Il nostro compito
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«Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo;
il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni
nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare.»
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Postato da: giacabi a 09:46 |
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tolkien
Una gran bella favola, e nulla più
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di Giovanni Ricciardi
Per
più di vent’anni, dal 1939 al 1962, un gruppo di professori
universitari ebbe l’abitudine di ritrovarsi ogni martedì in un
tranquillo pub di Oxford, l’Eagle and Child. Erano gli Inklings, un
circolo letterario allora piuttosto informale, ma destinato a grandi
fortune: il cinema li immortalò nel celebre Viaggio in Inghilterra
del 1994. Due personalità emersero tra loro: Clive Staples Lewis e
John Ronald Reuel Tolkien. Il primo raggiunse la fama a partire dagli
anni Quaranta per una serie di libri di successo, tra cui le Lettere di Berlicche,
gustoso epistolario tra un diavolo apprendista e il suo più esperto
precettore sui modi più raffinati per tentare gli uomini. Tolkien
sarebbe divenuto celebre dal 1954, grazie al Signore degli anelli,
il romanzo più venduto e discusso del Novecento: oltre 100 milioni di
copie dalla pubblicazione a oggi, senza contare la colossale versione
cinematografica di Peter Jackson, il cui terzo episodio è in questi
giorni nelle sale di tutto il mondo.
Tolkien rimproverava a Lewis questa “sovraesposizione mediatica”
della conversione. Gli sembrava sconveniente farne la “chiave” di un
successo letterario. E infatti nelle opere di Tolkien la fede non è mai
esplicitamente messa a tema. Emerge invece chiaramente nelle lettere
scritte ai figli soprattutto durante la Seconda guerra mondiale. Come
quella indirizzata a Christopher, impegnato al fronte, l’8 marzo 1944:
«Se non riesci a raggiungere la pace interiore, e a pochi è dato
raggiungerla (men che mai a me) nelle tribolazioni, non dimenticare che
l’aspirazione a raggiungerla non è inutile, ma un atto concreto. Mi
dispiace di doverti parlare così e in modo così incerto. Ma non posso
fare niente di più per te, carissimo […]. Se già non lo fai, prendi
l’abitudine di pregare. Io prego molto (in latino): il Gloria Patri, il Gloria in excelsis, il Laudate Domino, il Laudate pueri Dominum (a cui sono particolarmente affezionato), uno dei salmi domenicali; e il Magnificat; anche la Litania di Loreto (con la preghiera Sub tuum praesidium). Se nel cuore hai queste preghiere non avrai mai bisogno di altre parole di conforto».
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da: 30giorni.it
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Postato da: giacabi a 22:24 |
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tolkien
Abbiamo bisogno di pulire le nostre finestre
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“Dovremmo
di nuovo guardare il verde, e ancora una volta dovrebbero farci
trasalire (senza accecarci) il blu, il giallo e il rosso. Dovremmo
incontrare il centauro e il drago, e quindi forse scorgere
improvvisamente, come gli antichi pastori, pecore, e cani, e cavalli- e
lupi. Questa riscoperta, le favole ci aiutano a farla. Soltanto in tal
senso la propensione per essere può renderci, o mantenerci, infantili.
La Riscoperta (che comprende un ritorno alla salute e il suo rinnovamento) è un ri-acquisto, il riacquisto di una chiara visione. Non dico che si tratti di “vedere le cose come sono”, e non mi mescolo coi filosofi, anche se potrei azzardarmi a dire di “vedere le cose come noi siamo (o eravamo) destinati a vederle”, quali cose distinte da noi. Abbiamo bisogno, in ogni caso, di pulire le nostre finestre, cosicché le cose viste con chiarezza possano essere liberate dal grigio offuscamento della banalità e della familiarità – liberate dalla possessività. Di tutti i volti, quelli dei nostri familiares, sono insieme quelli con cui è più difficile fare giochi con la fantasia, e quelli che è più difficile vedere con fresca attenzione, percependo la loro somiglianza e la loro differenza: il fatto che sono dei volti, e tuttavia dei volti unici. Questa banalità è in realtà la pena che si sconta per l’ “appropriazione”: le cose che sono trite, o (in senso cattivo) familiari, sono le cose di cui ci siamo appropriati, legalmente o mentalmente. Diciamo di conoscerle. Sono divenute come le cose che un tempo ci hanno attratto con il loro splendore, il loro colore o la loro forma: ci abbiamo messo sopra le mani, e le abbiamo rinchiuse col nostro tesoro, le abbiamo fatte nostre, e facendole nostre abbiamo smesso di guardarle. Naturalmente le fiabe non sono il solo mezzo di riscoperta, la sola profilassi contro la perdita. Basta l’umiltà.”
grazie a: Annina
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Postato da: giacabi a 14:31 |
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reale, tolkien
L’eucatastrofe
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Nel saggio sui racconti fantastici Tolkien scriveva: “Mi azzarderei ad affermare che, accostandomi alla Vicenda Cristiana sotto questa angolazione, a lungo ho avuto la sensazione (una sensazione gioiosa) che
Dio abbia redento le corrotte creature produttrici, gli uomini, in
maniera adatta a questo come pure ad altri aspetti della loro singolare
natura. I
Vangeli contengono una favola o meglio una vicenda di un genere più
ampio che include l’intera essenza delle fiabe. I Vangeli contengono
molte meraviglie, di un’artisticità particolare, belle e commoventi,
“mitiche” nel loro significato perfetto, in sé conchiuso: e tra le
meraviglie c’è l’eucatastrofe massima e più completa che si possa
concepire. Solo che questa vicenda ha penetrato di sé la Storia e il
mondo primario; il desiderio e l’anelito alla subcreazione sono stati
elevati al compimento della Creazione. La nascita del Cristo è
l’eucatastrofe della storia dell’Uomo; la Resurrezione, l’eucatastrofe
della storia dell’Incarnazione.
Questa vicenda si inizia e si conclude in gioia, e mostra in maniera inequivocabile la “intimaconsistenza della realtà”. Non c’è racconto mai narrato
che gli uomini possano trovare più vero di questo, e nessun racconto
che tanti scettici abbiano accettato come vero per i suoi propri meriti.
Perché l’Arte di esso ha il tono, supremamente convincente, dell’Arte
Primaria, vale a dire della Creazione. E rifiutarla porta o alla tristezza o all’iracondia.” Tolkien ci introduce al significato della gioia cristiana, il cui nome è Gloria: “L’arte
ha avuto la verifica. Dio è il Signore degli angeli, degli uomini – e
degli elfi. Leggenda e Storia si sono incontrate e fuse”. Il Vangelo non ha abrogato le leggende, dice il professore di Oxford, ma le ha santificate.
“Il cristiano deve ancora operare, con la mente come con il corpo, soffrire, sperare, morire; ma ora può rendersi conto che tutte le sue inclinazioni e facoltà hanno uno scopo, il quale può essere redento.
Tanto grande è la liberalità onde è stato fatto oggetto, che ora può
forse permettersi a ragion veduta di ritenere che con la Fantasia può
assistere effettivamente
al dispiegarsi e al molteplice arricchimento della creazione. Tutte le narrazioni si possono avverare; pure alla fine, redente, possono risultare non meno simili e insieme dissimili
dalle forme da noi date loro, di quanto l’Uomo, finalmente redento,
sarà simile e dissimile, insieme, all’uomo caduto a noi noto”
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