Il cristianesimo
non è un’ideologia
ma una testimonianza viva
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«Il
punto centrale è che il cristianesimo non lo difendi brandendolo come
un’ideologia, ma testimoniandolo nella vita quotidiana come risposta
ai bisogni dell’uomo. La
grande forza del cristianesimo, quella che colpisce e “contagia” il
prossimo che incontriamo, è la possibilità per l’uomo di sperimentare
una novità di vita».
«Quello
che fa andare avanti il cristianesimo - continua - è la testimonianza
viva di persone come il Papa, come Madre Teresa, don Giussani, don
Gnocchi. Sono le vite concrete che ci fanno capire che Cristo non è
una cosa di duemila anni fa, ma una cosa viva oggi.
Penso all’esperienza di Rose Busingye, un’infermiera ugandese che a
Kampala prende donne malate di Aids e ridà loro una speranza. E loro
ricominciano a vivere. Qualche anno fa queste donne malate decisero di
spaccare pietre gratis per poter donare tremila dollari agli
alluvionati di New Orleans, cioè a gente della ricca America. Il
console statunitense obiettò: ma voi non dovete aiutarci perché siete
povere. E loro hanno risposto: ma scusi, lei pensa che noi non possiamo
vivere la carità perché siamo povere?».
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Postato da: giacabi a 21:48 |
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cristianesimo, vittadini
Quei protagonisti al di là dei numeri uno
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di Giorgio Vittadini Da: www.ilgiornale.it
«O
protagonisti o nessuno». Alla fine delle Olimpiadi il titolo del
Meeting di Rimini, che apre i battenti domani, potrebbe essere
immediatamente inteso secondo la mentalità dominante: chi non è il primo
non conta. Scorrendo attentamente il programma del Meeting ci si
accorge invece che il modello proposto è agli antipodi.
Infatti gente «comune», eppure eccezionale, come Marguerite Barankitse (Premio internazionale Onu per i rifugiati), Rose Busingye (impegnata con le donne malate di Aids in Uganda), Cleuza e Marcos Zerbini (alla guida di un grande movimento sociale di ex favelados a San Paolo del Brasile), Salih Osman (Premio Sacharov 2007 per il suo impegno tra e per i rifugiati del Darfur), i carcerati protagonisti della mostra «Libertà va cercando, ch’è sì cara. Vigilando redimere», mostrano che si può vivere da protagonisti, cioè coscienti di chi si è, soddisfatti e rispettosi delle proprie esigenze profonde, e vincere anche in situazioni proibitive e senza chiamarsi Phelps. Al Meeting si vuole verificare questa evidenza nei tre grandi ambiti in cui l’uomo di oggi incontra le maggiori sfide. La pace: di fronte a una situazione internazionale in cui, ad onta dello spirito olimpico, rinascono continuamente venti di guerra, violenze contro l’uomo e egoismi nazionalistici, il Meeting rilancerà il suo appello per l’amicizia tra i popoli, chiamando a discutere protagonisti nello scenario internazionale, quali il segretario della Lega araba Amre Moussa, il presidente dell’Unione europea Barroso, l’ambasciatrice Usa in Vaticano Mary Ann Glendon, il segretario di Stato vaticano monsignor Mamberti, il cardinal Tauran. Lo sviluppo economico e sociale: il popolo del Meeting chiederà a personaggi di rilievo internazionale come l’economista americana Anne Krueger, l’economista francese Jacques Attali e a numerosissimi politici, giornalisti, imprenditori, operatori della vita economica e sociale italiana, se una rinnovata responsabilità e il metodo della sussidiarietà, coadiuvati da politiche adeguate, possono contribuire a superare una crisi, non solo congiunturale, acuita da moralismi giustizialisti e da una finanziarizzazione isterica nemica dello sviluppo. La scienza e la vita: scienziati di fama mondiale come Sylvie Menard, Charles Harper, Gino Segre, Peter Ward si chiederanno se un uomo divenuto legge a se stesso sta usando gli strumenti che hanno migliorato la sua vita materiale come un boomerang, tra eugenetica e global warming. Di solito la riflessione finisce così, in un incontro pubblico: ma la presenza al Meeting del monaco buddista giapponese Habukawa, del professore ebreo Weiler, dello scrittore israeliano Aharon Appelfeld, mostrano come sono innanzitutto le religioni, quando sono vissute senza tradire i desideri più profondi, ad aprire alla ragione più profonda del protagonismo. Come afferma Luigi Giussani, nel nuovo libro Uomini senza patria (Bur Rizzoli) che sarà presentato durante il Meeting: «La lotta di oggi - culturale - è fra due concezioni dell’uomo, fra l’uomo che appartiene a qualcosa di più grande oppure che appartiene a se stesso. L’uomo che appartiene a se stesso è una manciata di polvere in cui ogni grano è staccato dall’altro e perciò può essere utilizzabile facilmente dal potere». L’appartenenza a Dio diventa presagio e domanda che questo Dio diventi compagno nella vita quotidiana, in una esperienza di novità, liberazione, bellezza - come mostra bene «Exempla», bellissima mostra sulla ripresa dei modelli classici nell’arte italiana medievale - e in un’esperienza di unità perduta, come quella tra i cristiani, richiamata al Meeting dalla presenza dei teologi anglicani Hauerwas e Milbank, dai monaci ortodossi Mescerinov e Polujanov, e dai cattolici Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca e il cardinal Bagnasco, presidente della CEI. Perché, come dice Julian Carrón nella prefazione a Uomini senza patria, «chi lascia entrare Cristo attraverso la crepa delle proprie ferite e del proprio bisogno umano, si riempie di stupore davanti a quanto accade» e diviene protagonista di tutta la realtà, chiunque lui sia. Presidente Fondazione per la Sussidiarietà |
Postato da: giacabi a 12:14 |
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vittadini
L'io in sei mosse
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"Ci vogliono io che non trasformino il desiderio in discorsi, parole, analisi, cortei, talk-show televisivi, convention aziendali, liturgie senza sacralità, canti senza bellezza. Ci vogliono io che lavorino, trasformino la realtà, accettino il sacrificio di piegarsi alla materia che hanno davanti, che diano uno scopo alla propria azienda affinchè sia per l'uomo"
G. Vittadini "L'io in sei mosse"
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Postato da: giacabi a 14:57 |
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persona, vittadini
Non serve l’ideologia ma l’esperienza per imparare a vivere
Giorgio Vittadini è Presidente della Fondazione per
Secondo
l’Herald Tribune 300.000 giovani giapponesi su 1 milione vivono da soli
senza altra relazione con il mondo, se non un lungo, quasi
ininterrotto, collegamento ad internet. Per questo, in un recente evento
di presentazione del libro Il rischio educativo
di don Luigi Giussani, Ferruccio De Bortoli sosteneva che il problema
più importante relativo alla questione educativa è quello prettamente
esistenziale che consiste nel «ritrovare un senso al nostro essere parte
di questo mondo».
Per questo Giancarlo Cesana ha affermato che la prima risposta al problema educativo consiste nell’esemplificazione di un rapporto adeguato con la realtà che permetta di vedere il vero, il bello e il buono contenuto in essa. La valenza educativa della proposta di don Giussani corrisponde in effetti a questa «emergenza esistenziale», come si può constatare dalle miriadi di persone che in tutto il mondo sono divenute adulte seguendola. Tale proposta ha anche un grande valore teoretico, come è emerso in occasione di un convegno tenuto a Washington nel 2003 proprio su Il rischio educativo. In quell’occasione Stanley Hauerwas (nel 2001 «miglior teologo d’America» secondo il Time Magazine) ha affermato: «Non sono solo interessato all’educazione, ma anche, in particolare, al tipo di suggestioni innovative proposte da don Giussani nel recuperare l’educazione come attività cristiana. Avrei molto da dire sul libro Il rischio educativo, ma, ahimé, mi trovo in tale sintonia con Giussani che mi sembra solo di poter dire: «Vorrei averlo detto io». Hauerwas, sempre nell’occasione citata, ha sottolineato che il primo valore della proposta di don Giussani è di ordine metodologico in quanto supera quel pregiudizio, vigente anche in ambienti cattolici, secondo cui: «L’educazione può essere concepita come se non avesse a che fare con la “verità”, mentre non si può separare ciò che si conosce dal come si è arrivati a conoscerlo». Il teologo aggiunge inoltre che, intendendo l’educazione come «introduzione alla realtà totale» don Giussani va oltre la semplice ricomposizione della divisione presente nell’attuale contesto educativo, in cui gli studenti saltano da una materia all’altra senza essere aiutati a coglierne il significato. Per questo, nell’ambito delle manifestazioni connesse con l’appello per l’educazione proposto da numerosi intellettuali, uomini di cultura, imprenditori, accademici, Il noto pedagogista dell’Università di Torino, Giorgio Chiosso - che introdurrà il seminario insieme al professor Onorato Grassi, presidente dell’Indire (Istituto nazionale di documentazione per l’innovazione e la ricerca educativa) - mostra come il senso profondo di tale definizione sia legato alla riscoperta del significato del termine «realtà»: l’affermazione del primato della realtà si svolge nella categoria di «avvenimento» con cui il mistero dell’essere si dona nel reale. Ogni manifestazione del reale si presenta come evento (dal latino e-venio) che interpella la nostra libertà provocandola ad aderire. La parola «realtà», scrive Giussani, sta alla parola «educazione» come la meta sta al cammino. Così la realtà determina integralmente il movimento educativo passo passo e ne è il compimento. In questo contesto culturale ed esistenziale si realizza il «rischio educativo» di maestro e discepolo alla conquista di un senso della loro esistenza, secondo il triplice movimento di affronto leale della tradizione, affronto critico dei valori di questa tradizione e loro verifica esistenziale nel presente attraverso un paragone con le esperienze ed esigenze elementari di bellezza, giustizia, verità, che costituiscono il cuore oggettivo dell’uomo di ogni tempo e luogo. Da qui, come affermava in un suo intervento il professor Onorato Grassi, nasce la profonda laicità della proposta di don Giussani, contro ogni pregiudizio e impostazione ideologica che si opponga a priori ad una verifica personale ed esperienziale. Nella crisi dell’Italia di oggi, prima che economica e politica, di tipo ideale, la verifica di questa proposta può essere una chiave portante per una ripresa personale e collettiva |
Postato da: giacabi a 18:01 |
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educazione, vittadini
Da: www.ilgiornale.it del 28/09/2006
Un nesso ineludibile
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Giorgio Vittadini(*)
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Con la lezione a Ratisbona il Papa ha voluto sottolineare
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Innanzitutto una concezione di ragione
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come apertura ad ogni dimensione dell'umano. Un significativo
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esempio di tale concezione è contenuto nell'omelia dello
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stesso Pontefice del 10 settembre a Monaco dove ha affermato
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che «esiste in alcuni l'idea che i progetti sociali siano da
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promuovere con massima urgenza, mentre le cose che riguardano
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Dio o addirittura
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piuttosto particolari e meno prioritarie». In tal modo Benedetto XVI
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Ha affrontato il tema del dualismo tra impegno sociale e concezione
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dell'uomo (e quindi, annuncio cristiano) giustificato,
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non solo tra i laici, ma anche tra molti fedeli e cattolici,
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dall'idea che sia sufficiente realizzare progetti utili, in modo
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neutrale, senza troppa enfasi sulle ragioni per cui li si fa.
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Sembra così di poter fare un Bene disinteressato, rispettando
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le identità di ciascuno, senza inculcargli le proprie convinzioni.
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Eppure tutto questo non tiene alla prova dei fatti.
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Spesso chi è impegnato in un’attività sociale, anche se cristiano,
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dopo un po’ si stanca del suo impegno di fronte all' immensità
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dei bisogni, affrontati nell’illusione di risolverli.
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Così,capita che cominci a pensare che «non serve la carità,
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ci vuole la giustizia» identificando in una scelta politica il
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contenuto della sua fede e del suo impegno. Eppure, anche
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questo impegno politico alla lunga non tiene.
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Così, mentre 40 anni fa, in un ottimismo tipico di quegli
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anni, si pensava che bastasse uno sviluppo economico diffuso
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e sistemi politici migliori perché ci fossero concordia e
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pace, oggi si scopre che incrementi del PIL
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possono convivere con sfruttamento e mancanza di diritti umani;
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che ci possono essere estensioni delle democrazie
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«all'occidentale» che portano al potere gruppi
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terroristici e regimi populisti che, in nome della difesa del
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popolo, lo opprimono. L'intervento del Papa supera
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questo dualismo perché, affermando il nesso inscindibile
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tra intervento sociale e concezione dell'uomo, indica scopo
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e metodo anche dell'azione sociale. Sapere che ogni uomo è
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nesso inscindibile e personale con l'infinito, fatto a immagine
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di Dio; scoprire nella propria esperienza come il cuore è costituito
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da una esigenza ultima di verità, giustizia, bellezza
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non relativizzabili; incontrare nella realtà ciò che corrisponde a
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queste esigenze elementari; riconoscere nella vita quotidiana
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la presenza di un Dio fatto uomo, che solo può appagare
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il desiderio di felicità, mostra i limiti di ogni intervento
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caritativo e ne esalta il merito. Nessun progetto sociale, nessuno
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sviluppo economico,nessuna realizzazione politica
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può appagare questa sete di infinito che costituisce l'uomo.
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Come ha detto lo stesso Pontefice a Ratisbona «Ciò che
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rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole
|
dell’evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia,è
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semplicemente insufficiente». Chi non parte da una concezione
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ragionevole dell'uomo e pretende di essere neutrale finisce
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per commettere le peggiori violenze sull'uomo perché
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non ne rispetta la natura e uccide l'impegno sociale.
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I cristiani che dividono la fede dalle opere, prima o poi,
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uccidono anche le opere.
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(*) Presidente Fondazione
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per
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Postato da: giacabi a 16:59 |
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ragione, benedettoxvi, vittadini
Da: www.ilgiornale.it di oggi Emergenza educazione di Giorgio Vittadini |
Giorgio Vittadini*
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Il
Meeting di Rimini 2006, intitolato «La ragione è esigenza di infinito e
culmina nel sospiro e nel presentimento che questo infinito si
manifesti», vedrà oggi, nell’incontro inaugurale, la presenza del
presidente del Senato Franco Marini. Qual è il nesso tra una concezione
di ragione come apertura all’Infinito e l’argomento di questo incontro?
Innanzitutto va detto che questo convegno non rappresenta una deriva
politica, ma, come tutto il Meeting, è parte di una storia e una cultura
oggi, più che mai, chiare e profonde.
Il punto di partenza è la medesima preoccupazione testimoniata dal libro di don Giussani «Dall’utopia alla presenza» che sarà presentato sabato 26 agosto: perché un percorso esistenziale sia totalmente umano, occorre verificare cosa si desidera nelle radici più intime di se stessi e, nello stesso tempo, scoprire personalmente nella vita della comunità cristiana, la razionalità dell’avvenimento cristiano, ovvero della sua completa corrispondenza a queste esigenze umane. Un percorso razionale, di apertura alla conoscenza del reale, fino al suo significato, per una vera libertà che non è una aspirazione pietistica dell’età giovanile. A cosa apre questa posizione umana e cristiana? Don Giussani disse ai Democratici Cristiani lombardi riuniti ad Assago nel 1987 che movimenti che rimangono nell’astrattezza sono preda dell’omologazione e del potere. In altre parole se la vita che riguarda tutti, cioè la famiglia, gli affetti, il lavoro, gli affari, la vita economica, sociale, politica, non fosse mossa dalla domanda del significato e dall’incontro con Cristo, la fede perderebbe il suo significato. Chi ogni giorno mette a tema il suo rapporto con l’Infinito non vive nell’astrattezza ma, a un certo punto, inevitabilmente, quando si accorge di un bisogno, si muove per cercare di rispondervi. Ciò significa innanzitutto la scoperta della carità come «dono di sé commosso» verso chi si ha intorno nella comunità cristiana e ovunque, che porta a farsi carico del suo destino, fin nei suoi bisogni più materiali. Da questa concezione della persona come unica e irripetibile in quanto nesso diretto con l’Infinito e da questo tentativo di carità quotidiana, sono nate opere intese come risposte organiche al bisogno di tutti, in diversi aspetti dell’agire umano: culturale (il Meeting), caritativo (il Banco Alimentare), di aiuto al lavoro (i Centri di Solidarietà), imprenditoriale. Opere dove il desiderio di vivere la fede crea forme di vita nuova per l’uomo, come disse Giovanni Paolo II al Meeting del 1982. La nascita delle opere è qualcosa di inevitabile in un’esperienza cristiana che si collega alla storia della Chiesa, anche moderna (vedi Opera dei congressi), alla Dottrina sociale della Chiesa e all’operosità italiana che ha dato frutto a una miriade di piccole e medie imprese, ancor oggi alla base del nostro sviluppo. Le opere sono il punto in cui si coltiva l’espressione del cuore, perché non ci si educa semplicemente con discorsi o editoriali sui giornali, ma implicandosi nella realtà e avendo a cuore il nesso tra la propria esperienza e l’ideale che si vive. Ma chi «si muove», non può fare senza giudicare. È inevitabile, quando si agisce, paragonare tutto con le proprie esigenze ultime, alla ricerca della verità nelle cose quotidiane. Da qui è nato un giudizio sulla società, sintetizzato da due aspetti fondamentali. Il primo è la centralità dell’educazione che ha generato l’Appello per l’educazione, lanciato nel novembre 2005 e sottoscritto da molti intellettuali, personalità del mondo accademico ed economico e da migliaia di cittadini. L’Appello sostiene che la grande emergenza da cui è attraversata l’Italia è l’educazione. Senza educazione a una responsabilità che nasca, nella vita quotidiana, dal paragone con i criteri ideali che sono alla radice del nostro Paese (cristiano, socialista, liberale, religioso), non c’è possibilità di vero sviluppo e di vera solidarietà. Senza un’educazione al desiderio di verità, di giustizia, di bellezza nell’agire umano, anche l’istruzione, la ripresa economica o la solidarietà sono vuoti perché ne manca il soggetto. Il secondo aspetto è sintetizzato dallo slogan «più società, meno Stato». Si tratta del principio di sussidiarietà, cardine della Dottrina sociale della Chiesa, che anche con il nostro impegno è entrato nella Costituzione. Esso esprime il desiderio che ogni tentativo di costruzione che nasce “dal basso” possa esistere, che la politica sia tesa a valorizzare l’apporto di ognuno, da cui nasce il benessere di tutti. Non è la politica che salva l’uomo: essa deve essere a servizio delle opere che nascono dal desiderio dell’uomo, dalla libera iniziativa di persone e corpi intermedi, di realtà sociali al servizio del bene comune. Sussidiarietà significa: investimenti in capitale umano che favoriscano la qualità ad ogni livello, vale a dire i «capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi»; una welfare society in cui la libertà di scelta dei singoli e dei gruppi sia accompagnata anche da una maggiore solidarietà; uno sviluppo basato su imprese veramente competitive, piccole o grandi che siano; liberalizzazioni fatte per favorire la libertà e non per generare oligopoli. Di educazione e sussidiarietà si vorrebbe parlare con il Presidente Marini che ha mostrato, nei suoi primi interventi pubblici, sensibilità e interesse verso questi due temi. È il modo per non lasciare nel privato l’uomo nelle sue esigenze ultime e umilmente tentare di vivere la liberazione cristiana in tutti gli aspetti della vita sociale. *Presidente Fondazione per la Sussidiarietà |
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