La Bellezza rimanda ad Altro
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Ricordo sempre con commozione il racconto di san Luigi IX,***
re di Francia che invitò san Bonaventura e san Tommaso d'Aquino
a cenare nella sua dimora reale. Intorno al tavolo vi erano
lì loro tre, oltre alla moglie del sovrano. La cena era iniziata e
mangiavano tutti con gusto. L'unico che non toccava cibo era
san Tommaso d'Aquino,che era come estasiato dalla bellezza
della moglie del re.
I suoi occhi continuavano a guardare in direzione della donna.
Il re se ne accorse e, un po' nervoso, chiese spiegazioni
al santo per quell'atteggiamento. Tommaso d'Aquino
rispose: «Maestà, sono commosso dalla bellezza
di sua moglie, che mi obbliga a pensare: se ella
è tanto bella, come sarà il suo Artefice,
il Creatore di tutto?
Padre Aldo Trento
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bellezza, stommaso, padre trento
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L'uomo capisce sé stesso osservandosi mentre lavora, in opera. (S.Tommaso)
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stommaso
Senza la carità tutto il resto non basta..
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È chiaro che non tutti possono dedicarsi agli studi; per questo Cristo
ci ha dato una legge che per la sua brevità è accessibile a tutti e
nessuno ha il diritto di ignorare: tale legge è la legge dell’amore
divino... Senza la carità tutto il resto non basta... E
se tra i beati vi è qualche differenza, essa non dipende che dal loro
grado di amore e non dalle altre virtù. Molti condussero una vita di
maggior astinenza rispetto agli apostoli, eppure questi sorpassano
chiunque altro nella beatitudine, a causa dell’ardore della loro carità.
da San Tommaso d'Aquino, De decem praeceptis
da San Tommaso d'Aquino, De decem praeceptis
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stommaso, amore
Cultura | Articolo modificato il 14/04/2011 alle 17.46
Da san Tommaso e don Giussani la più grande lezione sul cuore e la giustizia
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giovedì 14 aprile 2011
“Esiste un bene che saremmo lieti di possedere perché ci è caro per sé e non per i vantaggi che ne conseguono?”. La questione insorge in uno dei dialoghi di Platone, La Repubblica.
Glaucone riflette sul bene e sul male, interroga il suo maestro
Socrate. “Ho una grande voglia di sentire - soggiunge - cosa sia giusto e
ingiusto e che potere hanno per sé sull’anima dell’uomo”.
Perché sembra che gli uomini facciano le leggi dando “nome di legittimo e
giusto a ciò che è stabilito dalla legge”. Sarebbe, dunque, questa
“l’origine della giustizia e la sua essenza”?
Ecco come è posta fin dalle origini del pensiero occidentale la domanda sul fondamento della legge umana e sulla sua giustizia. Domanda, questa, quanto mai attuale. Pietro Barcellona, che si è dedicato molto a questo tema e con il quale ho condiviso le riflessioni confluite poi nel volume La lotta tra diritto e giustizia (Marietti 2008), aveva già da tempo messo il dito sulla piaga. “Mai come nella fase attuale, si è sentito da più parti il prepotente bisogno di affermare che ci sono diritti dell’uomo che gli Stati e i poteri costituiti non possono violare né sacrificare, e tuttavia niente consente più di attribuire forma e effettualità a questi diritti. […] La mancanza di ogni fondamento metafisico e di ogni legittimità trascendente rende l’ordine giuridico contingente e artificiale, privo di qualsiasi riferimento a un ordine naturale comunque riconducibile all’armonia del cosmo. Ogni comando è per sua natura arbitrario, senza giustificazione, né misura. Consumata definitivamente l’idea di fare affidamento su una qualche verità eterna e immutabile, su una qualche ragione universale, non resta che affidarsi alla labile contingenza degli accordi contrattuali e dei patti sociali, con i quali i singoli individui decidono di fissare un argine ai loro illimitati desideri” (Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Dedalo 1998).
Un siffatto atteggiamento mentale genera ogni sorta di menzogna, giacché il pensiero non aderisce più alla verità della realtà e le parole sono stravolte, puntellano un progetto sulla società il quale non ha altro punto di riferimento che il proprio potere.
“Una questione fondamentale che si pone per il sistema democratico - ha scritto Benedetto XVI quando era ancora il cardinale Ratzinger - è se la volontà di una maggioranza possa veramente e legittimamente tutto. Può essa rendere legittima qualsiasi cosa, vincolando poi tutti, oppure la ragione si trova al di sopra della maggioranza, così che non può mai diventare realmente un diritto ciò che è contro la ragione?” (Chiesa, ecumenismo e politica, Paoline 1987).
Ecco come è posta fin dalle origini del pensiero occidentale la domanda sul fondamento della legge umana e sulla sua giustizia. Domanda, questa, quanto mai attuale. Pietro Barcellona, che si è dedicato molto a questo tema e con il quale ho condiviso le riflessioni confluite poi nel volume La lotta tra diritto e giustizia (Marietti 2008), aveva già da tempo messo il dito sulla piaga. “Mai come nella fase attuale, si è sentito da più parti il prepotente bisogno di affermare che ci sono diritti dell’uomo che gli Stati e i poteri costituiti non possono violare né sacrificare, e tuttavia niente consente più di attribuire forma e effettualità a questi diritti. […] La mancanza di ogni fondamento metafisico e di ogni legittimità trascendente rende l’ordine giuridico contingente e artificiale, privo di qualsiasi riferimento a un ordine naturale comunque riconducibile all’armonia del cosmo. Ogni comando è per sua natura arbitrario, senza giustificazione, né misura. Consumata definitivamente l’idea di fare affidamento su una qualche verità eterna e immutabile, su una qualche ragione universale, non resta che affidarsi alla labile contingenza degli accordi contrattuali e dei patti sociali, con i quali i singoli individui decidono di fissare un argine ai loro illimitati desideri” (Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Dedalo 1998).
Un siffatto atteggiamento mentale genera ogni sorta di menzogna, giacché il pensiero non aderisce più alla verità della realtà e le parole sono stravolte, puntellano un progetto sulla società il quale non ha altro punto di riferimento che il proprio potere.
“Una questione fondamentale che si pone per il sistema democratico - ha scritto Benedetto XVI quando era ancora il cardinale Ratzinger - è se la volontà di una maggioranza possa veramente e legittimamente tutto. Può essa rendere legittima qualsiasi cosa, vincolando poi tutti, oppure la ragione si trova al di sopra della maggioranza, così che non può mai diventare realmente un diritto ciò che è contro la ragione?” (Chiesa, ecumenismo e politica, Paoline 1987).
Nel
famoso dialogo che ebbe a Monaco nel 2004 con Jürgen Habermas, lo
stesso Ratzinger ha evidenziato l’urgenza di una nuova fondazione
dell’etica e del diritto nella società contemporanea: “Il compito di
porre il potere sotto il controllo del diritto rimanda, di conseguenza,
all’ulteriore questione di come nasce il diritto e di come deve essere
il diritto affinché sia strumento della giustizia e non del privilegio
di coloro che detengono il potere di legiferare” (Ragione e Fede in dialogo, Marsilio 2005).
Come nasce dunque il diritto? Fra le risposte a questa domanda, non va sottovalutata quella di Tommaso d’Aquino. Nella sua Summa Teologica egli ha posto nella ragione dell’uomo la misura e il criterio della bontà del suo agire: “Il bene umano consiste nell’essere conforme alla ragione, e il male nell’essere contrario alla ragione” (I-II, q. 18, a. 5, c.).
Si può avere l’impressione che un asserto del genere preluda a quella autonomia della ragione che sta alla base della dottrina morale kantiana, ma si tratta, in realtà, di tutt’altra prospettiva. Ha ragione, Kant, quando afferma che il principio della moralità risiede nella ragione. Ma per l’Aquinate la ragione non va intesa come emancipata da ogni legame e quindi come istanza assoluta e indipendente, bensì come facoltà data all’uomo per conoscere ciò che è, e in quanto tale partecipe della luce intellettuale di Dio. È dunque in un senso molto particolare che la ragione umana fonda, in Tommaso, la moralità dell’agire dell’uomo: la fonda in quanto coglie con le proprie risorse naturali quella legge eterna che è l’ordine e la misura che la ragione divina dà a tutte le cose: “La ragione dell’uomo deve il fatto di essere la regola della volontà umana, e quindi la misura della sua bontà, alla legge eterna che è la ragione di Dio. Perciò sta scritto: «Molti dicono: Chi ci farà vedere il bene? Quale sigillo è impressa su noi la luce del tuo volto, o Signore». Come per dire: la luce della ragione che è in noi, in tanto può mostrarci il bene, e regolare la nostra volontà, in quanto è luce del tuo volto, cioè derivante dal tuo volto” (I-II, q.19, a.4, c.).
Come nasce dunque il diritto? Fra le risposte a questa domanda, non va sottovalutata quella di Tommaso d’Aquino. Nella sua Summa Teologica egli ha posto nella ragione dell’uomo la misura e il criterio della bontà del suo agire: “Il bene umano consiste nell’essere conforme alla ragione, e il male nell’essere contrario alla ragione” (I-II, q. 18, a. 5, c.).
Si può avere l’impressione che un asserto del genere preluda a quella autonomia della ragione che sta alla base della dottrina morale kantiana, ma si tratta, in realtà, di tutt’altra prospettiva. Ha ragione, Kant, quando afferma che il principio della moralità risiede nella ragione. Ma per l’Aquinate la ragione non va intesa come emancipata da ogni legame e quindi come istanza assoluta e indipendente, bensì come facoltà data all’uomo per conoscere ciò che è, e in quanto tale partecipe della luce intellettuale di Dio. È dunque in un senso molto particolare che la ragione umana fonda, in Tommaso, la moralità dell’agire dell’uomo: la fonda in quanto coglie con le proprie risorse naturali quella legge eterna che è l’ordine e la misura che la ragione divina dà a tutte le cose: “La ragione dell’uomo deve il fatto di essere la regola della volontà umana, e quindi la misura della sua bontà, alla legge eterna che è la ragione di Dio. Perciò sta scritto: «Molti dicono: Chi ci farà vedere il bene? Quale sigillo è impressa su noi la luce del tuo volto, o Signore». Come per dire: la luce della ragione che è in noi, in tanto può mostrarci il bene, e regolare la nostra volontà, in quanto è luce del tuo volto, cioè derivante dal tuo volto” (I-II, q.19, a.4, c.).
Tutto
questo presuppone una fiducia nella ragione umana, come immagine di
quella divina. La ragione è l’esigenza profonda e la capacità di verità e
di felicità che c’è nel cuore dell’uomo e il criterio con cui misurare i
mezzi necessari al suo compimento.
Le leggi umane possono dirsi giuste, dunque, “nella misura in cui si uniformano alla retta ragione” (I-II, q.93, a.3, c.). Quando esse se ne scostano, allora non hanno più la natura della legge, ma piuttosto quella della violenza.
Già Agostino, nel IV libro del De civitate Dei, aveva posto un interrogativo inquietante: “Una volta che si è rinunciato alla giustizia, che cosa sono gli Stati, se non una grossa accozzaglia di malfattori?” (Remota itaque iustitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia?). Non è forse vero, del resto, che i malfattori stessi formano dei piccoli Stati? Uomini comandati da un capo e tenuti assieme da un patto comune, si spartiscono un bottino secondo una legge tacita. Se questo male si allarga a un numero più grande di scellerati, se dilaga in un’intera regione, conquista città e soggioga popoli, allora assume più apertamente il nome di regno: non certo per la rinuncia alla cupidigia, semmai per la tranquilla impunità. Questa la franca risposta che un pirata aveva dato ad Alessandro Magno. Gli sembrava giusto, aveva chiesto il Macedone, infestare i mari? Per quale motivo continuava a nuocere? E quello, con spregiudicata fierezza: «Per lo stesso motivo per cui tu infesti la terra; ma poiché io lo faccio con una barca insignificante, mi chiamano malfattore, e poiché tu lo fai con una potente flotta, ti chiamano imperatore»”.
La legge umana è pertanto opus rationis: merita di essere riconosciuta e osservata se esprime un’approssimazione progressiva della ragione del legislatore a quell’ordine naturale che ha il suo fondamento ultimo nella ragione divina. È questo cammino di approssimazione che spiega la diversità di opinioni fra gli uomini circa tutto ciò che non è “giusto” - cioè iuxta rationem - con immediata evidenza.
Le leggi umane possono dirsi giuste, dunque, “nella misura in cui si uniformano alla retta ragione” (I-II, q.93, a.3, c.). Quando esse se ne scostano, allora non hanno più la natura della legge, ma piuttosto quella della violenza.
Già Agostino, nel IV libro del De civitate Dei, aveva posto un interrogativo inquietante: “Una volta che si è rinunciato alla giustizia, che cosa sono gli Stati, se non una grossa accozzaglia di malfattori?” (Remota itaque iustitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia?). Non è forse vero, del resto, che i malfattori stessi formano dei piccoli Stati? Uomini comandati da un capo e tenuti assieme da un patto comune, si spartiscono un bottino secondo una legge tacita. Se questo male si allarga a un numero più grande di scellerati, se dilaga in un’intera regione, conquista città e soggioga popoli, allora assume più apertamente il nome di regno: non certo per la rinuncia alla cupidigia, semmai per la tranquilla impunità. Questa la franca risposta che un pirata aveva dato ad Alessandro Magno. Gli sembrava giusto, aveva chiesto il Macedone, infestare i mari? Per quale motivo continuava a nuocere? E quello, con spregiudicata fierezza: «Per lo stesso motivo per cui tu infesti la terra; ma poiché io lo faccio con una barca insignificante, mi chiamano malfattore, e poiché tu lo fai con una potente flotta, ti chiamano imperatore»”.
La legge umana è pertanto opus rationis: merita di essere riconosciuta e osservata se esprime un’approssimazione progressiva della ragione del legislatore a quell’ordine naturale che ha il suo fondamento ultimo nella ragione divina. È questo cammino di approssimazione che spiega la diversità di opinioni fra gli uomini circa tutto ciò che non è “giusto” - cioè iuxta rationem - con immediata evidenza.
Don Luigi Giussani ha avuto l’arguzia di dirlo con parole esistenzialmente più comprensibili ed efficaci. Ne Il senso religioso
(Rizzoli 1997) conduce il lettore attraverso un’appassionante analisi
introspettiva, che egli chiama “esperienza originale” o “esperienza
elementare”, a scoprire cos’è il “cuore”. Esso risulta come “un
complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro
il confronto con tutto ciò che esiste”. Queste esigenze che emergono come evidenti
alla coscienza dell’uomo, quando egli incomincia ad affrontare la
realtà e conseguentemente a riflettere su se stesso, sono riconducibili
alla ratio tomistica. Infatti
la ragione per Tommaso d’Aquino - come abbiamo visto - è l’esigenza e
la capacità di vero e di buono che c’è dentro il cuore di ogni uomo.
La modernità dell’approccio di Giussani, che affida tutto ad una evidenza interiore, mentre mira a trovare credito nel suo interlocutore, non gli impedisce di sottolineare che alla nostra esperienza elementare risulta altrettanto evidente che questo “criterio originale”, pur essendo “immanente a noi”, non ce lo diamo da noi, ma ci viene “dato” con la nostra natura: una madre eschimese, una madre della Terra del Fuoco, una madre giapponese, danno alla luce esseri umani che tutti sono riconoscibili come tali, sia come connotazioni esteriori che come “impronta interiore”. Questo criterio originale si rivela, dunque, squisitamente personale e nello stesso tempo universale.
La sistematica negazione di questo fondamento universale del vero e del giusto espone l’uomo al totalitarismo nelle sue varie forme giuridiche o politiche. Ha scritto Hannah Arendt: “il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più” (Le origini del totalitarismo, Einaudi 2004). Ma l’accettazione di un fondamento metagiuridico del diritto positivo è legata a quella capacità propria della ragione umana di cogliere il vero e il buono delle cose. Pochi, oggi, sembrano disposti a sottoscriverlo. Ancora una volta, è compito dei cristiani ricordare all’uomo la sua grandezza.
La modernità dell’approccio di Giussani, che affida tutto ad una evidenza interiore, mentre mira a trovare credito nel suo interlocutore, non gli impedisce di sottolineare che alla nostra esperienza elementare risulta altrettanto evidente che questo “criterio originale”, pur essendo “immanente a noi”, non ce lo diamo da noi, ma ci viene “dato” con la nostra natura: una madre eschimese, una madre della Terra del Fuoco, una madre giapponese, danno alla luce esseri umani che tutti sono riconoscibili come tali, sia come connotazioni esteriori che come “impronta interiore”. Questo criterio originale si rivela, dunque, squisitamente personale e nello stesso tempo universale.
La sistematica negazione di questo fondamento universale del vero e del giusto espone l’uomo al totalitarismo nelle sue varie forme giuridiche o politiche. Ha scritto Hannah Arendt: “il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più” (Le origini del totalitarismo, Einaudi 2004). Ma l’accettazione di un fondamento metagiuridico del diritto positivo è legata a quella capacità propria della ragione umana di cogliere il vero e il buono delle cose. Pochi, oggi, sembrano disposti a sottoscriverlo. Ancora una volta, è compito dei cristiani ricordare all’uomo la sua grandezza.
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Postato da: giacabi a 20:53 |
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stommaso, ventorino
«Tommaso d’Aquino: tra fede e ragione naturale armonia»
Benedetto XVI ricorda la figura del santo
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Benedetto XVI mentre passa tra i fedeli riuniti in piazza San Pietro per l’udienza generale di ieri (foto Ansa)
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l’udienza del mercoledì C ari fratelli e sorelle, dopo alcune catechesi sul sacerdozio e i miei ultimi viaggi, ritorniamo oggi al nostro tema principale, alla meditazione cioè di alcuni grandi pensatori del Medio Evo. Avevamo visto ultimamente la grande figura di san Bonaventura, francescano, e oggi vorrei parlare di colui che la Chiesa chiama il Doctor communis: cioè san Tommaso d’Aquino. Il mio venerato predecessore, il papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Fides et ratio ha ricordato che san Tommaso «è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia» (n. 43). Non sorprende che, dopo sant’Agostino, tra gli scrittori ecclesiastici menzionati nel Catechismo della Chiesa Cattolica , san Tommaso venga citato più di ogni altro, per ben sessantuno volte! Egli è stato chiamato anche il Doctor Angelicus, forse per le sue virtù, in particolare la sublimità del pensiero e la purezza della vita. T ommaso nacque tra il 1224 e il 1225 nel castello che la sua famiglia, nobile e facoltosa, possedeva a Roccasecca, nei pressi di Aquino, vicino alla celebre abbazia di Montecassino, dove fu inviato dai genitori per ricevere i primi elementi della sua istruzione. Qualche anno dopo si trasferì nella capitale del Regno di Sicilia, Napoli, dove Federico II aveva fondato una prestigiosa Università. In essa veniva insegnato, senza le limitazioni vigenti altrove, il pensiero del filosofo greco Aristotele, al quale il giovane Tommaso venne introdotto, e di cui intuì subito il grande valore. Ma soprattutto, in quegli anni trascorsi a Napoli, nacque la sua vocazione domenicana. Tommaso fu infatti attratto dall’ideale dell’Ordine fondato non molti anni prima da san Domenico. Tuttavia, quando rivestì l’abito domenicano, la sua famiglia si oppose a questa scelta, ed egli fu costretto a lasciare il convento e a trascorrere qualche tempo in famiglia. N el 1245, ormai maggiorenne, poté riprendere il suo cammino di risposta alla chiamata di Dio. Fu inviato a Parigi per studiare teologia sotto la guida di un altro santo, Alberto Magno, sul quale ho parlato recentemente. Alberto e Tommaso strinsero una vera e profonda amicizia e impararono a stimarsi e a volersi bene, al punto che Alberto volle che il suo discepolo lo seguisse anche a Colonia, dove egli era stato inviato dai superiori dell’Ordine a fondare uno studio teologico. Tommaso prese allora contatto con tutte le opere di Aristotele e dei suoi commentatori arabi, che Alberto illustrava e spiegava. In quel periodo, la cultura del mondo latino era stata profondamente stimolata dall’incontro con le opere di Aristotele, che erano rimaste ignote per molto tempo. Si trattava di scritti sulla natura della conoscenza, sulle scienze naturali, sulla metafisica, sull’anima e sull’etica, ricchi di informazioni e di intuizioni che apparivano valide e convincenti. Era tutta una visione completa del mondo sviluppata senza e prima di Cristo, con la pura ragione, e sembrava imporsi alla ragione come «la» visione stessa; era, quindi, un incredibile fascino per i giovani vedere e conoscere questa filosofia. Molti accolsero con entusiasmo, anzi con entusiasmo acritico, questo enorme bagaglio del sapere antico, che sembrava poter rinnovare vantaggiosamente la cultura, aprire totalmente nuovi orizzonti. Altri, però, temevano che il pensiero pagano di Aristotele fosse in opposizione alla fede cristiana, e si rifiutavano di studiarlo. Si incontrarono due culture: la cultura pre-cristiana di Aristotele, con la sua radicale razionalità, e la classica cultura cristiana. Certi ambienti erano condotti al rifiuto di Aristotele anche dalla presentazione che di tale filosofo era stata fatta dai commentatori arabi Avicenna e Averroè. Infatti, furono essi ad aver trasmesso al mondo latino la filosofia aristotelica. Per esempio, questi Nella sua catechesi il Papa ha ricordato che l’autore della «Summa» teologica «svolse un’operazione di fondamentale importanza per la storia della filosofia e della teologia» in un’epoca di forte scontro tra culture commentatori avevano insegnato che gli uomini non dispongono di un’intelligenza personale, ma che vi è un unico intelletto universale, una sostanza spirituale comune a tutti, che opera in tutti come «unica»: quindi una depersonalizzazione dell’uomo. Un altro punto discutibile veicolato dai commentatori arabi era quello secondo il quale il mondo è eterno come Dio. Si scatenarono comprensibilmente dispute a non finire nel mondo universitario e in quello ecclesiastico. La filosofia aristotelica si andava diffondendo addirittura tra la gente semplice. T ommaso d’Aquino, alla scuola di Alberto Magno, svolse un’operazione di fondamentale importanza per la storia della filosofia e della teologia, direi per la storia della cultura: studiò a fondo Aristotele e i suoi interpreti, procurandosi nuove traduzioni latine dei testi originali in greco. Così non si appoggiava più solo ai commentatori arabi, ma poteva leggere personalmente i testi originali, e commentò gran parte delle opere aristoteliche, distinguendovi ciò che era valido da ciò che era dubbio o da rifiutare del tutto, mostrando la consonanza con i dati della Rivelazione cristiana e utilizzando largamente e acutamente il pensiero aristotelico nell’esposizione degli scritti teologici che compose. In definitiva, Tommaso d’Aquino mostrò che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia. E questa è stata la grande opera di Tommaso, che in quel momento di scontro tra due culture - quel momento nel quale sembrava che la fede dovesse arrendersi davanti alla ragione - ha mostrato che esse vanno insieme, che quanto appariva ragione non compatibile con la fede non era ragione, e quanto appariva fede non era fede, in quanto opposta alla vera razionalità; così egli ha creato una nuova sintesi, che ha formato la cultura dei secoli seguenti. P er le sue eccellenti doti intellettuali, Tommaso fu richiamato a Parigi come professore di teologia sulla cattedra domenicana. Qui iniziò anche la sua produzione letteraria, che proseguì fino alla morte, e che ha del prodigioso: commenti alla Sacra Scrittura, perché il professore di teologia era soprattutto interprete della Scrittura, commenti agli scritti di Aristotele, opere sistematiche poderose, tra cui eccelle la Summa Theologiae , trattati e discorsi su vari argomenti. Per la composizione dei suoi scritti, era coadiuvato da alcuni segretari, tra i quali il confratello Reginaldo di Piperno, che lo seguì fedelmente e al quale fu legato da fraterna e sincera amicizia, caratterizzata da una grande confidenza e fiducia. È questa una caratteristica dei santi: coltivano l’amicizia, perché essa è una delle manifestazioni più nobili del cuore umano e ha in sé qualche cosa di divino, come Tommaso stesso ha spiegato in alcune quaestiones della Summa Theologiae, in cui scrive: «La carità è l’amicizia dell’uomo con Dio principalmente, e con gli esseri che a Lui appartengono» (II, q. 23, a.1). N on rimase a lungo e stabilmente a Parigi. Nel 1259 partecipò al Capitolo generale dei Domenicani a Valenciennes dove fu membro di una commissione che stabilì il programma di studi nell’Ordine. Dal 1261 al 1265, poi, Tommaso era ad Orvieto. Il pontefice Urbano IV, che nutriva per lui una grande stima, gli commissionò la composizione dei testi liturgici per la festa del Corpus Domini, che celebriamo domani, istituita in seguito al miracolo eucaristico di Bolsena. Tommaso ebbe un’anima squisitamente eucaristica. I bellissimi inni che la liturgia della Chiesa canta per celebrare il mistero della presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore nell’Eucaristia sono attribuiti alla sua fede e alla sua sapienza teologica. Dal 1265 fino al 1268 Tommaso risiedette a Roma, dove, probabilmente, dirigeva uno Studium, cioè una Casa di studi dell’Ordine, e dove iniziò a scrivere la sua Summa Theologiae (cfr JeanPierre Torrell, Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo, Casale Monf., 1994, pp. 118-184). N el 1269 fu richiamato a Parigi per un secondo ciclo di insegnamento. Gli studenti - si può capire - erano entusiasti delle sue lezioni. Un suo ex-allievo dichiarò che una grandissima moltitudine di studenti seguiva i corsi di Tommaso, tanto che le aule riuscivano a stento a contenerli e aggiungeva, con un’annotazione personale, che «ascoltarlo era per lui una felicità profonda». L’interpretazione di Aristotele data da Tommaso non era accettata da tutti, ma persino i suoi avversari in campo accademico, come Goffredo di Fontaines, ad esempio, ammettevano che la dottrina di frate Tommaso era superiore ad altre per utilità e valore e serviva da correttivo a quelle di tutti gli altri dottori. Forse anche per sottrarlo alle vivaci discussioni in atto, i superiori lo inviarono ancora una volta a Napoli, per essere a disposizione del re Carlo I, che intendeva riorganizzare gli studi universitari. O ltre che allo studio e all’insegnamento, Tommaso si dedicò pure alla predicazione al popolo. E anche il popolo volentieri andava ad ascoltarlo. Direi che è veramente una grande grazia quando i teologi sanno parlare con semplicità e fervore ai fedeli. Il ministero della predicazione, d’altra parte, aiuta gli stessi studiosi di teologia a un sano realismo pastorale, e arricchisce di vivaci stimoli la loro ricerca. G li ultimi mesi della vita terrena di Tommaso restano circondati da un’atmosfera particolare, misteriosa direi. Nel dicembre del 1273 chiamò il suo amico e segretario Reginaldo per comunicargli la decisione di interrompere ogni lavoro, perché, durante la celebrazione della Messa, aveva compreso, in seguito a una rivelazione soprannaturale, che quanto aveva scritto fino ad allora era solo «un mucchio di paglia». È un episodio misterioso, che ci aiuta a comprendere non solo l’umiltà personale di Tommaso, ma anche il fatto che tutto ciò che riusciamo a pensare e a dire sulla fede, per quanto elevato e puro, è infinitamente superato dalla grandezza e dalla bellezza di Dio, che ci sarà rivelata in pienezza nel Paradiso. Qualche mese dopo, sempre più assorto in una pensosa meditazione, Tommaso morì mentre era in viaggio verso Lione, dove si stava recando per prendere parte al Concilio ecumenico indetto dal Papa Gregorio X. Si spense nell’Abbazia cistercense di Fossanova, dopo aver ricevuto il Viatico con sentimenti di grande pietà. L a vita e l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino si potrebbero riassumere in un episodio tramandato dagli antichi biografi. Mentre il Santo, come suo solito, era in preghiera davanti al Crocifisso, al mattino presto nella cappella di San Nicola, a Napoli, Domenico da Caserta, il sacrestano della chiesa, sentì svolgersi un dialogo. Tommaso chiedeva, preoccupato, se quanto aveva scritto sui misteri della fede cristiana era giusto. E il Crocifisso rispose: «Tu hai parlato bene di me, Tommaso. Quale sarà la tua ricompensa?». E la risposta che Tommaso diede è quella che anche noi, amici e discepoli di Gesù, vorremmo sempre dirgli: «Nient’altro che Te, Signore!» ( Ibid. , p. 320). |
Postato da: giacabi a 22:30 |
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benedettoxvi, stommaso
Le prediche
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Le prediche brevi sono le più gradite: se buone, si ascoltano con gusto; se non buone, annoiano per poco tempo.
S. Tommaso d'Aquino |
Postato da: giacabi a 11:36 |
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stommaso
Preghiera di S.Tommaso d’Aquino
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Rendimi, Signore mio Dio,
obbediente senza ripugnanza, povero senza rammarico, casto senza presunzione, paziente senza mormorazione, umile senza finzione, giocondo senza dissipazione, austero senza tristezza, prudente senza fastidio, pronto senza vanità, timoroso senza sfiducia, veritiero senza doppiezza, benefico senza arroganza, così che io senza superbia corregga i miei fratelli e senza simulazione li edifichi con la parola e con l'esempio. Donami, o Signore, un cuore vigile che nessun pensiero facile allontani da te, un cuore nobile che nessun attaccamento ambiguo degradi, un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare, un cuore fermo che resista ad ogni avversità, un cuore libero che nessuna violenza possa soggiogare. Concedimi, Signore mio Dio, un'intelligenza che ti conosca, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia, una fiducia che, alla fine, ti possegga.
San Tommaso d'Aquino
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Postato da: giacabi a 15:45 |
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preghiere, stommaso
Preghiera di San Thomas More scritta in carcere
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Dammi la tua grazia, buon Signore,
per stimare un nulla il mondo. Per aggrapparmi a te con la mente e non dipendere dal fiato della bocca degli uomini. Per essere contento di vivere solitario. Per non desiderare la compagnia del mondo. Per liberarmi completamente a poco a poco dal mondo e per sganciare la mia mente dai suoi affari. Per non desiderare di ascoltare le cose del mondo. Ma che l’udire le fantasie mondane mi dispiaccia. Per pensare volentieri a Dio. Per invocare pietosamente il suo aiuto. Per appoggiarmi al conforto di Dio. Per sforzarmi continuamente d’amarlo. Per riconoscere la mia viltà e la mia miseria. Per umiliarmi ed abbassarmi sotto la potente mano di Dio. Per piangere i peccati commessi. Per sopportare pazientemente le avversità onde purificarmene. Per soffrire volentieri quaggiù il mio purgatorio. Per essere lieto delle tribolazioni. Per camminare nella via stretta che conduce alla vita. Per portare la croce con Cristo. Per ricordare le ultime cose. Per avere sempre davanti agli occhi la mia morte, che è sempre vicina. Per non fare della morte un’estranea. Per aver dinanzi e considerare l’eterno fuoco dell’inferno. Per pregare il perdono dal giudice futuro. Per avere continuamente in mente la passione che Cristo soffrì per me. Per rendergli incessanti grazie dei suoi benefici. Per riguadagnare il tempo perduto. Per astenermi da vane confabulazioni. Per schivare l’allegria e la letizia leggera e sciocca. Per romperla con le ricreazioni non necessarie. Per stimare un nulla la perdita della ricchezza del mondo, degli amici, della libertà, della vita, onde possedere Cristo. Per ritenere miei migliori amici i miei più grandi nemici. Che i fratelli di Giuseppe non avrebbero potuto fargli tanto bene con il loro amore e il loro favore, quanto gliene fecero con la loro malizia e il loro odio. Questi pensieri devono essere desiderati da ognuno più di tutti i tesori di tutti i principi e re cristiani e pagani, fossero essi raccolti e radunati tutti insieme in un mucchio solo. |
Postato da: giacabi a 07:37 |
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preghiere, stommaso
Oggetto della speranza
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“Oggetto della speranza è un bene futuro arduo ma possibile a raggiungersi”.
Tommaso d’Aquino da: Summa Theologiae
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Postato da: giacabi a 08:38 |
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speranza, stommaso
L’ Alternativa dell’uomo
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“Colui che era Dio si è fatto uomo, facendo dèi coloro che erano uomini”
Sant’Agostino Serm.192,1
« Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio »
Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19, 1: SC 211, 374 (PG 7, 939).
. « Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio »
Sant'Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3: SC 199, 458 (PG 25, 192).
« Unigenitus [...] Dei Filius, Suae divinitatis volens nos esse participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo – L'unigenito [...] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei »
S.Tommaso d’Aquino Officium de festo corporis Christi, Ad Matutinas, In primo Nocturno, Lectio 1: Opera omnia, v. 29 (Parigi 1876) p. 336.
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Postato da: giacabi a 08:35 |
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agostino, stommaso, sireneo
Preghiera di San Tommaso
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“Concedimi, o Dio misericordioso, di desiderare con ardore ciò che tu approvi, di cercarlo con prudenza, di riconoscerlo secondo verità, di compierlo in modo perfetto, a lode e gloria del tuo nome.
Metti
ordine nella mia vita, fammi conoscere ciò che vuoi che io faccia,
concedimi di compierlo come si deve e come è utile alla salvezza della
mia anima.
Che
io cammini verso di te, Signore, seguendo una strada sicura, diritta,
praticabile e capace di condurre alla meta, una strada che non si
smarrisca tra il benessere o tra le difficoltà.
Che
io ti renda grazie quando le cose vanno bene, e nelle avversità
conservi la pazienza, senza esaltarmi nella prosperità e senza
abbattermi nei momenti più duri.
Che io mi stanchi di ogni gioia in cui tu non sei presente, che non desideri nulla all’infuori di te.
Ogni lavoro da compiere per te mi sia gradito, Signore, e insopportabile senza di te ogni riposo.
Donami
di rivolgere spesso il mio cuore a te, e quando cedo alla debolezza,
fa’ che riconosca la mia colpa con dolore e con fermo proposito di
correggermi.
Signore, mio Dio, donami un cuore vigile, che nessun pensiero curioso trascini lontano da te; un cuore nobile che nessun indegno attaccamento degradi;
un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare; un cuore
fermo che resista ad ogni avversità; un cuore libero che nessuna
passione violenta possa soggiogare.
Concedimi,
Signore mio Dio, un’intelligenza che ti conosca, uno zelo che ti
cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una
perseveranza che ti attenda con fiducia, e una fiducia che alla fine
arrivi a possederti.
(S. Tommaso d’Aquino).”
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Postato da: giacabi a 14:39 |
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preghiere, stommaso
La verità esiste
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"E' di per sé evidente che esiste la verità; perché chi nega esistere la verità ammette che esiste una verità; infatti se la verità non esiste sarà vero che la verità non esiste. Ma se vi è qualcosa di vero, bisogna che esista la verità."
San Tommaso d'Aquino, Summa theologica I, q. 2, a. 1
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Postato da: giacabi a 21:14 |
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verità, stommaso
PREGHIERA DELLO STUDENTE
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Creatore ineffabile
sorgente di luce e di speranza
degnati di riporre sulla mia intelligenza
un raggio del tuo splendore;
scaccia da me le tenebre del peccato e dell'ignoranza.
Donami la penetrazione per comprendere,
la capacità di trattenere,
il metodo e la facilità di apprendere,
l'abilità di parlare
Avvia l'inizio, conduci i progressi,
corona la fine,
Tu che, vero Dio e vero uomo,
vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen
San Tommaso d'Aquino
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Postato da: giacabi a 07:26 |
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preghiere, stommaso
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"I doni della grazia si aggiungono alla natura in modo da non toglierla di mezzo, ma da perfezionarla: perciò anche il
lume della fede che ci fu infuso per grazia non distrugge il lume della
conoscenza naturale che in noi è naturalmente presente.
Sebbene il lume naturale della mente umana sia insufficiente alla
manifestazione di quelle cose che attraverso la fede si manifestano,
è tuttavia impossibile che le cose che ci sono attraverso la fede
tramandate divinamente siano contrarie a quelle che ci sono date per
natura. In questo caso occorrerebbe che o le une o le altre fossero false; e poiché sia le une sia le altre ci vengono da Dio, Dio sarebbe per noi autore della falsità: il che è impossibile.”
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Postato da: giacabi a 14:21 |
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fede, ragione, stommaso
La santità
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Tommaso d’Aquino La santità non consiste nel sapere molto o meditare molto; il grande segreto della santità consiste nell’amare molto.
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Postato da: giacabi a 17:57 |
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santi, stommaso
Preghiera
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O Dio Onnipotente,
allontana da me ogni proposito di vanagloria,
ogni appetito di lusinga per me stesso,
ogni invidia, ogni cupidigia, ogni ingordigia.
ogni accidia e lascivia, ogni accesso d’ira,
ogni sete di vendetta,
ogni auspicio o godimento del male altrui,
ogni diletto nel provocare l’ira e la rabbia altrui,
ogni compiacimento nel biasimare o denigrare chiunque sia preda di afflizione o di calamità.
E donami, o Signore, un animo umile, leale, quieto, mite, paziente, caritatevole, gentile, affabile e pietoso, che in ogni gesto e in ogni parola e in ogni mio pensiero, assapori lo Spirito Santo benedetto.
S.Tommaso Moro
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Postato da: giacabi a 13:41 |
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preghiere, stommaso
La verità su Dio
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"La
verità che la ragione potrebbe raggiungere su Dio sarebbe di fatto per
un piccolo numero soltanto, e dopo molto tempo e non senza mescolanza di
errori.
D'altra parte, dalla conoscenza di questa verità dipende tutta la
salvezza dell'essere umano, poiché questa salvezza è in Dio. Per rendere questa salvezza più universale e più certa, sarebbe dunque stato necessario insegnare agli uomini la verità divina con una divina rivelazione".
S. Tommaso: Summa Theologiae
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Postato da: giacabi a 21:57 |
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dio, verità, stommaso
La tristezza
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“desiderio di un bene assente”
S. Tommaso Summa Theologiae
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"..Aveva
saputo toccare nel cuore del suo amico le corde più profonde e
provocare in lui la prima sensazione, ancora indefinita, di quella
eterna santa tristezza che qualche anima eletta, una volta che l'abbia
assaporata e conosciuta, non scambierà poi mai più con una soddisfazione
a buon mercato (vi sono anche certi amatori così fatti che
questa tristezza hanno più cara della soddisfazione più radicale,
ammesso che una simile soddisfazione sia possibile)".
(F. Dostoevskij ) da:I demoni
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Postato da: giacabi a 14:07 |
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tristezza, dostoevskij, stommaso
LA VERA SODDISFAZIONE
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S. Tommaso
“La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione”. |
Postato da: giacabi a 07:35 |
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stommaso
Il Dio nascosto
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"La verità che la ragione potrebbe raggiungere su Dio sarebbe di fatto per un piccolo numero soltanto, e dopo molto tempo e non senza mescolanza di errori. D'altra parte, dalla conoscenza di questa verità dipende tutta la salvezza dell'essere umano, poiché questa salvezza è in Dio. Per rendere questa salvezza più universale e più certa, sarebbe dunque stato necessario insegnare agli uomini la verità divina con una divina rivelazione".
S. Tommaso d'Aquino:Summa theologiae
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Postato da: giacabi a 14:03 |
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dio, senso religioso, stommaso
La realtà è segno di Dio
sta a noi aprire il cuore per ammirarla
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“La Bellezza
è lo splendore del Vero”
San Tommaso d’Aquino
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Postato da: giacabi a 19:13 |
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bellezza, nietzsche, stommaso
Preghiera di San Tomaso d'Aquino Mio Dio, non dimenticarti di me, quando io mi dimentico di te. Non abbandonarmi, Signore, quando io ti abbandono. Non allontanarti da me, quando io mi allontano da te. Chiamami se ti fuggo, attirami se ti resisto, rialzami se cado. Donami, Signore, Dio mio, un cuore vigile che nessun vano pensiero porti lontano da te, un cuore retto che nessuna intenzione perversa possa sviare, un cuore fermo che resista con coraggio ad ogni avversità, un cuore libero che nessuna torbida passione possa vincere. Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e una fiducia che alla fine giunga a possederti. San Tommaso d'Aquino |
Postato da: giacabi a 10:22 |
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preghiere, stommaso
PERSONA
Tratto da www.carimo.it
«Come spiega lo stesso S. Tommaso il termine proviene da personare,
che significa "far risonare", "proclamare ad alta voce": (il nome
persona è stato tratto da personare perché nelle tragedie e nelle
commedie gli attori si mettevano una maschera per rappresentare colui
del quale, cantando, narravano le gesta . Storicamente la parola persona segna la linea di demarcazione tra la cultura pagana e la cultura cristiana. Fino
all’avvento del cristianesimo non esisteva né in greco né in latino
una parola per esprimere il concetto di persona e fu una verità carica
di un "potere sovversivo" come poche altre nella storia: man mano che
essa riuscì a farsi strada e a penetrare nella cultura pagana, la
trasformò profondamente, sostanzialmente, dando origine a una nuova
cultura e a una nuova società: la cultura e la società che prenderanno
forma nella respublica christiana del medioevo.
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Come
s’è detto, il concetto di persona, in quanto pone l’accento sul
singolo, sull’individuo, sul concreto, è estraneo a! pensiero greco, il
quale annette importanza e riconosce valore soltanto all’universale,
all’ideale, all’astratto e considera l’individuo solo come momentanea
fenomenizzazione della specie, dell’universale, oppure un attimo
transitorio del grande ciclo onnicomprensivo della storia.
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Nel
cristianesimo il concetto di persona non è stato tramandato come un
semplice dato di fede, ma è diventato argomento di profonda meditazione
filosofica e teologica Il primo esame approfondito di tale concetto fu
compiuto da Agostino nel De Trinitate.
L’obiettivo che egli persegue è quello di reperire un termine che si
possa applicare distintamente al Padre, al Figlio e allo Spirito, senza
incorrere da una parte nel pericolo di far di loro tre divinità e,
dall’altra, nel pericolo di dissolvere la loro individualità. Agostino
fa vedere che i termini "essenza e "sostanza" non possiedono questa
duplice virtù, in quanto si riferiscono ad aspetti comuni a tutt’e tre I
membri della Trinità. Essa compete invece al termine greco “hypostasis”
e al suo equivalente latino "persona", il quale non significa una
specie, ma qualcosa di singolare e di individuale (De Trinitate VII,
q.
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Il
merito di avere elaborato una definizione adeguata del concetto di
persona spetta a Severino Boezio . In uno dei suoi opuscoli teologici
egli scrive: “La persona è una sostanza individuale di natura ragionevole” (persona est rationalis naturae individua substantia) (Contra Eutichen et Nestorium, c. 4).
Dalla definizione boeziana risulta che persona non dice semplicemente
individualità singola L’individualità singola infatti può appartenere
anche all’accidente (tutti gli accidenti concreti sono individuali);
per dar luogo alla persona non bastano né la natura né la sostanza, che
possono anche essere elementi generici. Ma neppure l’unione di
individualità, natura e sostanza fa ancora la persona; questi elementi
appartengono anche a un sasso o a un gatto, che non sono persone. Per
definire adeguatamente la persona occorre aggiungere ai tre elementi
precedenti la differenza specifica che distingue gli uomini dagli
animali, la quale consiste nella razionalità.
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S. Tommaso ritocca la definizione boeziana come segue: "Omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est persona” (C. G., IV, c. 35). Ponendo nella definizione di persona i nomi rationalis oppure intellectualis, S.
Tommaso assegna implicitamente alla persona tutte quelle proprietà su
cui insisteranno i filosofi moderni e contemporanei quando parlano della
persona: l’autocoscienza, la libertà, la comunicazione, la coesistenza,
la vocazione ecc., perché tutte queste qualità trovano la loro radice
profonda nella ragione oppure nella intelligenza: è la ragione
(l’intelligenza) che possiede l’autocoscienza, la libertà, la
comunicazione, la coesistenza, la vocazione, la partecipazione, la
solidarietà ecc.
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Tommaso definendo sinteticamente la persona come subsistens in natura rationali vel intellectuali indica tutt’e due gli aspetti essenziali e indispensabili per avere la persona: l’aspetto ontologico (col subsistens) e l’aspetto psicologico (col rationalis o intellectualis).
Una razionalità o un’intelligenza, per quanto perfetta, senza la
sussistenza non fa ancora persona; tant’è vero che la natura umana di
Cristo, non essendo sussistente, non fa persona. Né occorre che la
razionalità o l’intelligenza siano presenti come operazioni in atto, ma è
sufficiente che siano presenti come facoltà: così è persona anche chi
dorme, anche chi è in stato comatoso ed è persona anche il feto. la
sussistenza, nota essenziale della persona, ci si trova nella sua forma
particolare e individuale in modo più speciale e perfetto nelle
sostanze razionali, che possiedono il dominio del loro agire
e non sono solo oggetti passivi, come le altre sostanze, ma agiscono
per sé medesime: perché solo gli esseri singolari possono agire, e tra
tutte le altre sostanze certi individui hanno un nome speciale: questo
nome è persona perché sono di natura ragionevole”
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Nell’uomo,
come totalità dell’essere singolo, la persona abbraccia: la materia,
la forma sostanziale (l’anima), le forme accidentali e l’atto d’essere (actus essendi).
Il costitutivo formale della persona è dato da quest’ultimo elemento,
perché l’atto dell’essere è la perfezione massima ed è ciò che
conferisce attualità alla sostanza e a tutte le sue determinazioni.
Perciò "la personalità appartiene necessariamente alla dignità e alla
perfezione di una realtà, in quanto questa esiste per sé il che è inteso
nel nome di persona
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Infatti,
“il concetto di persona comporta che si tratti di qualcosa di distinto,
sussistente e comprendente tutto ciò che c’è nella cosa; invece il
concetto di natura abbraccia solo gli elementi essenziali.
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Perciò
non l’astratta ragione o la natura umana in generale, ma la ragione e
la natura possedute da un essere in concretosussistente per un actus
essendi fa la dignità irriducibile della persona umana, che possiede “has carnes et haec ossa et hanc animam, quae sunt principia individuantia hominem" .
Così S. Tommaso può legittimamente concludere affermando che “il modo
di esistere che comporta la persona è il più degno di tutti, essendo ciò
che esiste per sé .
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L’uomo singolo come "individuo." sta rispetto alla totalità dell’universo e dell’umanità "sicut pars ad totum"
.Nel cosmo l’individuo è un piccolo moscerino apparentemente
insignificante che può esser spazzato via in qualsiasi istante. Invece
come persona gode di una indipendenza dominatrice. L’uomo come
individuo è soggetto agli astri, ma come persona può dominarli.
Analogamente, come individuo l’uomo singolo è membro dell’umanità alla
quale è finalizzato, ma in quanto persona non è subordinato alla
comunità politica, la quale trova invece nella persona la ragione ultima
del suo essere: la società si costituisce infatti affinché l’uomo
cresca nella libertà e realizzi pienamente se stesso .
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La
definizione di persona in chiave ontologica. così come venne elaborata
da Boezio e poi ulteriormente perfezionata da S. Tommaso con la sua
dottrina dell’actus essendi,
fu una conquista definitiva, ed è un punto di riferimento sicuro per
tutti coloro che cercano di comprendere perché sia giusto affermare che
l’essere umano è persona sin dal momento del concepimento. e che quindi
la dignità della persona non dipende da qualche convenzione sociale o
da qualche codice di diritto, ma è una qualità originaria, intangibile e
perenne. Chi è persona è persona da sempre e per sempre: perché questo
fa parte della sua stessa costituzione ontologica.»
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