo,
alla quale contribuiamo con le nostre piccole forze. Un ruolo
fondamentale gioca qui l'istinto, l'istinto del creatore. L'artista crea
istintivamente, egli non sa perché proprio in quel momento fa una cosa
oppure un'altra, scrive proprio di questo, dipinge proprio questo.
Soltanto dopo egli comincia ad analizzare, a trovare spiegazioni, a
filosofeggiare e giunge alle risposte che non hanno nulla in comune con
l'istinto, col bisogno istintivo di fare, creare, esprimere se stesso.
In un certo senso la creazione e rappresentazione dell'essenza
spirituale nell'uomo ed è la contrapposizione all'essenza fisica; la
creazione è in un certo senso la dimostrazione dell'esistenza di questa
essenza spirituale. Nell'ambito delle attività umane non c'è
nulla che sarebbe più inutile, più senza scopo, non c'e nulla che
sarebbe più a se stante della creazione. Se si esclude dalle attività umane tutto quanto attiene al raggiungimento del profitto, rimarrà soltanto l'arte.
Per contemplazione io intendo soltanto dire quello che origina
l'immagine artistica o l'idea che noi ce ne facciamo. Questo è
assolutamente individuale. L'immagine
artistica, il significato dell'immagine artistica possono scaturire
soltanto dall'osservazione. Se non si basa sulla contemplazione,
l'immagine artistica si trasforma in simbolo, cioè in qualcosa che forse
puo essere spiegato dalla ragione, e, allora, l'immagine artistica non
esiste: essa infatti non riflette più l'umanità, il mondo. L'autentica
immagine artistica deve riflettere non soltanto la ricerca di un povero
artista alle prese con i suoi problemi umani, con i suoi desideri e
bisogni. Essa deve riflettere il mondo. Ma non il mondo
dell'artista ma il cammino dell'umanità verso la verità. Della semplice
sensazione del contatto con l'anima, che qui, da qualche parte, al di
sopra di noi, dinanzi a noi vive nell'opera d'arte in misura tale da
stimarla geniale. In questo e l'impronta originale del genio.
Ci
fu un tempo in cui io potevo chiamare miei ex-maestri, le persone che
hanno avuto un'influenza su di me. Adesso, nella mia coscienza, si
conservano soltanto dei "personaggi", per meta santi, per meta folli.
Questi "personaggi" sono forse un po' invasati ma non dal diavolo; si
potrebbe dire che sono "i pazzi di dio". Tra i vivi cito Robert Bresson. Tra i morti, Lev Tolstoj, Bach, Leonardo da Vinci...
In fin dei conti, tutti costoro erano pazzi. Perché non hanno
assolutamente cercato nulla nella loro testa. Hanno creato senza il
concorso della testa... Essi mi spaventano e mi ispirano. Non e
assolutamente possibile spiegare la loro creazione. Sono state scritte
migliaia di pagine su Bach, Leonardo e Tolstoj ma, in conclusione,
nessuno ha potuto spiegare nulla. Nessuno, grazie a dio, ha potuto
trovare, sfiorare la verità, toccare l'essenza della loro creazione!
Questo dimostra ancora una volta che il miracolo è inspiegabile...
Nel
senso più alto di questo concetto - la libertà, soprattutto nel senso
artistico, nel senso della creazione, non esiste. Si, l'idea della
libertà esiste, e una realtà nella vita sociale e politica. In diverse
regioni e paesi gli uomini vivono avendo più o meno libertà; ma vi sono
note testimonianze che dimostrano che nelle più orribili circostanze ci
sono stati uomini che hanno avuto una inaudita libertà interiore, un
mondo interiore, nobiltà. Mi sembra che la libertà non consista nella qualità della scelta: la libertà è una condizione dello spirito.
Per esempio, si può essere socialmente, politicamente, completamente
"liberi" e non di meno morire per la sensazione di precarietà, di
oppressione, di mancanza di futuro. Per ciò che concerne la libertà
della creazione, di questo non si può assolutamente discutere. Senza di
essa non può esistere una sola arte. L'assenza della libertà deprezza
automaticamente l'opera d'arte, poiché questa assenza impedisce a chi
viene per ultimo di rivelarsi nella forma migliore. L'assenza di questa
libertà porta a che l'opera d'arte, nonostante la sua esistenza fisica,
non esista di fatto. Nella creazione dobbiamo vedere non soltanto la
creazione. Purtroppo, nel
XX secolo appare predominante la tendenza secondo la quale l'artista-
individualista, invece di tendere alla creazione dell'opera d'arte, se
ne serve per evidenziare il proprio "io". L'opera d'arte
diventa manifestazione dell'io del suo creatore e si trasforma, possiamo
dire, in megafono delle sue minime pretese. Questo vi e noto meglio che
a me. Ne ha scritto molto Paul Valery. Al contrario,
il vero artista, e a maggior ragione il genio, appaiono schiavi del
dono che distribuiscono. Essi sono legati da questo dono agli uomini, al
cui nutrimento spirituale e al cui servizio sono stati scelti. Ecco in
cosa consiste per me la libertà
Andrej Tarkovskij
Postato da: giacabi a 21:10 |
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bellezza, tarkovskij
01/06/2002
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Tracce pp. ss |
Verso il Meeting
Il bello è splendore del vero
Mimmo Stolfi*** |
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Luzi, Degas, Solmi, Weil… Pillole di genialità verso il prossimo Meeting: «Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza». Apparenza, Mistero e realtà nella percezione di artisti del Novecento Con buona pace di Platone e di tutti i suoi seguaci, numerosissimi ancora oggi, la bellezza non è l’idea del bello. L’oggetto dell’estetica è la percezione, non un concetto. Non c’è dunque niente di più concreto della bellezza, la cui contemplazione non avviene nell’iperuranio, ma qui e ora nel mondo attraverso i sensi. Ecco perché in questa scelta antologica ispirata alla frase «il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza», non troverete quasi mai citazioni tratte da filosofi di professione, ma piuttosto pensieri di poeti, artisti, scrittori. Tutta gente per la quale la bellezza non è materia teorica, ma quello stimolo, quella scossa o quella carezza che la realtà spesso concede a chi non distolga lo sguardo dalle cose e dai volti. Ma la potenza della bellezza è tale che spesso assume i caratteri di una vera propria epifania. Di un’apparizione improvvisa che può coglierci anche nel tran tran quotidiano. Un vero e proprio urto che ci scuote suscitando in noi quell’anelito a un oltre, soffocato dal chiacchiericcio assordante che ci circonda. È quello che accade, per esempio, nella poesia A una passante di Baudelaire: «La via assordante strepitava intorno a me./ Una donna alta, sottile, a lutto, in un dolore immenso,/ passò sollevando e agitando/ con mano fastosa il pizzo e l’orlo della sua gonna/ (...) Un lampo...poi la notte! - bellezza fuggitiva/ dallo sguardo che m’ha fatto subito rinascere,/ ti rivedrò solo nell’eternità?». L’urto della bellezza risveglia anche quella promessa di felicità, quel desiderio di infinito che alberga in ogni uomo. E ancora una volta a donarci le parole più intense per dire quell’emozione che ci lavora dentro, e la cui intensità è tale che spesso non riusciamo a verbalizzarla, è un poeta. Un poeta, Rainer Maria Rilke, che quella felicità, quella bellezza, non la coglie in un platonico “mondo delle Idee”, ma nella terra, la nostra terra: «E noi che pensiamo la felicità/ come un’ascesa, ne avremmo l’emozione/ quasi sconcertante/ di quando cosa ch’è felice, cade». «Quella che io intendo per bellezza, ed è la sola che mi interessa, mi tocca e mi commuove, è una promanazione interiore armonizzata con la forma esterna». (Mario Luzi, Intervista a Doriano Fasoli, Radiotre) «Tanto in cuore aver d’amore/ da dire tutto è bello,/ anche l’uomo e il suo male,/ anche in me quello che m’addolora». (Umberto Saba, Canzoniere) «Se non vedi il gioiello nel sassolino circondato da fili d’oro, può darsi che ti lavi le mani così spesso da sbiadire i pensieri che vi sono stati riposti». (Emily Dickinson, Poesie) «Ho visto cose bellissime, grazie alla diversa prospettiva suggerita dalla mia perenne insoddisfazione, e quel che mi consola ancora, è che non smetto di osservare». (Edgar Degas, Scritti) «Il colore di ogni cosa ci commuove come un’armonia; ci vien voglia di piangere vedendo che le rose son rose o, se è inverno, scorgendo sui tronchi delle piante dei bei colori verdi quasi riflettenti; e, se un poco di luce batte su quei colori, come, ad esempio, nell’ora del tramonto, quando il lilla bianco fa cantare la propria bianchezza, ci si sente inondati di bellezza». (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto) «Altrove, senza dubbio, esistono i tramonti. Ma perfino da questo quarto piano sulla città si può pensare all’infinito. Un infinito con magazzini sottostanti, è vero, ma con stelle all’orizzonte». (Fernando Pessoa, Il libro) «L’abbandono di fronte alle cose e l’apertura al mistero si appartengono l’uno all’altra». (Martin Heidegger, L’abbandono) «La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l’uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua». (Andrej Tarkovskij, Intervista a Poiesis) «La rivelazione della poesia, una volta affacciandomi a una finestra, si impersonò per me in un grande mandorlo fiorito, candido nell’abbagliante chiarore della luna piena». (Sergio Solmi, Meditazioni e ricordi) «Ma perché essere qui è molto, e perché sembra che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste effimere che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri». (Rainer Maria Rilke, Elegie duinesi) «Sono solo un uomo, ho bisogno di segni sensibili, costruire scale di astrazioni mi stanca presto. Desta, dunque, o Dio, un uomo in un posto qualsiasi della terra e permetti che guardandolo io possa ammirare Te». (Czeslaw Milosz, La mente prigioniera) «Ringraziavo Dio del fatto di avermi creato artista per amare tutte le forme in cui Egli si manifesta, e piangere di esultanza e di giubilo davanti ad esse». (Boris Pasternak, Il soffio della vita) «Il bello è l’apparenza manifesta del reale». (Simone Weil, Quaderni) «L’uomo non può fare a meno della bellezza, e la nostra epoca finge di volerlo ignorare. Essa non vede il bello perché s’irrigidisce per raggiungere l’assoluto e il dominio, vuole trasfigurare il mondo prima di averlo esaurito, ordinarlo prima d’averlo capito. Per quanto dica, essa diserta da questo mondo». (Albert Camus, Lo straniero) «La bellezza si nasconde in ogni piega del mondo, anche nei posti più inimmaginabili. Coglierla significa dischiudersi alle ricchezze della vita. E anche comprenderne la responsabilità». (Elaine Scarry, Sulla bellezza) |
Postato da: giacabi a 20:13 |
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baudelaire, bellezza, luzi, proust, camus, rilke, tarkovskij, pasternak
La felicità reale
È straordinario e ricco di insegnamenti il destino storico del genio. Questi martiri prescelti da
Dio, condannati a distruggere in nome del movimento e della
ricostruzione, si trovano in una contraddittoria situazione di
equilibrio instabile tra l’aspirazione alla felicità e la convinzione
che essa, come realtà o condizione concreta, non esiste. La felicità,
infatti, è un concetto astratto, morale, e la
felicità reale, la felicità felice, consiste, com’è noto,
nell’aspirazione a quella felicità che per l’uomo non può essere che
assoluta: quell’assoluto di cui siamo assetati.Andrej Tarkovskij
Postato da: giacabi a 21:33 |
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felicità , tarkovskij
IL SACRIFICIO (Andrej Tarkovskij)
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Postato da: giacabi a 07:45 |
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tarkovskij
La bellezza
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«L’uomo non può fare a meno della bellezza, e la nostra epoca finge di volerlo ignorare. Essa non vede il bello perché s’irrigidisce per raggiungere l’assoluto e il dominio, vuole trasfigurare il mondo prima di averlo esaurito, ordinarlo prima d’averlo capito. Per quanto dica, essa diserta da questo mondo».
(Albert Camus, Lo straniero) ...................................
«La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando
un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si
imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa
sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la
schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l’uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua».
(Andrej Tarkovskij, Intervista a Poiesis) |
Postato da: giacabi a 21:12 |
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bellezza, tarkovskij
Lo scopo dell’arte
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Il senso della verità religiosa è racchiuso nella speranza. La
filosofia cerca la verità definendo il significato dell’attività umana,
i confini della ragione dell’uomo, il significato dell’esistenza.
Anche quando il filosofo perviene all’idea dell’assurdità
dell’esistenza e della vanità degli sforzi umani. La destinazione
funzionale dell’arte non consiste affatto, come talvolta ritengono gli
artisti stessi, nell’instillare pensieri, nel contagiare con delle idee,
nel servire da esempio.
Lo scopo dell’arte consiste nel preparare l’uomo alla morte, nell’arare
e nel rendere soffice la sua anima in modo che sia atta a rivolgersi al
bene.
A. Tarkovskij
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Postato da: giacabi a 06:10 |
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bellezza, tarkovskij
Lo scopo dell’arte
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Lo scopo dell’arte [...] è quello di spiegare a se stessi e a chi ci sta intorno perché vive l’uomo, qual è il significato della sua esistenza, di spiegare agli uomini qual è la ragione della loro apparizione su questo pianeta. O, se non di spiegarlo, di porre loro questo problema [...] Per mezzo dell’arte, l’uomo si appropria della realtà attraverso un’esperienza soggettiva. [...]
La scoperta artistica si presenta come una rivelazione, come un desiderio appassionato e improvviso di afferrare intuitivamente tutte in una volta le leggi del mondo – la sua bellezza e il suo orrore, la sua umanità e la sua ferocia, la sua infinità e la sua limitatezza. [...]
L'arte esiste e si afferma là dove esiste quell'eterna e insaziabile nostalgia della spiritualità, dell'ideale, che raccoglie gli uomini attorno all'arte. È
erronea la via per la quale si è avviata l'arte contemporanea,
rinunciando alla ricerca del significato della vita in nome
dell'affermazione del valore autonomo della persona.
La
cosiddetta creazione comincia ad apparire una sorta di eccentrica
occupazione a cui attendono personalità sospette che affermano il valore
intrinseco di qualsiasi atto personalizzato. Ma nella creazione la personalità non si afferma, bensì è al servizio di un'altra idea generale e di ordine superiore.
L'artista è sempre un servitore che si sforza per così dire di sdebitarsi per il dono che gli è stato concesso come una grazia. Tuttavia l'uomo moderno non è disposto ad alcun sacrificio, benché soltanto il sacrificio costituisca un'autentica affermazione".
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Postato da: giacabi a 14:44 |
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tarkovskij
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Postato da: giacabi a 20:33 |
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tarkovskij
se l'uomo non rinuncia a se stesso
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Tratto dall'ultimo scritto del regista russo Andrej Tarkovskij
Il desiderio che questo film (Il Sacrificio, ndr) fosse il più importante
per me è diventato sempre più insopprimibile, man mano che coglievo il
marchio del materialismo impresso sul volto del nostro pianeta, man mano che
mi scontravo con la sofferenza umana, e incontravo sempre più
persone vittime di psicosi, segno della loro incapacità e non volontà di
capire come mai la vita aveva perso per loro ogni attrattiva e valore,
e stavano così a disagio.
L'uomo
contemporaneo si trova ad un bivio, davanti a lui si pone un dilemma: o
continuare questa cieca esistenza consumistica, sottomessa
all'inarrestabile avanzare delle nuove tecnologie e alla crescente
accumulazione dei beni materiali, o cercare e trovare la strada verso la
responsabilità spirituale che, in ultima analisi, potrebbe diventare la
salvezza reale non solo per lui come individuo, ma per la stessa
società.
Ciò significa tornare a Dio.
E' l'uomo che deve risolvere questo problema, solamente lui può trovare
la strada verso un'equilibrata vita spirituale.
Proprio scegliere in questo senso potrebbe essere un passo verso la responsabilità
nei confronti della società. Questo è appunto il sacrificio, ossia il concetto
cristiano del sacrificio di sè. Ma sovente sembra che l'uomo scarichi decisioni,
che dice non dipendere da lui, su delle fantomatiche “leggi oggettive”,
che decidono tutto al suo posto. Avanzo l'ipotesi che l'uomo contemporaneo,
nella
gran massa, non è pronto a rinunciare a se stesso e ai propri beni in
favore di altre persone e in nome di ciò che è Supremo, Essenziale;
è pronto piuttosto a mutarsi in un robot.
Sono
ben cosciente che certamente l'idea del sacrificio, dell'amore
evangelico verso il prossimo, non gode oggi di molta popolarità, anzi è
tutt'altro che popolare: nessuno esige da noi il sacrificio di sè, che
viene classificato come qualcosa di “idealistico” o di irrealizzabile.
Ma noi possiamo
constatare con i nostri occhi i risultati dell'esperienza passata: la
perdita dell'individualità a favore di un egocentrismo apertamente
dichiarato; la trasformazione dei legami umani in relazioni prive di
significato, non solo tra persone, ma anche tra gruppi e, ciò che è
ancor più terribile, la perdita dell'ultima possibilità di salvezza,
quella di tornare a una vita spirituale degna dell'uomo.
Invece che la vita spirituale noi oggi esaltiamo la vita materiale e i suoi
cosiddetti valori. Come conferma del fatto che il mondo è disgregato dal
materialismo porto un piccolo esempio.
Dalla fame ci si può facilmente salvare mediante il denaro.
Oggi noi cerchiamo di usare lo stesso triviale meccanismo marxista del
“denaro” e della “merce” per salvarci dal disagio spirituale.
Una volta percepiti i sintomi di una incomprensibile inquietutine,
della depressione e della disperazione, ci affrettiamo immediatamente a
ricorrere allo psichiatra o, il che è più chic, al sessuologo;
costoro costituiscono il padre spirituale, che guarisce la nostra anima
e la riporta alle condizioni normali.
Una volta tranquillizzati paghiamo l'onorario.
E quando sentiamo il bisogno di amare, ci dirigiamo al bordello,
e anche qui saldiamo il conto in contanti, anche se in un certo senso
il bordello può anche essere superfluo.
Eppure sappiamo perfettamente che né l'amore né la tranquillità d'animo
si possono acquistare con il denaro.
.....
Oggi l'umanità civilizzata, in massima parte non credente, ha un atteggiamento
del tutto positivistico.
Neppure i positivisti si accorgono dell'assurdità del marxismo quando afferma che
l'universo esiste da sempre e che il mondo è casuale. Come è possibile?
Aiuto! Ci derubano!
L'uomo
contemporaneo non è più capace di sperare negli avvenimenti inattesi
nei fatti contraddittori che non rispondono alla logica “normale”,
ancor meno è pronto ad ammettere, fosse anche solo in linea teorica, il miracolo, e a credere alla sua magica forza.
La devastazione spirituale causata dall'assenza di questa qualità dovrebbe
da sola indurci a meditare, a fermarci.
Tuttavia per arrivare a questo, l'uomo stesso deve capire che la sua vita
non può essere valutata come misura umana, ma è nelle mani del Creatore
e che l'uomo deve abbandonarsi alla Sua volontà.
......
Il mio film non vuole esaltare né stroncare i protagonisti del pensiero
contemporaneo o il loro modo di vivere.
Mio desiderio fondamentale era porre e far emergere le domande
fondamentali della nostra esistenza e chiamare lo spettatore alle sorgenti
spente e inaridite della nostra esistenza. I film, le espressioni visive,
sono in grado di farlo non peggio della parola, soprattutto nel momento
in cui la parola ha perso il suo significato misterioso ed esorcizzante.
....
Noi ci sentiamo soffocare sotto la massa smisurata di informazioni, e tuttavia
i messaggi più importanti, capaci di cambiare la nostra vita, non giungono
fino alla nostra coscienza.
Il nostro mondo è spaccato in due metà: il bene e il male.
Spiritualità e pragmatismo.
Il nostro mondo umano è progettato e modellato in base a leggi materiali,
così come l'uomo ha plasmato la sua società sul modello della morta materia.
Ha trasportato su di sé le leggi della natura inanimata.
Perciò non crede allo Spirito e rifiuta Dio. Perchè si nutre di solo pane.
Come potrà dunque vedere lo Spirito, il Miracolo, Dio, se queste cose secondo
il suo punto di vista non edificano nulla di concreto? Esse non sono necessarie.
E l'uomo semplicemente non le vede.
Ma là dove non ce n'è bisogno, dove regna l'empirismo puro, improvvisamente,
di tanto in tanto, emergono dei prodigi, come la fisica.
E la stragrande maggioranza dei più illustri fisici contemporanei,
come è noto, chissà perchè, crede in Dio.
Una volta ho discusso su quest'argomento col fisico sovietico Landau, ora defunto.
Luogo dell'azione: la Crimea; una spiaggia, ciottoli.
Io: Secondo lei, Dio esiste o no?
Landau (gettandomi un'occhiata inerme): credo di si.
...
C'è nell'uomo la speranza di sopravvivere nonostante i segni incombenti
di una quiete apocalittica, preannunciata da fatti evidenti?
La risposta a questa domanda viene forse dall'antica leggenda
dell'esistenza di un albero inaridito, privo della linfa vitale, leggenda
che ho posto a base del film più importante per la mia biografia artistica.
DUn monaco, passo dopo passo, secchio dopo secchio,
attinge l'acqua e annaffia un albero inaridito, sicuro, senza ombra di dubbio,
che la sua opera è necessaria, e non abbandona neppure per un istante
la certezza nella potenza myiracolosa della sua fede nel Creatore.
Per questo fa esperienza del miracolo:
una mattina i rami dell'albero riprendono vita e si coprono di giovani foglie.
Forse questo è solo un miracolo? No, è la verità.
Andrei Tarkovskij
Grazie a: StellaNuova
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Postato da: giacabi a 17:11 |
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tarkovskij
don Julián Carrón -
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Testimonianza di don Julián Carrón
Cosa
ha portato qui ognuno di noi, questa sera? Soltanto il riconoscimento e
l'aver preso sul serio il proprio bisogno umano, solo un momento di
lealtà con se stessi, con la propria umanità. Perché ognuno di noi è
proprio questo: bisognoso. È bello essere bisognosi, perché ci rimanda
all'Unico che può rispondere a questo bisogno. Ma bisognosi di che cosa?
Il Papa nella si domandava nella Spe salvi(n. 11): che cosa vogliamo veramente? «In fondo» - diceva il Papa citando sant'Agostino - «vogliamo una sola cosa: la vita che è semplicemente vita, semplicemente "felicità".
Non c'è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera. Verso
nient'altro ci siamo incamminati: di questo solo si tratta. Ma poi
Agostino dice anche: guardando meglio, non sappiamo affatto che cosa in fondo desideriamo, che cosa vorremmo propriamente», e tuttavia «sappiamo che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti».
Non
è scontato riconoscere che ognuno di noi ha questo bisogno e che deve
esistere qualcosa che non conosciamo, perché - come ci ricorda il
regista Tarkovskij - "da
tempo l'uomo occidentale ha bruciato la bisaccia e il bastone del
viandante, con la sua commovente attitudine alla domanda". L'uomo ha
rinunciato ad essere pellegrino, vale a dire ha rinunciato a capire che
la vita è cammino verso un destino infinito, e allora "la dimora
dell'uomo non è più l'orizzonte, ma il nascondiglio, dove non incontra
più nessuno e dove perciò comincia a dubitare della sua stessa
esistenza".
L'epoca
contemporanea è una tragica documentazione di ciò cui l'uomo arriva
nella pretesa di autonomia, di farsi da sé, di realizzarsi da sé, di
crearsi da sé. Per questo la lotta è tra il mendicante, tra chi si
riconosce bisognoso, e l'autosufficiente, chi pensa di non aver bisogno
di niente e di bastare a se stesso. È una lotta fra due concezioni
dell'uomo, fra chi appartiene a qualcosa di più grande e chi appartiene a
se stesso.
Ognuno
di noi sa di essere immerso in questa lotta: perciò la domanda più
stringente è come venirne fuori vincitori. Per don Giussani è chiaro
qual è il primo passo da compiere: l'uomo
ritorna ad essere se stesso quando torna ad essere mendicante, a
mendicare il suo traguardo, il suo destino, come un bambino che mendica
la madre. Il pellegrinaggio che stiamo per compiere è un'occasione unica di ritornare ad essere mendicanti. Il
mendicante è l'uomo vero, l'uomo che riconosce tutta la grandezza del
suo desiderio: che è così grande che noi non siamo in grado di
rispondere da soli. Per questo, Signore - come dice il salmo (Is26
8-9) -, "è al tuo nome e al tuo ricordo che si volge tutto il nostro
desiderio". La cosa più stupefacente è che vedendoci così bisognosi il
Signore è diventato lui stesso mendicante di noi: "Cristo mendicante del
cuore dell'uomo". Chi guarda questa mendicanza
di Cristo del nostro cuore non può non essere colpito: "Che cosa mai è
l'uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell'uomo perché te ne curi?" (Sal8, 5).
È
la notizia arrivata a quella ragazza di 15/17 anni, a Nazareth, che la
fa esultare di gioia, come esprime lei stessa davanti a Elisabetta: "Il Signore ha guardato l'umiltà" - il niente - "della sua serva". Il
Cristianesimo è l'annuncio di questa notizia, di questo sguardo nuovo,
pieno di compassione, di Cristo per ognuno di noi. Per farsi riconoscere
Dio è entrato nella storia, nella vita di ogni uomo, come uomo, secondo
una forma umana: e così il pensiero e tutta l'affezione sono stati
"bloccati", calamitati, diceva don Giussani.
Chi ha incrociato questo sguardo è rimasto segnato, investito di una
gioia senza pari, come successe a quel pubblicano di Gerico, che quando
Gesù lo guarda e gli dice "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo
fermarmi a casa tua, in fretta accorse pieno di gioia. È questo sguardo
che attraversa il Vangelo: quando Gesù, rivolgendosi alla gente, le dice
- come dice adesso a ognuno di noi - "perfino i capelli del vostro capo
sono tutti contati"; o a quella donna che va a seppellire il figlio:
"Donna, non piangere". Queste espressioni dicono tutta la tenerezza di
Cristo nei nostri confronti.
Questo
è il nostro valore: noi, che non siamo niente, siamo stati guardati -
siamo guardati ora - così, e perciò chi ha incontrato questo sguardo non
ha potuto non essere preso fino al midollo. Da allora tutti quelli che
lo hanno incrociato sono diventati, anche loro, mendicanti di Cristo.
"Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante
di Cristo":
come noi facciamo questa sera, cercando di immedesimarci nella Madonna,
che lasciava entrare questo sguardo; come hanno fatto i discepoli, che
appena hanno trovato quell'uomo sono stati così calamitati dalla sua
presenza che non hanno potuto evitare di andarlo a cercare il giorno
dopo; o di Paolo, il fariseo che dopo averlo incontrato dice: «Tutto
quello che prima consideravo guadagno l'ho considerato una perdita, a
motivo di Cristo; (...) non però che io abbia conquistato il premio:
solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anche io sono stato
conquistato da Cristo» (Fil.3).
Anche noi siamo tutti stati conquistati da Cristo, e per questo oggi
siamo venuti qua per correre, per conquistarlo ancora, perché tutta la
nostra vita sia investita dalla sua presenza. Come succede a San Paolo:
«Non più io, ma Cristo che vive in me».
Questa vita nella carne io la vivo nella fede nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.
Lasciare entrare questa presenza si chiama memoria: è quello che
consente che tutte le nostre prigioni diventino luogo di respiro, che
qualsiasi circostanza, anche quella più brutta, possa essere investita
da un respiro e da una novità nuova. La vita ci è stata data per questo:
per riconoscere sempre di più che cos'è Cristo. Che qualsiasi
circostanza ci tocchi affrontare o vivere, che qualsiasi dolore,
qualsiasi sofferenza, possano essere luogo, occasione in cui Cristo
svela se stesso, ci fa capire di più fino a che punto Lui ama la nostra vita e vuole cambiarla, farla diventare grande.
Amici,
percorriamo la strada verso Loreto coscienti del nostro niente, perché
altrimenti saremmo formali, incoscienti del nostro bisogno. Non
abbiamo altro, per sostenere la strada, se non questo nostro bisogno,
con gli occhi fissi nella Madonna "di speranza fontana vivace" (Dante, Par./span> XXX
12), guardando Lei senza censurare niente. Ecco come la nostra vita può
riempirsi di speranza. Qualsiasi sia il momento che attraversiamo,
andiamo verso di Lei con tutto il nostro bisogno, perché Cristo possa
riempire la nostra vita della sua Presenza................. Grazie a: Graciete
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1. Il vero protagonista è il mendicante
. Che cosa ha portato ognuno di noi questa sera soltanto il riconoscimento e l'aver preso sul serio il proprio bisogno umano, solo un momento di lealtà con se stessi, con la propria umanità. Perché ognuno di noi è proprio questo: bisognoso. È bello essere bisognosi, perché ci rimanda all'Unico che può rispondere a questo bisogno. Ma bisognosi di che cosa? Il Papa nella si domandava nella Spe salvi(n
Postato da: giacabi a 18:50 |
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tarkovskij, agostino, carron
Abbiamo bisogno di Cristo
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E' FINITA L'ESTATE
E' fuggita l'estate,
più nulla rimane. Si sta bene al sole. Eppur questo non basta.
Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte mi si è posata sulla mano. Eppur questo non basta.
Ne' il bene ne' il male
sono passati invano, tutto era chiaro e luminoso. Eppur questo non basta.
La vita mi prendeva,
sotto l'ala mi proteggeva, mi salvava, ero davvero fortunato. Eppur questo non basta.
Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami... Il giorno è terso come cristallo. Eppur questo non basta.
Arsenij Tarkovskij
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Postato da: giacabi a 21:28 |
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tarkovskij, senso religioso
Postato da: giacabi a 15:05 |
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bellezza, dostoevskij, socci, tarkovskij, saintexupery
Un solo viaggio possibile:
nel nostro mondo interiore
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Tarkowsky
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Postato da: giacabi a 21:02 |
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tarkovskij, senso religioso
La Bellezza
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«La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando
un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si
imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa
sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la
schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l’uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua».
Andrej Tarkovskij, Intervista a Poiesis |
Postato da: giacabi a 18:40 |
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bellezza, tarkovskij
Il cuore
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Non è l'intelletto che ci deve guidare, ma il cuore…E' solo per mezzo del cuore che si può intendere il segreto dell'infinito. Andrej Tarkovskij |
Postato da: giacabi a 20:53 |
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desiderio, tarkovskij
Lo sguardo umano
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“Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più.
E d'un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno - uno sguardo umano - ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”.
Tarkovskij
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Postato da: giacabi a 14:52 |
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tarkovskij, senso religioso
LA BELLLEZZA
E’ SIMBOLO DELLA VERITA’
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“Ogni
artista nel corso della sua permanenza sulla terra trova e lascia dopo
di se una particella di verità sulla civilizzazione, sull'umanità.
Il concetto stesso di ricerca e oltraggioso per un artista. Assomiglia
alla raccolta di funghi in un bosco. Forse ne troveremo o forse no.
Picasso diceva addirittura: "io non cerco, trovo". A mio parere,
l'artista non procede affatto come un ricercatore, egli non agisce
empiricamente in nessuna maniera ("proverò a fare questo, tenterò
quest'altro"). L'artista da
una testimonianza sulla verità, sulla sua verità del mondo. L'artista
deve essere certo che egli e la sua creazione rispondono alla verità.
Io rifiuto il concetto di esperimento, di ricerca nella sfera
dell'arte. Qualsiasi ricerca in questo ambito, tutto ciò che chiamano
pomposamente "avanguardia" e semplicemente menzogna. Nessuno sa che
cos'è la bellezza. L'idea che la gente si fa della bellezza, il concetto
stesso di bellezza, mutano nel corso della storia assieme alle pretese
filosofiche e al semplice sviluppo dell'uomo nel corso della sua vita
personale. E questo mi spinge a pensare che, effettivamente, la bellezza e il simbolo di qualcos'altro. Ma di cosa esattamente? La bellezza e simbolo della verità. Non dico nel senso della contraddizione "verità/menzogna", ma nel senso di cammino di verità, che l'uomo sceglie.
La bellezza (si intende quella relativa!) ha nelle diverse epoche
testimoniato del livello di consapevolezza, che gli uomini di una
determinata epoca hanno della verità. Ci fu un tempo in cui questa
verità aveva l'aspetto della Venere di Milo. Ne consegue che l'intera
collezione di ritratti femminili, diciamo, di un Picasso non ha, a rigor
di termini, la minima relazione con la verità. Ma qui non parliamo
della capacita di attrazione ne di qualcosa di carino
parliamo
della bellezza armonica, della bellezza nascosta, della bellezza in
quanto tale. Picasso, invece di celebrare la bellezza, si e comportato
come il suo distruttore, il suo detrattore, il suo sterminatore. La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere ne decifrata ne spiegata con le parole, ma quando
un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si
imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa
sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la
schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l'uomo diventa
involontariamente testimone. Tutto qua. Mi sembra che l'essere umano sia
stato creato per vivere. Vivere nel cammino verso la verità.
Ecco perché l'uomo crea. In una certa misura l'uomo crea nel cammino
verso la verità. Questo e il suo modo di esistere, e l'interrogativo
sulla creazione ("Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?") e
senza risposta. Effettivamente ogni artista non soltanto ha una sua
concezione sulla creazione ma ha anche un suo modo personale di
interrogarsi su cio'. Questo si collega a quanto io adesso dico sulla
verità, alla quale noi tendiamo, alla quale contribuiamo con le nostre
piccole forze. Un ruolo fondamentale gioca qui l'istinto, l'istinto del
creatore. L'artista crea istintivamente, egli non sa perché proprio in
quel momento fa una cosa oppure un'altra, scrive proprio di questo,
dipinge proprio questo. Soltanto dopo egli comincia ad analizzare, a
trovare spiegazioni, a filosofeggiare e giunge alle risposte che non
hanno nulla in comune con l'istinto, col bisogno istintivo di fare,
creare, esprimere se stesso. In
un certo senso la creazione e rappresentazione dell'essenza spirituale
nell'uomo ed è la contrapposizione all'essenza fisica; la creazione è in un certo senso la dimostrazione dell'esistenza di questa essenza spirituale.
Nell'ambito delle attività umane non c'è nulla che sarebbe più inutile,
più senza scopo, non c'e nulla che sarebbe più a se stante della
creazione. Se si esclude dalle attività umane tutto quanto attiene al
raggiungimento del profitto, rimarrà soltanto l'arte. Per contemplazione
io intendo soltanto dire quello che origina l'immagine artistica o
l'idea che noi ce ne facciamo. Questo è assolutamente individuale.
L'immagine artistica, il significato dell'immagine artistica possono
scaturire soltanto dall'osservazione. Se non si basa sulla
contemplazione, l'immagine artistica si trasforma in simbolo,
cioè in qualcosa che forse puo essere spiegato dalla ragione, e, allora,
l'immagine artistica non esiste: essa infatti non riflette più
l'umanità, il mondo.
L'autentica immagine artistica deve riflettere non soltanto la ricerca
di un povero artista alle prese con i suoi problemi umani, con i suoi
desideri e bisogni. Essa deve riflettere il mondo. Ma non il mondo
dell'artista ma il cammino dell'umanità verso la verità. Della
semplice sensazione del contatto con l'anima, che qui, da qualche parte,
al di sopra di noi, dinanzi a noi vive nell'opera d'arte in misura tale
da stimarla geniale. In questo e l'impronta originale del genio.
Ci fu un tempo in cui io potevo chiamare miei ex
maestri,
le persone che hanno avuto un'influenza su di me. Adesso, nella mia
coscienza, si conservano soltanto dei "personaggi", per meta santi, per
meta folli. Questi "personaggi" sono forse un po' invasati ma non dal
diavolo; si potrebbe dire che sono "i pazzi di dio". Tra i vivi cito
Robert Bresson. Tra i morti, Lev Tolstoj, Bach, Leonardo da Vinci... In
fin dei conti, tutti costoro erano pazzi. Perché non hanno assolutamente
cercato nulla nella loro testa. Hanno creato senza il concorso della
testa... Essi mi spaventano e mi ispirano. Non e assolutamente possibile
spiegare la loro creazione. Sono state scritte migliaia di pagine su
Bach, Leonardo e Tolstoj ma, in conclusione, nessuno ha potuto spiegare
nulla. Nessuno, grazie a dio, ha potuto trovare, sfiorare la verità,
toccare l'essenza della loro creazione! Questo dimostra ancora una volta
che il miracolo è inspiegabile...
Nel senso più alto di questo concetto
la
libertà, soprattutto nel senso artistico, nel senso della creazione,
non esiste. Si, l'idea della libertà esiste, e una realtà nella vita
sociale e politica. In diverse regioni e paesi gli uomini vivono avendo
più o meno libertà; ma vi sono note testimonianze che dimostrano che
nelle più orribili circostanze ci sono stati uomini che hanno avuto una
inaudita libertà interiore, un mondo interiore, nobiltà. Mi
sembra che la libertà non consista nella qualità della scelta: la
libertà è una condizione dello spirito. Per esempio, si può essere
socialmente, politicamente, completamente "liberi" e non di meno morire
per la sensazione di precarietà, di oppressione, di mancanza di futuro. Per
cio che concerne la libertà della creazione, di questo non si puo
assolutamente discutere. Senza di essa non puo esistere una sola arte.
L'assenza della libertà deprezza automaticamente l'opera d'arte, poiché
questa assenza impedisce a chi viene per ultimo di rivelarsi nella forma
migliore. L'assenza di questa libertà porta a che l'opera d'arte,
nonostante la sua esistenza fisica, non esista di fatto. Nella creazione
dobbiamo vedere non soltanto la creazione. Purtroppo, nel XX secolo
appare predominante la tendenza secondo la quale l'artista
individualista,
invece di tendere alla creazione dell'opera d'arte, se ne serve per
evidenziare il proprio "io". L'opera d'arte diventa manifestazione
dell'io del suo creatore e si trasforma, possiamo dire, in megafono
delle sue minime pretese. Questo vi e noto meglio che a me. Ne ha
scritto molto Paul Valery. Al contrario, il
vero artista, e a maggior ragione il genio, appaiono schiavi del dono
che distribuiscono. Essi sono legati da questo dono agli uomini, al cui
nutrimento spirituale e al cui servizio sono stati scelti. Ecco in cosa
consiste per me la libertà.”
Andrej Tarkovskij.
Dall’'ultima intervista (inedita in italiano) da lui concessa a"Le Figaro" nell'ottobre 1986
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