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giovedì 23 febbraio 2012

solitudine


L'uomo solo non esiste
***
"L'uomo solo non esiste. Non ci sono che uomini legati gli uni agli altri, fino ai limiti dell'umanità e del tempo".

Michel Quoist




Postato da: giacabi a 06:55 | link | commenti
solitudine

giovedì, 14 agosto 2008

L’amicizia
***
" La peggior solitudine è essere privi di un'amicizia sincera.”
Francis Bacon


Postato da: giacabi a 20:16 | link | commenti
amicizia, solitudine

venerdì, 06 giugno 2008

L’uomo ha bisogno di una compagnia
 ***

 
cardinal Joseph Ratzinger Meditazioni sul Sabato Santo da: 30giorni
 



Se un bambino si dovesse avventurare da solo nella notte buia attraverso un bosco, avrebbe paura anche se gli si dimostrasse centinaia di volte che non c’è alcun pericolo. Egli non ha paura di qualcosa di determinato, a cui si può dare un nome, ma nel buio sperimenta l’insicurezza, la condizione di orfano, il carattere sinistro dell’esistenza in sé. Solo una voce umana potrebbe consolarlo; solo la mano di una persona cara potrebbe cacciare via come un brutto sogno l’angoscia. C’è un’angoscia – quella vera, annidata nella profondità delle nostre solitudini – che non può essere superata mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. Quest’angoscia infatti non ha un oggetto a cui si possa dare un nome, ma è solo l’espressione terribile della nostra solitudine ultima. Chi non ha sentito la sensazione spaventosa di questa condizione di abbandono? Chi non avvertirebbe il miracolo santo e consolatore suscitato in questi frangenti da una parola di affetto? Laddove però si ha una solitudine tale che non può essere più raggiunta dalla parola trasformatrice dell’amore, allora noi parliamo di inferno. E noi sappiamo che non pochi uomini del nostro tempo, apparentemente così ottimistico, sono dell’avviso che ogni incontro rimane in superficie, che nessun uomo ha accesso all’ultima e vera profondità dell’altro e che quindi nel fondo ultimo di ogni esistenza giace la disperazione, anzi l’inferno. Jean-Paul Sartre ha espresso questo poeticamente in un suo dramma e nello stesso tempo ha esposto il nucleo della sua dottrina sull’uomo. Una cosa è certa: c’è una notte nel cui buio abbandono non penetra alcuna parola di conforto, una porta che noi dobbiamo oltrepassare in solitudine assoluta: la porta della morte. Tutta l’angoscia di questo mondo è in ultima analisi l’angoscia provocata da questa solitudine. Per questo motivo nel Vecchio Testamento il termine per indicare il regno dei morti era identico a quello con cui si indicava l’inferno: shêol. La morte infatti è solitudine assoluta. Ma quella solitudine che non può essere più illuminata dall’amore, che è talmente profonda che l’amore non può più accedere a essa, è l’inferno.
      «Disceso all’inferno»: questa confessione del Sabato santo sta a significare che Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo irraggiungibile e insuperabile della nostra condizione di solitudine. Questo sta a significare però che anche nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa
. L’inferno è stato vinto dal momento in cui l’amore è anche entrato nella regione della morte e la terra di nessuno della solitudine è stata abitata da lui. Nella sua profondità l’uomo non vive di pane, ma nell’autenticità del suo essere egli vive per il fatto che è amato e gli è permesso di amare. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita: ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata – prega la Chiesa nella liturgia funebre.
      Nessuno può misurare in ultima analisi la portata di queste parole: «disceso all’inferno». Ma se una volta ci è dato di avvicinarci all’ora della nostra solitudine ultima, ci sarà permesso di comprendere qualcosa della grande chiarezza di questo mistero buio. Nella certa speranza che in quell’ora di estrema solitudine non saremo soli, possiamo già adesso presagire qualcosa di quello che avverrà. E
in mezzo alla nostra protesta contro il buio della morte di Dio cominciamo a diventare grati per la luce che viene a noi proprio da questo buio.

Postato da: giacabi a 07:34 | link | commenti
amicizia, solitudine, gesù, benedettoxvi

lunedì, 14 gennaio 2008

La solitudine
***
...Se esistesse una solitudine nella quale nessuna parola di un altro potesse più arrivare e avere effetto trasformante; se sopraggiungesse una sospensione dell' esistenza tanto grave che in quel luogo non potesse più giungere alcun tu, allora sarebbe data quella vera e totale solitudine e terribilità che il teologo chiama «inferno». Cosa significhi questa parola possiamo definirlo precisamente in base a ciò: essa indica una solitudine nella quale non penetra più la parola dell' amore e significa quindi la vera sospensione dell' esistenza. In questo contesto, è immediato ricordare che i poeti e i filosofi della nostra epoca sono convinti che tutti gli incontri tra gli uomini rimangano in sostanza alla superficie; nessun uomo avrebbe accesso alla vera profondità dell' altro. Nessuno perciò può giungere alla vera profondità dell' altro; ogni incontro, per quanto possa sembrare bello, in fin dei conti non fa altro che narcotizzare l'insanabile ferita della solitudine. Nell'intimo più profondo dell' esistenza di noi tutti abiterebbe quindi l'inferno, la disperazione - la solitudine, che è tanto indefinibile quanto terribile. Sartre ha notoriamente costruito la sua antropologia su quest'idea. Infatti, una cosa è certa: c'è una notte nel cui abbandono non arriva alcuna voce; vi è una porta attraverso la quale noi possiamo passare solamente in solitudine: la porta della morte. Tutta la paura del mondo è in ultima analisi paura di questa solitudine. Da questo si può capire perché l'Antico Testamento abbia solo una parola per l' inferno e la morte, il termine scheol: in fin dei conti le due cose sono identiche. La morte è la solitudine per antonomasia. Ma quella solitudine nella quale l'amore non può più penetrare è l'inferno. Con questo siamo giunti di nuovo al nostro punto di partenza. In base a ciò, questa frase significa che Cristo ha attraversato la porta della nostra ultima solitudine, che egli nella sua passione è entrato in questo abisso del nostro essere abbandonati. Dove nessuna voce può raggiungerci, egli è lì. In questo modo l'inferno è superato, o meglio: la morte, che prima era l'inferno, non lo è più. Entrambe le cose non sono più le stesse, poiché nel cuore della morte c' è la vita, poiché l'amore abita nel cuore di essa. L' inferno è ora solo una chiusura volontaria di sé o, come afferma la Bibbia, la seconda morte...
Joseph Ratzinger  Benedetto XVI, dal Corriere della Sera
grazie : Amaranta69


Postato da: giacabi a 14:57 | link | commenti
solitudine

domenica, 16 dicembre 2007


Soli con la nostra autosufficienza
 ***
 C’è molto di peggio dell’essere bisognosi: essere da soli con la nostra autosufficienza. Pensate per un istante se  preferite aver bisogno  delle persone che amate, della compagnia dei figli, degli  amici, o se preferite  essere da soli.

J.Carron esercizi di fraternità 2007

Postato da: giacabi a 20:39 | link | commenti (1)
solitudine, carron



L'estraneazione e la solitudine
 ***
L'estraneazione non è solitudine. La solitudine richiede che si sia soli, mentre l'estraneazione si fa sentire più acutamente in compagnia di altri. A parte alcune osservazioni di sfuggita -usualmente formulate in tono paradossale, come la frase di Catone (riferita da Cicerone, De republica I, 17): «mai ero meno solo di quando ero solo» o, meglio, «mai era meno estraniato di quando si trovava in solitudine» -sembra che Epitteto, lo schiavo filosofo di origine greca, sia stato il primo a distinguere tra estraniamento e solitudine. La sua scoperta fu in un certo senso accidentale, dato che il suo interesse era rivolto principalmente non alla solitudine o all'estraneazione, bensì all'essere da solo (mònos) nel senso dell'indipendenza assoluta. Stando a Epitteto (Dissertationes 3, 13), l'uomo estraniato (éremos) si trova circondato da altri con cui non può stabilire un contatto o alla cui ostilità è esposto. L'uomo solitario, invece, «può essere insieme con se stesso», perché gli uomini hanno la capacità di «parlare con se stessi». Nella solitudine, in altre parole, sono con me stesso, e perciò «due-in-uno», mentre nell'estraneazione sono effettivamente uno, abbandonato da tutti. La riflessione, in senso stretto, si svolge in solitudine ed è un dialogo fra me e me; ma questo dialogo del «due-in-uno» non perde il contatto col mondo dei suoi simili, perché essi sono rappresentati nell'io con cui conduco il dialogo del pensiero. Il problema della solitudine è che questo «due-in-uno» ha bisogno degli altri per ridiventare uno: un individuo non scambiabile, la cui identità non può mai essere confusa con quella altrui.
Per la conferma della mia identità io dipendo interamente dagli altri; ed è la grande grazia della compagnia che fa del solitario un «tutto intero», salvandolo dal dialogo della riflessione in cui si rimane sempre equivoci, e ridandogli l'identità che gli consente di parlare con l'unica voce di una persona non scambiabile.
La solitudine può diventare estraneazione; ciò avviene quando, chiuso completamente in me stesso, sono abbandonato dal mio io. I solitari corrono sempre il pericolo dell' estraneazione, quando non possono più trovare la grazia redimente della compagnia che li salva dalla dualità, dall'equivocità, dal dubbio!
Hannah Arendt Le origini del totalitarismo

Postato da: giacabi a 08:21 | link | commenti
solitudine, arendt

martedì, 11 dicembre 2007

La trascuratezza dell’io
***
« Si teme il proprio vuoto»
 Cesare Pavese


Postato da: giacabi a 16:35 | link | commenti
solitudine, pavese


La solitudine
***
«Sì, l'uomo è sconsolato perché in mezzo al continuo montare della massa si fa di momento in momento più solitario»
Franz Kafka


Postato da: giacabi a 16:25 | link | commenti
solitudine, kafka

sabato, 08 dicembre 2007

La vera Compagnia
***
La solitudine
.
Quand'ero ragazzino, mamma mia
me diceva: "Ricordati fijolo,
quando te senti veramente solo
tu prova a recità 'n' Ave Maria
l'anima tua da sola spicca er volo
e se solleva, come pe' maggia
".
Ormai so' vecchio, er tempo m'è volato;
da un pezzo s'è ad dormita la vecchietta,
ma quer consijo nun l'ho mai scordato.
Come me sento veramente solo
io prego la Madonna benedetta
e l'anima da sola pija er volo!
Trilussa


Postato da: giacabi a 21:40 | link | commenti
solitudine, maria, trilussa

venerdì, 30 novembre 2007

La solitudine
***
« "(...) Cara Fern,
la solitudine che lei sente si cura in un solo modo, andando verso la gente e <> invece di <>. (E' la solita sacrosanta predica). Non che io aneli ad essere quello a cui lei dovrebbe donare- tanto più che i doni che lei potrebbe farmi non sarebbero ancora la soluzione ma aumenterebbero il pasticcio. Si tratta di un problema morale prima che sociale e lei deve imparare a lavorare, a esistere, non solo per sé ma anche per qualche altro, per gli altri. Finché uno dice <>, sono <>, <>, starà sempre peggio. E' solo chi vuole esserlo, se ne ricordi bene. Per vivere una vita piena e ricca bisogna andare verso gli altri, bisogna umiliarsi e servire. E questo è tutto (...
)"»

Cesare Pavese -  Lettere, Einaudi, 1996



 

Postato da: giacabi a 19:29 | link | commenti
solitudine, pavese

giovedì, 29 novembre 2007

La  solitudine
***
L’incomunicabilità come difficoltà di dialogo e comunicazione rende a sua volta più tragica la solitudine che l’uomo prova di fronte al proprio destino. Di fronte al destino come assenza di significato l’uomo prova una solitudine terribile.  La solitudine infatti non è essere da solo, ma è l’assenza di un significato. Si può essere in mezzo a milioni di persone ed essere soli come cani, se non hanno significato quelle presenze.
La solitudine che si accusa nella vita comune è accusa ad una propria presenza nella vita comune senza intelligenza del significato. Si è lì senza riconoscere ciò che unisce, e allora il più piccolo sgarbo diventa una obiezione che fa crollare tutta la impalcatura della fiducia.
Inversamente, quando uno ha coscienza del motivo adeguato per cui è con gli altri, anche se tutti fossero distratti o incomprensivi, non sarebbe affatto solo.”.
 Don Giussani:Il senso religioso Rizzoli

Postato da: giacabi a 14:18 | link | commenti (5)
solitudine, giussani


La  solitudine
***
Tutti lo cercano uno che scrive, tutti gli vogliono parlare, tutti vogliono poter dire domani “so come sei fatto”, e servirsene, ma nessuno gli fa credito di un giorno di simpatia totale, da uomo a uomo”.
 Cesare Pavese: Saggi letterari, Einaudi

Postato da: giacabi a 14:11 | link | commenti
solitudine, pavese

venerdì, 23 novembre 2007

La solitudine
***


“Io non sono un qualunquista, e non amo neanche quella che ( ipocritamente) si chiama posizione indipendente. Se sono indipendente, lo sono con rabbia, dolore e umiliazione: non aprioristicamente, con la calma del forti, ma per forza. E se dunque mi preparo a lottare, come posso, e con tutta la mia energia, contro ogni forma di terrore, è , in realtà, perché sono solo. Il mio non è qualunquismo né indipendenza: è solitudine. Ed è questo, del resto, che mi garantisce una certa, magari folle e contraddittoria, oggettività.”
Pier Paolo Pasolini Il Tempo - 6 agosto 1968

Postato da: giacabi a 20:58 | link | commenti
pasolini, solitudine

lunedì, 19 novembre 2007

La solitudine
 ***
Più scopriamo le nostre esigenze, più ci accorgiamo che non le possiamo risolvere da noi, ne lo possono gli altri uomini come noi. Il senso di impotenza accompagna ogni seria esperienza di umanità.
È questo senso dell'impotenza che genera la solitudine.          La solitudine vera non è data dal fatto  di essere soli fisicamente, quanto dalla scoperta che un nostro fondamentale problema non può trovare risposta in noi o negli altri.
Si può benissimo dire che il senso della solitudine nasce nel cuore stesso di ogni serio impegno con la propria umanità. Può capire bene tutto ciò chi abbia creduto di aver trovato la soluzione di un suo grosso bisogno in qualcosa o in qualcuno e questo gli sparisce, se ne va, o si rivela incapace. Siamo soli coi nostri bisogni, col nostro bisogno di essere e di intensamente vivere. Come uno, solo, nel deserto, l'unica cosa che possa fare è aspettare che qualcuno venga. E a risolvere non sarà certo l'uomo; perché da risolvere sono proprio i bisogni dell'uomo.
 Luigi Giussani, Il cammino al vero è un’esperienza Rizzoli

Postato da: giacabi a 18:42 | link | commenti
solitudine, giussani

lunedì, 05 novembre 2007

DELLA SOLITUDINE
***
Io non ho bisogno
che di te, solitudine;
alta, solenne, immortale,
dove piú nulla è sogno.
In questo deserto
attendo l'implacabile
venuta d'un'acqua viva
perché mi faccia a me certo
.
Se trionfa il sole
o la luna impassibile
il loro lume fluisce
come vuole nel mio cuore.
E godo la terra
bruna, e l'indistruttibile
certezza delle sue cose
già nel mio cuore si serra:
e intendo che vita
è questa, e profondissima
luce irraggio sotto i cieli
colmi di pietà infinita.
Carlo Bettochi

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solitudine, betocchi

lunedì, 15 ottobre 2007


La solitudine
***

« Passavo la sera seduto davanti allo specchio per tenermi compagnia »
Cesare Pavese

Postato da: giacabi a 21:18 | link | commenti
solitudine, pavese

sabato, 22 settembre 2007

La solitudine sulla terra.
 ***


L'Onnipotente è vinto.
Egli non può! Ha creato cielo e terra e non può vincere questa semplice creatura che rifiuta! Questo fanciullo, non vi è speranza, non lo conquisterà mai. Quella scintilla di Se Stesso nell'intimo del ribelle, non la riprenderà più. Non Lo vogliono. Mostra agli uomini l'inferno, e gli uomini ridono. Una minaccia vecchia. Indica agli uomini il cielo e la terra, e gli uomini non vogliono. Lui Stesso scende sulla terra, Lui Stesso si offre, si cinge i fianchi, si prosterna ai nostri piedi, li prende, li bacia, li bagna con le sue lacrime. Gli uomini lo respingono con orrore, con odio, con ironia, o lo respingono - ed è, questa, la peggiore offesa con annoiata sufficienza, sbadigliando, con esasperata mollezza. Non pensano valga neppure la pena di discutere. «Ma via! Quando la smetterà! Ne abbiamo abbastanza di queste storie! Basta! Che ci lasci in pace! »E ora il Figlio di Dio è sulla croce. Affronta la prova suprema, e da ogni parte viene attaccato: ed Egli si strazia, il costato si fende, il cuore è allo scoperto e pare quasi che sgorghi dal petto. Ma sul viso dello spettatore, un viso che noi conosciamo, appare appena una smorfia di disgusto. «Che ora è?»  Paul Claudel

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solitudine, claudel

martedì, 11 settembre 2007

La solitudine
Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete.
Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine,come comunicare con gli altri.
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere

 

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solitudine, pavese

martedì, 28 agosto 2007

La solitudine
***
 La massima sventura è la solitudine, tant'è vero che il supremo conforto - la religione - consiste nel trovare una compagnia che non svanisce, Dio. La preghiera è lo sfogo come con un amico.
L'opera equivale alla preghiera perché mette idealmente a contatto con chi ne usufruirà. Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri. Così si spiega la consistenza del matrimonio, della paternità, delle amicizie. Perché poi qui stia la felicità, mah! Perché si debba star meglio comunicando con un altro che non stando soli, è strano.
Forse è solo un'illusione: si sta benissimo soli la maggior parte del tempo. Piace di tanto in tanto avere un otre in cui versarsi e poi bervi se stessi: dato che dagli altri chiediamo ciò che abbiamo già in noi. Mistero perché non ci basti scrutare e bere in noi e ci occorra riavere noi dagli altri. (Il sesso è un incidente: ciò che ne riceviamo è momentaneo e casuale; noi miriamo a qualcosa di più riposto e misterioso di cui il sesso è solo un segno, un simbolo).
 C. Pavese  IL MESTIERE DI VIVERE




 

Postato da: giacabi a 21:39 | link | commenti
solitudine, pavese

mercoledì, 20 giugno 2007

A Qualche Luogo Io Appartengo
***
Artista: Linkin Park
Titolo:
Somewhere I Belong

Quando questo è iniziato
Io non avevo niente da dire
e mi ero perso nel nulla che c'è dentro di me
ero confuso
E io vivo per cercare di capire, ma io non sono l'unica persona con queste cose in mente
dentro di me

Ma tutto ciò che essi possono vedere sono le parole rivelate
è l'unica cosa vera che mi è rimasta da provare
niente da perdere
Sono bloccato, depresso e solo
e la colpa è dentro di me, la colpa è dentro di me


io voglio guarire, voglio provare sensazioni, quello ke pensavo nn era mai la realtà
voglio lasciare andar via il dolore ke ho provato fino proprio ad adesso
cancellare tutto il dolore

io  voglio guarire, voglio provare sensazioni, sentirmi vicino a qualcosa di vero
voglio trovare qualcosa ke ho voluto fino adesso
qualche luogo a cui appartenere


e nn ho niente da dire,nn posso credere di nn essere caduto in basso proprio di faccia
ero confuso
guardo da ogni parte solo x scoprire
ke nn è proprio come mi ero immaginato
ma cosa sono io?
Cos'ho io? solo negatività?
xkè io nn riesco a giustificare il modo in cui tutti mi guardano
niente da perdere
niente da guadagnare,
e la colpa è dentro di me, la colpa è dentro di me


io voglio guarire, voglio provare sensazioni, quello ke pensavo nn era mai la realtà
voglio lasciare andar via il dolore ke ho provato fino adesso
cancellare proprio tutto il dolore
io voglio guarire, voglio provare sensazioni, sentirmi vicino a qualcosa di vero

voglio trovare qualcosa ke ho voluto fino adesso
qualche luogo a cui appartenere


nn conoscerò mai me stesso finchè nn proverò a farlo da solo
xkè io nn proverò mai niente altro, finchè le mie ferite nn saranno guarite
nn sarò mai qualcosa fino a che nn cambierò questa situazione
cambierò, io oggi troverò mè stesso

voglio guarire, voglio provare sensazioni, quello ke pensavo nn era mai la realtà
voglio lasciare andar via il dolore ke ho provato fino adesso
cancellare proprio tutto il dolore
voglio guarire, voglio provare sensazioni, sentirmi vicino a qualcosa di vero
voglio trovare qualcosa che ho voluto fino adesso
qualche luogo a cui appartenere
Somewhere I Belong

(When this began)
I had nothing to say
And I get lost in the nothingness inside of me
(I was confused)
And I let it all out to find
That I’m not the only person with these things in mind
(Inside of me)
But all the vacancy the words revealed
Is the only real thing that I’ve got left to feel
(Nothing to lose)
Just stuck/ hollow and alone
And the fault is my own, and the fault is my own

[Chorus]
I wanna heal, I wanna feel what I thought was never real
I wanna let go of the pain I’ve held so long
(Erase all the pain till it’s gone)
I wanna heal, I wanna feel like I’m close to something real
I wanna find something I’ve wanted all along
Somewhere I belong

And I’ve got nothing to say
I can’t believe I didn’t fall right down on my face
(I was confused)
Looking everywhere only to find
That it’s not the way I had imagined it all in my mind
(So what am I)
What do I have but negativity
’Cause I can’t justify the way, everyone is looking at me
(Nothing to lose)
Nothing to gain/ hollow and alone
And the fault is my own, and the fault is my own

[Repeat Chorus]

I will never know myself until I do this on my own
And I will never feel anything else, until my wounds are healed
I will never be anything till I break away from me
I will break away, I'll find myself today

[Repeat Chorus]

I wanna heal, I wanna feel like I’m somewhere I belong
I wanna heal, I wanna feel like I’m somewhere I belong
Somewhere I belong


Postato da: giacabi a 21:10 | link | commenti
chiesa, solitudine, senso religioso

martedì, 10 aprile 2007


La solitudine
***
Pensavo oggi, guardando questo cielo piovigginoso, che se, per un'improbabile grazia, si fosse d'improvviso alzato l'azzurro, non sarei stato colto da stupore nè da speranza. Anche la nostalgia ha finito di persuadermi. Ho varcato tutti gli stadi dove l'uomo può ancora trovarsi una ragione di vivere. Gli alti cieli delle notti chiare, se mai ancora dovessero scoprirsi per me, avrebbero un significato di commiato. Non sai -e chi saprà? - quest'infelicità di sentirsi abbandonato? abbandonato anche dalle cose, anche dalla terra, anche dal mistero delle stagioni.
Non avere prossimo; si potrebbe popolare il mondo di confidenti immaginari, ma non essere cresciuto in alcuna terra; ma non portare in nessun luogo l'aria familiare dell'origine, ma vagare sempre in esilio.
Mi sono creato un paese di cristallo, perchè fatalmente dovessi accorgermi, da qualsiasi. punto, che non era naturale.
E non si può vivere a lungo di queste allucinazioni ideali.
La vita è una dura disputa mossa da guai concreti, e ci vuole un terreno nel quale attecchire, e ci vuole il caldo che maturi e odori, e ci vuole la sera, che inondi di malinconia e la mattina che rinfreschi e rassereni.
Non ho che strade, strade e strade: il grigio perfido di questo cammino senza conclusione.
(G. Ungaretti, Lettera a Prezzolini e Soffici, Parigi 23-4-1920) 21

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solitudine, ungaretti

sabato, 20 gennaio 2007

LA SOLITUDINE
 SEGNO DEL MISTERO

La massima sventura è la solitudine, tant'è vero che il supremo conforto -la religione - consiste nel trovare una compagnia che non svanisce, Dio. La preghiera è lo sfogo come con un amico.
L'opera equivale alla preghiera perché mette idealmente a contatto con chi ne usufruirà. Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri. Così si spiega la consistenza del matrimonio, della paternità, delle amicizie. Perché poi qui stia la felicità, mah! Perché si debba star meglio comunicando con un altro che non stando soli, è strano.
Forse è solo un'illusione: si sta benissimo soli la maggior parte del tempo. Piace di tanto in tanto avere un otre in cui versarsi e poi bervi se stessi: dato che dagli altri chiediamo ciò che abbiamo già in noi. Mistero perché non ci basti scrutare e bere in noi e ci occorra riavere noi dagli altri. (il sesso è un incidente: ciò che ne riceviamo è momentaneo e casuale; noi miriamo a qualcosa di più riposto e misterioso di cui il sesso è solo un segno, un simbolo).
 C. Pavese da: il mestiere di vivere

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