CONSULTA L'INDICE PUOI TROVARE OLTRE 4000 ARTICOLI

su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


domenica 12 febbraio 2012

gaudi


***
"L'uomo lavora soltanto quando la sua prospettiva è l'eternità".
Gaudi

Postato da: giacabi a 18:24 | link | commenti
gaudi

venerdì, 19 novembre 2010

FATTI  da : www.tracce.it

SAGRADA FAMÍLIA «Qui c'è tutto il cristianesimo»

***
di Fabrizio Rossi
05/11/2010 - Il 7 novembre Benedetto XVI consacra l'ultima cattedrale d'Europa, capolavoro di Antoni Gaudí. Joan Bassegoda, uno dei suoi massimi esperti, ci presenta «un uomo capace di vedere le cose come sono». Che ha sempre cercato la gloria di Dio

Joan Bassegoda.

Joan Bassegoda.
«Un giorno, un architetto andò a trovare Gaudì. Era al tavolo, intento a fissare un pezzo di carta: “Guardi, qui c’è tutto il cristianesimo”, gli spiegò. Quella era la pianta della Sagrada Família». Basterebbe questo episodio raccontato da Joan Bassegoda i Nonell, tra i massimi esperti mondiali di Antoni Gaudí, per capire che la Sagrada è più di una chiesa. E perché quel che succederà il 7 novembre, quando Benedetto XVI consacrerà questa «Bibbia di pietra» nel cuore dell’Europa, è un evento epocale. Classe 1930, Bassegoda per 32 anni (fino al 2000) è stato titolare della Real Catedra Gaudí. Architetto e storico, al genio catalano ha dedicato varie opere (la più recente pubblicata in Italia è Gaudí. L’architettura dello spirito, Ares 2009). Ma il suo non è tanto un interesse accademico per Gaudí, quanto una sorta di amicizia, nata a distanza con un artista scomparso quattro anni prima che Bassegoda nascesse: «E il fratello di mio nonno era compagno di studi di Gaudí, così si può dire che io sia un “gaudinista” di terza generazione». Alla vigilia della visita del Papa, lo abbiamo incontrato nella sua casa a Barcellona.

Che uomo era Gaudí?
Uno che parlava poco, ma quando parlava lo faceva in maniera molto ponderata. E non era un inventore, ma un grande “copista”: anziché inventare forme nuove, ha messo in architettura tutte le forme che ha trovato in natura. Perché lì c’è una geometria diversa da quella degli architetti: in natura non troveremo mai una retta, un piano o un punto, sono astrazioni nate con Euclide e i Greci. Pensi invece al corpo umano, o a un albero: questa è la geometria frutto della creazione di Dio.

Per questo nelle sue opere non si trovano mai due elementi uguali, come in natura?
Gaudí non aveva bisogno di ripetere una soluzione: guardandosi attorno, trovava tutte le forme che gli servivano. Non è paragonabile, quindi, a nessun altro nella storia dell’architettura: i suoi edifici sono diversi da tutti gli altri, oltre ad essere diversi tra loro. Guardi, per esempio, la casa Pedrera e la casa Batlló: pur essendo molto vicine nel tempo, sono completamente diverse. Il segreto di Gaudí è questo: mentre tutti gli architetti si sono copiati l’uno con l’altro, lui ha copiato la natura.

Da dove proveniva questo approccio?
Innanzitutto, prendiamo la sua famiglia: non c’erano né architetti né pittori, ma calderai e contadini. Se un calzolaio crea un paio di scarpe, non punta alla perfezione geometrica, ma obbedisce alla forma del piede. Gaudí ha imparato così questa capacità di vedere le cose come sono. Un giorno, ad un falegname che gli chiedeva un consiglio per una sedia, ha risposto: «Metti il gesso su questa tavola e siediti». Solo in questo modo può essere comoda. In Gaudí tutto è semplice: forse per questo, molti fanno fatica a comprenderlo.

Che cosa intende?
Noi siamo portati ad essere intellettuali, invece lui guardava la realtà per com’è. Non per come dovrebbe essere. La domenica, per esempio, dopo la messa faceva due passi con qualche allievo fino al porto. Lì osservava le onde che sbattevano contro il molo: quel che lo catturava, però, non era la geometria dei blocchi di cemento, ma le forme sempre diverse che l’acqua creava. Per questo, come mi faceva notare un messicano appassionato di surfing, alcuni archi di Gaudí hanno la stessa forma delle ondate che si vedono ad Acapulco. E i campanili della Sagrada Família corrispondono alla forma delle colate di sabbia bagnata.

Per Gaudí, quindi, seguire la realtà diventa un criterio costruttivo...
È il giudizio più semplice: vedere le cose come sono. Non come ci spiegano che devono essere. Per questo, Gaudí sosteneva che gli architetti del Rinascimento fossero solo dei decoratori, perché ciò che creavano doveva sottostare alla simmetria e alla prospettiva, il che non è reale. Mentre l’architettura popolare, dove tutto nasce per la necessità e non per l’invenzione dell’uomo, è quella più vera.

Qual era il rapporto di Gaudí coi suoi operai?
Con loro c’era un’amicizia. E un’identificazione totale. Quando s’è ammalato Juan Matamala, uno dei suoi scultori, Gaudí è andato a trovarlo in ospedale: è la stessa idea che regge la Sagrada Família. Per lui, i rapporti tra operai e padroni devono rispecchiare quelli tra san Giuseppe, la Madonna e Gesù. Poi si sa che molti muratori, usciti dai loro cantieri, andavano alla Sagrada a vedere come lavoravano quelli di Gaudí. Lui stava sempre con loro: per i balconi di casa Pedrera, per esempio, è stato da mattino a sera nell’officina dei forgiatori, mostrando come fare.

Quale peso aveva la fede, in questo suo modo di guardare la realtà?
Gaudí sapeva che la natura è opera di Dio, per cui bisogna seguire i principi che Dio ha posto. L’uomo sviluppa semplicemente la creazione, non la inventa. Gaudí, ad ogni modo, ha avuto la possibilità di scegliere tra la fede e la posizione dei rivoluzionari anticlericali, con cui aveva dei rapporti. E ha scelto la prima. Credo che questa sua libertà, ora che è in corso il processo di beatificazione, sia molto importante. Come ha raccontato un suo collaboratore, questa lotta è durata per tutta la vita. È sempre stato un uomo intero.

Una delle cose che colpiscono di più, nella Sagrada Família, è vedere che tutto ha un perché, come un simbolo che vuole trasmettere un significato oltre la pietra...
Infatti la Sagrada è detta «la Bibbia di pietra», perché vi si trova tutta la simbologia cristiana. Lo stesso vale anche per le opere non religiose, come la casa Batlló, che è coronata dalla croce. Non esiste mai una cosa senza simbolo.

Inoltre, nelle sue opere ogni cosa è in funzione dell’uomo.
Pensi che, alla casa Batlló, alcune finestre hanno dei piccoli buchi per far entrare l’aria fresca dall’esterno: una sorta di sistema di aria condizionata. Come gli è venuta questa idea? Per lui, il punto non era compiere uno sforzo di immaginazione ma guardare la realtà e trasferirla nell’architettura. Questa è l’originalità: tornare all’origine. Non vuol dire allontanarsi dalla realtà, ma arrivare alla realtà.

Da qui viene l’idea di riutilizzare tutto?
Certo. Gli avanzi della fabbrica diventano mattoni neri, gli aghi da cucire finiscono nelle grate delle finestre, cocci di ceramica vanno a comporre dei mosaici... Così è nato il trencadís, la tecnica con cui i materiali scartati potevano formare un disegno nuovo. Sempre per collaborare con il vero architetto, Dio.

E darGli gloria...
Gaudí è sempre riuscito a vedere nella natura le forme del Creatore. Per lui la fede non è cieca: vede la Gloria di Dio. Noi facciamo fatica, perché siamo abituati ad un mondo dove tutto è regolato da una legge che definisce. Invece Gaudí non dava definizioni.

Qual è il valore della visita del Papa per la Spagna e l’Europa intera?
Credo che sia fondamentale. Per questo, c’è già chi organizza delle proteste. Ma è la migliore pubblicità: se lo stupido applaudisse, sarebbe vero il contrario. Non che per me sia la prima volta: quando è venuto Giovanni Paolo II, l’ho accompagnato alla cattedrale e alla tomba di sant’Eulalia. Ma con Benedetto XVI è un’occasione davvero speciale, perché avviene in un’epoca di profondo razionalismo. Mentre la Sagrada è l’opera di un uomo che sapeva usare la ragione, per capire la realtà. Consacrando la Sagrada Família, il Papa consacra tutto Gaudí.

Postato da: giacabi a 17:06 | link | commenti
gaudi


NOVEMBRE 2010 da www.tracce.it

SAGRADA FAMÍLIA/3

***
Alcune riflessioni di Gaudí sulla sua opera
«Il tempio», disse, «è la casa di Dio, casa di preghiera. Tutti noi qui riuniti abbiamo in comune lo stesso spirito cristiano che si viveva nelle chiese primitive, nelle catacombe di Roma, quando i cristiani pregavano, proprio come noi, in una cripta. Nel sottosuolo di Barcellona è stato quindi già costruito il primo spazio del grande tempio che desideriamo vedere realizzato.
In questa cripta sarà venerata la copia della Santa Casa di Nazaret che si trova a Loreto. Dato che il terreno lo permette, il progetto previsto si svilupperà nella sua totalità su tutta l’estensione dell’isolato. Sopra la cripta starà l’altar maggiore. La pianta sarà basilicale, a croce latina e a cinque navate, che nel transetto saranno tre. Avrà tre facciate: la principale, sulla calle de Mallorca, sarà accessibile da cinque porte, corrispondenti alle navate, e le facciate laterali avranno tre porte, in corrispondenza con le navate del transetto. Chiuderà il perimetro, sul lato nord, l’abside, le cui mura saranno la prosecuzione di quelle della cripta.
Il tempio sarà accessibile, su ciascuna facciata, per mezzo di ampie scalinate che, a mo’ di basamento, imprimono agli edifici carattere, grandezza e monumentalità. Armonizzeremo la traccia gotica che condizionava il progetto del mio predecessore, l’architetto Del Villar, con soluzioni che traggono ispirazione dallo stile bizantino e si adattano all’attuale liturgia cattolica.
Desideriamo che l’insieme del tempio sia un vero e proprio simbolo, un’opera d’arte in sintonia con l’epoca in cui viviamo. Lo sviluppo dello stadio sul progetto primitivo ci permetterà di utilizzare una ricchezza di elementi paragonabile a ciò che riuscirono a ottenere i costruttori delle cattedrali medievali. All’esterno mostrerà immagini apologetiche e catechistiche, per introdurre i fedeli alla contemplazione del mondo soprannaturale rappresentato all’interno.
Se nel progetto del nostro predecessore un solo campanile s’innalzava dal corpo del tempio, oltre alla cupola, nel nostro progetto da ogni facciata emergeranno quattro torri campanarie, che, nel complesso delle tre facciate, rappresenteranno i dodici apostoli. Al di sopra delle crociere emergeranno quattro torri, intorno alla torre principale, a simboleggiare gli evangelisti. Nell’abside se ne collocherà un’altra, dedicata alla Vergine, di altezza intermedia. La torre principale, dedicata a Gesù Cristo, culminerà con la croce a quattro bracci.
La facciata rivolta a est sarà dedicata alla nascita, infanzia e adolescenza di Gesù. In ciascuna delle tre porte saranno rappresentate scene relative a queste tre età. Spiccherà nella porta principale l’avvenimento della venuta di Dio nel mondo. Cori di angeli musici e cantori circonderanno le tre persone della Sacra Famiglia. Nei fregi vicini alla porta si rappresenterà l’adorazione dei Magi e dei pastori.
Sulle porte laterali seguiranno rappresentazioni dell’infanzia, tra le quali spiccherà la figura della Vergine Maria e del padre putativo di Gesù, san Giuseppe. Sopra i tre archivolti e nelle loggette corrispondenti si collocheranno immagini della vita e della glorificazione della Sacra Famiglia.
Ognuna di queste porte culminerà in alto con i simboli della Fede, della Speranza e della Carità. Sulla facciata occidentale saranno descritte le scene del dramma della Passione di Cristo, dall’ingresso trionfale a Gerusalemme fino alla Crocifissione, che spiccherà nella colonna divisoria della porta centrale. Un’iscrizione posta sul capo del Redentore recherà la scritta Veritas: Gesù è la verità nella vita, il sacrificio e il dolore.
Alcune delle scene avranno un’iscrizione corrispondente, come quella della Lavanda dei piedi, che sarà accompagnata dalla parola Vita, che riassume il senso delle parole "umiltà" e "amore": senza amore la vita non è possibile, perché l’amore ne è l’essenza.
In alto apparirà la raffigurazione dell’Ultima Cena, con l’istituzione dell’Eucaristia, e sopra di essa, la Preghiera nell’Orto del Getsemani, a introdurre le scene della Passione vera e propria, che verranno poste nelle porte laterali. I tre archi saranno di una nudità austera e su di essi spiccheranno le tragiche scene. Le porte saranno sormontate da un portico frontale; più in alto ancora, una galleria sul cui frontone saranno raffigurati, sui due lati, il Leone di Giuda e l’Agnello Mistico. All’interno della galleria saranno collocate le anime pure che attendono la discesa del Redentore agli inferi per entrare nella gloria; sui lati della galleria staranno i patriarchi e i profeti colti nella loro uscita dal limbo. Al fondo di questa galleria, l’impressionante sepolcro vuoto di Cristo risorto. Nel punto culminante delle due ali della galleria, che formerà un angolo, sarà posto il Santo Nome di Gesù, dal quale partirà la raffigurazione dell’esaltazione della Santa Croce circondata da angeli, con allegorie dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Nella parte alta della facciata, tra le quattro torri, risplenderà l’Assunzione di Cristo con un corteo di angeli. Questa rappresentazione, che conferma la divinità di Cristo, introduce già alla contemplazione della terza facciata, o facciata della Gloria, dove la rappresentazione della vita terrena di Gesù
non figurerà più.
Questa facciata, la principale, esposta a sud, sarà allineata con la calle de Maiorca. Quale elemento caratterizzante, essa avrà un forte contenuto simbolico. Poiché l’ideale supremo dell’uomo è la glorificazione di Dio, nella facciata si renderà onore alla Santissima Trinità, alla Sacra Famiglia, alle sue virtù e alla sua esemplarità nel lavoro. Saranno presentate tutte le verità di Fede, Speranza e Carità, e lo stato dell’anima dopo la morte, con il suo castigo o premio. Verranno raffigurate scene descritte nell’Apocalisse di san Giovanni.
Nel tunnel, al di sotto dello spiazzo di fronte alla facciata principale, dove correrà la calle Maiorca, si vedranno allusioni ai dannati, mostri in atteggiamenti grotteschi, idoli del paganesimo ed eresiarchi che potranno contemplare, attraverso degli orifizi, il trionfo della Verità della Chiesa.
La facciata avrà un portico, le cui colonne mostreranno, nei capitelli, i doni dello Spirito Santo e i simboli delle virtù, mentre alla base saranno raffigurati i vizi opposti. Sopra le cinque porte un fregio, e, in aggetto nella parte
centrale, i progenitori del genere umano, Adamo ed Eva.
Al di sopra, san Giuseppe con Gesù adolescente rappresentati nel loro lavoro di falegnami, ricordo e glorificazione del lavoro umano della Sacra Famiglia. Nel fregio saranno collocate le anime del Purgatorio che si vanno purificando a man a mano che si avvicinano al Redentore. Intorno a San Giuseppe vi saranno raffigurazioni di tutti i lavori manuali che utilizzano l’acqua o il fuoco. Sopra, l’immagine della Vergine circondata da santi, martiri, confessori e vergini.
Nelle gallerie alte, a presiedere alla porta centrale, il gruppo di Cristo Nostro Signore, con gli strumenti della Passione, circondato da angeli, nel momento del giudizio delle anime. Nelle volte del portico saranno rappresentate le Beatitudini, e al centro della volta una raffigurazione della creazione del mondo secondo il racconto della Genesi. Vicino a essa, la santa Casa di Nazaret che ospitò Gesù, come simbolo della Carità. Ai lati di questa raffigurazione, da una parte l’arca di Noè e dall’altra l’Arca dell’Alleanza, simboli della Fede e della Speranza, come si evince dai testi sacri.
La volta del portico sarà illuminata da 14 lampade e davanti alla lampada centrale starà Gesù nel trono della Sua Divinità, tra la Vergine e san Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Sopra Gesù starà lo Spirito Santo e, più in alto, l’Eterno Padre che governa l’Universo. A circondare di
un’aureola la Santissima Trinità staranno le gerarchie angeliche in scala discendente, formando un cerchio di ali.
Nubi luminose porteranno scritta la parola Credo e saranno visibili giorno e notte. Sarà illuminata anche la parte alta delle torri campanarie con la scritta Gloria, che esprime la lode del cielo e della terra al Creatore. Questa facciata, oltre alle cinque porte corrispondenti alle navate, ne avrà altre due laterali, per permettere l’ingresso alla Cappella del Battesimo e della Confessione, dalle quali si potrà passare alle navate laterali o ai chiostri, indistintamente. Dietro le ali del transetto, vicino all’abside, vi saranno due grandi sacrestie che comunicheranno con il presbiterio e con i chiostri. Questi correranno intorno al tempio senza interruzione, lungo le facciate, proseguendo alle spalle dell’abside, dove sorgerà la cappella dedicata all’Assunzione della Vergine.
Il loro lungo circuito permetterà di svolgere processioni solenni nella stagione fredda o con la pioggia. Avranno anche la funzione di isolare la chiesa dai rumori esterni, separando le navate dalla strada.
Al di sotto delle navate laterali e di parte dei chiostri sono previsti spazi dedicati a scuole di arti e mestieri; così, insieme alla chiesa, il popolo potrà avere cultura e formazione.
Quanto all’interno, pensiamo di dotarlo di un ambiente favorevole alla devozione e fedele alle norme liturgiche. Come abbiamo detto, l’altare maggiore sarà collocato sopra la volta della cripta, sotto l’arco trionfale, tra le due torri principali, e vi si accederà per mezzo di un’ampia scalinata.
Sull’altare maggiore si adorerà il Divino Crocifisso, dal cui braccio verticale uscirà una vite, a simboleggiare le parole di Cristo: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto; chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca». La vite formerà un baldacchino che sarà allo stesso tempo un lampadario. Cinquanta lampade penderanno da esso, a ricordo della frase del Salvatore: «Io sono la luce del mondo», come nel primitivo altare di san Giovanni in Laterano.
Sopra il lampadario, come prevede la tradizione, vi sarà un grande baldacchino. Nella volta interna della torre della Vergine sarà rappresentato l’Eterno Padre, secondo la visione del profeta che dice: «La veste del Padre riempie la volta del cielo». Dal suo manto, che si estenderà per tutta la cupola, usciranno figure di cherubini, e in basso sarà collocato un lampadario che rappresenterà lo Spirito Santo, che, situato tra il Padre, nella volta, e il Figlio, nell’altare, completerà il simbolo trinitario evocato nel Credo.
Invece, nella torre principale, un altro lampadario, dedicato a Gesù Cristo, rappresenterà la Gerusalemme celeste. Nella cappella interna della parte alta della facciata della Natività, sarà venerata l’immagine di san Giuseppe circondato da angeli che porteranno i simboli delle virtù e delle fatiche dello Sposo di Maria.
Nella cappella opposta, nel punto in cui la navata principale incrocia il transetto della facciata della Passione, sarà venerata l’immagine di Maria Immacolata, anche qui attorniata da angeli portatori degli attributi della verginità e dell’amore al focolare domestico.
Nelle cappelle absidali saranno rappresentati i sette dolori e le sette gioie di san Giuseppe. Le quattro colonne della torre principale rappresenteranno i quattro Evangelisti; le colonne intorno a esse simboleggeranno i dodici Apostoli.
Quelle più vicine al portale della Natività e della Passione, saranno dedicate alle diocesi catalane, e quelle della navata centrale, alle diocesi di Spagna, America ispanica e Filippine. In alto spiccheranno gli scudi dei vescovi che avranno contribuito all’opera.
«n mistica visione, nelle navate laterali, le colonne saranno circondate da angeli che discendono dalla Gloria portando palme e corone, e altre dalle anime santificate che salgono fino alla volta. I santi fondatori di ordini religiosi avranno le loro immagini in nicchie disposte ad altezze diverse. I finestroni con vetrate colorate formeranno un complesso in armonia con l’architettura. Vi sarà anche abbondanza di iscrizioni con frasi del Vangelo e delle Epistole che danno sostanza all’insegnamento della Chiesa».

Quando Gaudí terminò questa esposizione, uno dei membri della giunta lo interrogò sugli aspetti strutturali e sulle dimensioni dell’opera. Gaudí rispose: «Stiamo studiando il sistema per perfezionare gli stili gotico e bizantino. Del primo, eliminando masse non necessarie, cosa che il gotico ha già fatto, sia pur impiegando archi rampanti a mo’ di “grucce”, creando un’armatura che sostiene i carichi fuori dall’edificio, come uno scheletro che si trovasse fuori del corpo, la qual cosa è innaturale, nonostante gli abbellimenti che adornarono con fantasia archi e pinnacoli.
Stiamo studiando il modo di imprimere agilità e permettere il passaggio della luce, ottenendo leggerezza tramite l’assenza di masse murarie, mediante un sistema di archi parabolici che conducono le spinte esattamente fino alle fondamenta. Riprendiamo invece da quegli stili i contenuti iconografici e simbolici, nonché la ricchezza della policromia che essi derivarono dall’antichità classica e arricchirono con lo splendore offerto dalla liturgia cristiana.
Nel nostro tempio le colonne saranno di materiali diversi, a seconda dei carichi che insisteranno su di esse. Le colonne maggiori, destinate a sostenere la torre principale, saranno di bronzo, che verrà fuso qui nel cantiere. Nella torre della Vergine, saranno di porfido e basalto; nelle navate, di granito. Per quanto riguarda le parti decorative, useremo un altro tipo di pietra. All’esterno, l’arenaria di Montjuïc, molto resistente, che, dopo aver acquisito una corta patina, si combinerà armoniosamente con la policromia degli archivolti delle facciate e delle guglie delle torri campanarie colorate con bronzo e mosaico veneziano.
All’interno, a eccezione degli angoli e delle parti decorative dei finestroni, utilizzeremo pietra di Vilafranca, di più facile lavorazione. Quando avremo costruito una parte del tempio, allestiremo una mostra di decorazione scultorea per dare un’idea della magnificenza che presenteranno gli interni una volta terminati (effettivamente tra il 1898 e il 1900 Gaudí realizzò la mostra scultoreo-decorativa della porta del Rosario, nel chiostro, sul lato nord della facciata della Natività).
Le grandi scalinate che salgono dalla cripta continueranno in altezza fino ai triforii e alle gallerie, e altre due sorgeranno vicino alle porte laterali della facciata principale per facilitare l’accesso alla parte alta. Saranno utilizzabili anche quelle che si trovano all’interno delle torri campanarie. La distribuzione degli spazi sarà regolata in modo tale che vi siano quelli destinati ai fedeli e quelli riservati ai cori nelle cantorie. Sopra il deambulatorio vi sarà spazio per un coro di 700 bambini, alle spalle del presbiterio.
Lungo la navata centrale e nel triforio vi sarà posto per mille cantori che occuperanno la "U" formata dalla facciata principale e dalle due navate laterali. Lo spazio sarà completato con la cappella musicale della chiesa, situata in tribune poste sopra i quattro organi, a 45 metri di altezza, tra le colonne che sostengono la torre.
Il tempio sarà molto luminoso, con belle filtrazioni di luce, combinandosi quella che scenderà dalle alte torri con quella dei finestroni di cristallo. Tutto questo complesso di luci illuminerà la policromia degli spazi interni. Per quanto riguarda la copertura, abbiamo pensato alla pietra, escludendo il legno, al fine di evitare il suo deterioramento e il pericolo di incendio. Allo stesso modo, saranno di pietra le casse di risonanza delle torri campanarie.
Quanto alle dimensioni del tempio, le daremo con una certa approssimazione, dal momento che sono ancora allo stadio. L’asse maggiore, dalla facciata della Gloria al fondo dell’abside, misurerà 95 metri e, comprendendo portico e vestibolo, 115. L’asse del crucero (incrocio tra navata centrale e transetto) sarà di 60 metri. Ampiezza delle cinque navate: 45 metri. Ampiezza delle navate del transetto: 30 metri. La navata centrale dovrà avere 15 metri di luce e 7 metri e mezzo ciascuna delle navate laterali. Le colonne principali saranno alte 20 metri e la navata centrale dovrà raggiungere i 45 metri di altezza; le laterali, 30. La torre, all’interno, raggiungerà gli 80 metri, e quello dell’abside 75. All’esterno, le torri degli Evangelisti misureranno 125 metri; quelle delle facciate laterali, 85 metri e 100 metri quelle della facciata principale.
La torre maggiore sarà di 150 metri e quella della Vergine arriverà a 130. (Queste misure furono poi cambiate da Gaudí e nel progetto definitivo la torre centrale raggiunse i 178 metri e 103 le torri campanarie). Per le solennità religiose, oltre ai grandi organi, si potrà contare su gruppi di campane carillon installate nelle torri.
Le torri conterranno un numero straordinario di campane omogenee, accordate in ottava per toni e semitoni, distribuite in tre gruppi. Uno di essi sarà costituito da campane tubolari che suoneranno a percussione; un altro, sempre da campane tubolari, suonerà per pressione d’aria, cioè come fossero trombe o canne d’organo. Il terzo gruppo sarà costituito da campane normali, a percussione.
Nelle grandi solennità che si celebreranno all’esterno, le campane accompagneranno i canti e formeranno un concerto udibile per buona parte della città.
Un altro fattore importante sarà l’illuminazione, che avvolgerà la mole del tempio in un’atmosfera di luce. La grande croce di mosaico vitreo della torre centrale, la stella che coronerà la torre della Vergine, le estremità delle torri campanarie e di quelle degli Evangelisti proietteranno fasci di luce verso il suolo, simbolo della luce che promana dal Vangelo. Da altri punti del tempio, altri fuochi completeranno l’illuminazione.
Intorno al tempio, di fronte a ciascuna facciata, saranno collocati dei bracieri. Quelli della Natività verranno dedicati a san Giuseppe; quelli della Passione a Nostra Signora e, nella facciata principale, di fronte alla cappella della Confessione, un triplice braciere di grandi dimensioni starà a simboleggiare, con la sua viva fiamma, l’azione purificatrice del fuoco. Sull’altro lato, di fronte alla cappella del Battesimo, una fonte con la rappresentazione dell’Agnello mistico, dal cui cuore uscirà, per mezzo di quattro bocche, uno zampillo d’acqua, simbolo dei quattro fiumi del Paradiso Terrestre.
In tutti gli spazi che resteranno vuoti tira l’abside e i chiostri e tra i chiostri e le navate, inizieremo a piantare alberi e arbusti originari della Palestina, che con la loro bellezza e il loro profumo rappresenteranno l’ambiente naturale in cui si svolse la vita della Sacra Famiglia.
Unica e principale ragione del tempio è quella di essere casa di Dio, e perciò di preghiera e di raccoglimento. Tuttavia l’arte, veicolo di magnificenza che l’uomo unisce all’espressione del sentimento religioso, potrà anche trovare spazio al suo interno e intorno a esso, poiché il tempio dovrà essere circondato da ampi spazi liberi che ne permettano una corretta visibilità».


Tratto da Gaudí. L’architettura dello spirito di Joan Bassegoda i Nonell (Edizioni Ares)

Postato da: giacabi a 16:52 | link | commenti
gaudi

martedì, 16 novembre 2010
«Nelle pietre della Sagrada Familia ho trovato la fede»

***

intervista a Etsuro Sotoo

Lo scultore giapponese ha lavorato alla costruzione del tempio di Barcellona: Gaudì seppe obbedire al messaggio di Dio



DI MICHELA CORICELLI

H a scolpito gli angeli e i cantori della Facciata della Natività, ha restaura­to il chiostro del Rosario, ha dise­gnato con la pietra i grandi pinnacoli che u­niscono la prima Sagrada Familia alla parte più moderna. Lo scultore giapponese Etsu­ro Sotoo arrivò a Barcellona nel 1978 «per caso», ammette. Da allora non ha più ab­bandonato la capitale catalana e l’opera d’ar­te di Antoni Gaudì. Il suo incontro con il ge­nio dell’architettura modernista catalana lo ha spinto a convertirsi al cattolicesimo, una decina di anni fa. Oggi, a 57 anni, racconta ad Avvenire la sua esperienza.


Come fu il suo incontro con la Sagrada Fa­milia?

Mi laureai a Tokyo all’Accademia di Belle Ar­ti. Inizia ad insegnare. Ma sentivo una for­tissima attrazione per la pietra: sentivo qual­cosa dentro che mi obbligava a scolpire. La­sciai il mio lavoro di professore e partii per l’Europa, un continente di cui sapevo poco. Sapevo solo che lì avrei trovato la materia che cercavo: la pietra. Arrivai a Parigi e poi, quasi per caso, presi un treno per Barcello­na. Entrai per la prima volta nella Sagrada Fa­milia come un semplice turista. Nessuno può realmente predire il proprio futuro. Lì cercai un contatto con i discepoli di Gaudì e, dopo un esame, mi assunsero come aiutante scul­tore. Io volevo toccare la pietra, scolpirla, ma all’inizio mi affidarono i disegni, i calcoli, i modelli: allora gli scultori lavoravano così. Per un anno non ho potuto toccare la pietra. Poi è cambiato tutto e mi iniziarono a ri­chiedere sculture vere e proprie. Il primo la­voro furono cinque pinnacoli alti cinque me­tri, a 60 metri di altezza, che univano la par­te antica di Gaudì all’edificio moderno.

Quando sentì la necessità di avvicinarsi al­la fede?


Iniziai a sentire una grande curiosità per il ge­nio Gaudì. Mi chiedevo: da dove tirava fuo­ri queste idee? Dopo dieci anni l’ho scoper­to: il segreto di Gaudì era la fede. Lui sapeva obbedire alla forza della natura, ovvero al messaggio di Dio, grazie alla fede. Senza, non avrebbe mai potuto fare ciò che fece. Mi con­vertii al cattolicesimo nel 1991: come Gaudì, capii che dovevo collaborare alla costruzio­ne della Chiesa di pietra chiedendo aiuto al­la spiritualità. Io non ero battezzato, ma pia­no piano mi misi a studiare la spiritualità di Gaudì e capii che chi cerca la verità, alla fine raggiunge sempre lo stesso cammino.

Prima di convertirsi professava un’altra re­ligione?

Da giovane, in Giappone, ero sempre stato un po’ particolare: mi ero sempre avvicina­to alla religione. All’inizio lo feci col buddi­smo, poi con lo shintoismo, addirittura mi avvicinai ad una setta. Ma non trovavo mai quello che cercavo. Il buddismo, ad esempio, mi obbligava a rinunciare a tutti i desideri: ma io non potevo rinunciare alla volontà di scolpire la pietra. L’unica spiegazione la tro­vai in Gesù. Il cattolicesimo, del resto, dice che siamo tutti delle pietre, dei pezzi unici per costruire l’autentica Chiesa. E non sia­mo noi che decidiamo dove collocare quel­la pietra! L’autentico architetto è Dio.

In questa conversione l’ha seguita la sua fa­miglia?

Mia moglie, che è pianista, tre anni fa si è convertita al cattolicesimo. Ma non è stato per obbligo, io non le ho mai chiesto niente. È stata lei stessa, senza dirmi niente, ad av­vicinarsi al catechismo. Anche mia figlia, che ha 23 anni, è cattolica.

Come definirebbe la Sagrada Familia?

È il futuro. È la grande occasione per capire qual è il cammino corretto dell’umanità. Sia­mo quasi agli inizi del terzo millennio, la gen­te ha molti problemi, ha paura di vivere. Bi­sogna apprendere da Gaudì a collaborare al­la creazione divina.

Postato da: giacabi a 15:06 | link | commenti
barcellona, gaudi

venerdì, 12 novembre 2010

UNA DELLE PIU' GRANDI MERAVIGLIE CRISTIANE:
LA SAGRADA FAMILIA

***

Postato da: giacabi a 18:40 | link | commenti
barcellona, gaudi

mercoledì, 10 novembre 2010

ARTE/ L’ultima "pietra" della Sagrada Familia è di Papa Benedetto


 

martedì 9 novembre 2010

 
“La Chiesa non smette mai di costruire, ed è per questo che il suo capo è il Pontefice - cioè colui che costruisce ponti -; i templi sono ponti per raggiungere la Gloria”. Antoni Gaudì (citato da Joan Bergósi Massó, Gaudí, el hombre y la obra, 1974).
 
Il Papa, nella sua visita a Barcellona, ha dedicato il Tempio espiatorio della Sagrada Familia. “Questo giorno - ha detto Benedetto XVI - è un punto significativo in una lunga storia di aspirazioni, di lavoro e di generosità, che dura da più di un secolo. In questi momenti, vorrei ricordare ciascuna delle persone che hanno reso possibile la gioia che oggi pervade tutti noi: dai promotori fino agli esecutori di quest’opera; dagli architetti e muratori della stessa, a tutti quelli che hanno offerto, in un modo o nell’altro, il loro insostituibile contributo per rendere possibile la progressiva costruzione di questo edificio”. Nella sua omelia il Papa ha voluto ricordare “l’anima e l’artefice di questo progetto: Antoni Gaudì, architetto geniale e cristiano coerente, la cui fiaccola della fede arse fino al termine della sua vita, vissuta con dignità e austerità assoluta”.
In una cerimonia dalla liturgia splendida ed in uno spazio unico, il Papa ha consacrato un tempio “a maggiore onore e gloria della Sacra Famiglia” e ha trasformato in realtà l’augurio del grande poeta Joan Maragall: “questo tempio è come un grande fiore nel quale l’Oriente fiorisce, stupito di essere nato qui cresce nell’attesa dei fedeli che arriveranno”.
Domenica centinaia di migliaia di fedeli hanno contemplato questo tempio. Gaudì, ci ha detto il Papa nella sua omelia, “realizzò ciò che oggi è uno dei compiti più importanti: superare la scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana, tra esistenza in questo mondo temporale e apertura alla vita eterna, tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza”.
Perchè, ha continuato, “la bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo”.
“Gaudí, con la sua opera, ci mostra che Dio è la vera misura dell'uomo, che il segreto della vera originalità consiste, come egli diceva, nel tornare all'origine che è Dio. Lui stesso, aprendo in questo modo il suo spirito a Dio, è stato capace di creare in questa città uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l'uomo all'incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa”.
In un avvenimensto storico, in un giorno di gratitudine, di incontro di fede e di speranza, si è compiuto un sogno. Quello nato nel seno di quell’Associazione dei Devoti di San Giuseppe che vollero edificare un tempio dedicato alla Sacra Famiglia di Nazareth.
Conviene ricordare che la figura del Papa è stata presente fin dagli inizi dell’Associazione, fondata nel 1866 dal libraio Josep Maria Bocabella i Verdaguer. Uno dei compiti di questa associazione era precisamente la preghiera per il Papa e l’invio di elemosine alla sede petrina.
Nel 1871 Josep Maria Bocabella si recò a Roma e offrì a Papa Pio XI una scultura di argento della Sacra Famiglia sotto una palma rappresentante la fuga in Egitto. In quell’anno l’associazione contava già 400mila associati, tra i quali lo stesso Pontefice. La composizione d’argento è una riproduzione del dipinto Riposo nella fuga in Egitto che presiedeva l’altare della capella di san Giuseppe del santuario di Montserrat. Durante il ritorno a Barcellona, Bocabella e i suoi visitarono la Santa Casa di Loreto in Italia.
Nel febbraio del 1875 Josep Maria Bocabella decise che il progetto del tempio che voleva costruire, dedicato alla Sacra Famiglia, fosse una copia esatta della basilica di Loreto, la quale conserva al suo interno la Santa Casa di Nazareth.
Il 19 marzo 1882 fu messa la prima pietra del tempio espiatorio della Sacra Famiglia, concepito da Josep Manyanet, promosso da Bocabella e sognato da Gaudí. Nel testo della posa della prima pietra leggiamo un riferimento alla Santa Sede: “questa chiesa espiatoria, a maggiore onore e gloria della Sacra Famiglia… svegli i cuori adormentati… calmi le angoscie della Santa Sede…”.
Anche se il progetto fu dato all’inizio in carico ad un altro architetto, l’idea generale dell’opera fu chiara a Gaudì fin dall’inizio. Infatti, nella spiegazione che diede al consiglio dell’Associazione nel 1891, egli disse che “il tempio è la casa di Dio, luogo di preghiera. Quando ci raduniamo qui, abbiamo lo stesso spirito di quelli che, radunandosi nei primi tempi del cristianesimo nelle catacombe di Roma, pregavano, come noi, in una cripta. Sotto il sole di Barcellona è stato già costruito il primo spazio (la cripta della Sagrada, ndr) del tempio che desideriamo. È ad immagine della Santa Casa di Nazareth portata da Loreto (...), ma noi vorremmo che tutta l’opera fosse un simbolo, un’opera d’arte in armonia con l’epoca in cui viviamo”.
Il Papa, con la sua presenza, ha finalmente portato a compimento l’auspicio della messa in posa della prima pietra, il 19 marzo 1882: “che questa basilica desti dal loro torpore i cuori addormentati, esalti la fede, riscaldi la carità e contribuisca a che il Signore abbia pietà del suo paese”.

Postato da: giacabi a 19:24 | link | commenti
barcellona, gaudi

lunedì, 01 novembre 2010

Il santo costruttore

***

Gaudí non era un’archistar iconoclasta come certi suoi colleghi italiani che progettano chiese non-vive. La Sagrada Familia è un capolavoro di liturgia e teologia. Di pietra

Gaudí era un architetto santo e siccome gli architetti contemporanei sono degli indemoniati bisogna usare la Sagrada Familia come si usavano l’aglio e il crocefisso contro i vampiri. Bisogna riempire le loro caselle e-mail con immagini del “gigantesco poema di pietra”, bisogna procurarsi dei modellini del tempio di Barcellona e mostrarglieli per farli indietreggiare, perché smettano di affondare i loro canini iconoclasti nel collo del cattolicesimo italiano. Botta, Gregotti, Purini, Piano, Fuksas, Meier, Quintelli e Sartogo sono architetti non-morti che disegnano chiese non-vive (senza campanili croci tabernacoli o con campanili croci tabernacoli invisibili allo scopo di occultare la presenza vivificante ed esigente di Cristo). Il confronto con l’arte abbagliante del maestro catalano li denuncia così come il sorgere del sole denuncia Dracula.

***
Gaudí era un patriota, per la precisione un patriota catalano, all’epoca in cui il centralismo castigliano girava per le strade armato fino ai denti e soltanto parlare la lingua che fu dei sovrani aragonesi e dei papi Borgia esponeva a grossi rischi. Il cantiere della Sagrada Familia attirava grandi personaggi. Andò a visitarlo il filosofo Unamuno e Gaudí parlò in catalano, prima di congedarlo bruscamente perché era suonata la campana dell’Angelus e doveva ritirarsi in preghiera. Andò a visitarlo il medico Albert Schweitzer e anche a lui parlò in catalano, spiegandogli che solo nella sua piccola lingua neolatina gli era possibile descrivere il proprio lavoro. Andò a visitarlo Alfonso XIII, il re di Spagna, e perfino al simbolo dell’unità nazionale Gaudí parlò in catalano, e la cosa dovette avere il suono della provocazione, se non dell’insubordinazione. Come se oggi al presidente Napolitano in visita a Treviso le personalità locali si rivolgessero dall’inizio alla fine in veneto stretto. “Gaudí non aveva mai nemmeno fatto il minimo sforzo per promuovere se stesso”, scrive lo storico Gijs van Hensbergen nella biografia “Gaudí” pubblicata in Italia da Lindau e qui abbondantemente saccheggiata. L’11 settembre 1924 la guardia civile impedì l’ingresso nella chiesa dove si doveva celebrare la messa per i martiri catalani di un’antica sollevazione, Gaudí protestò e venne arrestato, quindi, nonostante la fama e l’età, trascinato in cella. “L’aggressività nei miei confronti era dovuta al fatto che avevo parlato loro in catalano”. Oggi lo studio genovese del più famoso architetto italiano si chiama Renzo Piano Building Workshop e il sito internet è completamente in inglese.

***
Gaudí era un asceta. Nel 1894 il digiuno quaresimale lo portò quasi alla morte. Quando mangiava, mangiava pochissimo, i suoi pasti erano composti quasi esclusivamente di lattuga e di latte. In tasca era solito portare un uovo oppure uva passa o noci, riserve di energia a cui attingere senza bisogno di sedersi a tavola e staccarsi dal lavoro. Non usò mai occhiali, credeva nell’esercizio oculare, non prese mai una medicina, credeva nella dieta e nella preghiera (e infatti pur essendo stato un bambino molto cagionevole, con parto traumatico, battesimo d’emergenza e prognosi ripetutamente infauste, morì vecchio e non di malattia). Vestiva così modestamente che un giorno, mentre aspettava il tram, fu scambiato per un accattone e gli fu offerta l’elemosina. I soldi finirono nella cassa del sacro cantiere, destinazione di tanti suoi compensi professionali. Non si vergognava di sollecitare le indispensabili donazioni e di raccoglierle di persona. Ogni giorno passava da un negozio dei dintorni dove ogni giorno il negoziante gli dava una peseta per la gloria di Dio. Josep Maria Bocabella, il libraio che per primo ebbe l’idea della Sagrada, per stimolare il sostegno anche del popolo minuto era solito ripetere: “Abbiamo bisogno di pietre di tutte le dimensioni”. Si capisce che se la Sagrada Familia è la Sagrada Familia e il Cubo di Foligno è il Cubo di Foligno, idolo di cemento che ha sconsacrato il santo paesaggio umbro, lo si deve anche al diverso tipo di finanziamento: il capolavoro di Gaudí è stato pagato soldo su soldo dalla comunità locale, coinvolta fin dall’inizio, il mostro di Fuksas è stato finanziato dalla Cei, un remoto, incontrollabile centro di potere che non ci ha pensato due volte a schiacciare la fede e la sensibilità dei cristiani del posto.

***
Gaudí era un maestro, non un professore. Gli studenti di architettura visitavano quotidianamente il cantiere, rapiti dal carisma di don Antoni a cui piaceva sostenere, in quei pomeriggi febbrili, che la Catalogna era stata prescelta da Dio per traghettare nella modernità l’antica e nobile tradizione della “arquitectura cristiana universal”. Gregotti è un professore, non un maestro. Mi scrive un ex studente della facoltà di Architettura di Venezia: “Teneva uno dei cinque corsi di composizione architettonica. Ha insegnato per anni. Beh, non lui direttamente (solo per cautela, per non rischiare di ustionare gli allievi con la troppa esposizione alla luce dell’astro). A fare lezione erano i suoi assistenti che non beccavano una lira, lui si mostrava in facoltà forse una o due volte all’anno e tutti ne rimanevano abbronzati. Regolare invece il passaggio all’incasso della ricca busta da ordinario. Ma insomma se hai presente la produzione gregottiana diretta puoi solo immaginare quella indiretta uscita dalle matite dei suoi assistenti o addirittura da quelle ancora più stemperate che per l’esame di composizione hanno lavorato con gli assistenti, vedendo il titolare da molto lontano, sui cataloghi e sulle Casabelle monografiche a lui dedicate”. Naturalmente Gregotti, che conosce il mio indirizzo e-mail per avermi gentilmente spedito il suo intervento all’ultimo convegno in Bicocca, ha la più ampia facoltà di replica. Se ritiene che il mio corrispondente sia disinformato o mendace deve solo farmelo sapere che lo rimetto subito in riga, quello screanzato. Se ritiene di aver garantito ai suoi studenti di composizione architettonica una presenza costante sarò lieto di rilasciargli regolare rettifica: “Il professor Gregotti, pur non avendo mai progettato nulla che somigliasse nemmeno lontanamente alla Sagrada Familia, a Venezia si è dimostrato didatta assiduo”.


***
Gaudí era cattolico, cattolicissimo, riuscì a cattolicizzare perfino un condominio alto-borghese (che fra parentesi non ne voleva sapere): le 150 aperture di Casa Milà rappresentano i 150 grani del rosario. Artista eclettico, alle feste patronali organizzava fuochi d’artificio culminanti con “un trionfo multicolore di lettere gigantesche che formavano le parole Jesús, María, Josep”. Sulla panca sinuosa che delimita la terrazza del Parco Guell fece apporre la scritta “María” capovolta, “così che fosse più facile leggerla dal cielo”. Amava il canto gregoriano e siccome non è mai troppo tardi a sessantaquattro anni suonati decise di impararlo, iscrivendosi a una scuola apposita. La sua giornata-tipo: Messa mattutina, lavoro alla Sagrada Familia, confessione serale. Ogni santo giorno per decenni. Quando venne investito dal tram fatale gli trovarono in tasca un Vangelo. Morì all’ospedale mormorando “Jesús, Déu meu!”, il crocefisso stretto nella mano destra. Per tutta la vita aveva letto la Bibbia (in particolare l’Apocalisse) e il Messale Romano, testi essenziali a cui i progettisti di edifici di culto dovrebbero aggiungere l’Ordinamento Generale che è un po’ il libretto di istruzioni del Messale. Sono poche pagine leggendo le quali chiunque (non c’è bisogno di essere specialisti) può capire quanto la nuova chiesa di San Giovanni Rotondo sia liturgicamente perciò teologicamente sbagliata. Una chiesa senza inginocchiatoi! Adesso un esercizio facile facile: sapendo che secondo i Padri del deserto il diavolo, a causa o per effetto della sua superbia, non possiede ginocchia, e che secondo Joseph Ratzinger (“Introduzione allo spirito della liturgia”) “l’incapacità a inginocchiarsi appare come l’essenza stessa del diabolico”, si ricavi il nome del Principe che si è giovato dell’opera dei tre responsabili dell’edificio, l’architetto Piano, il liturgista Valenziano, il vescovo D’Ambrosio.

***
Gaudí era caritatevole. A un malato di poliomielite riservò un posto all’ingresso della cripta dove grazie al viavai poteva raccogliere buone elemosine, a un anziano ambulante diede il permesso di vendere le cartoline raffiguranti la chiesa: tutti i bisognosi dovevano poter ricorrere (sono parole sue) “al cappotto caldo del Tempio”. Quando un operaio diventava troppo vecchio non lo licenziava ma gli assegnava lavori più leggeri. Scoprì che un muratore aveva allestito un piccolo orto in un angolo del cantiere e anziché punirlo per l’occupazione abusiva autorizzò gli altri dipendenti a fare lo stesso. Questa benevolenza non gli era naturale, anzi, le testimonianze sulla sua insocievolezza sono unanimi. Solo il cristianesimo può fare di un uomo che non crede nell’uomo un uomo che aiuta gli uomini. Soltanto Santiago Calatrava, l’architetto più amato dagli ortopedici (il suo ponte di Venezia, dai gradini straordinariamente maldisegnati, fornisce loro molti pazienti), poteva infamarlo così: “Il Dio, o piuttosto la Dea, che Gaudí venerava era l’architettura stessa”. Lui di idolatria sì che se ne intende.

***
C’era un ragazzo partito da Reggio Emilia per Barcellona, un giorno d’estate del secolo scorso, non era ancora stato inventato l’Erasmus o forse sì ma ancora non se ne parlava, comunque la capitale catalana era già considerata il nuovo Paese dei Balocchi e aveva cominciato a suggestionare i suggestionabili ragazzi italiani. Il ragazzo, arrivato insieme a un amico che si trovava in vacanza in Liguria, a Porto Maurizio, e quindi raccolto grosso modo a metà strada, si fece subito una gran scorpacciata di Gaudí sia perché gli piaceva Gaudí sia perché a Barcellona, almeno così gli parve, altre cose importanti da vedere non ce n’erano (ad esempio: il mare dove caspita era finito? eppure sulle cartine Barcellona risultava sulla costa…). Vide il parco Guell, la casa Batllò, la casa Milà, o Pedrera che dir si voglia, e ovviamente la Sagrada Familia, dove salì gli innumerevoli gradini di pietra di una torre altissima e sottile, e nonostante il turismo e il barcellonismo non gli sembrò di essere in un luna park (qualcosa tipo le montagne russe che aveva sempre odiato) ma dentro un cuore lanciato verso Dio oltre l’ostacolo dell’indifferenza. Il giorno dopo il ragazzo, sempre accompagnato dall’amico, andò a Montserrat: le finalità erano mariane anche se poi della visita al santuario trattenne soltanto la visione di una bellissima ragazza con bellissimi occhiali da sole, una specie di lolita kubrickiana però mediterranea quindi con la pelle più scura e più compatta. Vicino alla stazione della funivia ci fu un tentativo di conversazione, presto abortito non tanto per la differenza linguistica peraltro assai lieve (il catalano sarà mica una lingua straniera), quanto per la sorveglianza dei genitori. Passò a Barcellona l’ultima notte spagnola, il ragazzo aveva lavorato come bagnino in Romagna e sapeva che l’ultima notte di vacanza è quella in cui anche le ragazze più ritrose concedono qualcosa, come se a casa dovessero portarsi a tutti i costi il ricordo almeno di un bacio, indispensabile per riscaldare di nostalgia l’inverno tedesco o bolognese, e gli venne la medesima smania e dopo un giro in locali uno peggiore dell’altro si ritrovò sulla rambla non esattamente sobrio e a distanza molto ravvicinata con una creatura di genere incerto, nemmeno lei esattamente sobria. All’ultimo momento l’amico lo strappò da quel pericoloso abbraccio, adducendo motivi sanitari più che morali. Fu un bene: di Barcellona il ragazzo si portò a casa il ricordo della Sagrada Familia e non di un corpo nudo, che di corpi nudi ne avrebbe visti ancora mentre di chiese così mai più nessuna. Per qualche tempo l’amico gli fece presente, specie quando aveva bisogno di un favore o di un prestito, di averlo salvato da aids sicuro ma il ragazzo non ne era così convinto, per quanto la creatura della rambla apparisse effettivamente promiscua e zozzetta, e comunque considerava inelegante l’eccessivo attaccamento alla vita mostrato dai salutisti, dagli atei e dai vecchi. Aids o non Aids, pensava che sarebbe morto ben prima della trasformazione del sogno di Gaudí in realtà, un momento che situava, a naso, nel famoso anno del mai. I giorni sono scivolati come acqua di fiume, senza chiedere permesso sono arrivati un nuovo millennio, una nuova moneta, un nuovo mezzo di comunicazione, tutto un nuovo mondo ha conquistato la scena ma quel ragazzo non è morto e forse domenica 7 novembre riuscirà a vedere, nello schermo del suo computer, Papa Benedetto (che Dio ce lo conservi) consacrare la Sagrada Familia.


Postato da: giacabi a 19:30 | link | commenti
gaudi

lunedì, 25 ottobre 2010

24 ottobre 2010

L'EVENTO

Gaudí, Nella Sagrada Familia catechesi in pietra

 

 
Nel 1977 Etsuro Sotoo era un giovane insegnante d’arte a Kyoto che sentiva il richiamo dell’arte stessa più che della sua didattica. «Il richiamo della pietra», dice lui. Piantò tutto e venne in Europa a far lo scultore. A Barcellona, imbattersi nella Sagrada Familia e rimanerne calamitato fu un tutt’uno. «Voglio fare lo scultore qui».

Con tenacia orientale cercò l’accesso e si ritrovò davanti all’architetto Puig i Boada, uno dei direttori del cantiere, che lo ascoltò e gli disse: «Scolpisca una foglia di nespolo». Solo una foglia? Gli sembrava un esame fin troppo banale, ma la commissione restò convinta. Quella foglia… sembrava fatta da Gaudí stesso. Non era imitazione, né falso, né piaggeria. Era sintonia. Da allora Sotoo ha completato molte parti in profondo accordo con il maestro.

Quarantatré anni dedicò Antoni Gaudí alla Sagrada Familia, dal 1883 al 1926, come i costruttori delle grandi cattedrali, in maniera sempre più intensa ed esclusiva, fino a trasferirsi dentro al cantiere. Alla sua morte era conclusa la cripta e qualche torre, ma egli vedeva l’immensa opera nei dettagli. Una soleggiata mattina d’inverno gli chiesero di spiegare il progetto e Gaudí descrisse a lungo ogni particolare con i relativi significati.

«Desideriamo che l’insieme del tempio sia un vero e proprio simbolo, un’opera d’arte in sintonia con l’epoca in cui viviamo… All’esterno mostrerà immagini apologetiche e catechetiche, per introdurre i fedeli alla contemplazione del mondo soprannaturale rappresentato all’interno». Le sue parole erano l’esposizione di ciò che ora vediamo nelle parti finite.

Ecco come delineava la facciata della Gloria, quella principale, che oggi non c’è ancora: «Poiché l’ideale supremo dell’uomo è la glorificazione di Dio, nella facciata si renderà onore alla Santissima Trinità, alla Sacra Famiglia, alle sue virtù e alla sua esemplarità nel lavoro. Saranno presentate tutte le verità di Fede, Speranza e Carità, e lo stato dell’anima dopo la morte, con il suo castigo o premio. Verranno raffigurate scene descritte nell’Apocalisse di san Giovanni… La facciata avrà un portico, le cui colonne mostreranno, nei capitelli, i doni dello Spirito Santo e i simboli delle virtù, mentre alla base saranno raffigurati i vizi opposti.

Sopra le cinque porte un fregio e, in aggetto nella parte centrale, i progenitori del genere umano, Adamo ed Eva. Al di sopra, san Giuseppe con Gesù adolescente rappresentati nel loro lavoro di falegnami, ricordo e glorificazione del lavoro umano della Sacra Famiglia. Nelle gallerie alte, a presiedere alla porta centrale, il gruppo di Cristo Nostro Signore, con gli strumenti della Passione, circondato da angeli, nel momento del giudizio delle anime
».

E così avanti in un disegno immaginario che un giorno si vedrà solidificato in pietra. Gaudí era cosciente che il suo ingente monumento avrebbe richiesto tempi molto lunghi e l’intervento di architetti e artisti diversi in epoche di gusti e tecnologie diverse. Così non volle fissare le tecniche costruttive perché sapeva che i progressi futuri avrebbero suggerito soluzioni migliori. Ma per lo stesso motivo lasciò terminate certe parti fino alla minuzia perché servissero d’orientamento in tempi avvenire. Com’è stato. Nella Guerra civile furono distrutti i progetti.

Ci sono rimaste le sue parole, forse i suoi sogni. «Sull’altare maggiore – spiegava – si adorerà il Divino Crocifisso, dal cui braccio verticale uscirà una vite, a simboleggiare le parole di Cristo: "Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto; chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca". La vite formerà un baldacchino che sarà allo stesso tempo un lampadario. Cinquanta lampade penderanno da esso, a ricordo della frase del Salvatore: "Io sono la luce del mondo", come nel primitivo altare di san Giovanni in Laterano».

Oggi, con le navate concluse, è bellissimo sentire ancora la sua voce dinanzi a ciò che è stato costruito un secolo dopo: «Stiamo studiando il modo di imprimere agilità e permettere il passaggio della luce, ottenendo leggerezza tramite l’assenza di masse murarie, mediante un sistema di archi parabolici che conducono le spinte fino alle fondamenta… Il tempio sarà molto luminoso, con belle filtrazioni di luce, combinandosi quella che scenderà dalle alte torri con quella dei finestroni di cristallo».

Etsuro Sotoo riconosce con modestia qual è stata la chiave che ha permesso di proseguire l’opera senza un progetto: non tanto guardare Gaudí, ma guardare dove guardava Gaudí: «Unire struttura, funzionalità e simbolismo è uno dei segreti dell’opera di Gaudí che dobbiamo imparare. Nel mondo di oggi l’autentico simbolismo, quello che può dirigerci verso il nostro destino, è assente. Il simbolismo dà senso a tutti i materiali. Il disegno dei simboli è come la genetica: nel mondo c’è caos e Dio ha messo ordine. Il simbolismo è il linguaggio con cui Dio ci fa capire l’ordine delle cose». Rimettendo le mani dove le aveva messe Gaudí, aggiungendo sculture e ornamenti, Sotoo è approdato alla fede cattolica. Un suggello dell’immedesimazione col maestro.



Postato da: giacabi a 21:22 | link | commenti
gaudi

domenica, 28 giugno 2009

BARCELLONA Guarda chi si vede alla Sagrada Familia: Bono Vox

***
di Paolo Perego
26/06/2009 - Il leader degli U2 in visita alla cattedrale catalana. A fargli da guida, Etsuro Sotoo e un gruppetto di amici. Cronaca di un pomeriggio fuori dall'ordinario
Etsuro e Bono sotto la cupola della Sagrada.
Etsuro e Bono sotto la cupola della Sagrada.
Barcellona, prima domenica d’estate. Tra le navate della Sagrada Familia cammina un gruppetto di persone. A guidarle c’è un personaggio che i lettori di Tracce conoscono bene: Etsuro Sotoo, lo scultore e architetto giapponese che ha consacrato la vita a proseguire l’opera di Gaudí. Ma la sorpresa gli cammina a fianco, camicia jeans e occhiali da sole a lente ampia. Quelli che porta anche quando sale sul palco, davanti a migliaia di persone. Il nome? Paul David Hewson. Ma il mondo lo conosce come Bono Vox, voce e leader degli U2.
Che cosa ci faceva una delle rockstar più famose di tutti i tempi in mezzo alle colonne del tempio catalano con un gruppo di amici di Sotoo?
Pochi giorni prima John Waters, giornalista irlandese, aveva accettato di fare da tramite per invitare l’amico cantante: Bono si sarebbe trovato già a Barcellona per il concerto di apertura del tour europeo - che porterà gli U2 anche a Milano il 7 e 8 luglio -, magari poteva essere un’occasione per incontrarlo. «Si può fare. Ma la settimana prima del concerto del 30», risponde l’assistente di Bono agli spagnoli che chiamano per una conferma.
Così ecco un piccolo gruppetto di amici con Sotoo ad aspettare all’appuntamento la rockstar: «Non ci credevamo, finché non è arrivato davvero», racconta Diego Giordani, responsabile della comunità di Cl di Barcellona. Bono è con un amico d’infanzia, Gavin Friday, un altro artista. La visita comincia. «
Ci aspettavamo una star, e invece è arrivato un uomo vero. Pieno di domande, di stupore, capace di lasciarsi sorprendere e toccare da quello che vede», racconta ancora Giordani. Il dialogo con Sotoo è serrato. Bono è curioso, lui che proprio alla Sagrada si è ispirato per le scenografie del suo concerto, come ha detto in un’intervista tv pochi giorni prima: «Gaudí ha progettato un luogo per l’adorazione. E la musica è adorazione. A volte di Dio, a volte della persona che ami, a volte della gente che ti sta attorno...». Il giapponese spiega, indica, racconta di Gaudí. Bono lo incalza tra le guglie: «Barcellona è la città del surrealismo... Miró, Dalí. In questi c’è un dinamismo che ritrovo nel realismo di Gaudí. Qual è l’origine di questo realismo?». Sotoo indica il gruppetto di amici: «Qualcosa che accomuna tutti noi: la fede». Bono ha un sussulto e sorride: «Hey man...». Accidenti. «Da lì in poi è come se si fosse sentito più tranquillo, come a casa», cerca di spiegare Giordani. La visita prosegue, tra spiegazioni di Etsuro e domande di Bono, che richiama l’amico ad ascoltare bene le parole del giapponese: un dialogo fitto, su Creazione, Trinità, Incarnazione, con l’irlandese che colpisce tutti citando a memoria il vangelo di Giovanni. Poi si ferma a guardare la cupola: «Vorrei essere toccato da tutta questa bellezza», e fa prendere per mano tutti e li fa pregare in cerchio. E ancora, quando scendono nella cripta: davanti alla tomba di Gaudí, Bono intona Amazing Grace: «Grazia straordinaria, com’è dolce l’annuncio che ha salvato un miserabile come me...».
Si risale, sono passate più di due ore. Bono si rivolge ancora una vota a Etsuro: «C’è una frase che amo di un filosofo che non amo: Nietzsche. “Perché una cosa diventi grande ha bisogno di una grande obbedienza nella stessa direzione”». E la stessa cosa la dice Sotoo: «Per capire Gaudí occorre guardare ciò che Gaudí guardava, stare dove Gaudí stava, e questo luogo è la fede».
Poi i saluti, e il regalo (una copia di The Religious Sense) e Bono abbraccia uno a uno i suoi compagni di questo straordinario pomeriggio: «Vi aspetto al concerto».

Postato da: giacabi a 22:41 | link | commenti
gaudi

giovedì, 12 marzo 2009

 Etsuro Sotoo
incontra alcuni studenti
***
 dal blog di: annavercors.
Ho ricevuto gli appunti, scarni e non rivisti dall'autore, di un incontro di alcuni studenti con Etsuro Sotoo*, l'architetto che sta completando la Sagrada Familia di Gaudì, e ve li trascrivo:

MARTEDI’ 3  MARZO 2009, BARCELLONA, SAGRADA FAMILIA, FACCIATA DELLA NATIVITA’ barcelona 0581
ETSURO SOTOO:

Magari voi avete una domanda. 

Siamo davanti alla facciata della Natività che Gaudì ha cominciato a costruire nel 1892, 1893. La prima cosa che ha fatto sono le tartarughe. E’ importante  costruire come fanno le tartarughe, piano piano  ma senza pausa.

Gaudì non fa le sculture per una cosa, ma per tre cose: struttura, funzione e simbolismo.

La simbologia delle tartaruga è piano piano, ma senza pausa. La funzione è quella di sostenere tutta la colonna, strutturalmente tutte le colonne hanno la funzione di far uscire l’acqua, di farla scendere  dalle grondaie alla bocca. 

In tutta la facciata ci sono sempre queste tre cose, cioè funzionalità, struttura, simbolismo. 

Adesso nel secolo XXI pensiamo di essere andati avanti, invece no.  

Gaudì è stato il primo uomo che è entrato nel secolo XXI. Noi non ce l’abbiamo fatta ad arrivare a Gaudì. Lui con una sola risposta rispondeva a tre domande o ancora più. Noi facciamo fatica a rispondere ad una cosa. Noi abbiamo in mente sempre di specializzarci in un campo soltanto. Tutti pensiamo che siano cose diverse, a me piace la letteratura, a te la matematica, a te il computer. Ognuno ha i suoi interessi che non c’entrano nulla gli uni con gli altri. La musica e la matematica non c’entrano niente l’una con l’altra. Non è così! Il fondatore della matematica ha cominciato dalla musica. Gaudì la prima cosa che ha fatto è fare una scuola per i ragazzi, una scuola per studiare: lo scopo era che i ragazzi potevano giocare con il fango, ballare, cantare e nello stesso tempo fare la  matematica insieme alla musica e alla ginnastica. Non dovete guardare le cose solo in profondo, ma  vedere anche come stanno di traverso.  Spero che la vostra visita oggi non sia solo per vedere la struttura o l’architettura, ma qualsiasi cosa che riguardi la vita.  Gaudì non è solo un genio dell’architettura, ma un genio del futuro. Gaudì ha cominciato a venir qui nel 1892 a fare questa facciata che è stata finita da un giapponese nel 2000.  L’angelo che vedete con l’arpa è tre metri di altezza. Quella che vedete è un’arpa senza corde, un’arpa senza corde non suona. La scultura è finita per me, non è finita per gli scultori. Quando voi vedete un Giotto, un Caravaggio voi pensate che sia già finito quello che è lì? Quel quadro o quella scultura pensate che sia finita?  No, chi finisce quel quadro o quella scultura? Noi! Senza noi l’arte, la scultura, la musica, qualsiasi cosa non esiste, non ha senso. L’arte è quello che nasce dentro il cuore di colui che la guarda. Questa è l’arte. Siete voi stessi a mettere le corde in quell’arpa, le corde del vostro cuore. L’unica cosa che io faccio è mettere la mano in modo che sembrino esserci delle corde. Ma siete  voi a sentire la musica uscire da quell’arpa quando la vedete. Gaudì fa tutto questo perché ogni mattina che veniamo qui capiamo una cosa nuova. Per questo diciamo che questo tempio è vivo, che è un catechismo vivo.   Se noi ci guardiamo intorno vediamo tutte le cose, vediamo gli uccelli, gli  alberi, la frutta, gli uomini, voi. Ma noi non ce la facciamo a vedere tutto, c’è sempre qualcosa che non riusciamo a vedere. Anche voi ascoltate le stesse cose dalla mia bocca, ma non tutti ascoltate tutto ciò che io dico nella stessa forma.  Questa imperfezione è buona. Per questo portiamo avanti le cose, per questo stiamo in piedi. Ma se non guardi bene, non è che non vedi la cosa che vede l’altro, se non  guardi bene peggio.   Uno si deve impegnare. Come possiamo impegnarci? Con l’amore.  Senza amore non nasce niente. Questa opera è molto importante ma senza il vostro cuore non serve a nulla.   Siete voi più importanti. Questo tempio lo facciamo per costruire voi. Gaudì costruiva il tempio ma in verità era il tempio a costruire lui. Aspettiamo che in qualche giorno del futuro voi diventiate ancora più grandi grazie a questo tempio.  La solita domanda: quando sarà finita l’opera? Quando voi sarete perfetti nel guardare. 

 DOMANDA: perché si è fatto cristiano? 

ETSURO SOTOO: Il mio lavoro è fare lo scultore. Io guardavo Gaudì per imparare ad essere uno scultore, perchè la virtù di un giapponese è terminare il proprio lavoro. Ma guardando Gaudì non trovavo ciò che stavo cercando. Mi sentivo sempre più lontano, decisi allora di non guardare Gaudì. Dove guardare allora? La cosa che ho fatto è stata allora non guardare Gaudì, ma guardare dove guardava Gaudì. Questo è il mio lavoro, tentare di guardare dove guardava Gaudì. Se hai degli amici, dei genitori, delle persone che ami non basta guardare a loro, devi guardare dove guardano loro.

L’amore non consiste nel guardare l’altro, ma nel guardare dove guarda l’altro. 

DOMANDA: lei ogni mattina viene qui? 

ETSURO SOTOO: sì alle sette e mezza.

DOMANDA: Che cosa vuol dire per lei ogni mattina venire alla Sagrada? 

ETSURO SOTOO: Entrare in casa mia. Prima di essere battezzato sentivo di entrare in casa d’altri, ora sono in casa mia.

DOMANDA: La ringraziamo tanto, ci metteremo il nostro cuore a guardare la Sagrada. 

ETSURO  SOTOO: Questa è casa vostra. 

Postato da: giacabi a 14:35 | link | commenti
gaudi

domenica, 19 ottobre 2008

Gaudì
 che meraviglia!
***


Antoni Gaudí
 

Postato da: giacabi a 09:18 | link | commenti (1)
gaudi

domenica, 21 settembre 2008

La vita è amore, e l’amore è sacrificio.
***
La vita è amore, e l’amore è sacrificio. A qualsiasi livello si osserva che, quando una casa conduce una vita prospera, c’è qualcuno che si sacrifica; a volte questo qualcuno è un domestico, un servitore. Quando le persone che si sacrificano sono due, la vita del nucleo diventa brillante, esemplare. Un matrimonio, in cui i due coniugi hanno spirito di sacrificio, è caratterizzato dalla pace e dall’allegria, che ci siano figli o no, ricchezza o no. Se coloro che si sacrificano sono più di due, la casa brilla di mille luci che abbagliano chiunque ai avvicini. Il motivo della crescita spirituale e materiale degli ordini religiosi è che tutti i membri si sacrificano per il bene comune (da A. Gaudí, Idee per l’architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi, a cura di I.Puig-Boada, Jaca Book, Milano, 1995, pag.277).




Postato da: giacabi a 08:51 | link | commenti
vita, gaudi

domenica, 03 agosto 2008

I valori simbolici nel fare un Tempio
***
Avvenire, 17 settembre 2006
Escono i diari di lavoro inediti in cui il grande architetto della Sagrada Familia spiega la sua sintesi di Medioevo e Rinascimento, confrontando le basiliche di Nôtre-Dame e del Sacré-Coeur a Parigi. L’attenzione ai valori simbolici che si rivela nell’ornamento
«È passato il tempo in cui fede e entusiasmo religioso edificarono un’infinità di chiese.Oggi nel fare un tempio si cerca l’imitazione di forme plastiche di altre epoche,anziché l’idea di divinità che esse racchiudono»
di Antoni Gaudì

Il carattere religioso è quello che tende sempre a ciò che è più grandioso, dal momento che il suo obiettivo è un mistero, qualità che si raggiunge mediante un’infinità di mezzi. Questo ci obbliga a considerare attualmente la religione in relazione alla società, dato che è passato il tempo in cui la fede e l’entusiasmo religioso edificarono un’infinità di cattedrali; tenendo presente che il carattere religioso procede in modo indeciso, gli oggetti religiosi soggiacciono a un’idea profana: l’arte. Nel fare un tempio non si pretende che esso abbia le qualità proprie di un Dio temibile che si sacrifica per il genere umano o che sia la dimora dell’onnipotenza di miliardi di sistemi solari; non ci si pone neppure l’obiettivo di lasciar trasparire una vittoria sublime, qual è il Sacrificio incruento. Si cerca piuttosto l’imitazione di forme di altre epoche, che certamente erano magnifiche a quel tempo, dato che ancora percepiamo qualcosa di quel sacro incenso. Ma quel linguaggio non è nostro, e ciò che vediamo nella riproduzione di quelle forme è più il ricordo delle forme plastiche, le reminiscenze di quegli uomini, che l’idea che esse racchiudono, rivelandoci in una maniera vaga la Divinità.
Ciò significa che nel riprendere gli stili gotici adoriamo più il Medioevo, con i suo pregi e i suoi difetti; le sue forme plastiche ci richiamano alla memoria fatti, personaggi e tradizioni di quelle genti; potendo affermare che questi ci comunicano più idee romantiche che religiose, la religione dell’arte di altri tempi genera una conseguenza; non un’arte che si identifica con la religione per esprimerla, quale dovrebbe essere, ma un’arte che si impone come stile. Ne deriva che le concezioni moderne sono ciò che potremmo chiamare puramente architettoniche; non si dà possibilità né alla pittura né alla scultura di mettere in evidenza i misteri della santa religione; non si consente loro neppure di occuparsi, come dovrebbero, della rappresentazione dei martiri, come nel Rinascimento con le sue brillanti e sublimi pitture; neppure il simbolo, che un tempo era tanto diffuso, ha l’importanza dovuta; essa è tutta rivolta, sembra ridicolo, alla foglia di cavolo, all’acanto, ai trafori, alle modanature, come forme puramente plastiche; infondono forse religiosità tali accessori che, come dettagli, non sono concordi con il nostro modo di essere? Dove sono quei rilievi espressivi che ci ricordano, ora il martirio, ora il mistero, la carità o la contemplazione?
Solo adesso si collocano alcuni santi, ma soltanto perché offrano la scusa per aggiungere un piedistallo o un baldacchino filigranato; si cerca cioè un pretesto per collocare una forma puramente plastica. Inoltre, i mezzi di esecuzione sono cambiati completamente; a quel tempo, tutta la filigrana idealizzata di quei templi si poteva realizzare a un costo non elevato, oggi la scultura più piccola, un insignificante capitello che le ombre della navata devono nascondere, costa in modo esagerato; per l’aumento del prezzo della manodopera è impossibile fare un uso generoso di modanature, trafori, sculture ecc.; per questo ci vediamo obbligati a essere parchi e persino miserabili una volta adottato lo stile; e necessariamente costruiamo edifici incompleti che non dicono nulla, perché gli elementi di cui disponiamo sono completamente diversi, i nostri edifici moderni possono, malgrado tutti i sacrifici, essere paragonati a quelli di quei tempi? Reggerà il paragone l’edificio del Sacro Cuore di Parigi con la cattedrale della stessa città, e non rimarrà piuttosto molto e molto indietro solamente nominando quelle di Reims, Colonia, Strasburgo, Chartres? Dove sono i monumentali portali, le sette torri, le immense volte? Occorre considerare che questi ultimi edifici sono dovuti all’iniziativa o di una popolazione o a quella di un principe, e il Sacro Cuore è o sarà dovuto allo sforzo di tutta la cristianità; questo per avere un enorme monumento che non rappresenta ciò che desideriamo e che non può esser e all’altezza delle costruzioni che vuole imitare. Ciò è dovuto al fatto che non disponiamo più degli elementi di allora, ma va anche detto che ne trascuriamo altri che ci potrebbero dare grandi risultati, lasciandoli vagare ibridi e senza meta, escludendoli da queste sublimi manifestazioni. Mentre il paganesimo si esprime prevalentemente con la scultura, e cioè mediante forme tangibili, per rappresentare la vita terrena con i suoi semidei ed eroi, il cristianesimo si serve della pittura come mezzo per tracciare spiritualmente le sue concezioni in un’atmosfera impalpabile, in un corpo senza rilievo ma intriso di espressione, di affetti morali.

È risaputo che un tempo, nei secoli dell’architettura gotica, non era diffuso l’uso dei sermoni, e fu solamente al tempo della Riforma, quando si crearono gli ordini di predicatori, che esso iniziò ad affermarsi. A quel tempo quindi la chiesa era solo un luogo dove si pregava e si praticavano gli atti religiosi e non vi si andava, come adesso, per istruirsi e fortificarsi moralmente per mezzo delle prediche. Prima la principale funzione era svolgere gli uffici religiosi; adesso se ne aggiunge un’altra, i sermoni, necessità che richiede di essere soddisfatta. Inoltre, sono sempre più frequenti, a causa delle nostre occupazioni quotidiane, le funzioni religiose serali. È inutile dire i vantaggi che ottengono le pitture dalla luce artificiale e l’alimento che danno alla parola le scene grafiche quando il senso che più si distrae, l’udito, trova una guida nella vista; condizione tanto più degna da prendere in considerazione, per quanto non molti anni fa, come accade tuttora in alcuni casi, si chiudevano tutte le tende durante il sermone, oscurando quasi completamente la chiesa, nell’intento di aiutare l’immaginazione a vedere vagamente scene in consonanza con il discorso sacro. Quanto abbiamo esposto finora corrisponde né più né meno all’ideale di alcune chiese rinascimentali, che era tuttavia avvolto da idee completamente opposte, ossia l’applicazione di forme ed elementi così esageratamente in rilievo che, come è naturale, il chiaroscuro della pittura appariva come una fantasmagoria vista attraverso un velo. Portiamo dunque avanti queste idee, che sono tanto radicate nel sentire comune e, invece di contrariare e contrariarci, risolviamo le difficoltà naturali; se ci riusciremo, avremo fatto molto.


Postato da: giacabi a 08:19 | link | commenti
gaudi

venerdì, 21 dicembre 2007

La vita è amore, e l’amore è sacrificio
 ***
 La vita è amore, e l’amore è sacrificio. A qualsiasi livello si osserva che, quando una casa conduce una vita prospera, c’è qualcuno che si sacrifica; a volte questo qualcuno è un domestico, un servitore. Quando le persone che si sacrificano sono due, la vita del nucleo diventa brillante, esemplare. Un matrimonio, in cui i due coniugi hanno spirito di sacrificio, è caratterizzato dalla pace e dall’allegria, che ci siano figli o no, ricchezza o no. Se coloro che si sacrificano sono più di due, la casa brilla di mille luci che abbagliano chiunque si avvicini. Il motivo della crescita spirituale e materiale degli ordini religiosi è che tutti i membri si sacrificano per il bene comune.
Antoni Gaudí, Idee per l’architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi Jaca Book,

Postato da: giacabi a 09:47 | link | commenti
gaudi

lunedì, 13 agosto 2007

Gaudì
***
“Dalla pietra al Maestro” – la personalità e la conversione di Gaudì al Meeting di Rimini
 
Michela Coricelli ha intervistato, per Avvenire, Josè Manuel Almuzara, Architetto e Presidente della Gaudì Beatification Society.
 Almuzara sarà presente al Meeting 2007 martedì 21 agosto per la presentazione del libro “Dalla pietra al Maestro” scritto da lui e da Etsuro Sotoo sulla personalità e conversione di Gaudì. Insieme a loro partecipano: Gabriel Cordoba, Architetto; Luisa Santolini, Presidente Fondazione Sublacense Vita e Famiglia, Luca Doninelli, Giornalista e Scrittore.


«Negli ultimi 10 anni, in un’epoca di forte anticlericalismo, visse come un eremita dentro la Sagrada Familia. La concepì come la cattedrale del nostro secolo. E il processo di beatificazione avanza»


Lo descrive come il modello di una perfetta «unione fra arte e fede», come un uomo «straordinariamente umile», che visse la penitenza fino in fondo. Fino alla morte. Quando un tram lo investì il 7 giugno del 1926 a Barcellona, era vestito così modestamente che nessuno lo riconobbe come il maestro della Sagrada Familia e lo trasportarono all'Ospedale della Santa Cruz, il ricovero per i più poveri. José Manuel Almuzara sa praticamente tutto della vita di Antoni Gaudí. Ha cercato di penetrare nelle pieghe di un'esistenza straordinaria, di ricostruire un lungo percorso artistico e religioso. Ma non lo ha fatto solo per motivi di studio. Perché l'architetto Almuzara - oltre ad essere un esperto del genio del modernismo catalano - è anche il presidente dell'Associazione Pro Beatificazione di Gaudí.
Professor Almuzara, a che punto siete con la causa?
«Il processo iniziò nel 2003, quando fu presentato a Roma tutto il materiale raccolto per anni. Ora stiamo realizzando la biografia di Gaudí: speriamo di completarla entro quest'anno. Ma non c'è fretta...».


Anche Gaudí diceva che non bisogna essere frettolosi...
«Diceva: "Il mio Cliente non ha fretta". Si sentiva un collaboratore di Dio nella creazione, era questo il suo obiettivo finale. Il suo cammino quotidiano lo portava verso l'unione fra l'architettura e la fede. In questo fu un santo. E trasmise tutto ciò nella sua arte. Un esempio: Gaudí fu molto devoto alla Vergine di Reus, come sua madre. Questa devozione mariana si riflette nella sua opera al Parco Guell: le sfere di pietra che lo decorano sono i grani del rosario con cui pregava ogni giorno».

Crede che avrebbe voluto manifestare la sua religiosità più di quanto gli fu possibile?
«Ci furono momenti drammatici: pensiamo alla "settimana tragica" di Barcellona del 1902. C'era un forte anticlericalismo, che poi esploderà più tardi, negli anni '30. Ebbene Gaudí per la Pedrera aveva pensato ad un gruppo scultoreo con una Vergine e due angeli, ma improvvisamente al la sua cliente venne una gran paura: pensò che esporre quelle statue sarebbe stato pericoloso. Risultato: Gaudí non realizzò mai il suo sogno di trasformare la Pedrera in un piedistallo per quel gruppo scultoreo».
Allo stesso tempo, piazzò una croce su un edificio di appartamenti borghesi che non aveva nulla a che fare con la religione...

«È vero: sulla cima di Casa Batlló mise una croce. Per lui fu sempre un simbolo onnipresente: il cammino di Cristo».
Perché fu un santo secondo lei?
«Visse cristianamente, visse il sacrificio. Fin da piccolo conobbe il dolore, con la morte della madre e poi della sorellina. Pur di studiare, dato che i mezzi in casa erano scarsi, si mise a lavorare già da giovane. Più tardi si occupò dell'anziano padre e di una nipote. Ma sono soprattutto gli ultimi 10 anni - in cui visse da solo nella Sagrada Familia, come un eremita - il periodo più splendido dal punto di vista religioso e della vita interiore».

Era un architetto esigente?
«Esigeva molto da se stesso, sia personalmente che professionalmente. Lo dimostra il fatto che lavorò alla Sagrada Familia per ben 40 anni. La concepì come la cattedrale per il secolo futuro, sapeva di dovervi riassumere tutta la propria conoscenza architettonica, umana e religiosa. Aveva un forte senso del perfezionismo e della penitenza. Nonostante la genialità, era umile: sapeva che è tutto opera di Dio».

Avete anche testimonianze di miracoli?
«Sono allo studio alcuni casi. C'è la storia di un signore catalano che fu operato per una protesi all'anca. L'intervento apparentemente andò bene, ma poi tutto si complicò. Era una situazione disperata. Soffriva. Il paziente era un caro amico dell'architetto giapponese Etsuro Sotoo (che ha il compito di terminare la Sagrada Familia, ndr), che gli consigliò di pregare Gaudí. Qualche giorno dopo stava già meglio. I medici non seppero spiegarsi il motivo, ma non aveva più bisogno di altre operazioni. Comunque ci sono diverse storie di persone di altre religioni c he hanno visitato la Sagrada Familia e hanno deciso di convertirsi».

Cosa la colpisce di più della vita di Gaudí?
«Le sue ultime ore. Una volta Gaudí andò all'Ospedale della Santa Croce per studiare l'anatomia umana insieme allo scultore con cui sempre collaborava, Lorenzo Matamala. Trovarono un signore completamente solo e sentirono una grande pena. Gaudí gli restò vicino, lo consolò, gli parlò, lo preparò per la "buona morte". A Matamala disse che avrebbe voluto morire così. E infatti...».

E infatti morì in quell'ospedale per i poveri...
«Sì. E per i suoi funerali, per le strade di Barcellona, scesero 6.000 persone, fra cui tanti poveri. È incredibile: un uomo che rivoluzionò l'arte, seppe restare sempre semplice e umile».  
               copiato dall'amica: http://www.annavercors.splinder.com/

 

Postato da: giacabi a 09:09 | link | commenti (1)
gaudi

venerdì, 15 giugno 2007

Gaudí
oggi parla giapponese
***
Da: www.avvenire.it   del 03-06-2007

«In tutta la sua vita non ha mai scritto un libro, ha trasmesso tutto ai discepoli e i discepoli poi lo hanno imitato. Diceva che gli uomini non creano niente. L’uomo può solamente scoprire, dentro la natura, ciò che può fare. L’ultima frase di Gaudí fu: "Un piccolo contributo dato alle parole di Dio". L’uomo può dare il suo contributo, ma non può creare»«C’era un unico spazio, nella Sagrada Familia, ultimato da Gaudì prima della morte, ed è stato distrutto nella guerra civile spagnola. Vi erano nascosti tutti i disegni, perciò ora non abbiamo più nessun originale. Mi hanno chiesto di restaurare questa parte e l’ho fatto. Ho realizzato una scultura di 52 centimetri, che raffigura una persona con una bomba»
Di Etsuro Sotoo
Sono circa trent'anni che lavoro alla Sagrada Familia. Ho studiato in una scuola pubblica di Kyoto, nel mio Giappone. Dopo l'università ho insegnato per un anno, ma desideravo venire in Europa perché sapevo che qui c'erano le vere pietre; volevo conoscere l'anima delle pietre. Così mi sono imbattuto nella Sagrada Familia. Trent'anni fa non si capiva se la stessero costruendo o distruggendo. Trent'anni fa c'erano solo dieci operai, ora siamo in duecento e arrivano due milioni e mezzo di visitatori ogni anno.
Quando ho cominciato a lavorare alla cattedrale volevo conoscere il progetto di Gaudí. Per prima cosa ho realizzato le gemme di piante, per rendere l'idea che questo edificio, di 175 metri d'altezza, sarebbe ancora cresciuto. Tuttavia non sapevo dove mettere le foglie. Secondo i miei calcoli la parte finale di una colonna aveva lo spessore di un centimetro. Una pietra spessa un centimetro è molto debole, non dura più di cento o duecento anni. Mi domandavo allora perché Gaudí avesse pensato a una struttura così debole. Per realizzare le foglie bisognava fare i calcoli, ma dove andavano collocate? Ci ho riflettuto a lungo, anche perché non c'erano indicazioni lasciate dal grande architetto. Un giorno pensai che mettendo una scultura in un punto debole l'avrei rafforzato. Quindi ho collocato le foglie nei punti più sottili della pietra. Così facendo, mi è sembrato di incontrare Gaudí per la prima volta. Ho pensato che intendesse realizzare strutture deboli pensando di rafforzarle con una scultura.
In seguito ho messo vicino al rosone duecento pietre scolpite a forma di frutto. Non riuscivo, però, a capirne il significato. Non c'era materiale scritto! Mi chiesi perché dovessero esserci frutti e foglie sopra le grandi vetrate. Al di là dei rosoni e delle vetrate, nella chiesa, si pronunciano parole come "Dio" e "Bibbia". Cosa c'entrano i frutti? Nessuno me lo sapeva spiegare. Il mio essere giapponese mi è stato d'aiuto, perché nella nostra lingua "parola" si scrive con due ideogrammi che significano rispettivamente "foglia" e "che dice, che parla". Se scrivo "sto parlando" è come se scrivessi "sto dicendo foglie". Ecco svelato il significato: le migliaia di foglie sono le parole di Dio e le nostre anime sono i frutti che maturano nel tempo. Il nostro corpo può disgregarsi, ma l'anima è destinata al Paradiso. Questo è simboleggiato dai frutti, realizzati in vetro di Murano e pesanti quindici tonnellate ciascuno. I frutti della primavera sono sulla parte orientale, dove sorge il sole, mentre sulla parte occidentale sono collocati i frutti autunnali. Gaudí voleva dire che l'uomo ascolta molte parole e legge molti libri, quindi coltiva i frutti, riesce a far maturare i frutti. Nessuno aveva capito che le foglie rappresentavano le parole. All'inizio del Vangelo secondo Giovanni si legge: «In principio era il Verbo», il verbo, la parola, ha energia, quella forza che permette all'uomo di realizzare la propria vita. Perché Gaudí cercava di trasmettere messaggi con elementi naturali come frutti o foglie? In tutta la sua vita non ha mai scritto un libro, ha trasmesso tutto ai discepoli e i discepoli poi lo hanno imitato. Diceva che gli uomini non creano niente. L'uomo può solamente scoprire, dentro la natura, ciò che può fare. L'ultima frase di Gaudí fu: «Un piccolo contributo dato alle parole di Dio». L'uomo può dare il suo contributo, ma non può creare. Molti mi chiedono: «Dove sono le tue sculture?». Ne ho realizzate tante, in Giappone e in Spagna, al di fuori della Sagrada Familia, ma sono tutte opere che provengono da ciò che ho imparato da Gaudí. Io non ho niente di originale e, se anche Gaudí ha imparato dalla natura, cosa c'è di originale in Gaudí? Eppure tutti visitiamo la Sagrada Familia, tutti andiamo a vedere i monumenti di Gaudí, colui che considerava il suo lavoro come un piccolo contributo alla creazione divina. Noi pensiamo che l'uomo possa creare qualunque cosa, ma non è vero. Abbiamo smesso di imparare dalla natura e questo ci conduce alla rovina.
Gaudí era un architetto. Per lungo tempo l'architettura si è contrapposta alla legge di gravità, grazie alla quale possiamo stare seduti. Se non ci fosse, galleggeremmo nell'aria. Quindi la gravità è una grande forza, eppure si pensava che l'architettura ne fosse disturbata. Gaudí diceva, invece, che il vero problema è la mancanza d'intelligenza nell'architetto. Ci sono edifici che stanno in piedi grazie alla gravità e altri che la gravità tenta di distruggere.
Le Twin Towers di New York erano alte trecento metri e, subito dopo la loro distruzione, c'era già il progetto per un albergo alto trecento metri. Invece Gaudí con la Sagrada Familia si è fermato a un'altezza di 175 metri, perché di fianco c'è una collina di 180 metri. Gaudí non voleva costruire un edificio più alto di ciò che Dio aveva costruito. Questa è saggezza
. La scienza progredisce in modo ordinato, ma non dobbiamo dimenticarci del cuore, ossia dell'umiltà. Sarà l'umiltà a proteggere l'uomo e la razza umana.
Diceva Gaudí: «Se volete fare un buon lavoro dovete avere prima di tutto l'amore, e poi la tecnologia, l'abilità». Non c'è prima la techne, l'abilità, la competenza e poi i soldi; prima di tutto, all'inizio, ci deve essere l'amore, che è assoluto. Poi vengono la tecnologia e i soldi. Se volete fare un buon lavoro dovete avere amore. Se si osserva la pianta della Sagrada Familia si nota che la distanza tra le colonne è di 7,5 metri. Si pensava, in Catalogna come in Giappone e in Italia, che un passo umano misurasse 75 centimetri. Dieci passi sono 7,5 metri: questo costituisce un modulo. Il doppio sono 15 metri, come l'altezza minima delle colonne. Le colonne più alte misurano 22,5 metri, cioè tre volte il modulo di 7,5 metri, e il tetto è sette volte il modulo: 52 metri. Quindi la Sagrada Familia è costruita in base a moduli di 7,5 metri ciascuno. Ci sono 90 metri dall'ingresso fino in fondo, cioè dodici volte 7,5 metri. Gaudí ha usato questo sistema come linguaggio architettonico, ma non ha mai dimenticato il cuore.
C'era un unico spazio, nella Sagrada Familia, ultimato da Gaudí prima della morte, ed è stato distrutto nella guerra civile spagnola. Vi erano nascosti tutti i disegni, perciò ora non abbiamo più nessun originale. Mi hanno chiesto di restaurare questa parte e l'ho fatto. Ho realizzato una scultura di 52 centimetri, che raffigura una persona con una bomba. A causa di quella bomba morirono venti persone. Gaudí sosteneva che l'uomo non è perfetto, ma con l'umiltà e l'amore si può salvare dalla distruzione. Aveva detto: «Vorrei che, quando farai esplodere la bomba, tu vedessi Dio». Questo è il messaggio scritto sulla scultura. Dall'altra parte c'è una ragazzina che vuole soldi per aiutare il malato che le è a fianco: è l'amore di una ragazza che si prostituisce per salvare qualcun altro.
Il messaggio di Gaudí è il seguente: quando una persona è sicura di avere completamente ragione, è in quel momento che il diavolo si insinua in lei. È questo il terrorismo: la completa sicurezza di se stessi.

Nessun commento: