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GESÙ CI FA GUSTARE DI PIÙ LA VITA
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«La
cucina dei polacchi, cattolici, è ottima; quella dei loro vicini
tedeschi orientali, protestanti, è pessima. Come mai, visto che clima e
materia prima sono uguali? Qui come altrove, la spiegazione è religiosa:
ovunque la gastronomia dei riformati è meno saporita e meno ricca di
quella dei cattolici. Il fatto è che il protestantesimo ha creato sì una
società economicamente assai vivace (Max Weber aveva ragione: le virtù
della borghesia industriale sono quelle dei calvinisti e dei puritani),
ma ha indebolito la joie de vivre: l'uomo è visto solitario davanti a
Dio, deve assumere tutto il peso delle sue azioni e delle sue colpe,
perfino quella dell'abbandono alla "sensualità" del cibo. Il
cattolico è più libero, meno complessato, perché sa che ad aiutarlo e a
giustificarlo c'è tutta una rete di mediazioni ecclesiali e culturali,
c'è soprattutto la confessione con il suo perdono liberante. Il
protestantesimo mette addosso una cappa terribile, dicendo: "Salvarti è
affar tuo, è un tuo rapporto personale con Dio". Così o gli uomini si
schiantano o sono costretti a fingere una virtù che non possono
praticare. E spunta quel pericolo dell’ipocrisia cui sono esposte tante parti d’Europa e dell’America del Nord.»
Leo Moulin
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Postato da: giacabi a 17:00 |
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bellezza, cristianesimo, moulin
«La fede è l'intelligenza
nella sua riuscita»
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«È all’intelligenza che Gesù fa costantemente appello.
E la sollecita. Il rimprovero costante sulla sua bocca è: non
comprendete, non avete intelligenza? Non credete ancora? aggiunge anche.
La fede che sollecita non ha nulla a che vedere con la credulità. Questa fede è precisamente l’accesso dell’intelligenza a una verità, il riconoscimento di questa verità, il sì dell’intelligenza convinta e non una rinuncia all’intelligenza, un sacrificio dell’intelletto. L’opposizione tra fede e ragione è una opposizione profondamente non cristiana, non evangelica.
Bisogna dimenticare questa dialettica troppo celebre, troppo famosa per
comprendere ciò che nel Nuovo Testamento si intende per fede, che è
l’intelligenza stessa nel suo atto, nella sua riuscita, e la conoscenza
stessa della verità insegnata, il riconoscimento del Maestro: il credere
nei Vangeli è questa scoperta, questa intelligenza della verità che è
proposta. Al ragazzo cui si insegna a nuotare, si spiega che in virtù di
leggi naturali non deve aver paura, nuoterà se farà alcuni movimenti
molto semplici. Il ragazzo ha paura, si irrigidisce, e non crede. Viene
il momento in cui fa esperienza che ciò che gli è stato detto è
possibile, crede, nuota.
Non si dirà che la fede, in questo caso, si oppone alla ragione, se ne
differenzia. Essa è per lui piuttosto identica; anche se la fede è
un’altra cosa dell’intelligenza, il sì dell’intelligenza alla verità che
essa vede, l’adesione alla verità vista e riconosciuta. Questo è il significato della parola pistis, pisteuein, nei Vangeli. Nel quarto Vangelo, la fede e la conoscenza sono costantemente associate come inseparabili: “Essi hanno conosciuto ed hanno creduto che tu sei il figlio del Dio vivente”. È appunto alla nostra intelligenza che Gesù si indirizza e non alla nostra credulità. Contrariamente
a quanto alcuni vorrebbero farci credere, la credulità e la debolezza
di giudizio non sono affatto un omaggio gradito a Dio. La
verità non richiede che l’uomo si abbassi ad animale, né che umilii la
ragione, che gli è, al contrario, necessaria per attingere la conoscenza
di Dio.
Noi subiamo in Occidente da parecchi secoli una tradizione che pretende
fondare la conoscenza di Dio sul deprezzamento della ragione, su una
frustrazione dell’esigenza di razionalità e di intelligibilità. Questa
cattiva coscienza nei riguardi della ragione non è giustificata nella
tradizione biblica ed evangelica».
(C. Tresmontant, "L’intelligenza di fronte a Dio", Jaca Book
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Postato da: giacabi a 21:20 |
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ragione, cristianesimo, tresmontant
La ragionevolezza della fede
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Questa è stata la provocazione di don Giussani: la ragionevolezza della fede. Il nostro metodo – diceva – ha lo scopo: « mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita», perché «mi ero profondamente persuaso che una
fede che non potesse essere reperta e trovata nell' esperienza
presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non
sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto,
tutto, diceva e dice l'opposto. [...] Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita [...] vuoI dire che la
fede corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del cuore di
ogni uomo [...] esigenze fondamentali con cui un uomo -volente o
nolente, lo sappia o non lo sappia giudica tutto, ultimamente giudica
tutto».
Il carisma che abbiamo incontrato -vi dicevo nella lettera che ho scritto alla Fraternità -ci affascinerà
sempre di più, soltanto se diventa esperienza nella nostra vita
quotidiana questo di più di umanità, questa evidenza della
corrispondenza di Cristo alle esigenze del cuore: perché così è stato l'inizio della nostra fede, come ci ha ricordato il Papa nella enciclica Deus caritas est: «All'inizio
dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea,
bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita
un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».
L'incontro,
cioè l'io di ognuno di noi colpito dalla presenza di Cristo: colpito
perché corrisponde alle esigenze del cuore, cioè realizza queste i
esigenze compiendole. Per questo, dall'inizio, il test del cristianesimo è stato questo incremento dell'io, questo di più del nostro io.
Nell'incontro, amici, si svela il metodo di ogni passo del cammino. Che cosa vuol dire l'incremento dell'io, l'avvenimento dell'io? Il
ridestarsi del cuore, l'apertura della ragione, la sfida della libertà e
il suo compimento, una più grande capacità d'affezione, una maggiore
capacità di stare nel reale con tutto noi stessi.
L'incontro con Cristo non elimina il senso religioso, anzi, lo ridesta. Diceva don Giussani: è la percezione di questo
avvenimento di Cristo che resuscita e potenzia le evidenze originarie
che costituiscono il senso religioso, cioè dà una maggiore capacità
all'io di stare nel reale, di vivere intensamente tutto. Per questo è allarmante quando scopriamo che «non ci siamo» nel reale.
Don Carron
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Postato da: giacabi a 14:38 |
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cristianesimo, carron
CRISTIANESIMO,
OVVERO
LA VITTORIA DELLA RAGIONE
Se Gesù non fosse nato sai che ridere
di Antonio Socci
E se Gesù non fosse nato? Non ci sarebbero - per esempio - né università, né ospedali. E nemmeno la musica. È
facile provare storicamente che queste istituzioni, nate nel medioevo
cristiano (come le cattedrali e l'arte occidentale), sarebbero state del
tutto inconcepibili senza la storia cristiana. Se Gesù non fosse venuto fra noi non ci sarebbe neanche lo Stato laico, perché - come ha dimostrato Joseph Ratzinger in un memorabile discorso alla Sorbona - è Lui che ha desacralizzato il potere il
quale da sempre ha usato le religioni per assolutizzare se stesso. Dopo
Gesù, Cesare non si può più sovrapporre a Dio, non può avere più un
potere assoluto sulle persone e le cose. Inizia la storia della libertà
umana. Se Gesù non fosse nato le donne non avrebbero alcun diritto, sarebbero considerate ancora cose su cui gli uomini hanno potere di vita e di morte, com'era perfino nella Roma imperiale. Se Gesù non fosse nato vecchi e malati continuerebbero ad essere abbandonati. Se Gesù non fosse nato non esisterebbero i diritti dell'uomo. Né la democrazia (ripeto: la democrazia e la libertà sarebbero stati inconcepibili). Se Gesù non fosse venuto avremmo ancora un sistema economico fondato strutturalmente sulla schiavitù e
quindi arretrato (oltreché disumano e bestiale), sempre al limite della
sussistenza. Invece Gesù è venuto e il continente che l'ha accolto, il
continente cristiano per eccellenza, l'Europa, di colpo ha fatto un
balzo inaudito nella storia umana, lasciando indietro tutto il resto del
mondo, perfino civiltà molto più antiche, come quella cinese. Gesù è venuto e l'essere umano è fiorito: la sua intelligenza, la sua genialità, la sua umanità, la sua creatività, la sua razionalità (soprattutto!).
LA VITTORIA DELLA RAGIONE Chi - abbeverato alle fonti avvelenate dell'ideologia dominante - nutre qualche dubbio in proposito può trovare intere biblioteche che lo dimostrano, ma, per tagliar corto, in queste giorni di vacanze può cavarsela leggendosi un libro. L'autore non è un apologeta cattolico, ma un sociologo americano di una università yankee: Rodney Stark. Il suo libro è stato tradotto da Lindau col titolo: "La vittoria della Ragione". Sottotitolo: "Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza". Il suo excursus lungo i secoli è documentatissimo e chiaro. Spiega che quando gli europei per primi cominciarono a esplorare il mondo, ciò che li stupì fu "la scoperta del loro grado di superiorità tecnologica rispetto alle altre società". Stark - per farsi capire scende nei particolari: "Perché per secoli gli europei rimasero gli unici a possedere occhiali da vista, camini, orologi affidabili, cavalleria pesante o un sistema di notazione musicale?". Il perché - come spiega Stark - risale a quella razionalità e a quel genio della realtà fioriti col cristianesimo. Gli esempi sembrano minimi (gli occhiali, i camini), ma si tratta di oggetti di uso quotidiano che hanno rivoluzionato la vita e la qualità della vita. Inoltre vanno compresi all'interno delle conquiste più grandi. Stark dimostra che è dal cristianesimo, dalla conoscenza di un Dio che ha razionalmente ordinato il cosmo, che deriva la «straordinaria fede nella ragione» che connota l'Occidente cristiano. «Sin dagli albori i padri della Chiesa insegnarono che la ragione era il dono più grande che Dio aveva offerto agli uomini... Il cristianesimo fu la sola religione ad accogliere l'utilizzo della ragione e della logica come guida principale verso la verità religiosa». Da qui, da questa "vittoria della ragione", da questa certezza che il mondo non è una divinità, né un capriccio inconoscibile degli dèi, ma è creato secondo un Logos razionale e può essere compreso e dominato dall'uomo, derivano la scienza, la tecnologia e per esempio - come conseguenza ultima di tipo sociale, il "capitalismo", cioè quel sistema di produzione regolato che ha portato a una prosperità mai conosciuta prima nella storia umana. Naturalmente andiamo per grandi linee. Potremmo dettagliare tutte le cose che stanno dentro queste svolte storiche: la legittimazione teologica e morale della proprietà privata e del profitto, la limitazione dell'arbitrio dello Stato, il diritto della persona a non essere schiavizzato (che ha provocato una quantità di scoperte e conquiste tecnologiche). La teoria della democrazia e dei diritti dell'uomo fiorì nei grandi monasteri che hanno civilizzato l'Europa barbarica, poi nelle università medievali e nella teologia successiva. Ed è stata recepita nelle istituzioni. È tutto un sistema di pensiero e di valori che ha letteralmente dato forma al nostro vivere quotidiano e che deriva da ciò che il cristianesimo ha portato nella storia umana. Il progresso stesso è un concetto nato dai padri della Chiesa e che non è concepibile se non nella concezione cristiana della storia. Stark dettaglia fino a particolari a cui noi normalmente neanche facciamo caso. Accendere la luce, avere acqua e riscaldamento in casa, muoversi a velocità inaudita sul pianeta coprendo distanze immense, comunicare da un capo all'altro del mondo, disporre di cibo oltre ogni immaginazione, dominare lo spazio, debellare tante malattie allungando la vita umana di decenni... Tutto questo - letteralmente - non sarebbe stato neanche immaginabile se quel giorno di duemila anni fa, a Betlemme di Giudea, non fosse nato Gesù. Non è un caso se le conquiste dell'Occidente cristiano hanno civilizzato e umanizzato tutto il mondo. Ma l'origine sta in quella strepitosa liberazione dell'umano e delle sue immense energie e potenzialità che è iniziata quando è venuto Gesù. Per questo - e non a caso - la storia si divide: prima di Cristo e dopo di Lui. Per questo anche un laico - se minimamente colto e avvertito - celebra il Natale come l'alba della prosperità e della libertà. Sia chiaro: non che l'Occidente cristiano sia di colpo diventato immune dal male. Tutt'altro. Il rischio di ripiombare nelle tenebre della disumanità è stato sempre presente ed è continuo. Ma anche il male dell'uomo, nel corso dei secoli, ha trovato finalmente la forza inesausta di Cristo nella Chiesa che l'ha contrastato, l'ha perdonato e redento, dilagando nella storia dei popoli cristiani. LA SANTIFICAZIONE Un grande poeta, Thomas. S. Eliot, ha colto questa drammatica lotta (di ogni giorno) dei popoli cristiani per vincere nel corso dei secoli la barbarie e la bestialità con questi versi: "Attraverso la Passione e il Sacrificio, salvati a dispetto del loro essere negativo;/ Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima;/ Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce./ Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un'altra via". Infatti, nonostante la liberazione storica che ha prodotto, Gesù non è nato innanzitutto per civilizzare il mondo, ma per santificare gli uomini, per renderli, da bestiali, divini. Diceva S. Agostino: "Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato libero dalla carne del peccato, se lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato. Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se lui non fosse arrivato". Se non fosse nato Gesù, saremmo tutti dei disperati. Ma Lui è venuto fra noi.
LIBERO 24 dic. 2006
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Postato da: giacabi a 21:23 |
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ragione, cristianesimo, stark
Vivere come se Dio non ci fosse.I cattolici e la battaglia per l’egemonia.***
Poco
prima di Natale, don Julian Carron ha introdotto gli esercizi
spirituali degli universitari di Comunione e liberazione denunciando la
grande confusione che domina la nostra società. Mi pare difficile dargli
torto, per chiunque. Ci
sono vedute differenti e spesso opposte non su questioni di secondo
grado, ma essenziali: la vita, l’amore, il sesso, la famiglia,
l’educazione e molto altro. Non che prima tali differenti
vedute non ci fossero, ma alcune di esse erano minoritarie rispetto ad
altre, assolutamente preminenti nell’informare la convivenza civile, pur
travagliata da scontri politici e ideologici violenti più di oggi. Oggi
tali differenti vedute sembrano egualmente prevalenti e di eguale
valore, trasversali si dice, di
fronte a un popolo che ondeggia smarrito verso le soluzioni più facili
che, sempre come si dice, permettano a ciascuno di fare quello che vuole
senza disturbare gli altri. La confusione è diventata
nutrimento quotidiano di menti deboli e moda, gioco in cui le diversità
possano stare gaiamente insieme e scambiarsi senza traumi o rimorsi.
Quando nelle mie lezioni di storia della medicina faccio qualche
affermazione decisa, per esempio sul valore fondamentale della vita, e
domando agli studenti cosa ne pensino, a parte l’imbarazzato silenzio,
la risposta più frequente non è di approvazione o negazione, ma: “Ognuno
può pensarla come vuole”. Anni fa partecipai a un memorabile pranzo con
don Giussani ed Emilio Komar, esule sloveno a Buenos Aires e grande
professore di filosofia neotomista, recentemente scomparso, anche lui
purtroppo. Komar era proprio preoccupato della moderna assuefazione alla
confusione. Per metterne in evidenza i danni disastrosi e la necessità
di combatterla la descriveva pressappoco così: “Un grande pentolone in cui si mette champagne rosé, Bordeaux d’annata, petrolio, urina di topo e poi si beve”. Il sentimento di schifo mi dura ancora adesso. Bisogna combattere la confusione
quindi, ma come si fa? Come si fa a ristabilire e fissare quelle poche
grandi idee, che con la dovuta larghezza costituiscano comunque gli
argini in cui possa scorrere la vita di una società sana? Non si può
certo fare la guerra civile. Come ha insegnato Gramsci, affascinando i
nostri intellettuali non solo comunisti, bisogna conquistare un’egemonia
culturale, imponendo un pensiero “forte” capace di mettere sotto quello
di tutti? Così ci si butta in battaglie ideali, articoli,
manifestazioni e sottoscrizioni di firme importanti. E’interessante
notare che queste iniziative riescono ad affermare e diffondere alcune
idee, mentre altre no. Perché? Nonostante la schiacciante astensione nel
referendum sulla legge 40, che pare aver confermato la natura
“cattolica” del popolo italiano, sulla stessa legge, pacs ed eutanasia,
il pensiero dominante che passa negli interventi di editorialisti,
scienziati, attori e umanità varia che conta è l’opposto. Tanto che c’è
chi sprona i cattolici a contendere, esponendo i propri intellettuali,
se ci sono. I cattolici che già si danno da fare un po’ si arrabbiano e
un po’ si scoraggiano: l’egemonia non sembra fatta per loro. Perché le
idee “cattoliche” non prendono? Un’idea, per diventare egemonica, ha
bisogno di una connivenza con il potere: se non il potere politico e
culturale, rispetto al quale si dichiara in opposizione, il potere che
sta dentro le coscienze, come affermazione di totale autonomia. Le
battaglie radicali, che appaiono così efficaci, puntano su questo;
questo è il motivo antropologico di tanto ribellismo che accomuna
incredibilmente la giovane disoccupata dei centri sociali con la top
model milionaria. Le tensioni egemoniche hanno come caratteristica non
solo quella di scalzare chi sta sopra, ma anche quella di non far salire
chi sta sotto, e sempre confinano o commerciano con la violenza. Così è
stato per il ’68 e per tangentopoli, i due fenomeni egemonici cui ho
assistito in diretta. Entrambi hanno costituito momenti di consenso
pressoché generalizzato, con sostituzione delle classi dirigenti ed
espulsione di chi dissentiva con violenza, non solo morale. In tal senso
l’egemonia non è la pacifica lotta di una superiorità intellettuale: è
reazione spesso sostanzialmente eguale al potere che attacca. Le idee
che diventano più facilmente egemoniche sono quelle che non prevedono,
da parte di chi le pratica, il sacrificio, ovvero la rinuncia al potere
di controllo della realtà. Per imporsi, richiedono dei sacrifici, ma
questi sono subiti, o esigiti, con la pretesa di eliminarli. Il
comunismo è un esempio formidabile. Ha cercato di realizzarsi attraverso
sacrifici immani di coloro che l’hanno perseguito e ancora di più di
coloro che l’hanno patito, ma con l’illusione di una futura perfetta
società di eguali e soddisfatti. In ciò ha trovato e ancora trova la sua
approvazione (come purtroppo dimostra il nostro governo). Ora, la
rivendicazione – chiamiamola così – dei valori cristiani non può
corrispondere al sogno egemonico. Rivendica valori che per essere
vissuti chiedono il sacrificio. Il
Papa ha più volte richiamato che l’essere cristiani è un’esperienza di
gioia. Si tratta tuttavia di una gioia “anomala”, risultato non
dell’affermazione di sé, ma dell’affermazione di un altro, di Dio,
ovvero di colui che creando la realtà è l’unico a conoscerne veramente
la struttura e a possederne le regole. Se l’uomo si inchina alle regole
di Dio, vive meglio, è più contento, ma prima deve inchinarsi.
Questa condizione può essere facilmente riconosciuta, ma per essere
accolta necessita una purezza ideale del tutto eccezionale. Infatti non è
difficile riconoscere la grande umanità di chi accoglie il limite, di
chi ama per tutta la vita, di chi rispetta l’ordine naturale. Tutti
ammirano san Francesco, nello stesso tempo in cui pensano che vivere
come lui è impossibile: troppo sacrificio e troppa obbedienza. Invece,
san Francesco è proprio la dimostrazione che è possibile vivere così,
per parafrasare il titolo di un libro di don Giussani, che consiglio a
tutti (“Si può vivere così?”, Rizzoli). Solo che una vita così non si
impara principalmente con i dibattiti sui giornali o alla televisione. Dio
non ha comunicato all’uomo il senso della vita, della sofferenza e
della morte attraverso definizioni. Ha parlato, certamente, ma facendosi
carne, condividendo la vita, la sofferenza e la morte. Dal punto di
vista dell’egemonia, come ha detto recentemente il Papa ai vescovi
svizzeri, “ha fallito”, non ha preso il potere, non ha risolto tutto: ha
rispettato la libertà dell’uomo mendicandone la collaborazione.
Ha affidato la resurrezione, la sua vittoria, alla testimonianza dei
suoi seguaci, pochi, senza istruzione e ai margini del mondo. I
cristiani, la chiesa non possono che annunciare questo messaggio e
praticare questo metodo, la cui popolarità, fino per esempio alla
supremazia medioevale, è stata resa possibile dalla consapevolezza, oggi
offuscata, che ragione e volontà non sono onnipotenti. La
pretesa egemonica è estranea alla azione dei cristiani. Non che non ci
caschino. Ci sono cascati e ci cascano ancora, ma, appunto, diventano
estranei a se stessi e insopportabili per gli altri. Insopportabili come
gli altri. Perché il problema non sta nel fare progetti, ma nel
pretendere che siano questi a guidare il cambiamento del mondo, a essere
egemonici.
Posto ciò, non significa che ai cristiani non piaccia vincere le
elezioni, non piaccia la forza della cultura e delle opere, non piaccia
una società informata dai propri principi - “La fede senza le opere è
morta” (Gc 2,17); i
cristiani non sono esentati dall’impegno nella storia, dal rischio di
scegliere, dalle contraddizioni e dalle guerre subite e fatte. Al
contrario dei non credenti, che sono stati invitati dal Papa a far tutto
come se Dio ci fosse, i cristiani non possono nascondersi dietro Dio,
devono fare tutto come se Dio non ci fosse, sapendo però che c’è ed è
l’unico a svelare e compiere il senso di tutto. Il primo moto dell’uomo
di fede è infatti la consapevolezza del limite proprio e altrui; la
consapevolezza che non c’è egemonia che possa realizzare ciò che la
libertà non può e non vuole: nessuna egemonia sulla libertà!
Giancarlo Cesana
Il Foglio |
Postato da: giacabi a 20:43 |
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cristianesimo, cesana
Viaggio in Terrasanta
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E' così a chi mi chiede se un viaggio in Terrasanta riesce
a confermare o a infiacchire la fede di un cristiano d’altre terre io
posso rispondere: ai cristiani di scarsa fede il viaggio sarà certamente
utile, perché solo un cieco e un sordo potrebbero negare che qui qualcosa è accaduto, qualcosa molto più importante della scoperta dell’America e delle dichiarazioni dei diritti dell’uomo.
(Eugenio Montale, Corriere della Sera 1964)
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Postato da: giacabi a 19:34 |
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montale, cristianesimo
Riflessione del filosofo inglese Scruton Roger
sulla crisi dell'uomo occidentale
Alcuni brani dell'intervento del filosofo inglese ' tenutosi a Milano e Roma nei giorni 29 e 31 maggio 2006 riportato dal settimanale Tempi.
“Io stesso mi sono prefissato il compito di dimostrare, nel modo più
chiaro possibile, che la
tradizione democratica liberale, generalmente considerata il frutto
dell'illuminismo europeo, è in realtà un prodotto del cristianesimo. Deve naturalmente qualcosa a Moses Mendelssohn, il padre dell'illuminismo ebraico. Ma deve ancora di più a una tradizione di pensiero che risale fino all'inizio del papato e che considera il governo laico e la libertà di coscienza come i due pilastri fondamentali della pace sociale.
Nessuna di queste due cose è riconosciuta dal Corano, che considera
tutta la legge e il governo come un affare riservato al reggente di Dio
sulla terra e che permette la conversione all'islam ma non quella ad
altre religioni. La tensione che esiste tra islam e democrazia non è una
casualità della storia. Riflette invece la profonda opposizione tra la
concezione islamica e cristiana del rapporto tra Dio e l'uomo.
Ora, mi sembra che le libertà laiche dalle quali dipende la nostra vita culturale e intellettuale non esisterebbero senza l'eredità cristiana. E scomparirebbero non appena questa eredità fosse soppressa. Per averne la prova basta osservare la storia del Ventesimo secolo. Non appena hanno trionfato i credi ateistici del marxismo-leninismo e del nazismo tutte le libertà di cui gli intellettuali godevano sono state soppresse. Osservate l'odierno mondo musulmano, dove gli scrittori e i pensatori sono censurati e talvolta minacciati addirittura di morte, come nel caso di Naguib Mafouz. Provate a cercare in qualsiasi parte del mondo le libertà laiche che noi consideriamo un valore fondamentale e troverete con ogni probabilità una cultura cristiana o una cultura profondamente influenzata dalla tradizione giudaico-cristiana. Per creare un consenso pubblico il primo elemento di cui abbiamo bisogno è quindi la disponibilità a privilegiare l'eredità giudaico-cristiana. Dovrebbe essere promossa nei dibattiti, nei programmi di studio scolastici e nelle università, non per imporla come una fede ma per stimolare una visione illuminata di ciò che siamo e di dove stiamo andando. I giovani di oggi sono affamati dal desiderio di conoscere questa eredità; sanno istintivamente che gli appartiene per diritto di nascita, e sono convinto che l'accoglieranno non appena sarà messa a loro disposizione. Ci sono le condizioni giuste per realizzare questo obiettivo. Infatti, questi giovani sono esposti alla sfida esistenziale dell'islamismo radicale, che gli pone questa domanda: chi siete voi, e per quale motivo dovrei rispettarvi? E chi non possiede un senso del passato non è in grado di rispondere a questa domanda. Ma l'opera di costruzione del consenso non è compito esclusivo degli intellettuali. Tutto quello che gli intellettuali possono fare è liberare il campo nel quale possono sbocciare le idee e combattere la cultura del rifiuto. Importanza ancora maggiore va assegnata alla reintroduzione, nella cultura della gente, delle concezioni cristiane sulle quali si fondano le norme sociali della vera Europa. Questa è stata l'opera realizzata dalla Chiesa, ma la Chiesa non è più in grado di farlo da sola, perché ormai le sue parole sono ascoltate soltanto da una minoranza. Forse la società europea tornerà un giorno alla sua fede ancestrale. Ma non possiamo darlo per scontato. E più probabile che si apra una lunga fase di scetticismo. Ciononostante, le concezioni cristiane possono essere recuperate anche in presenza di atteggiamento scettico. Fracasso e rifiuto Dovremmo riappropriarci del più importante dono che ci ha fatto il cristianesimo, vale a dire il perdono. La felicità non deriva dalla ricerca del piacere e non è garantita dalla libertà. La felicità nasce dalla rinuncia: è questo il grande messaggio della religione cristiana e anche il messaggio espresso da tutte le opere memorabili realizzate dalla nostra cultura. Questo messaggio è stato soffocato dal fracasso del rifiuto; ma, a mio parere, può ancora essere sentito se ci impegniamo a riportarlo in superficie. E per la tradizione cristiana il supremo atto di rinuncia è il perdono: rinuncia alla rabbia e al desiderio di vendetta. Questo può essere insegnato a qualsiasi livello: nella famiglia, nelle aule scolastiche, nelle istituzioni della società civile e persino nel mondo degli affari.”
"L’idea di perdono, simboleggiata dalla Croce, distingue l’eredità cristiana da quella musulmana. Una lettura corretta del messaggio cristiano fa del perdono dei nemici un elemento centrale della dottrina. Cristo
ci ordina persino, quando siamo aggrediti, di porgere l’altra guancia.
Ma […] egli ci pone di fronte un ideale personale, non un progetto
politico. Se
sono aggredito e porgo l’altra guancia, allora incarno la virtù
cristiana della mansuetudine. Ma se mi è stato dato in custodia un
bambino che viene aggredito, e porgo l’altra guancia del bambino,
divengo complice della violenza
Questo è il modo in cui un cristiano dovrebbe comprendere il diritto
alla difesa, ed è come esso è inteso dalle teorie medievali della guerra
giusta. Il
diritto alla difesa nasce dalle obbligazioni nei confronti degli altri.
Sei obbligato a proteggere coloro il cui destino è sotto la tua
custodia. Un
leader politico che porge non la sua guancia ma la nostra, si rende
partecipe della successiva aggressione. Perseguendo l’aggressore, anche
in maniera violenta, il politico serve la causa della pace e anche
quella del perdono, del quale la giustizia è lo strumento".
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Postato da: giacabi a 15:37 |
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cristianesimo, scruton
Senza la tradizione cristiana
si ricade nella barbarie
Alcuni brani tratti dal libro: I caratteri dell'età contemporanea di R. Vivarelli
«Dalla congiunzione di libero arbitrio e libertà di coscienza nasce la libertà dei moderni... Se noi perdiamo di vista il fatto che la moderna idea di libertà nasce sul terreno religioso,
che le moderne istituzioni liberali hanno avuto come fine originario
quello di .garantire la libertà di coscienza, di quella idea di quelle
istituzioni non si capisce più niente.
Soprattutto non si capisce che la libertà dei moderni afferma per ogni
persona un diritto e un dovere: ciascuno è libero in quanto responsabile
egli stesso e della sua sorte finale, e di quella parte della cosa
pubblica che da lui dipende. In altre parole, la libertà ha in primo luogo un fine morale»
«il sistema
morale di Adam Smith ha il suo cardine nella presunzione che la
generalità degli esseri umani avverta uno spontaneo sentimento di
giustizia e condivida nei confronti del prossimo sentimenti di benevola
simpatia…questa condizione , da lui data per scontata,
in realtà è un acquisto storico, il punto di arrivo di un processo
avvenuto in una parte del mondo occidentale, le cui radici... , sono
state rinnovate e fatte fruttificare da una particolare lettura dell' esperienza cristiana. Si
deve all'evoluzione di questa esperienza, in un certo momento del suo
percorso, l'affermazione della coscienza individuale e, insieme, il
riconoscimento della eguale dignità di ogni persona umana»….
Di fatto il liberalismo di cui ora si scorgeva il declino non aveva radici religiose proprie, ma si fondava nella tradizione cristiana, e il disagio che in quel torno di tempo soffrì non corrispose ad una crisi della ragione, bensì proprio alla crisi della fede»…
.«Nella storia della cultura europea la secolarizzazione ha significato la fine dell’umanesimo e la fine della poesia ….
Venuti meno i presupposti di quella
cultura che aveva saputo dare risposta agli interrogativi più
inquietanti della condizione umana e offerto regole certe di
comportamento, si veniva formando al suo posto una cultura nuova,
la quale rinunciava intenzionalmente ad assumersi quello che in
precedenza era stato il compito primario di ogni cultura: dare una ragione alla disperazione del vivere. …
Ma
senza prendere posizione sui problemi ultimi dell'esistenza non si
danno regole certe di comportamento, per cui si apre la strada al
relativismo. In effetti, mentre si dissolveva il quadro di valori dal quale derivava il carattere precettivo de!le norme morali, questa nuova cultura non era in grado di proporne uno alternativo. sicché, da allora in avanti, si poté ritenere che tutto quanto è possibile fosse lecito.
Progressivamente si è venuto così disegnando per le vicende umane uno scenario nel quale la virtù è diventata superflua e, nonostante ogni affermazione contraria, si è imposta di fatto, sovrana, la forza materiale. Senza
più l'autorità di un'idea morale, ormai priva di fondamento, non
sorprende che si sia potuta aprire la strada a nuove forme di barbarie».
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Postato da: giacabi a 19:43 |
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libertà , cristianesimo, vivarelli
Postato da: giacabi a 08:28 |
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comunismo, cristianesimo
IL PERDONO INCREDIBILE
Nemmeno
don Gino Rigoldi crede che un uomo dal cuore semplice, educato nella
fede cristiana, possa concedere il proprio perdono agli assassini della
figlia, della moglie e del nipotino; e che possa concederlo non già dopo
un lungo pensamento ma come un atto immediato, come il riconoscimento
immediato della verità delle cose.
Il
perdono non è soltanto un punto di arrivo dopo un processo di
metabolizzazione, ma anche e soprattutto qualcosa che sta all'inizio,
un'evidenza prima. È come quando
qualcuno, di fronte a una situazione, dice la parola che la definisce
esattamente: tutti ci sentiamo subito meglio e diciamo: «ecco, è proprio
così».
La
verità del torto che subiamo sta nel suo perdono. Finché non c'è il
perdono è come se mancasse qualcosa: per questo il proverbio dice che
«la miglior vendetta è il perdono», perché senza perdono la vendetta è
insipida, mentre il perdono è la parte gustosa della vendetta, in quanto
ci ridà la verità perduta.
Poi
verrà tutto il processo, necessario affinché quel gesto spontaneo
diventi consapevole, di cui parla don Rigoldi. Verranno i ripensamenti e
le crisi e la vittoria finale del perdono.
Ma
se non c'è quella spinta all'inizio, che viene dal cristianesimo, è
difficile trovare il perdono per strada: anche perché, di solito, i
ripensamenti, le notti insonni e il tempo macerano gli animi, producono
esacerbazione o dimenticanza, non certo perdono.
Nemmeno
i preti (meglio: alcuni preti) credono più che il cristianesimo possa
riconciliare l'uomo con la sua natura, rendendolo capace di gesti umani
semplici e immediati, prima di tutti i metabolismi.
I fatti invece, per nostra fortuna, testimoniano il contrario: Carlo Castagna ne è un esempio.
Una radice cristiana, popolare, ignorata per decenni da politici e
intellettuali, permane nel tessuto italiano molto più di quanto
pensiamo, e si esprime in questi gesti limpidi, che oggi ci sembrano
fiori cresciuti nel deserto mentre esprimono la normalità dell'esistenza
cristiana.
Di Luca Doninelli - Il Giornale
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Postato da: giacabi a 14:42 |
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croce, cristianesimo
Essere una cosa sola in Dio
Essere una cosa sola con Dio: questa è la prima cosa. Ma una seconda ne segue immediatamente. Se nel corpo mistico Cristo è il capo e noi le membra, allora noi siamo membra gli uni degli altri e tutti insieme siamo una cosa sola in Dio, una vita divina. Se Dio è in noi e se egli è amore, allora non possiamo che amare i fratelli. Per questo il nostro amore del prossimo è la misura del nostro amore di Dio.
Ma si tratta di un amore diverso dall’amore naturale per gli uomini. L’amore
naturale si dirige verso questo o verso quello, verso chi è a noi
legato da vincoli di sangue, da affinità di carattere o da interessi
comuni.
Gli altri sono "estranei", di essi "non ci importa alcunché", anzi
possiamo addirittura provare avversione nei loro riguardi a motivo della
loro indole, per cui ci guardiamo bene dall’amarli.
Per il cristiano non esiste alcun "estraneo".
Nostro "prossimo" è chi sta via via davanti a noi e ha più bisogno di
noi, sia egli o meno nostro parente, ci "piaccia" o no, sia "moralmente
degno" o meno del nostro aiuto. L’amore di Cristo non conosce confini, non viene mai meno, non si ritrae di fronte all’abiezione morale e fisica. Cristo è venuto per i peccatori e non per i giusti. E se il suo amore vive in noi, allora agiamo come lui e andiamo dietro alla pecorella smarrita.
L’amore naturale tende ad avere per sé la persona amata e a possederla nella maniera più indivisa possibile. Cristo è venuto per riportare al Padre l’umanità perduta; e chi ama col suo amore vuole gli uomini per Dio e non per sé.
Questa è naturalmente nello stesso tempo la via più sicura per possederli eternamente: quando infatti abbiamo posto in salvo una persona in Dio, siamo con lei in Dio una cosa sola, mentre il desiderio di conquistarla conduce spesso - anzi prima o poi sempre - alla sua perdita. Ciò vale per l’altrui anima come per la propria e per ogni bene esteriore: chi si dedica alle cose esteriori per conquistarle e conservarle, le perde. Chi ne fa dono a Dio, le guadagna.
Edith Stein[Testo tratto da: La mistica della croce - Scritti spirituali sul senso della vita, Città Nuova 1985, p.64
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Postato da: giacabi a 23:51 |
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santi, cristianesimo, stein
L’incontro con Cristo è la vera risposta al bisogno umano
Dall’omelia pronunciata dal Cardinale Joseph Ratzinger
in occasione dei funerali di don Luigi Giussani Duomo di Milano, 24 febbraio 2005
***
..“Questa centralità di Cristo nella sua vita gli ha dato anche il dono del discernimento,
di decifrare in modo giusto i segni dei tempi in un tempo difficile,
pieno di tentazioni e di errori, come sappiamo. Pensiamo agli anni ’68 e
seguenti, un primo gruppo dei
suoi era andato in Brasile e qui si trovò a confronto con questa
povertà estrema, con questa miseria. Che cosa fare? Come rispondere? E
la tentazione fu grande di dire: adesso dobbiamo, per il momento,
prescindere da Cristo, prescindere da Dio, perché ci sono urgenze più
pressanti, dobbiamo prima cominciare a cambiare le strutture, le cose esterne, dobbiamo prima migliorare la terra, poi possiamo ritrovare anche il cielo. Era la tentazione grande di quel momento di trasformare il cristianesimo in un moralismo, il moralismo in una politica, di sostituire il credere con il fare. Perché, che cosa comporta il credere? Si può dire: in questo momento dobbiamo fare qualcosa. E tuttavia, di questo passo, sostituendo la fede col moralismo, il credere con il fare, si cade nei particolarismi, si perdono soprattutto i criteri e gli orientamenti, e alla fine non si costruisce, ma si divide. Monsignor Giussani, con la sua fede imperterrita e immancabile, ha saputo, che anche in questa situazione, Cristo, l’incontro con Cristo rimane centrale, perché chi non dà Dio, dà troppo poco e chi non dà Dio, chi non fa trovare Dio nel volto di Cristo, non costruisce, ma distrugge, perché fa perdere l’azione umana in dogmatismi ideologici e falsi, come abbiamo visto molto bene. Don Giussani ha conservato la centralità di Cristo e proprio così ha aiutato con le opere sociali, con il servizio necessario l’umanità in questo mondo difficile, dove la responsabilità dei cristiani per i poveri nel mondo è grandissima e urgente.”……. |
Postato da: giacabi a 21:27 |
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cristianesimo, benedettoxvi
Cristianesimo moralistico
Massimo Borghesi da: un articolo pubblicato su l’Eco di Bergamo, 11 giugno 2006
L’esperienza del cambiamento
***
La
vita cristiana, priva di attrattiva, diviene un luogo di resistenza, di
“reattività”. È determinata da un negativo non primariamente da una
positività. Il
cristianesimo scivola lungo la china del risentimento,
dell’insoddisfazione. Diviene la soluzione per chi anziano; per chi è
giovane permane la sensazione, con il passare degli anni, di aver perso
delle opportunità, di aver goduto meno. A
tutto ciò, sul piano di un cristianesimo moralistico, non v’è
alternativa. Né si può pensare che la via d’uscita stia in una
religiosità “edonistica”, estetica, post-moderna. La riduzione teatrale
della fede, fatta di un giovanilismo giullaresco, è semplicemente
patetica. Ciò che rende vere le parole del Papa è l’educazione a un “affermativo” che viene prima di tutto. Questo affermativo, Gesù Cristo, se riconosciuto è Colui che permette di valorizzare l’integralità dell’esistenza, dello spazio e del tempo. Colui che consente di restituire senso ai frammenti perduti della vita, all’assurdità della morte. Il cristianesimo diviene l’introduzione alla realtà totale,
principio di una esperienza di verifica della corrispondenza tra il
Mistero, incontrato nel suo aspetto umano, e le esigenze più profonde
del proprio animo. In questa verifica l’uomo può misurare l’incremento di umanità, gioia, pazienza, tenerezza, forza, che gli è data. Un
incremento, per il quale l’attrattiva cristiana è più potente di quella
del mondo, che motiva l’affezione a Colui che è fonte della gioia. L’amore cristiano nasce da una gratitudine, non da un dovere. È l’amore che sorge nell’esperienza di un cambiamento. Un cristianesimo che parte dal “no” non può rispondere alla provocazione moderna. Solo l’esperienza del soprannaturale può farlo.”
Che Gesù diventi il Signore della nostra vita
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Postato da: giacabi a 08:53 |
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cristianesimo
L’avvenimento della persona Gesù
Da ultimo il Cristianesimo
non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. Esso è
anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale.
Questo è costituito da Gesù di Nazaret, dalla Sua concreta esistenza, dalla Sua opera, dal Suo destino cioè da una personalità storica. Una certa analogia di tale situazione avverte colui per il quale un uomo acquista un significato essenziale.
Non l'"Umanità" o l'"umano" divengono in tal caso importanti, ma questa
persona. Essa determina tutto il resto, e tanto più profondamente e
universalmente quanto più intensa è la relazione. Ciò può avvenire in un
modo così possente che tutto, mondo, destino, compito si attua
attraverso la persona amata; essa è come contenuta in tutto, tutto la fa
ricordare, a tutto essa dà un senso. Nell'esperienza
di un grande amore tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io-Tu, e
tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito.
L'elemento personale a cui in ultima analisi intende l'amore e che
rappresenta ciò che di più alto c'è fra le realtà che il mondo
abbraccia, penetra e determina ogni altra forma: spazio e paesaggio,
pietre, alberi, animali
Tutto ciò è vero, ma ha una risonanza solo tra questo Io e questo Tu. A misura che l'amore si fa più illuminato, sempre meno pretenderà che ciò che costituisce per lui il centro focale del mondo debba esserlo anche per gli altri. Una simile pretesa potrebbe essere sincera dal punto di vista lirico, ma per il resto sarebbe stolta. Nel Cristianesimo le cose stanno altrimenti. Non si fa dipendere dal presentarsi di un incontro d'amore che la persona unica di Gesù diventi per l'uomo la realtà religiosa decisiva, ma essa è tale incondizionatamente e per se stessa. E che essa sia afferrata come tale dal singolo uomo, non è una possibilità lasciata al libero accadere, come lo svegliarsi di una inclinazione, che viene quando viene, ma è un'esigenza posta alla coscienza. Il Cristianesimo afferma che per l'incarnazione del Figlio di Dio, per la Sua morte e la Sua risurrezione, per il mistero della fede e della grazia, a tutta la creazione è richiesto di rinunciare alla sua apparente autonomia e di mettersi sotto la signoria di una persona concreta, cioè di Gesù Cristo, e di fare di ciò la propria norma decisiva. Dal punto di vista della logica questo è un paradosso, perché sembra mettere in pericolo la stessa realtà della persona. Ma anche il sentimento personale si ribella contro questo. Poiché l'accettare una legge generale che si è dimostrata giusta sia essa una legge della natura o del pensiero o della moralità non è difficile per la persona. Essa avverte che in tale legge essa continua ad essere se stessa; anzi, che il riconoscimento di siffatte leggi generali può tradursi senz'altro in un'azione personale. Ma all'esigenza di riconoscere un'"altra" persona come legge suprema di tutta la sfera della vita religiosa e con ciò della propria esistenza la persona contrasta con vivacità elementare, e si capisce che cosa può significare la richiesta di "rinunciare alla propria anima". Romano Guardini. L'essenza del cristianesimo. Morcelliana, Brescia |
Postato da: giacabi a 14:58 |
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cristianesimo, guardini
Cos’è il cristianesimo
2a parte
«Molti
pensano che sia sufficiente credere nella morale di Cristo per essere
cristiano. Non la morale di Cristo, né l'insegnamento di Cristo
salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si è
fatto carne. Questa fede non soltanto è il riconoscimento mentale della superiorità del suo insegnamento, ma spontanea inclinazione. Bisogna precisamente credere che l'ideale definitivo dell'uomo è sempre il Verbo incarnato, il Dio incarnato.
Perché
con questa fede soltanto noi perveniamo all'adorazione, a quell'estasi,
che più di tutto c'incatena a Lui direttamente e ha il potere di non
far deviare l'uomo.
Con
un minor entusiasmo l'umanità forse senz'altro avrebbe deviato,
dapprima nell'eresia, poi nell'ateismo,poi nell'immoralità e infine
nell'ateismo e in uno stato di trogloditi sarebbe marcita e scomparsa.»
Dostoevsckij, i demoni
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Postato da: giacabi a 07:48 |
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dostoevskij, cristianesimo
Cos’è il cristianesimo
<<Il cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. Esso è questo, ma non in questo consiste il
suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla
sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino -cioè da una
persona storica -.Una certa analogia di tale situazione avverte colui per il quale un uomo acquista significato essenziale. Non "l'Umanità" o "l'umano" divengono in tal caso importanti, ma questa persona. [...]
Non c'è alcuna dottrina, alcuna struttura di valori morali, alcun atteggiamento religioso o
ordine di vita, che possa venir separato dalla persona di Cristo, e dei
quali poi si possa dire che siano l'essenza del cristianesimo.
Il
cristianesimo è Egli stesso; ciò che per mezzo suo perviene agli
uomini, e la relazione che per mezzo suo l'uomo può avere con Dio.
Un
contenuto dottrinale è cristiano in quanto viene dalla sua bocca.
L'esistenza è cristiana in quanto il suo movimento è determinato da Lui.
In tutto ciò che voglia essere cristiano, Egli dev'essere compresente.
La
persona di Gesù Cristo nella sua unicità storica e nella sua gloria
eterna, è di per sé la categoria che determina l'essere, l'agire, e la
teoria di ciò che è cristiano,>>.
(R. Guardini, L'essenza del Cristianesimo
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Postato da: giacabi a 07:35 |
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cristianesimo, guardini
«Guardate ogni giorno il volto dei santi
e traete conforto dai loro discorsi» La Didaché
da: www.tracce.it
Il cristianesimo è
per la felicità dell'uomo
Enzo Piccinini
Il
fatto cristiano ridotto a regole morali. Questo è il dramma di oggi.
Che Dio si sia incarnato ha bisogno di una verifica: si deve vedere. Una
presenza che determina il rapporto con tutta la vita. La sfida della
Chiesa. Una testimonianza di Enzo
Il 14 maggio 1999, pochi giorni prima di morire in un incidente stradale (26 maggio), Enzo Piccinini fu invitato dall’Arcivescovo di Ferrara, monsignor Carlo Caffarra, a tenere la conferenza conclusiva di un ciclo di incontri proposti ai giovani della città emiliana. Gli era stato affidato il tema “Vivere la Chiesa: cultura, carità, missione”. Degli appunti di quella testimonianza proponiamo ampi stralci. Perché i particolari sono importanti per la memoria La posizione cristiana è la posizione umana nel senso vero del termine; all’infuori del cristianesimo l’umano non è compiuto. L’esperienza cristiana è l’esperienza umana e la Chiesa è maestra di umanità. Questo è il tema di questa sera, proprio attraverso le cose solite, quelle che sembrano relegate alle sacrestie o a chi ha qualche problema religioso in più. Quello di cui parlo è per la vita di tutti gli uomini, di ogni uomo, proprio perché l’esperienza umana esige, per essere se stessa, la proposta cristiana. Cristo è tutto per la vita dell’uomo. Tutto. Non ci può essere niente nella vita di un uomo, che ami fino in fondo e con lealtà la propria umanità, che possa esimersi dal rapporto con Cristo, perché è il cuore della vita di ogni uomo. Non starei nell’esperienza cristiana, se non fosse per questo. Mi ribellerei anche solo al pensiero che essere cristiani significhi essere (come tanti pensano) uomini un po’ meno degli altri e con qualche problema in più. Se ho scelto di stare nell’esperienza cristiana, è perché qui trovo tutto me stesso, quello che ho sempre cercato. Ma allora che Cristo sia tutto per la vita e per il cuore dell’uomo, deve per forza coincidere con quello che il Signore ha detto nel Deuteronomio: «È per la felicità dell’uomo». Per questa parola, che segna la vita di ciascuno di noi - ci alziamo al mattino per essere felici, abbiamo fatto tutto per essere felici, continueremo a farlo fino all’ultimo respiro -, proprio per questa felicità Cristo si pone come risposta all’uomo: per la felicità di ciascuno di noi. Cosa c’entra con la vita? Guardiamoci intorno: io guardo, per esempio, la mia vita, i miei colleghi, l’ambiente universitario, gli studenti, ecc. La cosa che mi sorprende è che la maggior parte della gente è battezzata (e il Battesimo è il punto di introduzione all’esperienza cristiana). Ma Cristo dov’è? Se domandate: «Ma scusa, se sei battezzato e sei dentro la tradizione cristiana, cosa c’entra tutto questo con quello che fai?», ti guardano come se stessi dicendo un’enorme stranezza. E se tu ti mettessi di fronte ai ragazzi e dicessi loro: «Credi in Dio?», raramente troveresti uno che direbbe di sì con quella naturalezza con cui si aderisce a una realtà vera. Come mai? Vi invito a fare un esperimento: prendete dei bambini che non hanno mai sentito parlare di Cristo e parlategli di Cristo. Se a questi stessi bambini diceste che venendo a casa avete visto, nella curva vicino a casa vostra, il condomino che ha tirato fuori lunghe mani e con queste ha pulito i vetri e sistemato i comignoli, vi guarderebbero ridendo, chiedendovi quando finisce la favola. Raccontare loro di Cristo non è meno “strano”, però non si ribellano. Perché? Perché corrisponde, naturalmente. Ma, allora, che cosa è successo? Come mai i fatti e gli episodi, che descrivono e introducono all’esperienza cristiana in quanto tale, non c’entrano più? Io credo sia perché il cristianesimo non è più un avvenimento. Il cristianesimo o è un avvenimento o non ha incidenza nella vita. Che cos’è il cristianesimo? Una serie di riti a cui partecipare, una serie di regole morali, un modo, un certo comportamento a cui richiamarci, è questo? Se è questo, perdiamo la battaglia, perché tanti altri dicono meglio o sembrano fare meglio (soprattutto se hanno il potere). Allora è qualcosa d’altro, evidentemente qualcosa d’altro, perché nella misura in cui è ridotto a riti, regole, modi di fare, galateo, doveri, partecipazioni, non incide più. Il cristianesimo è un avvenimento: qualcosa di imprevisto e di imprevedibile, di impensabile e inimmaginabile che è successo 2000 anni fa: il Mistero, ciò che fa tutto, improvvisamente viene incontro all’uomo e diventa un’esperienza possibile. Si deve vedere Ma se Dio che è diventato Cristo - incontro, esperienza possibile per l’uomo del Mistero e risposta alla vita -, si deve vedere, non può restare una serie di intenzioni, di qualcuno intensamente pensieroso che va in convento o di qualcuno che ha avuto una triste gioventù. Si deve vedere nell’operaio della Fiat, nel grande intellettuale, nello spazzino, in chi è malmesso psicologicamente e in chi è protagonista dello sport nostrano. C’è una verifica: si deve vedere. Ecco allora qual è il problema: si deve poter vedere e bisogna provare a capire dov’è che davvero si vede. Come il fatto cristiano (cioè un avvenimento che ci sorprende) determina un cambiamento nell’uomo, per cui l’uomo è veramente uomo, è l’umanità che ha desiderato di essere? Occorrono due cose perché la verifica sia vera: l) un impegno educativo totalizzante con la proposta che è Cristo. È la Chiesa, questa unità ed esperienza di appartenenza, di amicizia. Una vita globalmente impegnata rispetto alla proposta che è Cristo; 2) stare alla proposta nei termini della proposta stessa. Nel rapporto con un oggetto deve essere l’oggetto a determinare il metodo del rapporto. Se io avessi una bottiglia di vino Tocai bianco del Friuli (il migliore vino del mondo), svitassi la bottiglia, mettessi il dito dentro, lo tirassi fuori e poi dicessi: «Sentite, è secco!», voi direste che sono impazzito. Ho “sentito” il vino, solo che ho scelto io il metodo, perciò ho alterato il rapporto. Il vino va bevuto perché le papille gustative non sono nel dito. Questa è una verità fondamentale che vale nella mia ricerca e nel mio lavoro: e perché non deve essere vera anche con Cristo? Se è una presenza (come è una presenza), se è un fatto (come è un fatto), se è un avvenimento (come è un avvenimento) che ha sorpreso tutti e continua a sorprendere tutti, allora è Lui che dice come ci si rapporta con lui, non noi. E Lui l’ha detto: è una realtà di uomini scelti da Lui, che si coinvolgono insieme, che Lo rende presente. Non le nostre strade tortuose; ma un’adesione alla realtà. Allora si tratta di stare al metodo che Cristo ha posto nel mondo. Cultura, carità, missione Che cosa determinano queste due condizioni? «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù». Questa è la promessa di Cristo. Dice: «Chi mi segue». Cristo parte sempre da un aspetto affettivo, perché se c’è un delitto nella vita cristiana, è pensare che basti osservare i dieci comandamenti per andare in Paradiso. Invece Cristo ha detto: «Chi mi ama osserverà la mia legge», non viceversa. C’è un aspetto di affezione da scoprire, altrimenti è un disastro, perché la meccanicità non ha mai compreso l’uomo e non lo comprenderà mai. È la sorpresa di una affezione per cui si sente che tutto quello che viene da lì lo si vuole per sé. E come viene descritta questa promessa? Da tre dimensioni che misurano l’esperienza cristiana: cultura, carità, missione. Proviamo a scorgerle. 1.Cultura. Se Cristo è un fatto e una presenza, allora è una presenza che determina il rapporto con tutto; da cui una coscienza critica e sistematica della propria esperienza umana, che si traduce in una manipolazione diversa delle cose, in un uso diverso di sé. Pensate a quando eravamo bambini e si faceva qualcosa di nascosto: improvvisamente compariva il padre o la madre e uno si accorgeva subito di quello che faceva. È una presenza che determina una coscienza nuova di sé. 2. Carità. Viene in mente di tutto: l’elemosina, fare i bravi, e invece no! La carità è la presenza di Cristo e perciò è imitare Lui. Lui è la risposta alla vita. La carità viene dal greco charis: gratis, gratuità. È la forma suprema dell’espressione amorosa, perché implica l’assenza del tornaconto, del calcolo: gratis. 3. Missione: è come il calore che un corpo vivo non può non emanare. Non è mai un’iniziativa, ma è la modalità di vita che nasce da come tu stai cambiando adesso, per quello che ti sta succedendo. Cosa fai per il Vietnam? Quando mi sono convertito, all’inizio, c’erano vari problemi, perché i miei amici di prima (che erano piuttosto tenaci e duri, era il periodo della guerra in Vietnam) mi perseguitavano. E il tono era questo: «Ti sei fatto il tuo angolino, eh? Vai anche a pregare. Cosa fai per il Vietnam? Non ti rimorde la coscienza?». Ero un po’ ricattato, non riuscivo a capire. Una volta c’era stata una manifestazione, uscivo dalla mensa universitaria, mi hanno circondato e hanno incominciato un’invettiva durissima. Vedevano che ero debole proprio nelle ragioni. Io stavo malissimo, non riuscivo a rispondere; a un certo punto mi è venuta l’idea e ho detto loro: «Io per il Vietnam costruisco la Chiesa, qui». Non lo scorderò più: questa è la verità della questione. Oggi quando mi vedono si vergognano, perché fanno tutti i mestieri che non volevano fare e il loro “sinistrismo” è rimasto nei viaggi in Oriente, nel verdismo o nel fare i sub e scambiarsi le foto o nel portare il cane a passeggio. Questo è quello che è rimasto. Io, invece, sono ancora sulla breccia! Qualche volta dico a qualcuno di loro: «Che cosa fai per il Vietnam?». C’è un pezzo fantastico dei Cori da «La Rocca» di Eliot: «Senza tempio non ci sono dimore»: senza la presenza del Mistero che ci ama, non c’è posto per l’umanità. Per questo bisogna costruire la Chiesa. Costruire la Chiesa Un’autentica dimensione religiosa, questa salva l’uomo. Di questi tempi, brutti o buoni, vogliamo costruire la Chiesa dove siamo, perché questa è l’umanità vera, edificare la comunità cristiana dovunque. Ma come avviene? Noi edifichiamo la Chiesa attraverso la nostra presenza: essere presenza, questa è la nostra ultima, decisiva indicazione e categoria. Essere presenza, qualunque temperamento uno abbia; non importa le doti di cui uno dispone, occorre la fede e basta. Presenza vuol dire il modo di essere dentro la situazione, perché non si vive per aria, ma dentro il rapporto con la propria ragazza, i genitori, gli amici, il lavoro, lo studio universitario, dentro il momento culturale e politico... dentro a tutto. Essere presenza in una situazione vuol dire esserci in modo da perturbarla, se no non si è presenza. Cristo è venuto nel mondo sconvolgendo il ventre di una donna, sconvolgendo un grandissimo uomo che si chiama Giuseppe e mettendo in crisi i grandi legulei di Israele (non ha chiesto: «Permesso?»). Si è posto per quello che era. Essere presenza in una situazione vuol dire esserci in modo da perturbarla, così che se tu non ci fossi, tutti se ne accorgerebbero, perché sarebbe diverso; non perché fai grandi cose, ma perché sei te stesso. Essere presenza vuol dire essere dentro una situazione prendendo Cristo come avvenimento della nostra persona. Non si tratta di fare discorsi (lascia il tempo che trova): il vero annuncio lo facciamo attraverso quel che Cristo ha perturbato nella nostra vita. È una baldanza umile e certa; è un paradosso: umile e certa, cioè non fondata su di sé, ma sulla grazia che ci è stata fatta di una presenza che non verrà mai meno («Io sarò con voi fino alla fine del mondo»). Una baldanza, una certezza per il futuro. |
Postato da: giacabi a 21:24 |
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chiesa, cristianesimo, piccinini
La certezza che noi desideriamo
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viene dalla verifica di una proposta
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…la certezza che noi desideriamo viene dalla verifica di una proposta. Noi non viviamo soltanto di un discorso corretto e con l’ansia come sottofondo, noi viviamo se possiamo verificare nel presente, nel quotidiano, la novità che introduce Cristo nella vita.
Per questo è la verifica della proposta che è stata fatta agli Esercizi
della Fraternità quello che convincerà ognuno di noi della
ragionevolezza del seguire la strada, dell’essere cristiani, del dare
tutta la vita a Cristo.
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Se
non sperimentiamo nella nostra vita questo, se non vediamo il guadagno
umano, la convenienza umana di quello che ci diciamo, se non vediamo
nell’esperienza fino a che punto rifiorisce la vita, dalla mattina alla
sera, noi - volenti o nolenti - continueremo a fare dei tentativi per
cercare <
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Don Carron ( Tracce Quaderni settembre 2006)
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Postato da: giacabi a 08:01 |
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cristianesimo, carron
Ecco che cosa ha scritto Redeker tanto da essere minacciato
di morte
Pubblichiamo l’articolo incriminato di Robert Redeker uscito il 19.09.06 sul Figaro. di Robert Redeker
Le reazioni suscitate dall’analisi di Benedetto XVI sull’islam e la violenza fanno parte dell’obiettivo che lo stesso islam si pone: spazzare via la cosa più preziosa che possiede l’occidente e che non esiste in alcun paese musulmano, ovvero la libertà di pensiero e di espressione. L’islam sta cercando di imporre all’Europa le proprie regole:
apertura delle piscine solo per le donne a determinati orari, divieto
di satira della religione, pretesa di avere un certo tipo di
alimentazione per i bambini musulmani nelle mense scolastiche, lotta per
imporre il velo nelle scuole, accusa di islamofobia contro gli spiriti
liberi.
Come si spiega il divieto dell’estate scorsa di portare il tanga a Paris-Plage? La spiegazione addotta è quantomeno strana: c’era il rischio, si dice, di “turbare l’ordine pubblico”. Cosa significa? Che bande di giovani frustrati avrebbero rischiato di diventare violenti di fronte alla bellezza che faceva mostra di sé? Oppure si temevano manifestazioni islamiche, nelle vesti di brigate della virtù, nella zona di Paris-Plage? In realtà, il fatto che portare il velo in pubblico non sia vietato è qualcosa che può “turbare l’ordine pubblico” molto più del tanga, a causa della condanna che suscita questo strumento per l’oppressione delle donne. Non è fuori luogo pensare che tale divieto rappresenti una certa islamizzazione della mentalità francese, la sottomissione più o meno conscia ai dettami dell’islam. O quantomeno che questo sia il risultato dell’insidiosa pressione musulmana sulla mentalità della gente: le stesse persone che sono insorte contro l’inaugurazione di un sagrato dedicato a Giovanni Paolo II a Parigi non fiatano quando si costruiscono le moschee. L’islam sta cercando di obbligare l’Europa ad adeguarsi alla sua visione dell’uomo. Come già accadde con il comunismo, l’occidente è ora sotto sorveglianza ideologica. L’islam si presenta, esattamente come il defunto comunismo, come alternativa al mondo occidentale. E come il comunismo di altri tempi, l’islam, per conquistare gli animi, gioca su fattori emotivi. Ostenta una legittimità che turba la coscienza occidentale, attenta al prossimo: il fatto di porsi come la voce dei poveri di tutto il mondo. Ieri la voce dei poveri proveniva da Mosca; oggi viene dalla Mecca. Oggi degli intellettuali si fanno portatori dello sguardo del Corano, come ieri avevano fatto con lo sguardo di Mosca. Ora la scomunica è per l’islamofobia, come lo era stata in passato per l’anticomunismo. Nell’apertura agli altri, che è propria dell’occidente, si manifesta una secolarizzazione del cristianesimo che può essere riassunta in questi termini: l’altro deve sempre venire prima di me. L’occidentale, erede del cristianesimo, è colui che mette a nudo la propria anima, assumendosi il rischio di passare per debole. Come il defunto comunismo, l’islam considera la generosità, l’apertura mentale, la tolleranza, la dolcezza, la libertà delle donne e dei costumi e i valori democratici come segni di decadenza. Sono debolezze che sfrutta volutamente grazie a degli “utili idioti”, buone coscienze imbevute di buoni sentimenti, per imporre l’ordine coranico nel mondo occidentale. Il Corano è un libro di una violenza inaudita. Maxime Rodinson sostiene, nell’Encyclopedia Universalis, alcune verità importanti che in Francia sono considerate tabù. Infatti, da una parte, “Maometto rivelò a Medina delle insospettate qualità di dirigente politico e capo militare (…) Ricorse alla guerra privata, istituzione comune in Arabia (…) Maometto inviò subito manipoli di suoi sostenitori ad attaccare le carovane della Mecca, punendo così i suoi connazionali increduli e, al contempo, ottenendo un ricco bottino”. Dall’altra, “Maometto approfittò di questo successo per eliminare da Medina, facendola massacrare, l’ultima tribù ebrea ancora esistente, quella dei Qurayza, con l’accusa di comportamento sospetto”. Poi, “dopo la morte di Khadidja, sposò una vedova, brava donna di casa di nome Sawda, e anche la piccola Aisha, che aveva appena dieci anni. Le sue tendenze erotiche, a lungo represse, lo avrebbero portato a contrarre contemporaneamente una decina di matrimoni”. C’è un’esaltazione della violenza, perché il Corano mostra Maometto sotto questa luce: guerrafondaio senza pietà, predatore, massacratore di ebrei e poligamo. Ovviamente anche la chiesa cattolica ha le sue colpe. La sua storia è costellata di pagine nere, delle quali ha fatto ammenda: l’inquisizione, la caccia alle streghe, l’esecuzione dei filosofi Bruno e Vanini, la condanna degli epicurei, quella del cavaliere de La Barre, accusato di empietà in pieno XVIII secolo, non depongono a suo favore. Però c’è una differenza fondamentale tra il cristianesimo e l’islam: è sempre possibile tornare ai valori evangelici, alla dolce personalità di Gesù Cristo, riscattandosi dagli errori della chiesa. Nessun errore della chiesa è stato ispirato dal Vangelo. Gesù è per la non violenza, e il ritorno al Cristo rappresenta la salvezza nei confronti di certi eccessi dell’istituzione ecclesiale. Il ricorso a Maometto, invece, rafforza l’odio e la violenza. Gesù è il maestro dell’amore, Maometto, il maestro dell’odio. La lapidazione di Satana che si ripete ogni anno alla Mecca non è solo un fenomeno superstizioso: non si riduce infatti allo spettacolo di una folla isterica che flirta con la barbarie, ma ha una portata antropologica. Si tratta invero di un rito che ogni musulmano è invitato ad accettare, radicando la violenza come dovere sacro nel cuore del credente. Questa lapidazione, che ogni anno provoca la morte di fedeli calpestati dalla folla (a volte anche centinaia), è un rituale che ingloba la violenza arcaica. Anziché eliminare questa violenza arcaica neutralizzandola, sulla scia dell’ebraismo e del cristianesimo (l’ebraismo inizia con il rifiuto del sacrificio umano, che è l’ingresso nella civiltà, mentre il cristianesimo trasformerà il sacrificio in eucarestia), l’islam le crea un bel nido per crescere al caldo. Mentre l’ebraismo e il cristianesimo sono religioni i cui riti sono rivolti contro la violenza e la delegittimano, l’islam è una religione che esalta la violenza e l’odio, sia nel suo testo sacro che in alcuni riti comuni. Odio e violenza pervadono il testo sul quale si formano tutti i musulmani: il Corano. Come ai tempi della Guerra fredda, la violenza e l’intimidazione vengono utilizzate al servizio di un’ideologia che si vuole egemone: l’islam, che mira a mettere la sua cappa di piombo sul mondo intero. Benedetto XVI sta soffrendo la crudeltà di tale esperienza. Come in altri tempi, è necessario dire a chiare lettere che l’occidente è “il mondo libero” nei confronti di quello musulmano, e, come in quei tempi, gli avversari di questo “mondo libero”, funzionari zelanti del Corano, pullulano al suo interno. (traduzione Studio Brindani) |
Postato da: giacabi a 16:30 |
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ragione, islam, cristianesimo, benedettoxvi
ANCORA SANGUE DI CRISTIANI MACELLATI DAI “BRAVI MUSULMANI” DAVANTI AI QUALI DOBBIAMO UMILIARCI CHIEDENDO (NOI) SCUSA !!!!!
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Sono
stati uccisi ieri i tre contadini cristiani dell’Indonesia condannati a
morte, dopo un processo farsa, nel più grande paese musulmano del
mondo, per le pressioni dei fondamentalisti musulmani.L’esecuzione,
rinviata varie volte per gli interventi internazionali, è stata decisa
probabilmente anche per ritorsione contro il Papa. Un bell’articolo di
Luigi Geninazzi su “Avvenire” di oggi, 22 settembre, spiega come si è
arrivati all’eccidio, ma il titolo “Uccisi per la fede. Il mondo
piange”, sembra un po’ ottimista. Il mondo in realtà – a cominciare dai
nostri media – se ne infischia. Segue i reality e discute dei problemi
di erezione maschile sulle prime pagine dei quotidiani… L’orizzonte è
quello! Le vittime indonesiane sono povera gente, sono cristiani
innocenti, quindi “vite a perder”, non meritano tanta attenzione quanto –
per dire – le vicende di Aceto sull’Isola dei famosi. Continua
l’indifferenza – perfino di noi cattolici occidentali – davanti al
grande martirio.
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Qua di
seguito – dal mio libro “I nuovi perseguitati” – leggete cos’hanno
subìto i cristiani in Indonesia e quali sono i fatti per i quali i tre
cristiani sono stati condannati: non per aver commesso violenze, ma in
realtà per averne subite dai fondamentalisti. Rasoio senza anestesia Anche quello dell'Indonesia è Islam moderato. Il bilancio? Più di 500.000 i profughi per le violenze. L'Indonesia -- con i suoi 212 milioni di abitanti -- è il paese musulmano più popoloso del mondo. È islamico il 75 per cento della popolazione, ma anche i cristiani sono un buon numero, il 13,1 per cento, ovvero 27 milioni 800 mila persone. La Costituzione riconosce il pluralismo religioso e una buona percentuale dei musulmani è a favore di una convivenza pacifica con i cristiani e con le altre religioni. Ma sia durante il regime di Suharto, sia dopo, con i successori, i cristiani hanno subito violenze e massacri. Il caso più clamoroso riguarda Timor Est, abitata perlopiù da cristiani essendo stata per tre secoli una colonia portoghese. Nel 1975, al momento dell'indipendenza, è stata invasa dall'esercito indonesiano, e annessa l'anno successivo, nonostante l'opposizione dell'Onu. Da allora l'occupazione indonesiana -- secondo monsignor Carlos Belo, premio Nobel per la pace -- ha fatto 200.000 vittime e 250.000 sono i profughi su una popolazione totale inferiore al milione di persone. Finalmente il 30 agosto 1999 -- per la pressione americana e internazionale -- fu possibile fare un referendum popolare e si ebbe un plebiscito a favore dell'indipendenza, seguito da nuovi vendicativi massacri di cristiani. Nello stesso 1999 sono cominciate le stragi di cristiani da parte di fanatici in un'altra zona cristiana dell'Indonesia: l'arcipelago delle Molucche. Il 19 gennaio del 1999 ad Ambon per un banale screzio fra l'autista (cristiano) di un minibus e un musulmano, che ha cominciato a dire di essere stato aggredito da un cristiano, è cominciata una serie di violenze crudeli e che in tre anni hanno provocato almeno 13.500 vittime e hanno costretto circa 500.000 persone a cercare rifugio altrove. Secondo la "diocesi di Amboina inoltre più di 6.000 cristiani delle Molucche sono stati costretti a convertirsi all'Islam (pare con un corredo di violenze, distruzioni, circoncisioni forzate fatte con il rasoio e asportazioni del clitoride per le donne), mentre altri hanno perso la vita nel rifiuto di convertirsi come un gruppo di cristiani dell'isola di Keswi. Vi sono anche episodi di particolare efferatezza, come quello che ha riguardato i sei bambini cristiani uccisi ad Ambon, in un campo di catechismo, che sono stati "inseguiti, sventrati, evirati e decapitati dagli islamisti che fendevano le bibbie con la spada. In altri casi gli attacchi degli islamisti avvengono con l'ausilio di truppe "militari regolari... come nell'isola di Haruku il 23 gennaio 2000, quando sono rimasti uccisi 18 cristiani". L'islamizzazione forzata è disastrosa per la gente comune. Per esempio con la partenza delle Suore Poverelle di San Giuseppe sono state distrutte le opere edificate in più di mezzo secolo: 12 scuole, un ospedale, un lebbrosario, due centri medici e un convento. Le violenze delle milizie islamiche a Natale del 2000 sono arrivate fino alla capitale, con una serie di attentati che ha colpito la cattedrale di Giakarta e altre dieci città, provocando 17 morti e circa 100 feriti. C'è chi parla del coinvolgimento di uomini dello Stato, ma va anche detto "che in molti casi" ci informa "La Civiltà Cattolica" "sono stati i musulmani che hanno cercato di proteggere le chiese e che in quella vigilia di Natale ha perso la vita anche un giovane musulmano mentre tentava di gettare una bomba fuori da una chiesa, rimanendone dilaniato". Ciò dimostra che ci sono musulmani in Indonesia che condannano la "violenza e sono fraterni con i cristiani. Rischia invece di alimentare degli equivoci quello stesso articolo de "La Civiltà Cattolica" laddove dà questa singolare spiegazione delle violenze anticristiane: "In parte i diritti delle minoranze (dove c'è una religione dominante, N.d.A.) sono molto limitati, ma talvolta esse esercitano anche un influsso politico del tutto sproporzionato, come capita già da tempo, ad esempio, nel caso dei cristiani in Indonesia, e naturalmente ciò provoca il risentimento delle altre religioni". È una spiegazione che involontariamente rischia di apparire giustificatoria dell'intolleranza (oltre a essere, nel merito politico, assai discutibile). Peraltro le violenze non cessano. Il 9 novembre 2001 l'agenzia Fides dava notizia di nuovi attacchi di guerriglieri islamici nel mese di ottobre nell'isola di Sulawesi a villaggi cristiani e ad autobus carichi di cristiani, con scene di vera e propria caccia all'uomo, alcuni morti, e molti costretti alla fuga. Nella stessa isola a Makassar alcuni studenti cristiani sono stati picchiati brutalmente. A Giava è stata bruciata una chiesa. Nelle Molucche altre violenze e morti. Un gruppo di cristiani indonesiani ha diffuso un messaggio: "Preghiamo per i cristiani di Indonesia. Preghiamo per la loro fede durante gli attacchi e per quanti subiscono la tentazione di nascondere la loro identità di fedeli a Cristo. Preghiamo per il mondo perché prenda provvedimenti contro la persecuzione, dovunque essa si verifichi". Il ``caso Indonesia'' appartiene a una speciale tipologia di persecuzione. Ce ne sono varie altre nei 26 paesi che la cartina propone in verde, dove vivono circa 78 milioni di cristiani e vivono come "ostaggi dei musulmani". Vanno aggiunti a essi paesi collocati sotto altro colore, ma di fatto con una condizione simile, come la Turchia, il Libano, "l'Iraq, vari stati africani e soprattutto l'Indonesia come abbiamo visto. Quella dei cristiani è dovunque una condizione di sottomissione, di spoliazione di molti diritti, spesso di grave pericolo e in troppi casi di vittime predestinate. Generale è inoltre la proibizione -- punibile anche con la morte -- di conversione al cristianesimo. Proibita dovunque anche ogni forma di proselitismo sebbene l'Islam rivendichi per sé, dovunque, questo diritto. (Da “I nuovi perseguitati”). MA COSA STIAMO VIVENDO??? Ho fatto un sogno. Un brutto sogno. Mi sono trovato in un mondo dove le vittime erano costrette a chiedere scusa ai carnefici. Dove il papa, per aver condannato la violenza religiosa, doveva umiliarsi davanti al regime turco che ha perpetrato il genocidio dei cristiani armeni (un milione e mezzo di vittime). Un mondo dove la scrittrice turca Elif Shafak, rea di aver accennato nel romanzo “La bastarda di Istanbul” al genocidio degli armeni, viene processata dal regime turco il quale però viene elogiato da media e politici occidentali e accolto a braccia spalancate dall’Europa. Un mondo dove il pontefice doveva scusarsi davanti a organizzazioni terroristiche perché ha detto che non si può imporre la religione con la violenza. Dove, all’indomani della macellazione islamica in Somalia, per vendetta contro il Papa, di una suora che aveva dedicato la vita ai poveri, lo stesso papa ha dovuto ancora scusarsi con i bravissimi musulmani per evitare che altri missionari (come suor Leonella o don Andrea Santoro) venissero immolati per ritorsione. Un mondo dove i rispettabilissimi islamici – che coprono il Papa di insulti, vignette volgari e minacce – fanno gli offesi per una colta e rispettosa lezione accademica di Ratzinger e i grandi media occidentali solidarizzano non con il papa, ma con costoro. Un mondo dove veniva chiamato “moderato” e “alleato dell’Occidente” un paese come l’Arabia Saudita nel quale si è arrestati perfino se si porta un crocifisso al collo o se si prega Gesù Cristo nel chiuso della propria abitazione. Un mondo dove i grandi media occidentali fanno squadra (e compasso) sempre e solo contro la Chiesa. Dove il New York Times accusa il Papa di “fomentare la discordia” fra cristiani e musulmani per aver detto che non si può imporre la religione con la violenza e lo accusa di aver già fatto in precedenza il “fomentatore” quando, da cardinale, espresse dubbi sulla Turchia nella Ue (tale opinione non è permessa, secondo il NYT). Mentre l’altro tempietto della laicità, il Financial Times, accusa il pontefice di aver “insultato” i musulmani con “parole provocatorie”. Un mondo dove i musulmani, per dimostrare che erano ingiustamente accusati di violenza, hanno massacrato una suora (una delle tante vittime), hanno incendiato chiese e hanno emesso minacce di morte contro il pontefice (mentre in Indonesia hanno appena perpetrato l’infame esecuzione capitale di tre contadini cristiani rei di essersi difesi dalle violenze fondamentaliste). Un sogno allucinante dove i grandi media laici occidentali, che avevano eretto un monumento a Salman Rushdie, invece di pronunciarsi in difesa della libertà di coscienza e della libertà di parola, hanno condannato il Papa teorizzando che tale libertà non vale se a parlare è lui o se si parla dell’Islam. Un mondo dove suor Leonella che muore perdonando i suoi carnefici non provoca riflessioni né merita un approfondimento giornalistico in tv, mentre i morti di “fama” dell’Isola dei famosi e degli altri stomachevoli reality occupano per ore e settimane il video. What a wonderful world ! Un mondo dove il Comune di Firenze nega l’intitolazione di una via a Oriana Fallaci mentre abbiamo centinaia di “via Togliatti” in onore del compagno di merende di Stalin. E dove l’Unità (20 settembre) dedicava in prima pagina questo titolo celebrativo a Cossutta: “Io comunista non mi pento di niente” (in effetti rivendica le posizioni del Pci perfino sull’invasione d’Ungheria). Un mondo dove solo i cattolici – vittime di tutti i totalitarismi e le ideologie – devono chiedere scusa a tutti, specie a coloro che li hanno perseguitati e continuano a farlo. Un mondo dove né le organizzazioni cattoliche né i vescovi hanno sentito il bisogno di promuovere grandi veglie di preghiera per il Papa condannato a morte e per i cristiani perseguitati e in pericolo di vita. Un mondo dove perfino il neo Segretario di Stato vaticano cardinal Bertone (Corriere della sera 18 settembre) deve definire Maometto “il Profeta” (sic!!!) e dove il cardinal Martini bacchetta il Papa che è stato condannato a morte e coperto di insulti, mentre lo stesso cuor-di-leone Martini non ha una parola di denuncia per la violenza sistematica del mondo islamico contro i cristiani (La Stampa, 20 settembre 2006). Un mondo di progressisti e di cattolici progressisti che ha linciato per anni Pio XII perché avrebbe parlato troppo poco contro la violenza nazista, ma che ha sempre applaudito Giovanni XXIII il quale, accordandosi col Cremlino, garantì che il Concilio non avrebbe pronunciato una sola parola di condanna del comunismo (che aveva macellato e stava macellando il più gran numero di cristiani della storia della Chiesa). Lo stesso mondo catto-progressista che oggi (vedi Pietro Scoppola) critica Benedetto XVI perché ha parlato da professore e non da papa. Un mondo dove il governo del “cattolico adulto” Prodi si mostra indifferente alle minacce al Papa quando addirittura il laicista Zapatero gli ha espresso “piena comprensione e sostegno”. Un mondo dove il Senato italiano – col voto decisivo del cattolico Andreotti – ha bocciato la proposta di mozione di solidarietà per il Papa. Naturalmente per le nobili ragioni del “dialogo”. Un mondo dove il “cattolico adulto” Prodi, presidente del Consiglio italiano, dice che alla sicurezza del Papa “ci pensino le sue guardie”. Quasi che il papa avesse le sue divisioni corazzate come ironizzava Stalin. Fortuna che tutto questo è solo un brutto sogno. Fortuna che nella realtà – sebbene il mondo cattolico sembri sprofondato nelle catacombe dell’insignificanza – le “divisioni corazzate” del Papa esistono davvero. Invisibili come suor Leonella. Come i tanti che con l’offerta silenziosa di sé e la preghiera salvano il mondo e attirano a Cristo (cosicché pure tantissimi musulmani si stanno convertendo, segretamente, al Dio dell’amore sia in Occidente sia nei loro Paesi). E’ vero quanto ha scritto il convertito francese Olivier Clément: “Perseverare! Oggi tutto ciò che è essenziale sembra sotterraneo come la grotta della Natività, come le grotte del cuore. Bisogna che Dio si incontri con l’uomo nel punto più segreto delle sue angosce e del suo desiderio”. (Antonio Socci, da “Libero” |
Postato da: giacabi a 15:28 |
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islam, cristianesimo
Santa Ildegarda da Bingen
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Questo immagine si trova in un libro “Storia e visioni di sant’Ildegarda”, http://www.culturacristiana.net/3.strumenti/santi/ildegarda.php una grande santa mistica del XII sec., (è un suo disegno riguardante una delle tante visioni) è la rappresentazione
del mondo con al centro l’uomo. Il mondo è circondato dalle acque come
si riteneva che fosse ma a sua volta è circondato da un abbraccio di
fuoco, che è l’abbraccio amoroso di Gesù. L’uomo è veramente al centro del mondo solo se riconosce che il mondo è dentro l’abbraccio di Dio, della Verità, della Bellezza, della Giustizia, dell’Amore. Solo così veramente l’uomo è al centro del mondo. Altrimenti, come abbiamo potuto constatare in questi ultimi 600 anni, l’uomo dimentico di Dio può combinare solo guai, vedi le ideologie e adesso le manipolazioni genetiche in nome della pseudoscienza.
L'omino di Leonardo XV secolo
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Postato da: giacabi a 15:21 |
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santi, medioevo, cristianesimo
LE RADICI CRISTIANE D’EUROPA
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di P.Piero Gheddo
Roma, 7 settembre 2005 Al prof. Sergio Romano - Lettere al Corriere della Sera” – Milano Caro Romano, |
per
capire le “radici cristiane” dell’Europa, non serve notare, come lei
fa, che ci sono molte Chiese cristiane, che i Papi hanno sbagliato, che
l’identità originaria è stata spesso modificata da guerre, commerci,
scambi umani e culturali; e nessuno pensa di “cancellare dalla storia
d’Europa tutto ciò che è stato fatto contro la Chiesa
o a dispetto della sua volontà”. Si parla di “radici”, non di “storia”
dell’Europa. Le differenze si vedono dal confronto fra le civiltà
diverse: i missionari le conoscono bene. Lei richiama “la gloriosa
rivoluzione inglese, la grande rivoluzione francese, il suffragio
universale, il voto alle donne”. Ma da dove vengono queste rivoluzioni che hanno portato allo “sviluppo moderno” nell’Occidente cristiano o cristianizzato? Dall’affermarsi di quei principi della Bibbia e del Vangelo (assenti nelle altre religioni e culture) che
stanno alla base della nostra civiltà: l’uomo creato da Dio a sua
immagine e con dignità superiore a quella degli animali, l’uguaglianza
di tutti gli uomini, la famiglia monogamica, l’autorità come servizio al
popolo, l’amore e il perdono delle offese, la nobiltà del lavoro anche
manuale come contributo all’opera della creazione, il senso del futuro e
del progresso (noi siamo una “civiltà progressista”; altre “civiltà conservatrici” o “circolari”, come dicono gli studiosi di civiltà).
Nehru, nella sua “Autobiografia” (del 1946), si chiede perché l’India,
con 5.000 anni di grande civiltà, ha dovuto attendere l’Inghilterra del
sec. XIX per avere tutto quel che è “mondo moderno”: libertà di pensiero
e di stampa, elezioni, giustizia sociale, ecc. “La differenza vitale era questa: in Europa forze invisibili ribollivano all’interno delle sue masse facendole continuamente evolvere. In India invece la natura statica della società indiana rifiutava di evolversi”. Se non è dalle “radici ebraico-cristiane”, come si può spiegare, senza cadere nel razzismo, il fatto che la Carta dei Diritti dell’Uomo e il “mondo moderno” sono nati in Europa?
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Postato da: giacabi a 21:42 |
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cristianesimo
Ecco una parte del testo dell'intervista
che Benedetto XVI ha concesso alla Radiovaticana alla vigilia della
Giornata mondiale della gioventù - è disponibile su www.radiovaticana.org: |
…….Santità, quale il messaggio specifico che Lei vuole portare ai giovani che da tutto il mondo vengono a Colonia? Qual è la cosa più importante che lei vuole trasmettere loro?
Vorrei fare capire loro che è bello essere cristiani! L'idea genericamente diffusa è che i cristiani debbano osservare un'immensità di comandamenti, divieti, principi e simili e che quindi il cristianesimo sia qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere e che si è più liberi senza tutti questi fardelli. Io invece vorrei mettere in chiaro che essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello ma sono ali e che è bello essere cristiani. Questa esperienza ci dona l'ampiezza, ci dona però soprattutto la comunità, il fatto cioè che come cristiani non siamo mai soli: in primo luogo c'è Dio, che è sempre con noi; e poi noi, tra di noi, formiamo sempre una grande comunità, una comunità in cammino, che ha un progetto per il futuro: tutto questo fa sì che viviamo una vita che vale la pena di vivere. La gioia di essere cristiano: è bello ed è giusto, anche, credere! |
Santo Padre, essere Papa significa essere 'costruttore di ponti' – 'pontifex', appunto. La Chiesa
poggia su una saggezza antica, e Lei si trova oggi ad incontrare una
gioventù che sicuramente ha tanto entusiasmo, ma in quanto a saggezza ha
ancora molta strada da fare ... Come è possibile costruire un ponte tra
questa antica saggezza – compresa anche quella del Papa, che ha una
certa età – e la gioventù? Come si fa?
Bè, staremo a vedere quanto il Signore sarà disposto ad aiutarmi, in questa opera! Comunque, la saggezza non è quella cosa che ha un po' il sapore di stantìo – in tedesco, a questa parola si associa un po' anche questo sapore! Piuttosto, intendo per saggezza la comprensione di quello che è importante, lo sguardo che coglie l'essenziale. E' ovvio che i giovani devono ancora 'imparare' a vivere la vita, vogliono scoprirla da soli, non vogliono trovarsi la 'pappa pronta'. Ecco, qui forse si potrebbe vedere un po' la contraddizione. Al contempo, però, la saggezza aiuta ad interpretare il mondo, che è sempre nuovo perché, sia pur calato in nuovi contesti, riporta sempre e comunque all'essenziale e a come, poi, l'essenziale possa essere messo in pratica. In questo senso, credo che parlare, credere e vivere partendo da qualcosa che è stato donato all'umanità e le ha acceso dei lumi, non sia una 'pappa pronta stantìa', ma sia invece adeguato proprio alla dinamica della gioventù, che chiede cose grandi e totali. Ecco cos'è la saggezza della fede: non il fatto di riconoscere una gran quantità di dettagli, caratteristica necessaria invece in una professione, ma riconoscere, al di là di tutti i dettagli, l'essenziale della vita, come essere Persona, come costruire il futuro. |
Santità, Lei ha detto, e questa Sua affermazione è stata ripresa: "La Chiesa è giovane", non è una cosa vecchia. In che senso? Intanto, in senso strettamente biologico, perché ad essa appartengono molti giovani; ma essa è anche giovane perché la sua fede sgorga dalla sorgente di Dio, quindi proprio dalla fonte dalla quale viene tutto quello che è nuovo e rinnovatore. Non si tratta quindi di una minestra rifatta, scaldata e riscaldata, che ci viene riproposta da duemila anni. Perché Dio stesso è l'origine della giovinezza e della vita. E se la fede è un dono che viene da Lui – è l'acqua fresca che sempre ci viene donata – quella che poi ci consente di vivere e che poi noi, a nostra volta, possiamo immettere come forza vivificatrice nelle strade del mondo, vuol dire allora che la Chiesa ha la forza di ringiovanire. Uno dei Padri della Chiesa, osservando la Chiesa, aveva considerato che, con il passare degli anni, sorprendentemente essa non invecchiava ma diventava sempre più giovane, perché essa va sempre più incontro al Signore, sempre più incontro a quella sorgente dalla quale sgorga la giovinezza, la novità, il ristoro, la forza fresca della vita. |
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Santità,
purtroppo proprio nei nostri Paesi ricchi del Nord, si
manifestallontanamento dalla Chiesa e dalla fede in generale, ma
soprattutto da parte giovani. Come ci si può opporre a questa tendenza? O
meglio, come si può dare una risposta alla ricerca del senso della vita
– "Che senso ha la mia vita?" – da parte dei giovani, per far sì che i
giovani dicano: "Ehi, ecco quello che fa per noi: è la Chiesa!"? Ovviamente, stiamo tutti cercando di presentare il Vangelo ai giovani in maniera che essi comprendano: "Ecco il messaggio che stavamo aspettando!". E' vero anche che nella nostra società occidentale moderna ci sono molte zavorre che ci allontanano dal cristianesimo; la fede appare molto lontana, anche Dio appare molto lontano ... La vita invece piena di possibilità e di compiti ... e tendenzialmente il desiderio dei giovani è di essere padroni della propria vita, di viverla al massimo delle sue possibilità ... Penso al Figliol Prodigo che considerava noiosa la sua vita nella casa paterna: "Voglio vivere la vita fino in fondo, godermela fino in fondo!". E poi si accorge che la sua vita è vuota e che in realtà era libero e grande proprio quando viveva nella casa di suo padre! Credo però che tra i giovani si stia anche diffondendo la sensazione che tutti questi divertimenti che vengono offerti, tutto il mercato costruito sul tempo libero, tutto quello che si fa, che si può fare, che si può comprare e vendere, poi alla fine non può essere 'il tutto'. Da qualche parte, ci dev'essere il 'di più'! Ecco allora la grande domanda: "Cos'è quindi l'essenziale? Non può essere tutto quello che abbiamo e che possiamo comprare!". Ecco allora il cosiddetto 'mercato delle religioni' che però in qualche modo torna ad offrire la religione come una merce e quindi la degrada, certamente. Eppure indica che esiste una domanda. Ora, occorre riconoscere questa richiesta e non ignorarla, non scansare il cristianesimo come qualcosa di ormai concluso e sufficientemente sperimentato, e contribuire affinché esso possa essere riconosciuto come quella possibilità sempre fresca, proprio perché originata da Dio, che cela e rivela in sé dimensioni sempre nuove ... In realtà, il Signore ci dice: "Lo Spirito Santo vi introdurrà in cose che io oggi non posso dirvi!". Il cristianesimo è pieno di dimensioni non ancora rivelate e si mostra sempre fresco e nuovo, se la domanda è posta dal profondo. In un certo senso, si imbatte la domanda che già c'è e la risposta che viviamo e che noi stessi, proprio attraverso quella domanda, riceviamo sempre di nuovo. Questo dovrebbe essere l'evento nell'incontro tra l'annuncio del Vangelo e l'essere giovani. |
Postato da: giacabi a 21:14 |
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cristianesimo, benedettoxvi
Gesù Cristo
è un avvenimento del presente
Premessa: ho accettato l'invito a parlare di Gesù Cristo perché è Lui il cuore, il vertice, la sintesi dell'annuncio evangelico; questo non dobbiamo mai dimenticarlo. Il Cristianesimo, in sé, non è una concezione della realtà, non è un codice di precetti, non è una liturgia. Non è neppure uno slancio di solidarietà umana, né una proposta di fraternità sociale. Anzi, il Cristianesimo non è neanche una religione. È un avvenimento, un fatto. Un fatto che si compendia in una persona.
Oggi si sente dire che in fondo tutte le religioni si equivalgono
perché ognuna ha qualcosa di buono. Probabilmente è anche vero. Ma il
Cristianesimo, con questo, non c'entra. Perché il Cristianesimo non è una religione, ma è Cristo. Cioè una persona.
Io
ho puntato su di lui la mia vita, l'unica vita che ho; e quindi sento
il bisogno ogni tanto di contemplarne il mistero, di rinfrescare
l'identikit di Cristo. Molte volte sentiamo parlare di Gesù Cristo, ogni
tanto sul giornale c'è qualcuno che fa qualche scoop su di lui, ogni
tanto si inventano e si danno interpretazioni su chi sia Gesù Cristo, ma
gli unici testi che ci parlano di Cristo sono i Vangeli. Perciò o si sta ai Vangeli, oppure si rinuncia a parlare di Lui.........Card.Giacomo Biffi
Postato da: giacabi a 15:55 |
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cristianesimo, biffi
Il cristianesimo genio della musica
Solo verso l’XI secolo la musica subì delle importanti trasformazioni:
l’improvvisazione fu lentamente sostituita dalla composizione,
infatti sorse finalmente l’idea di comporre una melodia una volta per
tutte, piuttosto che improvvisarla ogni volta; poi dalla monodia si
passò gradualmente alla polifonia, ora quindi la musica, che per millenni era sempre consistita unicamente in suoni isolati e consecutivi, cominciò a sperimentare la produzione simultanea di suoni tra loro combinati, creando una nuova dimensione dello spazio sonoro.
Ma l’innovazione più importante dell’XI secolo fu sicuramente la notazione musicale.
Fino a questo momento infatti i brani composti erano insegnati,
tramandati coralmente e subivano inevitabilmente trasformazioni e
alterazioni; ora invece fu possibile fissare in una forma definitiva una composizione, che poteva venire appresa dalla partitura. Questa in altre parole conteneva tutte le informazioni necessarie all’esecuzione del brano, che
il compositore fosse presente o no. Così la composizione e l’esecuzione
divennero atti separati e la funzione dell’esecutore diventò quella di
mediatore tra il compositore e il pubblico.
Uno dei più importanti teorici del Medioevo che si occupò della scrittura musicale fu il monaco benedettino Guido D’Arezzo (995-1050). Fu proprio lui che diede il nome alle note prendendo le sillabe iniziali di ognuno dei sette versi che compongono un inno molto diffuso ai suoi tempi, “Ut queant laxis”, scritta in latino dal poeta Paolo Diacono e dedicata a San Giovanni:
Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sante Johannes
Ottenne quindi le sillabe ut, re, mi, fa, sol, la; la nota “si” fu aggiunta più tardi unendo le iniziali delle parole componenti l’ultimo verso della poesia (Sancte Johannes).
Postato da: giacabi a 17:12 |
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cristianesimo
LA LUCE DEL MONDO II PARTE
La religiosità autentica e il potere
Da una conversazione di Luigi Giussani con un gruppo di Comunione e Liberazione.
New York, 8 marzo 1986 da www.tracce.it di febbraio 2002
Che
cosa pensi della cultura occidentale? Questa domanda per noi è
importante perché viviamo in un Paese che vuole essere l’espressione
realizzata dell’Occidente.
Mi pare che sia una domanda onnicomprensiva. Credo che, innanzitutto, la cultura occidentale possieda dei valori tali per cui si è imposta e come cultura e operativamente, socialmente, a tutto il mondo. C’è una piccola osservazione da aggiungere: che tutti questi valori la civiltà occidentale li ha ereditati dal cristianesimo: il valore della persona, assolutamente inconcepibile in tutta la letteratura del mondo, perché la persona è concepibile come dignità esclusivamente se è riconosciuta non derivare integralmente dalla biologia del padre e della madre, altrimenti è come un sasso dentro il torrente della realtà, una goccia di un’ondata che si infrange contro la roccia; il valore del lavoro, che in tutta la cultura mondiale, in quella antica ma anche per Engels e Marx, è concepito come una schiavitù, è assimilato a una schiavitù, mentre Cristo definisce il lavoro come l’attività del Padre, di Dio; il valore della materia, vale a dire l’abolizione del dualismo fra un aspetto nobile e un aspetto ignobile della vita della natura, che non esiste per il cristianesimo; la frase più rivoluzionaria della storia della cultura è quella di san Paolo: «Ogni creatura è bene» per cui Romano Guardini può dire che il cristianesimo è la religione più “materialista” della storia; il valore del progresso, del tempo come carico di significato, perché il concetto di storia esige l’idea d’un disegno intelligente.
Questi sono i valori fondamentali della civiltà occidentale, a mio avviso. Non ne ho citato un altro, perché è implicito nel concetto di persona: la libertà. Se l’uomo deriva tutto dai suoi antecedenti biologici, come la cultura imperante pretende, allora l’uomo è schiavo della casualità degli scontri e quindi è schiavo del potere, perché il potere rappresenta l’emergenza provvisoria della fortuna nella storia. Ma se nell’uomo c’è qualche cosa che deriva direttamente dall’origine delle cose, del mondo, l’anima, allora l’uomo è realmente libero. L’uomo non può concepirsi libero in senso assoluto: siccome prima non c’era e adesso c’è, dipende. Per forza. L’alternativa è molto semplice: o dipende da Ciò che fa la realtà, cioè da Dio, o dipende dalla casualità del moto della realtà, cioè dal potere. La dipendenza da Dio è la libertà dell’uomo dagli altri uomini. La mancanza terribile, l’errore terribile della civiltà occidentale è di aver dimenticato e rinnegato questo. Così, in nome della propria autonomia, l’uomo occidentale è diventato schiavo di ogni potere. E tutto lo sviluppo scaltro degli strumenti della civiltà aumenta questa schiavitù. La soluzione è una battaglia per salvare: non la battaglia per fermare la scaltrezza della civiltà, ma la battaglia per riscoprire, per testimoniare, la dipendenza dell’uomo da Dio. Quello che è stato in tutti i tempi il vero significato della lotta umana, vale a dire la lotta tra l’affermarsi dell’umano e la strumentalizzazione dell’umano da parte del potere, adesso è giunto all’estremo. Come Giovanni Paolo II ha messo in guardia tante volte, il pericolo più grave di oggi non è neanche la distruzione dei popoli, l’uccisione, l’assassinio, ma il tentativo da parte del potere di distruggere l’umano. E l’essenza dell’umano è la libertà, cioè il rapporto con l’infinito. Perciò è soprattutto nell’Occidente che la grande battaglia deve essere combattuta dall’uomo che si sente uomo: la battaglia tra la religiosità autentica e il potere. Il limite del potere è la religiosità vera - il limite di qualunque potere: civile, politico ed ecclesiastico -.
Mi pare che sia una domanda onnicomprensiva. Credo che, innanzitutto, la cultura occidentale possieda dei valori tali per cui si è imposta e come cultura e operativamente, socialmente, a tutto il mondo. C’è una piccola osservazione da aggiungere: che tutti questi valori la civiltà occidentale li ha ereditati dal cristianesimo: il valore della persona, assolutamente inconcepibile in tutta la letteratura del mondo, perché la persona è concepibile come dignità esclusivamente se è riconosciuta non derivare integralmente dalla biologia del padre e della madre, altrimenti è come un sasso dentro il torrente della realtà, una goccia di un’ondata che si infrange contro la roccia; il valore del lavoro, che in tutta la cultura mondiale, in quella antica ma anche per Engels e Marx, è concepito come una schiavitù, è assimilato a una schiavitù, mentre Cristo definisce il lavoro come l’attività del Padre, di Dio; il valore della materia, vale a dire l’abolizione del dualismo fra un aspetto nobile e un aspetto ignobile della vita della natura, che non esiste per il cristianesimo; la frase più rivoluzionaria della storia della cultura è quella di san Paolo: «Ogni creatura è bene» per cui Romano Guardini può dire che il cristianesimo è la religione più “materialista” della storia; il valore del progresso, del tempo come carico di significato, perché il concetto di storia esige l’idea d’un disegno intelligente.
Questi sono i valori fondamentali della civiltà occidentale, a mio avviso. Non ne ho citato un altro, perché è implicito nel concetto di persona: la libertà. Se l’uomo deriva tutto dai suoi antecedenti biologici, come la cultura imperante pretende, allora l’uomo è schiavo della casualità degli scontri e quindi è schiavo del potere, perché il potere rappresenta l’emergenza provvisoria della fortuna nella storia. Ma se nell’uomo c’è qualche cosa che deriva direttamente dall’origine delle cose, del mondo, l’anima, allora l’uomo è realmente libero. L’uomo non può concepirsi libero in senso assoluto: siccome prima non c’era e adesso c’è, dipende. Per forza. L’alternativa è molto semplice: o dipende da Ciò che fa la realtà, cioè da Dio, o dipende dalla casualità del moto della realtà, cioè dal potere. La dipendenza da Dio è la libertà dell’uomo dagli altri uomini. La mancanza terribile, l’errore terribile della civiltà occidentale è di aver dimenticato e rinnegato questo. Così, in nome della propria autonomia, l’uomo occidentale è diventato schiavo di ogni potere. E tutto lo sviluppo scaltro degli strumenti della civiltà aumenta questa schiavitù. La soluzione è una battaglia per salvare: non la battaglia per fermare la scaltrezza della civiltà, ma la battaglia per riscoprire, per testimoniare, la dipendenza dell’uomo da Dio. Quello che è stato in tutti i tempi il vero significato della lotta umana, vale a dire la lotta tra l’affermarsi dell’umano e la strumentalizzazione dell’umano da parte del potere, adesso è giunto all’estremo. Come Giovanni Paolo II ha messo in guardia tante volte, il pericolo più grave di oggi non è neanche la distruzione dei popoli, l’uccisione, l’assassinio, ma il tentativo da parte del potere di distruggere l’umano. E l’essenza dell’umano è la libertà, cioè il rapporto con l’infinito. Perciò è soprattutto nell’Occidente che la grande battaglia deve essere combattuta dall’uomo che si sente uomo: la battaglia tra la religiosità autentica e il potere. Il limite del potere è la religiosità vera - il limite di qualunque potere: civile, politico ed ecclesiastico -.
Postato da: giacabi a 22:53 |
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cristianesimo, giussani
Navigando in internet ho trovato la recensione di questo libro che cercherò di procurarmi perchè lo ritengo molto interessante. L'autrice affronta in maniera lucida e attuale la tentazione dell'uomo di sostituirsi a Dio ma cacciare Cristo equivale a cacciare l'uomo, negare la Sua divinità equivale all'annullamento dell'uomo.
La cacciata di Cristo
recensione di Mario Secomandi - 11 luglio 2006 in www.ragionpolitica.it
Rosa Alberoni, autrice del libro La cacciata di Cristo (edito dalla Rizzoli), enuclea, nel tentativo di far fuori Cristo da parte di talune èlites filosofico-culturali, la vera e propria messa in discussione e crisi dell'essenza stessa della civiltà occidentale così
come di quell'umanesimo ad un tempo cristiano e laico che affonda le
sue radici proprio nella migliore tradizione del continente europeo. Un
umanesimo che ha fatto del mix di fede cristiana nel Dio trascendente
incarnatosi in Gesù Cristo e della retta ragione laica il suo tratto
distintivo.Si è fatto notare come l'opera
di espunzione di Dio, di Cristo e dello stesso cristianesimo dalla
sfera filosofica e pubblica risalgano a qualche secolo fa, segnatamente alle idee di Cartesio, seguite successivamente da quelle di Rousseau, e poi da quelle di Marx ed Hitler. Cartesio ha per così dire operato la prima scissione fra pensiero ed essere: «Cogito ergo sum» (penso dunque sono). È stata così conferita la primazia all'assolutamente libero pensiero umano, e non più all'essere, ossia a Dio. Il trascendente viene già relegato in un angolo, e s'incomincia ad intravedere la fede come chiusa nel «ghetto della soggettività». La distinzione tra bene e male è da qui andata
offuscandosi sempre più. Rousseau ha in qualche modo proseguito
l'«opera» di Cartesio. Il filosofo «della rivoluzione francese» col suo
Contratto sociale è andato teorizzando la dissoluzione della famiglia e
dei corpi intermedi, che, insieme alla religione, sarebbero stati la causa della corruzione e dell'oscurantismo dell'Ancien Regime. I «frutti
velenosi» di simili tesi si sono visti poi nella lotta dei
rivoluzionari giacobini contro tutto ciò che apparteneva al passato (la Tradizione) così da instaurare una
società radicalmente nuova, nella quale gli individui, ora
completamente isolati e sradicati, avrebbero delegato tutto alla Volontà
collettiva e generale, ed alla Dea ragione. Dall'idolo
della ragione assoluta, nell'Ottocento, si passa, nel Novecento, a
quello della classe (operaia nel comunismo di Marx) e a quello della
razza (ariana nel nazismo di Hitler). Idoli cui si sono tributati numerosi sacrifici umani: nei lager e nei gulag è andata perduta sia la centralità della persona umana e della sua dignità e libertà, sia il primato dell'Amore misericordioso di Dio.
Decine di milioni di esseri umani sono stati appunto «immolati
sull'altare» di tali ideologie, vere e proprie religioni secolari, se
non pagane. La Chiesa ed i cristiani sono stati per ciò stesso perseguitati.
L'autrice ha poi individuato nel relativismo etico-culturale e nello scientismo tecnocratico, così come nell'islamismo radicale e nell'emergere della Cina quale nuova potenza mondiale i fattori scatenanti una nuova «cacciata di Cristo».
Con il diffondersi delle idee relativiste si è ingaggiata una lotta ai
principi cristiani molto più subdola delle precedenti: si vuole far credere che il bene assoluto consista nel perseguire senza limite alcuno i propri desideri, qualsiasi essi siano. Nella rivoluzione culturale del '68 si è già avuto un assaggio di ciò. Con
il divorzio, l'aborto e la contraccezione si è voluto far intendere che
l'uomo (e la donna) è l'assoluto artefice del proprio destino; è lui
(e/o lei) che decide cosa è famiglia e cosa no, cosa significa rispetto
della vita e cosa no. Il relativismo, in buona
sostanza, non permettendo di collocare su di una griglia valutativa la
diversità delle culture, disconosce ciò che di bello, vero e buono ha
fatto la civiltà occidentale. Ora il relativismo si abbraccia con lo scientismo, per cui lo scienziato va divenendo il profeta che tutti devono seguire, colui che porterà «il paradiso in terra» con la clonazione e rendendo l'uomo biologicamente perfetto.
Matrimoni ed adozioni gay, ricerca sugli embrioni, eutanasia e pillola abortiva sono le nuove frontiere della lotta politico-rivoluzionaria del nuovo razionalismo ateo contro il cristianesimo.
Nel frattempo, proliferano inedite forme di esoterismo (si pensi al
Codice da Vinci) e religioni fai-da-te, a testimonianza del fatto che il
bisogno di religiosità e del sacro non venga meno nonostante si voglia
estirpare il cristianesimo. L'islamismo
radicale politico affronta a viso aperto l'Occidente cristiano
direttamente con la minaccia atomico-nucleare e con la sua cultura
politica autoritaria, impositiva, invasiva e totalizzante. La Cina
lo fa con il suo «commercio sleale», vendendo prodotti ottenuti a costi
di produzione stracciati, ossia con lo sfruttamento nei Laogai di una
miriade di lavoratori-schiavi, per non parlare della
persecuzione là in atto dei cristiani fedeli alla Chiesa di Roma
derivante dal conculcarsi della libertà religiosa. L'Unione europea, per parte sua, disconosce le sue radici storico-culturali e religiose specificatamente cristiane
e bolla come «omofobo» chi si appresta a difendere la famiglia naturale
fondata sul matrimonio tra uomo e donna dagli attuali snaturamenti
artificiali, culturali e giuridici.
Rosa Alberoni segnala, per far fronte a ciò, che «è giunto il momento per i credenti di alzare la testa, di parlare, di denunciare la prepotenza, gli eccessi, i pericoli. Di
difendere i valori cristiani praticandoli, riconsacrandoli nei gesti,
perché solo così si fronteggia la volontà di distruzione del
Cristianesimo, che è volontà di annientamento della propria civiltà. Occorre
riportare i valori cristiani al centro dell'agire quotidiano, occorre
riportare la spiritualità al centro dell'essere umano e della nostra
storia. Solo così potremo
rivivificarci, risorgere per riprendere lo slancio creatore di
coraggio, di rettitudine morale, di dignità, di invenzione, di orgoglio
dell'appartenenza alla propria civiltà. Occorre
ripristinare la nostra identità sfigurata, e poi vigilare che non
accada più. Non giova a nessuno non avere un volto, né agli atei né ai
credenti»........
pdf la trascrizione di alcune pagine del libro La cacciata di Cristo di Rosa Alberoni, appena uscito nelle librerieClicca per accedervi immediatamente e scaricarlo sul finder
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