Il rabbino David Dalin:
«il più grande amico degli ebrei?
Pio XII ovviamente»
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Non
meno di 700.000 ebrei furono salvati daLL’attività caritativa della
Chiesa per diretto interessamento di Pio XII. No, non solo sono gli
storici occidentali a dirlo, ma uno storico leader ebraico, il rabbino David G. Dalin.
Egli ha dichiarato: «Durante
il ventesimo secolo il popolo ebraico ha avuto un grande amico. Pio XII
ha salvato più vite di ebrei di chiunque altro, anche più di Oskar
Schindler e Raoul Wallenberg». Intervistato da Zenit.es, lo storico ebreo ha spiegato: «Oggi
c’è una generazione di giornalisti impegnati a screditare gli sforzi
documentati di Pio XII per salvare gli ebrei durante l’Olocausto. Questa
generazione si è ispirata all’opera teatrale “Il Vicario” di Rolf
Hochhuth, che però non ha alcun valore storico. Questi critici ignorano
anche lo studio illuminate di Pinchas Lapide, che è stato console
generale di Israele a Milano, il quale ha scoperto molti ebrei italiani
sopravvissuti all’Olocausto. Nei documenti Lapide si dice che Pio XII ha
incoraggiato la salvezza di almeno 700.000 ebrei dai nazisti. Ma
secondo un’altra stima, questa cifra sale a 860.000».
Si è detto molto circa i presunti “silenzi” di Pio XII, tuttavia «abbiamo
un sacco di documentazione che non stette proprio in silenzio, parlò
infatti ad alta voce contro Hitler e quasi tutti lo vedevano allora come
un oppositore del regime nazista. Durante l’occupazione tedesca di
Roma, Pio XII ha segretamente incaricato il clero cattolico di salvare
tutte le vite umane possibile con tutti i mezzi possibili. In questo
modo vennero salvati migliaia di ebrei italiani dalla deportazione. Mentre l’80% degli ebrei europei morirono in quegli anni, l’80% degli ebrei italiani furono salvati. Solo
a Roma, 155 conventi e monasteri diedero rifugio a 5000 ebrei. Almeno
3.000 vennero nascosti nella residenza pontificia di Castel Gandolfo.
Seguendo le istruzioni dirette di Pio XII, molti preti e monaci resero
possibile la salvezza di centinaia di vite di ebrei, rischiando la
propria stessa vita».
Un’altra
accusa fatta a Pio XII è il non aver denunciato pubblicamente le leggi
antisemite, ma ovviamente fu costretto ad agire in questo modo: «Il suo silenzio era una strategia efficace
per proteggere il maggior numero di ebrei dalla deportazione.
Un’esplicita e dura denuncia contro i nazisti sarebbe servita come
invito alla ritorsione, e avrebbe peggiorato le disposizioni sugli ebrei
in tutta Europa. Certamente ci si potrebbe chiedere: cosa c’è di peggio
che lo sterminio di sei milioni di ebrei? La risposta è semplice e
terribilmente onesta: l’assassinio di centinaia di migliaia di altri
ebrei. I Vescovi cattolici provenienti dai Paesi occupati hanno
consigliato a Pacelli di non protestare pubblicamente contro le atrocità
commesse dai nazisti. Abbiamo le prove che, quando il vescovo di Münster avrebbe voluto parlare contro la persecuzione degli ebrei in Germania, il responsabile della comunità ebraiche della sua diocesi lo pregò di non farlo, avrebbe infatti provocato una repressione più dura contro di loro».
Postato da: giacabi a 16:34 |
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zolli
Prima dell’alba
La
biografia del rabbino capo della comunità ebraica di Roma che si
convertì al cristianesimo. Pubblicata nel 1954 negli Usa, ora viene
edita anche in Italia
di Giovanni Ricciardi
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«La
conversione è un seguire un appello di Dio. Uno si converte né prima
né dopo, né quando vuole o preferisce, ma solo nell’ora in cui l’appello
giunge. Giunto che è, a chi è rivolto non resta che una via sola, ed è
obbedire».
«Da
mio padre imparai la grande arte di pregare piangendo» ricorda Zolli:
«Durante la persecuzione nazista io ho vissuto nel cuore di Roma in una
piccola stanza in mezzo al freddo, alla fame e al buio. E pregavo
piangendo: “Oh Tu guardia di Israele, proteggi l’avanzo di Israele, fa’
sì che non perisca l’avanzo di Israele che tre volte al giorno dice:
Ascolta Israele”. Sul mio capo pendeva una taglia di 300.000 lire,
allora una cifra notevole; la Gestapo mi cercava per terra e per mare e
io non sono mai riuscito a pregare per me. Ripetevo sempre di nuovo
guardando da un angolo oscuro, attraverso le lacrime, il cielo stellato:
“Oh Tu guardia di Israele…”».
Del
suo personale cammino alla ricerca di Dio Zolli darà più avanti
quest’immagine: «Io sono mendico alle porte di Dio. All’infuori della
mia povertà non ho nulla. Io sono proprio uno di quelli di cui
sant’Agostino dice: “Che cosa può l’uomo offrire a Dio che non sia di
Dio? Tutto dell’uomo è di Dio, solo i peccati sono dell’uomo”. E allora?
E allora io dicevo a me stesso: Tu perché attendi? Che cosa attendi?».
«Quando
io sento il peso del vivere mio, quando sento la nostalgia immane di
lacrime non piante, di beltà sfiorite e morte, in me morte, io piango il
Cristo da me, in me, crocefisso. E il mio io vero non è l’io che in sé
ha crocefisso il Cristo, ma l’io che Lo piange e Lo rimpiange: che in sé
Lo chiama e a sé Lo richiama; che
Lo vuole vicino, che con Lui vuol essere tutt’uno. E giunto alla fine
di questo libro, di queste pagine di strazio, io mi sento simile a chi è
giunto all’ora della morte, sento in me la coscienza di chi sta morendo
senza aver vissuto… Vive male chi non vive il Cristo in pieno. Noi non
possiamo che confidare nella pietà del Signore, nella pietà del Cristo,
ché l’umanità non sa che uccidere, perché non Lo sa vivere. Non possiamo
confidare che nell’intercessione di colei che ebbe il cuore trafitto
dalla stessa spada che trafisse il Figlio… Ma per Gesù Cristo né si
soffre né si ama mai abbastanza. Io ancora attendo Cristo. Lo attendo,
ora e nell’ora della mia morte. Gesù, Signore, vieni. Ti attendo…».
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Postato da: giacabi a 16:42 |
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zolli
Pio XII e la persecuzione nazista
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Su
questo argomento molto è stato scritto e tuttora se ne fa oggetto di
discussioni e polemiche. Ritengo necessario parlarne un po'
diffusamente, proprio perché i giudizi critici della stampa italiana ed
estera a proposito del Documento vaticano Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah del 16 marzo 1998, rilevano "limiti" e "silenzi" proprio sull'operato di Pio XII negli anni della persecuzione nazista.
1. Attestati a favore di Pio XII alla fine della guerra
Il documento vaticano, in una Nota ( 1), riporta, con precisi riferimenti ad articoli dell'Osservatore Romano, attestati di riconoscenza. Il 7 settembre 1945 Giuseppe Nathan, commissario dell'Unione delle comunità israelitiche, il sommo pontefice, i religiosi e le religiose che, "attuando
le direttive del santo Padre, non hanno veduto nei perseguitati che dei
fratelli, e con slancio e abnegazione hanno prestato la loro opera
intelligente e fattiva per soccorrerci, noncuranti dei gravissimi
pericoli ai quali si esponevano" (Osservatore Romano, 8-10-1945).
Il 21 settembre 1945 Pio XII ricevette il Dott. A. Leo Kubowitski,
segretario del Congresso Mondiale Ebraico, per presentare i più sentiti
ringraziamenti per l'opera svolta dalla Chiesa cattolica in tutta
l'Europa a favore della popolazione ebraica (Osservatore Romano, 23-09-1945).
Il 29 novembre 1945 il Papa ricevette circa 80 delegati di profughi ebrei, provenienti dai campi di concentramento in Germania, "sommamente
onorati di poter ringraziare personalmente il santo Padre per la sua
generosità dimostrata verso di loro durante il terribile periodo del
nazifascismo" (Osservatore Romano, 30-11-1945).
Ancora,
in occasione della morte di Pio XII (9 ottobre 1958), dopo più di 10
anni dalla fine della guerra e dopo il famoso processo di Norimberga,
che diede il più ampio spazio alle inchieste sugli artefici, sulle
cause, sulle trame e sulle alleanze dirette e indirette con il nazismo,
la fama di Papa Pacelli è rimasta intatta.
Le più alte cariche politiche di Israele, e rappresentanti di organismi ebraici mondiali e nazionali, condividono "il lutto dell'umanità per la morte di Sua Santità Pio XII". Così in un cablogramma Golda Meir, che prosegue: "Quando
venne il tremendo martirio del nostro popolo, nel decennio del terrore
nazista, la voce del Papa si elevò per le vittime [...] Piangiamo un
grande servitore della pace" ( 2).
2. Attestato del Gran Rabbino di Roma, Israele Zolli.
Un
silenzio impenetrabile e inspiegabile è calato sulla figura e sulla
vicenda del personaggio Zolli, che per tutto il periodo della guerra fu a
Roma Gran Rabbino della comunità israelitica, a capo, cioè, di una
delle più antiche e autorevoli comunità della diaspora, e Direttore del
Collegio Rabbinico italiano. In nessun documento, neppure da parte
cattolica, si cita quanto egli, a parole e con i fatti, testimoniò a
favore di Papa Pacelli.
In una intervista data a Stefano Zurlo e pubblicata sul Giornale, 31 marzo 1998, la figlia Myriam (che vive e abita a Trastevere) racconta: "Quando
i nazisti chiesero 50 chili d'oro per risparmiare la vita agli abitanti
del Portico d'Ottavia, mio padre disperato corse in Vaticano... Il
Santo Padre gli fece sapere che il Vaticano avrebbe messo a disposizione
i 15 chili mancanti. Da allora Israele Zolli stabilì un rapporto di
simpatia umana, quasi di identificazione con Pacelli".
Purtroppo il tesoro non servì a placare l'ira dei nazisti. Fra il 15 e il 16 ottobre 1943 i tedeschi rastrellarono il ghetto. "Mio padre - aggiunge Myriam - aveva
capito anche questo: come sarebbe andata a finire. Lui non si fidava
delle SS, e in precedenza aveva suggerito ai leader della comunità di
bruciare i registri e di far fuggire la gente. Gli diedero del
visionario. Anche perché avevano avuto notizie rassicuranti dall'allora
capo della polizia Carmine Senise."
Sempre a proposito del rastrellamento del ghetto, in un simposio su "Cristiani ed ebrei durante la persecuzione nazista a Roma",
svoltosi nella capitale il 23 marzo 1999, alla domanda fatta da
Emanuele Pacifici, presidente dell'Associazione "Amici di Yad Veshem": "Ma dov'era Pio XII in quel 16 ottobre?", il P.Gumpel,
gesuita e relatore nel processo per la beatificazione di Pio XII, senza
citare Zolli e l'offerta dei chili d'oro, ricorda che Papa Pacelli non
era stato a guardare. Aveva incaricato P.Pancrazio Pfeiffer di recarsi
dal comandante dell'esercito, il generale Stahel, perché fermasse
l'operazione. Il generale mandò un telegramma a Himmler spiegando che
l'operazione sarebbe stata controproducente perché avrebbe potuto
provocare una reazione violenta. Ottenne solo un ritardo di qualche
giorno (Cf. Avvenire, 24 marzo 1999, p.22).
Ritornando
al rabbino Zolli, ci domandiamo: che cosa ha provocato la sua scomparsa
dalla Storia? Non c'è altra ragione se non il fatto che egli, profondo
studioso dei testi biblici dell'Antico e del Nuovo Testamento, nonché
profondo conoscitore delle tradizioni talmudiche, dopo anni di solitaria
ricerca, sulle orme del "Servo sofferente di Isaia", partecipando
intimamente alle sofferenze del suo popolo e fra molte lacrime, aveva
riconosciuto nel Cristo crocifisso il Volto del Servo.
Agli inizi del 1945 Israele Zolli chiese e ottenne il battesimo,
prendendo il nome di Eugenio, come segno di ringraziamento al Papa
Eugenio Pacelli per quanto aveva fatto in aiuto degli ebrei. Questa
conversione suscitò un grande scandalo.
Il cardinale Paolo Dezza,
recentemente scomparso, ha testimoniato: "Gli fu fatto il vuoto
intorno... Il nome di Zolli fu addirittura cancellato dall'elenco dei
rabbini di Roma, il settimanale ebraico uscì listato a lutto. Gli Zolli
che vivevano ancora a due passi dalla sinagoga, ricevettero telefonate
piene di insulti e dovettero cercarsi una nuova abitazione. Nell'attesa
lo ospitai all'Università Gregoriana di cui ero rettore, mentre la
moglie e la figlia trovarono ricovero in un convento di suore" (Il Giornale, ib. p. 9).
Qui
è in ballo la condizione previa a ogni dialogo: il rispetto della
persona umana e della libertà religiosa. Per noi cattolici sono state
acquisizioni di altissimo valore. E per i fratelli ebrei? Il gran
Rabbino di Roma, in piena libertà (nelle sue meditazioni
autobiografiche) scrive: "Mai nessuno ha tentato di convertirmi... forse la mia anima si sarebbe esacerbata." Rinuncia a tutte le cariche per imboccare una strada irta di difficoltà per sé e per i suoi: "Sono povero, i nazisti mi hanno portato via tutto, non importa, vivrò povero, morirò povero, ho fiducia nella Provvidenza."
A un giornalista ebreo che gli aveva dato del "serpente scaldato nella comunità", risponde: "Lei
non sa immaginare quante lacrime ho versato e quante ne verso anche in
questi giorni nelle mie preghiere per gli israeliti perseguitati e
barbaramente trucidati. Il tuo popolo è il mio popolo, il ceppo è
comune."
"A
chi, per incomprensione, mi domandò come avessi potuto 'rinnegare' me
stesso, risposi: Non ho rinnegato, ho la coscienza chiara e sicura di
aver soltanto affermato me stesso senza rinnegare nulla". Ecco come
l'ebreo fatto cristiano sente di non aver ripudiato l'ebraismo: "Non
ho mai altercato con me stesso... Tutto, pur trasformandosi, si
armonizzava. L'anima andava saturandosi di valori spirituali nuovi senza
espellere... i vecchi, ma trasformandoli sino al giorno in cui l'otre
vecchio era pieno e riboccante del vino nuovo" ( 3). Siamo nel 1945, e, ancora oggi, per noi quelle parole sembrano una acquisizione audace!
Mi
rendo conto che qui tocchiamo un nervo scoperto nei rapporti fra
ebraismo e cristianesimo. Nessuno pretende che la scelta fatta dal
rabbino Zolli sia condivisa dai suoi correligionari. Così dice la figlia
Myriam in questa intervista: "Meglio non parlare di Zolli, nemmeno 40
anni dopo la sua morte (2 marzo 1956). E’ meglio non accostarlo a Pio
XII. Troppi luoghi comuni scricchiolerebbero" (Il Giornale, stessa intervista).
A
un uomo di tale levatura intellettuale e morale, di estremo
disinteresse e di impegno in prima persona per le sorti del suo popolo
perseguitato (già negli anni 30, a Trieste, dove era Gran Rabbino, si
era adoperato a favorire l'espatrio di molti ebrei tedeschi), giustizia
vuole che si rispetti la sua scelta, e si riconosca l'importanza della
sua testimonianza a favore di Pio XII, forse, più efficace di tutte le
altre.
3. Cambiamento di scena: cominciano gli attacchi.4. Per facilitare una seria ricerca storica su Pio XII
Era stato profeta Eugenio Zolli. Dice la figlia Myriam: "Subito
dopo la guerra papà mi diceva spesso: Vedrai, faranno di Pio XII il
capro espiatorio del silenzio che tutto il mondo ha mantenuto dinanzi ai
crimini nazisti" (Il Giornale, inizio dell'intervista citata).
Il primo ad attaccare pubblicamente Pio XII fu Rolf Hochhuth con un testo teatrale: Der Stellvertreler
(Il Vicario), pubblicato nel 1963. La sua tesi era che Pio XII non
aveva fatto quel che poteva e doveva fare in difesa degli ebrei. A parte
il chiasso nell'opinione pubblica, il contenuto della prova era
semplicemente dilettantesco, e diversi ebrei ben informati criticarono
fortemente l'autore.
Nel 1968 fu tradotto in italiano un libro scritto a New York: "Morte a Roma". Quando ne fu tratto un film, l'autore, Robert Katz, fu condannato dalla Corte di Cassazione per diffamazione.
Bisogna segnalare due libri di storici ebrei: La Chiesa cattolica e la Germania nazista, di Gunther Lewy, e Pio XII e il Terzo Reich, di Saul Friedlander, apparsi
pure negli anni '60. Ma per ambedue troviamo un giudizio fortemente
negativo di uno storico di fama internazionale, il gesuita P.Robert
Graham, e di un'autorità incontestabile, Robert Kempner, sfuggito al regime nazista e poi avvocato dell'accusa al processo di Norimberga: "Nessuno dei due offre ragioni per cambiare questa opinione" (di energica difesa di Pio XII).
Vista la poca serietà scientifica delle pubblicazioni storiche sull'operato di Pio XII, Paolo VI nel
1964 ordinò che tutti i documenti vaticani riguardanti la seconda
guerra mondiale fossero resi pubblici. Un gruppo altamente qualificato
di storici produsse l'opera monumentale: Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale: 12 volumi contenenti 5.100 documenti editi secondo rigorosi criteri scientifici.
Avrebbe dovuto bastare per impostare seriamente uno studio su Pio XII. Ma ecco che in questi ultimi anni lo scrittore americano John Cornwell col suo libro Il Papa di Hitler, accusa
Pio XII addirittura di essere fautore del nazismo, e pretende di aver
documentato la sua tesi con ricerche fatte nell'archivio della
Segreteria di Stato, primo ed unico a consultare tali archivi.
Gli risponde proprio uno storico ebreo, Michael Marrus: "Il
libro di Cornwell? Superficiale e scandalistico... Sul piano
accademico, l'opera di Cornwell non ha valore: si basa su pochi
documenti già noti da anni e sostiene la sua tesi in modo superficiale" (Cf. Avvenire, 25 novembre 1999).
Stando
così le cose, e in adesione a diverse richieste anche da parte
cattolica (per es., il Cardinale americano O'Connor) la Santa Sede ha
costituito una Commissione mista, formata da tre
cattolici (Eva Fleischner, il gesuita Gerald Fogarty, Don John Morley) e
tre ebrei (Michael Marrus, Bernard Suchecky, Robert Wistrich),
evidentemente tutti studiosi di chiara fama.
Lo
scopo è di fare insieme una analisi accademica sulla figura di Pio XII,
non solo sulla base di 12 volumi già pubblicati, ma di qualunque altra
fonte documentaria eventualmente non ancora pubblicata. Estrema prova di
buona volontà della Santa Sede che ha sempre dichiarato di non aver
nulla da temere dalla verità. Il lavoro di questa commissione mista è
del tutto indipendente dal processo di beatificazione di Pio XII, e
potrà consolidare il dialogo tra ebrei e cattolici.
5. La vera materia del contendere su Pio XII
Che Papa Pacelli conoscesse bene l'ideologia anticristiana e antireligiosa dei nazisti non si può dubitare, essendo egli stato Nunzio Apostolico in Germania proprio negli anni in cui si andava affermando il partito di Hitler.
Questo
spiega, per esempio, un certo sostegno offerto ai generali tedeschi che
nel 1940 avevano messo a punto un complotto per liberarsi di Hitler. E
spiega anche l'incoraggiamento dato ai cattolici americani, tramite il
Delegato Apostolico, che non temessero di fare alleanza con la Russia di
Stalin, pur di respingere l'invasione nazista.
Che
la linea di prudenza adottata da Pio XII durante la guerra abbia
consentito alla Chiesa cattolica (mobilitata proprio per volontà del
Pontefice) di salvare almeno 800.000 ebrei, è fuori discussione. La
ricercatrice americana Margherita Marchione, nel libro Pio XII e la questione ebraica, sostiene addirittura che Pio XII, "rischiò personalmente la deportazione e il lager per aver aiutato i perseguitati dal regime nazista" (Avvenire, 17 marzo 1998).
Si
poteva, si doveva fare di più, per evitare la "soluzione finale"
dell'Olocausto? Una premessa riguarda due fatti. Il primo fatto era
stato già preannunziato da Eugenio Zolli: "Faranno di Pio XII il capro espiatorio del silenzio che tutto il mondo ha mantenuto dinanzi ai crimini nazisti" (Il Giornale,
inizio dell'intervista alla figlia Myriam). E’ storicamente accertato
che né il governo degli Stati Uniti, né della Gran Bretagna, né della
Russia di Stalin, né De Gaulle, né Organismi Internazionali come la
Croce Rossa e lo stesso Consiglio Mondiale Ebraico, che pure erano
informati dell'esistenza dei campi di sterminio, elevarono proteste
pubbliche e specifiche.
Solo
a partire dagli anni '50 cominciò a diffondersi in tutta Europa una
nuova sensibilità nella valutazione delle responsabilità circa la Shoah.
In
questa linea abbiamo avuto, da parte cattolica, molte dichiarazioni di
Episcopati nazionali, fino all'ultimo documento vaticano: "Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah ". Ma non è contraddittorio il tentativo di scaricare la principale responsabilità della Shoah sulle spalle di Pio XII, che pochi anni prima si elogiava per le sue benemerenze a difesa degli ebrei perseguitati?
Il
secondo fatto è il cosiddetto "silenzio" di Pio XII, che è poi l'accusa
principale. Su questo silenzio bisogna bene intendersi. Scrive il
P.Gumpel: "La verità è che Pio XII condannò ripetutamente e
pubblicamente la persecuzione di gente innocente "solo a causa della
loro razza". "A quei tempi, chiunque capiva a chi si stesse riferendo". E
a conferma cita vari testi dei massimi vertici nazisti che manifestano
ostilità per il Papa "portavoce dei guerrafondai ebrei".
E’
vero però che Pio XII nelle sue proteste pubbliche non ha mai usato il
termine "ebreo", né ha fatto dichiarazioni veementi. Possiamo capire un
po' di più le ragioni di questo atteggiamento?
Qualche
osservatore fa notare quanto sia difficile, con la sensibilità di oggi,
in un contesto culturale profondamenmte diverso, poter giudicare le
scelte che la coscienza di Pio XII si trovò a prendere. Altri
sottolineano la formazione diplomatica ricevuta da Papa Pacelli, e come
egli avesse più fiducia nell'azione diplomatica spiegata in tutte le
direzioni, piuttosto che nelle pubbliche dichiarazioni. E si attenne a
questa impostazione. Ma ascoltiamo il grido del cuore di Pio XII:
Questa
era la convinzione di Pio XII. E che fosse molto fondata, lo conferma
quello che successe alla Chiesa d'Olanda. Domenica 26 luglio 1942 fu
letta in tutte le chiese cattoliche una lettera di protesta contro le
deportazioni di intere famiglie ebree (più di 10.000 persone).
E
quale fu il risultato? Non solo la deportazione degli ebrei di sangue e
di religione venne accelerata, ma, come ritorsione diretta contro i
Vescovi, autori della protesta, furono deportati innanzi tutto gli ebrei
battezzati (tra questi, Edith Stein e sua sorella Rosa), che da questo
momento sarebbero stati considerati "i nostri peggiori nemici".
Quando
Pio XII fu avvertito di questa tragedia, si recò in cucina e
personalmente bruciò due grandi fogli scritti molto fitti, dicendo: "E’
la mia protesta contro la spaventosa persecuzione antiebraica. Stasera
sarebbe dovuto comparire sull'Osservatore Romano. Ma se la lettera dei
Vescovi olandesi è costata l'uccisione di quarantamila vite umane, la
mia protesta ne costerebbe forse duecentomila. Perciò è meglio non
parlare in forma ufficiale e agire in silenzio, come ho fatto finora,
per tutto ciò che è umanamente possibile per questa gente" ( 5).
Conclusione1. Regno-documenti, 1 aprile 1998, pp. 201.204. La Nota è a p. 204.
2. Dall’articolo del gesuita Gumpel, apparso sul settimanale cattolico inglese The Tablet del 13 febbraio 1999. 3. Queste citazioni in corsivo sono prese da alcuni testi autobiografici scritti nei primi mesi del 1945, durante l’ospitalità alla Gregoriana. Furono pubblicati come Appendice al volume Christus, Ed.Ave, Roma 1945. 4. G.Angelozzi Gariboldi, Pio XII, Hitler e Mussolini. Il Vaticano fra le dittature, Mursia, Milano 1988, p.152. La citazione è presa dall'interessante volume di G.Centore, Il canto di Gabila - Lettura poetica dell'Ebraismo, Napoli, Ed.Scientifiche Italiane 1994, p. 28. 5. Cf. Avvenire, 7 ottobre 1998. Le parole riportate tra virgolette riferiscono la testimonianza di Sr.Pascalina Lenhert, molto nota per essere stata per anni al servizio di Pio XII.
La
Chiesa ufficiale, che pure ha molto riflettuto sulle colpe e sulle
responsabilità dei cristiani a riguardo delle persecuzioni naziste, non
ritiene di dover chiedere scusa per il silenzio di Pio XII. Lo ha detto
il Nunzio Apostolico in Israele, in una dichiarazione alla televisione
di Stato. Quel silenzio era necessario (Avvenire, 27 febbraio 2000).
Questo
però non significa che, sul piano storico-scientifico, sia detta
l'ultima parola su Pio XII. Così il Cardinale Cassidy, che presiede la Commissione per i rapporti con l'ebraismo, in una conferenza stampa a Londra, qualche settimana dall'uscita del documento sulla Shoah (Avvenire, 14 maggio 1998).
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