Il saggio Tiziano Terzani
spiega cos'è il senso religioso
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“Mi
è venuto un modo di vedere le cose ,anche forse una loro drittezza
morale che mi hanno tramandato sempre questo senso di cos’è giusto e
cosa non è giusto e non in base ad un criterio lui comunista e lei
cattolica perché secondo
me …nel fondo del cuore di tutti c’è chiaro cos’è giusto e cosa non è
giusto,cos’è il bene e cos’è il male,cos’è che dobbiamo fare , e non
secondo la regola di un partito o di una religione ma del cuore che è
uguale per tutti.”spiega cos'è il senso religioso
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“Tutta la mia vita ho visto rivoluzioni fallite, unione sovietica i massacri di quel regime ,in nome di un sogno un grande sogno, orribile ,un incubo, la Cina ci sono andato ho studiato il cinese pensavo che la Cina era un interessante sperimento,un incubo, massacri e tutte la rivoluzione vietnamita,la rivoluzione cambogiana sempre queste rivoluzioni fatte fuori, con grandi massacri risultato una grande povertà sia materiale che spirituale. Allora è forse il momento di pensare che la sola rivoluzione che possibile fare è quella dentro di noi, cominciare dentro di noi”
Postato da: giacabi a 16:16 |
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comunismo, terzani, senso religioso
UN UOMO VERO ALLA RICERCA DI SIGNIFICATO:
FOLCO TERZANI
http://reteuno.rsi.ch/home/networks/reteuno/millevoci/2010/08/16/folco-terzani.html#Audio
Il primo amore di Madre Teresa
Nell'inferno con amore
La vita di Madre Teresa
Intervista a Dominique Lapierre
Postato da: giacabi a 08:10 |
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madre teresa, terzani
La scienza
l' "oppio dei popoli"
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Nessuno ha più risposte che contano, perché nessuno pone più le domande giuste. Tanto meno la scienza, che in Occidente è stata asservita ai grandi interessi economici e messa sull'altare al posto della religione. Così lei stessa è diventata l' "oppio dei popoli", con quella sua falsa pretesa di saper prima o poi risolvere tutti i problemi. La
scienza è arrivata a clonare la vita, ma non a dirci che cos'è la vita.
La medicina è riuscita a rimandare la morte, ma non a dirci cosa
succede dopo la morte. O sappiamo forse davvero che cosa permette ai
nostri occhi di vedere e alla nostra mente di pensare?
Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra
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Postato da: giacabi a 20:40 |
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terzani, scienza - articoli
Il Comunismo sperimentato da uno che era rimasto affascinato da questa ideologia.
Cina: la porta proibita
Di Tiziano Terzani.
Tratto dalla prefazione a
Diventai Deng Tiannuo nel 1968
A quel tempo
Vista da lontano,
Da
che mondo è mondo le giovani generazioni si sono sempre lasciate
affascinare dalle idee nuove e spesso hanno dimenticato di considerare
le conseguenze che quelle causano nella pratica. La
mia generazione non fu da meno e molti furono affascinati dalla grande
illusione rappresentata da Mao e dalla sua Cina. Se il nostro era un
mondo vecchio e imperfetto, se le speranze del passato erano state
frustrate, ecco una nuova occasione.
E così
Io
volli andare a vederlo coi miei occhi e mi preparai studiando la
lingua, la storia, la politica cinese e dandomi un nome cinese, Deng
Tiannuo, in modo da essere meno straniero quando mi fosse finalmente
toccato di vivere fra cinesi.
Mi
ci vollero anni di attesa, perché a quel tempo solo pochi fidati ed
eletti venivano ammessi in "paradiso". Dovetti aspettare che Mao morisse
e che Deng aprisse le porte della Cina per far rotta con la famiglia
verso Pechino.
Ci
arrivai nel gennaio 1980 e mi fu subito chiaro che la realtà era meno
affascinante dei sogni. Andai a cercare quella speciale forma di
socialismo che si diceva fosse stata costruita in Cina, ma non trovai
che le rovine di un esperimento fallitomalamente. Andai a cercare quella
nuova cultura che doveva esser nata dalla rivoluzione e non trovai che i
mozziconi di quella vecchia, splendida cultura che nel frattempo era stata sistematicamente distrutta. …"...Nel
1949, quando i comunisti la presero, Pechino era ancora una città unica
al mondo: un grande esempio di architettura, una città di struggente
splendore che pareva fatta per vivere in eterno. Non è più così. La
città aveva un magico incantesimo. Possedeva un fascino cui era
impossibile sfuggire. «Pechino è l'ultimo rifugio dello
sconosciuto e dei meraviglioso che esista al mondo», scriveva Pierre
Loti nel 1900. «Una città che incute rispetto», la definì Arnold Toynbee
nel 1930. Nel 1949, quando i comunisti la presero, Pechino era ancora
una città unica al mondo: un grande esempio di architettura, una città
di struggente splendore che pareva fatta per vivere in eterno. Non è più
così.
Pechino muore. Le mura sono scomparse, le porte sono scomparse, gli archi sono scomparsi. Scomparsa è la maggioranza dei templi, dei palazzi, dei giardini e ogni giorno che passa una fetta in più della secolare Pechino se ne va sotto i colpi inesorabili dei picconi e delle ruspe. La città ha perso quel suo ordine interno che era fatto per rispecchiare la geometria dell'universo. Dove un tempo c'erano armonia e perfezione, ci sono confusione e caos. «Se Venezia affonda, tutto il mondo piange e protesta. Se Pechino scompare, nessuno ci fa caso», dice Philippe Jonathan, un giovane urbanista francese che lavora all'Università Qing Hua e che conduce per ora, quasi da solo, una campagna per «salvare Pechino». «Le sorti di questa città dovrebbero interessare tutti, perché la grandezza di Pechino non è una questione soltanto cinese; appartiene alla cultura del genere umano».".
Fra le varie porte che Deng aveva aperto c'erano anche quelle dei campi di concentramento, dei campi di "rieducazione attraverso il lavoro" in cui almeno venti milioni di intellettuali erano finiti a causa del loro disaccordo col regime. Incominciai così a incontrare quelle che erano state le vittime della follia di Mao e ben presto capii che il sogno di Deng Tiannuo era stato l'incubo della Cina.
Leggere,
a tavolino, nell'ovattata atmosfera della Columbia University a New
York, gli slogan di Mao, tipo: "Non tagliate le teste della gente perché
non sono come i cavoli che ricrescono", era stato di grande
ispirazione; diverso era scoprire,
sul posto, che un sacco di teste erano state tagliate, che un sacco di
gente era stata torturata e che, alla fine della cosiddetta "Rivoluzione
Culturale",
Al contrario di quella di Mao,
Fu
un momento particolare, un'occasione unica che non si poteva perdere e
così viaggiai, viaggiai dovunque mi fu possibile, dall'angolo più
occidentale della Cina, nella provincia del Xinjiang, alla punta più
orientale, nella provincia dello Shandong, dalla Manciuria del Nord
all'isola tropicale di Hainan nel Sud. Non sempre fu facile, perché
l'atteggiamento dei funzionari comunisti cinesi non era in fondo molto
diverso da quello del mandarino dell'Ottocento che, incontrando per la
prima volta uno straniero che parlava cinese, si rivolse al proprio
seguito e chiese: "Chi è il traditore che gli ha insegnato la nostra
lingua? "
Tentai di vivere in una normale casa cinese, in un quartiere cinese, ma mi fu assolutamente impossibile. Gli
stranieri possono abitare solo entro il recinto del cosiddetto
"quartiere diplomatico", le cui porte d'ingresso sono giorno e notte
guardate da poliziotti armati e dove ogni movimento di chi entra e di
chi esce viene registrato.
Cercai
di conoscere dei cinesi, di avere rapporti con loro, ma anche questo si
dimostrò complicato perché ogni contatto "non ufficiale" fra uno
straniero e un cittadino della Repubblica Popolare Cinese è un contatto
"illegale", anche se nessuno ricorda la legge che sostiene questo.
Un
anziano e colto signore, che avevo incontrato un paio di volte poco
dopo essere arrivato a Pechino e da cui volevo prendere lezioni di
calligrafia, mi fece sapere, attraverso un comune conoscente, che non
dovevo più farmi vivo con lui. Era stato chiamato dalla polizia e gli
era stato detto che poteva, sì, continuare a vedermi, ma a condizione
che ogni volta scrivesse un rapportino su quanto s'era fatto e s'era
detto. Per lui questa era un'umiliazione troppo grossa e così non ci si
vide più.
Nella
Cina di oggi un giornalista straniero che voglia incontrare un
qualsiasi funzionario o semplicemente vedere uno scrittore, un pittore,
un professore universitario o un operaio di una fabbrica deve anzitutto
presentare una domanda scritta a un apposito ufficio. Se il permesso
viene accordato, l'incontro si svolge nella solita stanza dei
ricevimenti che ogni ufficio, fabbrica, scuola, ospedale o caserma
possiede, dove tutti stanno seduti su poltrone coi pizzi bianchi, alla
presenza del segretario del partito locale, con qualcuno che prende nota
delle domande e delle risposte. Questa procedura mi fece presto passare
la voglia di incontrare la gente passando per la via ufficiale e così
mi misi alla ricerca di una mia via per conoscere
Cominciai
a viaggiare in treno, ma non negli speciali scompartimenti a "sedili
morbidi" per stranieri, bensì in quelli a "sedili duri" dove stanno i
cinesi. Cominciai a girare in bicicletta attraverso le province
incontrando così gente comune, ascoltando semplici contadini che
raccontavano le storie dei loro villaggi e delle loro famiglie. Essendo
interessato ai vecchi giochi e passatempi di Pechino, mi misi ad
allevare grilli e piccioni e a frequentare i piccoli mercati della
capitale, dove incontravo regolarmente dei vecchi che m'insegnavano
quell'arte antica di fare "concerti" con gli animali.
Lentamente
venni a conoscere una splendida, umana Cina, una Cina su cui non avevo
molto sognato, ma una Cina molto più vera e particolare di quella che i
funzionari del governo e la stampa del regime presentavano al mondo
esterno.
In
questo modo feci anche le mie piccole scoperte: in Tibet, per esempio,
mentre il resto del gruppo con cui ero costretto a viaggiare andava a
visitare la solita fabbrica "Bandiera Rossa", io, con una bicicletta
presa in prestito, riuscii, da solo, a raggiungere il posto dove
avvenivano i "funerali del cielo", un'antichissima cerimonia che le
guide cinesi dicono non esista più e in cui i corpi dei morti tibetani
vengono tagliati a pezzi e dati in pasto agli avvoltoi.
Ma,
così facendo, lentamente mi allontanai dalla via che mi era stata
assegnata e, come nella favola del castello magico in cui l'ospite sa
che può fare tutto tranne che aprire una certa porta perché altrimenti
libererebbe gli spiriti malvagi, io non potei che aprire quella porta. E
puntualmente gli spiriti malvagi mi saltarono addosso.
Dopo
più di quattro anni in Cina, fui arrestato, interrogato e per un intero
mese, come fossi un cinese, fui rieducato. Eppure, proprio perché venni
trattato come un cinese, mi fu data la straordinaria possibilità di un
ultimo, eccezionale viaggio: questa volta nel cuore di tenebra della
Cina. Improvvisamente mi trovai come inghiottito nel ventre della balena e costretto a fare l'esperienza di quel potere poliziesco di cui avevo solo sentito parlare e che, nonostante gli enormi cambiamenti avvenuti di recente nel paese, resta il terrore di un miliardo di cinesi.
Alla fine, accusato di un crimine che non avevo commesso, fui espulso.
Lu Xun, il grande scrittore della Cina prerivoluzionaria, l'aveva già detto alcuni decenni fa: "Quando vuoi affogare un cane, accusalo d'avere la rabbia". La
mia "rabbia" è stata la pretesa di rompere il muro che mi separava
dalla realtà del paese. Il mio crimine è stato quello di aver scritto di
una Cina non addomesticata. Il mio crimine è stato l'aver cercato una
via d'uscita dal labirinto di proibizioni e tabù che avrebbero dovuto
tenermi lontano dalla gente.
Il
mio crimine è stato l'aver provato a essere un uomo fra uomini, l'aver
cercato di scrollarmi di dosso quell'insopportabile sensazione di essere
sempre uno straniero fra cinesi.
HongKong, 1984.
Da: “ la mia fine il mio inizio” di Tiziano Terzani
“ Folco quanti comunisti ha ammazzato Mao” in questa frase trovi l’essenza del fallimento delle ideologie totalitarie Marxiste e non, perché frutto si di bisogni umani ma non di processi culturali del popolo ( i comunisti erano i contadini cinesi non Mao o altri che per fare l’uomo nuovo distruggono la cultura del popolo).
Cosa ci aspetta in futuro! “ ho visto abbattere la prima statua di Stalin al grido di W Allah, Folco se il Marxismo e stato il fucile dei poveri nel XX secolo, Allah sarà quello del XXI secolo”. |
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