Perché è difficile credere?
***
***
“Perché c’è una differenza tra credere e vedere. Per esempio questa lampada davanti a noi, io la vedo, sono in rapporto con essa in modo tale che non ho alcun dubbio sulla sua esistenza. Credere è completamente diverso. All’atto semplicissimo di vedere con gli occhi si sostituisce un atto ben più complesso che richiede assai più grande forza morale, intelligenza e virtù, e che si chiama fede. Credere non è vedere, non è sapere, è agire al buio e non nella luce” (L’infinito in fondo al cuore).
Jean Guitton
Postato da: giacabi a 16:38 |
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fede, guitton
LA FEDE NON VISSUTA
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«In una situazione apparentemente***
ottimale per la trasmissione di un contenuto cattolico teorico
ed etico – parrocchie efficienti con offerta di corsi di catechismo
“per tutte le stagioni”; lezione di religione obbligatoria in ogni ordine
di scuola fino alla media superiore; tradizione almeno formalmente ben
salvaguardata nei criteri familiarmente trasmessi; un certo non ancora
sconfessato pudore di fronte a indiscriminata critica o informazione irreligiosa;
una buona percentuale di prassi di Messa festiva [e adesso,
sessant’anni dopo, tutto è molto ridimensionato...] – un primo contatto
con i giovani studenti delle medie superiori forniva un triplice fattore di
rilievo che colpiva l’osservatore interessato. Innanzitutto una immotivazione
ultima della fede. [...] In secondo luogo, una scontata inincidenza
della fede sul comportamento sociale in generale, e scolastico in particolare.
Infine, un clima decisamente generativo di scetticità».
L. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, pp. 41-42.
Postato da: giacabi a 06:57 |
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fede, giussani
Spavento di Maria
***
Una voce come la Tua
che entra nel cuore di una vergine
e lo spaventa,
una voce di carne e di anima,
una voce che non si vede,
un figlio promesso a me,
tu ancella che non conosci l'amore,
un figlio mio e dell'albero,
un figlio mio e del prato,
un figlio mio e dell'acqua,
un figlio solo:
il Tuo.
Come non posso spaventarmi
e fuggire lontano
se non fosse per quell'ala di uomo
che mi è sembrata un angelo?
Ma in realtà, mio Dio,
chi era?
Uno che si raccomanda,
uno che mi dice di tacere,
uno che non tace,
uno che dice un mistero
e lo divulga a tutti.
Io sola, povera fanciulla ebrea
che devo credere e ne ho paura, Signore,
perché la fede è una mano
che ti prende le viscere,
la fede è una mano
che ti fa partorire.
[tratto da: Alda Merini, Magnificat. Un incontro con Maria, Frassinelli 2002, pp. 22-23]
Postato da: giacabi a 16:44 |
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fede, merini, maria
La fiducia
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È l'oggetto scoperto dalla fede che sostiene tutto il nostro futuro, è l’oggetto scoperto dalla fede che sostiene tutto quanto l’ignoto della speranza, perché la speranza è piena di ignoto…..
«Maestro anche noi non comprendiamo quello che tu dici, ma se andiamo via da te, dove andiamo? Tu solo hai parole che spiegano la vita »,che portano il peso della vita, secondo una traiettoria che va a finire al destino, cioè al nostro compimento: questo è introdotto dal concetto di fiducia.
La povertà, cioè non è un abbandonare, ma è definita dal cammino verso l’avere, verso la verità dell’avere.
Fiducia, infatti, nasce da un verbo latino che suona fidere, fidere se alicui, affidarsi a uno . Fiducia è affidarsi a uno. La fiducia, perciò, ha dentro la speranza come compimento, cioè ha dentro la povertà come regola della vita; cioè anche se uno non lo vuole, è costretto a lasciare.
Mons. Luigi Giussani, (Si può vivere così?),pag.280
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Postato da: giacabi a 09:57 |
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fede, giussani
La fede
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La fede è un atto dell'intelletto, dice il catechismo, è
un atto di conoscenza che coglie la Presenza di qualcosa che la
ragione non saprebbe cogliere, ma che pur si deve affermare,
altrimenti si eluderebbe, si eliminerebbe qualcosa- che c'è dentro
l'esperienza, che l'esperienza indica, quindi in qualche modo innegabilmente c'è dentro; è inspiegabile, ma c'è dentro. Allora
per forza c'è in me una capacità di capire, di conoscere un livello
della realtà che è più grande del solito; e son costretto dalla
ragione ad ammetterlo: se non lo ammettessi non affermerei tutti i fattori che compongono la mia esperienza. Questa
cosa è il nucleo portante di tutta quanta la concezione della
conoscenza e della intelligenza della realtà dal punto di vista
cristiano, tutto il nucleo della intelligenza cristiana è qui.
Mons. Luigi Giussani, (Si può vivere così?),pp. 272-273
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Postato da: giacabi a 09:18 |
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fede, giussani
Scienza e fede
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Ciò che di permanente e di obiettivo rimane oggi della questione galileiana può essere sintetizzato nella domanda: quale rapporto c’è tra scienza e fede o, in modo più esplicito, quale rapporto c’è tra la scienza ed il destino dell’uomo?
Nella vicenda di Galileo possiamo infatti distinguere un aspetto immediato e un aspetto anticipatore o profetico. L’aspetto immediato è quello sotto gli occhi di tutti: una vicenda che sul piano scientifico si presentava molto complessa, con delle conseguenze di carattere ecclesiale e culturale e, in qualche modo, sociale e che quindi ha dovuto essere considerata e risolta con un procedimento molto più disciplinare ed amministrativo, che dogmatico o teologico in senso stretto. Ma c’è anche l’aspetto anticipatore che a distanza di qualche secolo può ben essere riconosciuto: il problema della scienza, a cui introduce il galileismo e quindi il razionalismo settecentesco, è quello di una scienza che pretende di rappresentare il sapere come tale, la totalità del sapere; che pretende di essere il punto discriminante sulla verità della fede. La sottovalutazione della fede come superstizione, la dichiarazione dell’impossibilità del soprannaturale, l’impossibilità dei miracoli, la riduzione dell’avvenimento cristiano dapprima a religione naturale e poi sostanzialmente a fenomeno in qualche modo "patologico", perché legato all’ignoranza del popolo, sono conseguenza di una concezione ed uno sviluppo di carattere scientistico. La Chiesa non poteva non avvertire la preoccupazione che in questa vicenda era contenuta anche la possibilità di uno sbilanciamento totale di un orizzonte, con una scienza che pretendeva di essere, da un lato, una conoscenza dei fenomeni a livello particolare e, dall’altro, una conoscenza assoluta e totalizzante. Questo non chiarisce tutti gli aspetti della questione, ma ne chiarisce una linea di comprensione che va dal 1600 a oggi. E oggi più che mai risulta attuale il problema del rapporto tra l’autonomia della ricerca scientifica e l’autorità della Chiesa. Se per autonomia della scienza si intende infatti la piena responsabilità degli scienziati di impostare la ricerca secondo quello che ritengono più adeguato per lo svolgimento della ricerca stessa, realizzando lo statuto proprio della scienza che professano con un’assoluta libertà di metodo e fissando per la ricerca obiettivi e metodi che non obbediscono ad altro se non alla ricerca stessa, l’autorità della Chiesa non ha niente da dire a questo riguardo; essa non può però non avere la preoccupazione di rappresentare un ambito di vita e di educazione a cui lo scienziato, in quanto credente, possa continuamente rifarsi, per un realismo nell’impostazione della propria indagine. Lo scienziato che crede in Dio, lo scienziato che crede che Dio si sia definitivamente rivelato nella Vita, nella Passione, nella Morte e nella Resurrezione di Gesù Cristo e quindi crede che esista il luogo che salva la verità di Dio e dell’uomo, uno scienziato che può pertanto essere rigenerato continuamente nella sua certezza corre meno degli altri la tentazione di ideologizzare la sua scienza, di concepirsi capace di trasformare "le pietre in oro". Comunque l’autorità della Chiesa educa un popolo che si assume la responsabilità della propria vita, e quindi anche la responsabilità di ogni ricerca scientifica particolare, rifiutando ogni ipotesi di lavoro che gli venga sotto banco imposta da preoccupazioni estranee alla scienza. Se per autonomia della scienza invece si intende pensare un mondo in cui la scienza è tutto, ne consegue pensare un mondo che alla fine è stato contro l’uomo: che la scienza non è tutto è quanto la Chiesa ha sicuramente voluto dire intervenendo su Galileo. Certo non si può dire che Galileo fosse di questo pensiero, ma non si può vedere la scienza del ventesimo secolo senza fare i conti con Galileo. Non si può guardare il problema come se fosse un particolare e basta: era un particolare che portava in "nuce" uno sviluppo secolare, per cui la scienza, svincolata da qualsiasi appartenenza è diventata totalizzante. Quanto detto della scienza vale anche per la filosofia, nel momento in cui la filosofia non è qualche cosa che si fa a comando, per illustrare i dogmi della Chiesa. La Chiesa per illustrare i suoi dogmi può avere bisogno di formule, che prende con estrema libertà e spregiudicatezza da vari sistemi filosofici, perché non è legata a nessun sistema filosofico. Consideriamo S. Tommaso d’Aquino: la Chiesa con Leone XIII (quindi non ai tempi di Galileo, ma tre secoli dopo) lo ha indicato come maestro esemplare, che ha vissuto integralmente il suo cammino verso la verità, e l’incontro tra la verità e la ragione con totale responsabilità, ma in un ambito di appartenenza che formava continuamente la sua personalità, anche di ricercatore filosofico. Quindi la Chiesa non si preoccupa del contesto ideologico e nemmeno dei contenuti della ricerca; si preoccupa di rappresentare, per colui che ricerca, un ambito di appartenenza, che rende realistico il lavoro. Quanto più è realistico il lavoro, tanto meno si possono realizzare delle contraddizioni assolute tra il contenuto della Rivelazione e il contenuto della ricerca, perché il contenuto vero della ricerca è in qualche modo il mistero stesso dell’essere. Qualsiasi ricerca, anche particolare, come ha confidato nei suoi scritti Newton, è come un approssimarsi alle tracce dell’Eterno, ma senza fretta, senza premure, senza concordismi inutili. La Chiesa per difendere la verità non ha bisogno della scienza e la scienza per porsi come scienza non ha bisogno di concordare con la fede. La scienza ha davanti a sé intero il campo della ricerca e del rischio, perché come ogni attività umana la scienza è un rischio. Occorre che il soggetto che compie questo rischio sia credente; se non lo è, lo compie lo stesso ma in modo implicito; dovendo ritrovare i termini del suo realismo all’interno della sua onestà intellettuale; un esempio in tal senso sono i filosofi greci, nessuno dei quali ha preteso che la sua posizione fosse un assoluto (Socrate insegna). Poichè il contenuto della ricerca è sempre mobile e la ricerca è continuamente in evoluzione, lo stesso incremento delle conoscenze e dei mezzi di ricerca, il traguardo stesso della ricerca si spostano continuamente. La verità cristiana non è dunque l’eliminazione delle ricerche particolari, ma la possibilità di fare queste ricerche senza esasperazioni e senza riduzioni. Non sarà la scienza a dirci se Dio esiste o no. E non sarà la scienza a cambiare l’uomo circa il suo Destino. La scienza può essere fatta nella certezza del Destino: se è fatta così, è fatta con totale responsabilità e con totale rischio. Non possiamo infine non riconoscere che la scienza e il progresso tecnologico-scientifico hanno incrementato i mezzi per conoscere e illuminare la realtà, quindi per trasformare in meglio le condizioni di vita dell’uomo, quanto meno quelle materiali. Il presupposto che è sempre valso dall’Illuminismo in poi a questo proposito è che l’incremento della scienza e del progresso tecnologico-scientifico comporta necessariamente l’incremento dell’uomo. Siamo però costretti a chiederci se è vero che l’incremento del progresso tecnologico-scientifico ha incrementato l’uomo come coscienza di sé, come rapporto tra sé e la realtà, come rapporto tra sé e il Destino proprio degli altri uomini. Per spiegarmi mi rifaccio alla terza parte della Redemptor Hominis: L’uomo cresce e crescendo può utilizzare in modo sempre più umano gli strumenti. L’idea che dagli strumenti vengono i fini è stata completamente negata dall’evoluzione stessa della scienza: la scienza non pone i fini, si occupa della ricerca dei significati particolari, che sono significati di fenomeni che interessano regioni del sapere, e non il sapere nella sua univocità. Che l’uomo possa utilizzare bene la scienza, non deriva dalla scienza, deriva dal livello di maturazione della personalità dell’uomo. Questo è un altro aspetto per cui quello che è successo nei primi 50 anni del XVII secolo, in quella che poteva sembrare un’ostinata controversia fra ecclesiastici e scienziati è invece quanto mai attuale. Se la Chiesa avesse detto "non ci interessa, pensate su questo quel che volete" avrebbe gravemente sbagliato nella sua vocazione di realtà educante la coscienza ecclesiale e la coscienza umana, perché non è possibile dire che la scienza non interessa a chi ha la preoccupazione di tenere viva l’intera esperienza dell’uomo. I fini l’uomo non li riceve dalla scienza, li riceve da autorità che sono morali, tanto è vero che la scienza per secoli ha ricevuto i fini dall’esperienza cristiana. I fini dell’uomo nascono a livello dell’impegno dell’uomo con il senso profondo della sua esistenza e non è l’analisi di un particolare, dei fenomeni che riguardano regioni del sapere, che possa darcene una formulazione chiara. Può confermarci un’idea di fine, ma non può certamente produrla a tavolino. Per questo la scienza non può fare a meno della filosofia, né può sostituire la filosofia, perché comunque, dal punto di vista naturale, la filosofia nasce come impegno dell’uomo col senso ultimo della sua vita. La scienza può favorire il progresso dell’uomo in quanto non pretende di fissare il fine, ma di dare all’uomo, che cresce nella consapevolezza del suo fine, strumenti per l’ottenimento di obiettivi particolari.
Luigi Negri.
Prefazione al libro "Galileo Galilei. Mito e realtà"
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Postato da: giacabi a 20:20 |
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fede, negri, scienza - articoli
La fede:
un metodo fondamentale per la cultura e la storia
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Postato da: giacabi a 21:01 |
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fede, giussani
Chi si fida di Dio
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Chi si fida di Dio mette Dio in obbligo di prendersi cura di lui.
B. Luigi Orione
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Postato da: giacabi a 22:39 |
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fede, don orione
La Fede
La Fede coglie la Verità molto prima dell'Esperienza. Gibran, Massime spirituali
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Postato da: giacabi a 15:16 |
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fede, gibran
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La fede è il senso del cuore come la vista è il senso dell'occhio.Kahlil Gibran |
Postato da: giacabi a 21:32 |
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fede, gibran
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“ E' un fenomeno di conoscenza che implica la ragione, un fenomeno di conoscenza di ciò che c’è,della realtà”
“ La fede è la conoscenza di una realtà che è al di là, di una realtà che è più di quello che la ragione conosce”
“ La fede è la cosa più razionale che ci sia, perché compie la ragione, risponde finalmente a ciò che il cuore desidera,indica l’esistenza della realtà che compie ciò che il cuore desidera”
"Senza
la fede non ci sarebbe possibilità neanche per la ragione; non ci
sarebbe possibilità di affermare ciò per cui l'uomo è mosso.”
“la parola "fede"...riassume tutto, afferma la novità nel mondo"
“La
novità nel mondo è la possibilità di un incontro nel quale l'uomo
percepisce che esiste la risposta al suo cuore, alle esigenze del suo
cuore… già nel presente”
“La fede è accogliere,riconoscere un presente, riconoscere che già nel presente inizia qualcosa che appartiene oltre tutto:già
nel presente esiste qualche cosa che appartiene al destino, che ha la
forma del destino. Ecco, questa è la parola più bella: l'incontro con un presente nella cui forma esiste già il destino"
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 09:24 |
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fede, giussani
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"...Il sintomo della certezza è che si ha simpatia umana per tutto quello che si incontra. Infatti, la simpatia umana con tutto quello che si incontra è solo data dalla presenza in noi della certezza del destino. Senza certezza non vi è possibilità di simpatia, se non formale, con chi ripete le nostre cose e con chi è d'accordo con noi [...] Quanto
più una persona è potente, come certezza di coscienza, tanto più il suo
sguardo, anche nel modo abituale di andare per la strada, abbraccia
tutto, valorizza tutto, e non gli scappa niente.
Vede anche la foglia gialla in mezzo alla pianta verde. E' solo la
certezza del significato ultimo che fa sentire, come fossimo un
detector, la più lontana limatura di verità che sta nelle tasche di
ognuno. E non è
necessario, per essere amico di un altro, che lui scopra che quello che
dici tu è vero e venga con te. Non è necessario, vado io con lui, per
quel tanto di limatura di vero che ha."
Luigi Giussani, da Certi di alcune grandi cose
Grazie a: Annina
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Postato da: giacabi a 00:10 |
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fede, giussani
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La fede non si indossa si incarna
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Postato da: giacabi a 17:01 |
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perle, fede
La “fede adulta”
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"Sul referendum sulla fecondazione assistita sono un cattolico adulto e andrò a votare. Mi sento tranquillo sui valori, non abbiamo da imparare da nessuno".
Romano Prodi 8 marzo 2005
"La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo
s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto
alla Chiesa e ai suoi pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol
credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo.
È
questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”.
Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle
correnti del tempo.
Così
fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità
della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente
al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature
umane più inermi. Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio
tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore,
ristabilito nuovamente da Cristo.
La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo.
Tuttavia, anche qui Paolo non si ferma alla negazione, ma ci conduce al grande “sì”. Descrive la fede matura, veramente adulta in maniera positiva con l’espressione: “agire secondo verità nella carità” (cfr. Efesini 4, 15). Il nuovo modo di pensare, donatoci dalla fede, si volge prima di tutto verso la verità.
Il potere del male è la menzogna. Il potere della fede, il potere di
Dio è la verità. La verità sul mondo e su noi stessi si rende visibile
quando guardiamo a Dio. E Dio si rende visibile a noi nel volto di Gesù Cristo.
Guardando a Cristo riconosciamo un’ulteriore cosa: verità e carità sono inseparabili.
In Dio, ambedue sono inscindibilmente una cosa sola: è proprio questa
l’essenza di Dio. Per questo, per i cristiani verità e carità vanno
insieme. La carità è la prova della verità. Sempre di nuovo dovremo essere misurati secondo questo criterio, che la verità diventi carità e la carità ci renda veritieri."
Benedetto XVI - 28.06.09
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Postato da: giacabi a 20:35 |
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fede, benedettoxvi
La fede
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Il
mondo cambia. Superfluo documentare un fatto così grave e così esteso:
cultura, costumi, ordinamenti, economia, tecnica, efficienza, bisogni,
politica, mentalità, civiltà ... tutto è in movimento, tutto in fase di
mutamento.
Perciò la Chiesa è in difficoltà. Anche questo fenomeno è, sotto vari aspetti, evidente. La Chiesa, lo sappiamo, è quella società visibile e misteriosa, che vive della religione di Cristo. Ora
nel mondo odierno la religione in genere, e tanto più una religione
come la nostra, determinata e organizzata, vivente nella scena storica
del tempo presente, e ordinata ad un fine escatologico, che si realizza
cioè nella sua pienezza oltre il tempo, in una vita futura, non sembra
che possa avere prospera esistenza. Si tratta poi di una religione che
pretende interpretare, anzi predisporre i destini dell’umanità, e che si
pone come verità circa Dio e circa l’uomo, maestra della nostra
salvezza, e che perfino osa fare dell’amore a Dio invisibile Padre
nostro e agli uomini, non più lupi, ma fratelli, la legge fondamentale
sia per l’essere individuo che per quello sociale, una religione simile,
che introduce nel piano naturale della vita uno straordinario piano
soprannaturale, convivente e animatore del primo, sembra, a chi osserva
le cose superficialmente, impensabile ai nostri giorni, sembra
una Chiesa destinata a spegnersi e a lasciarsi sostituire da una più
facile e sperimentabile concezione razionale e scientifica del mondo,
senza dogmi, senza gerarchie, senza limiti al possibile godimento
dell’esistenza, senza croce di Cristo. E se cade la Croce di Cristo, con
tutto ciò ch’essa comporta, che cosa rimane della nostra religione? che
cosa rimane della Chiesa? Viste così le cose, si comprende come la
Chiesa si trovi in difficoltà.
La
Chiesa è tuttora una grande istituzione, mondiale, collaudata da venti
secoli di storia, più travagliata che felice, ma feconda sempre di
energia nuova, di popolo numeroso, di uomini insigni, di figli devoti,
di risorse impreviste; ma, apriamo gli occhi, essa è ora, per certi
riguardi, in gravi sofferenze, in radicali opposizioni, in corrosive
contestazioni.
Non
si sarebbe scavato forse un abisso, che sembra incolmabile, fra il
pensiero moderno e la vecchia mentalità religiosa ed ecclesiale? non si
sarebbe assorbito nella cultura profana il tesoro di sapienza, di bontà,
di socialità, il quale sembrava essere patrimonio caratteristico della
religione cattolica, fino quasi a svuotarla e a privarla di tante sue
ragioni d’essere, per travasare questo patrimonio nel costume laico e
civile del nostro tempo? V’è ancora bisogno che la Chiesa ci insegni ad
amare i poveri, a riconoscere i diritti degli schiavi e degli uomini, a
curare e ad assistere i sofferenti, a inventare gli alfabeti per popoli
illetterati? Eccetera. Tutto questo, e pare assai meglio, lo fa il mondo
profano da sé; la civiltà cammina con forze proprie. Eccetera.
E
allora non sono forse chiari i motivi dell’irreligiosità moderna, del
laicismo geloso della propria emancipazione, dell’abbandono delle
osservanze religiose da parte di popolazioni intere, del materialismo
delle masse, insensibili ad ogni richiamo spirituale? Sì, la Chiesa è in
difficoltà. Ecco perfino alcuni suoi figli, che le hanno giurato amore e
fedeltà, che se ne vanno; ecco non pochi seminari quasi deserti,
famiglie religiose che trovano a stento nuovi seguaci; ed ecco fedeli
che non temono più di essere infedeli . . . L’elenco di questi malanni,
che affliggono oggi, nonostante il Concilio, la Chiesa di Dio, potrebbe
continuare, fino a riscontrare che grande parte di essi non assale la
Chiesa dal di fuori, ma l’affligge, l’indebolisce, la snerva dal di
dentro. Il cuore si riempie di amarezza e di più tenera e forte
affezione.
Se
così è, quali rimedi? Oh! per fortuna oggi la sensibilità e la
coscienza della Chiesa fedele (e questa è la parte più vigile e la più
numerosa), si sono scosse, e la corsa ai ripari si tramuta in sagge
terapie, non solo, ma in nuove, positive testimonianze di coraggiosa e
fiduciosa vitalità. Beati quelli che ne hanno l’intuito, e vi impegnano
l’opera, il cuore. Forse i giovani saranno anche questa volta
all’avanguardia: siano benedetti!
Ma ora noi poniamo una domanda, che investe tutto il sistema: può
la Chiesa superare le difficoltà presenti? È, per nostra fortuna,
facile la risposta, perché non è formulata dalla prudenza umana, né
fondata sopra le nostre povere forze; la risposta sta nella promessa di
Cristo: .
. . non praevalebunt (Matth. 16, 18); vobiscum sum (Matth. 28, 20); in
mundo pressuram habebitis; sed confidite, Ego vici mundum (Io. 16, 33);
caelum et terra transibunt, verba autem mea non praeteribunt (Matth. 24,
35). Al
di là dei risultati problematici, che possano avere le nostre faticose
vicende, queste ora ricordate sono parole vere, parole divine. Noi le
possiamo, noi tutti le dobbiamo prendere sul serio. Che cosa significa
«prenderle sul serio»? Significa questo fondamentale nostro
atteggiamento: significa prestarvi fede; significa credere. Diciamo
chiaramente: la fede è la prima condizione per superare le presenti
difficoltà (Cfr. DENZ-SCHÖN. 1532, 3008).
Lo ha confermato l’apostolo Giovanni: «Questa è la vittoria, che vince il mondo, la nostra fede» (1 Io. 5, 4).
E
che cosa finalmente è la fede? Oh! la grande questione! Ma ora
risolviamola nella più concisa risposta. La fede è l’adesione alla
Parola di Dio (Cfr S TH. II-IIæ, 1). E come possiamo conoscere,
distinguere, interpretare, applicare la Parola di Dio? Certamente
occorre un aiuto supplementare e preveniente alle nostre facoltà
spirituali, quell’aiuto dello Spirito Santo, meritatoci da Cristo (Cfr.
Io. 14, 6; 15: 5; Matth. 11, 27; etc.), che chiamiamo grazia, la quale
non è negata a chi fa ciò che può per ottenerla, a chi cioè impiega con
grande rettitudine la mente e il cuore nella ricerca e nella coerenza
della verità (Cfr. Io. 3, 21). Ma poi questo processo di adesione alla
vera fede si perfeziona e si compie mediante l’assistenza del magistero
ecclesiastico, come ha insegnato Gesù riferendosi alla missione degli
apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Luc. 10, 16; Dei Verbum, 10).
Così
che noi dobbiamo convincerci della necessità d’una fede viva,
autentica, operante; e ciò tanto di più quanto maggiori oggi sono le
difficoltà, alle quali abbiamo accennato. Non
basta, soggettivamente, una fede vaga, debole ed incerta; una fede
puramente sentimentale, abituale, fatta di ipotesi, di opinioni, di
dubbi, di riserve; né basta, oggettivamente, una fede che accetta ciò
che le piace, o che cerca di eludere le difficoltà rifiutando l’assenso a
verità misteriose e difficili.
Dobbiamo
saperci assicurati che la fede non umilia la ragione, ma la conforta
alla certezza e alla comprensione, almeno parziale, ma luminosa e
felice, di verità superiori e vitali. E dobbiamo far nostre le
trepidanti, ma esemplari implorazioni evangeliche, come quella del padre
che implorava la salute per il figlio disgraziato: «Io credo, Signore,
ma Tu aiuta la mia incredulità» (Marc. 9, 23); e quella degli apostoli
al Signore : «Accresci in noi la fede!» (Luc. 17, 5).
Con la nostra Apostolica Benedizione.
Papa Paolo VI Mercoledì, 11 settembre 1974 UDIENZA GENERALE
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Postato da: giacabi a 21:47 |
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fede, paolovi
Se la realtà non aderisce alla fede …
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« Se la realtà non aderisce alla fede,si alterano tutti i termini dei i rapporti .L'esempio che sempre bisogna fare e quello dell'affezione tra l'uomo e la donna, perche questo e l'esempio che Dio ha messo per primo nel mondo. Si altera il rapporto tra l'uomo e la donna: diventa egoismo invece che amore, negazione invece che affermazione, fragilità rinsecchita invece che creatività feconda, chiusura invece che apertura. Invece che spalancare le braccia ad abbracciare il mondo, si vuole ridurre l'abbraccio all'oggetto che piace, che ci e davanti, e così uno lancia le braccia -secondo il paragone dell' Eneide -e stringe il nulla, abbraccia e stringe il niente..»
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 08:59 |
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fede, reale, giussani
L a fede
***
« La
novità nel mondo e la possibilità di un incontro nel quale l'uomo
percepisce che esiste la risposta al suo cuore, alle esigenze del suo
cuore. Questa risposta -che esiste, cioè, che il cuore desidera -influisce già sul presente, e già nel presente.
Quando Giovanni e Andrea hanno trovato Cristo, non capivano l'aldilà, cosa volesse dire il paradiso, ma avevano lì qualche cosa che era come un paradiso, un pezzo di paradiso: era un pezzo di qualcosa d' Altro. C'è già, è un presente. Perciò la
fede è accogliere, riconoscere un presente, riconoscere che già nel
presente inizia qualcosa che ci aspetta oltre tutto: già nel presente
esiste qualcosa che appartiene al destino, che ha la forma del destino. Ecco, questa è la parola più bella: l'incontro con un presente nella cui forma esiste già il destino.».
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 07:28 |
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fede, giussani
La mancanza di fede
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« La mancanza di fede non è come la mancanza di qualsiasi altro bene morale o materiale. Per me è un dramma, un dramma intimo e doloroso, che mi ha colpito alla vigilia della morte, quando l’anima non ha più forze di ricupero e di rinnovamento. Sa che a volte, se ci penso, mi commuovo? Sì, proprio così, mi commuovo, e piango su me stesso e sulla mia miseria. Ma quanti di coloro che predicano la Fede, sentono la Fede come io sento la mancanza della Fede? ».
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Postato da: giacabi a 20:42 |
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fede
La fede
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La fede esige la conoscenza, ma sua volta la conoscenza ha bisogno della fede. Come non può esserci fede senza conoscenza, così non può esserci conoscenza senza fede.
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Postato da: giacabi a 13:33 |
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fede
La fede
***
É un fenomeno di conoscenza. Se e un fenomeno di conoscenza implica la ragione: non «si riduce», ma la implica.
Perciò un fenomeno di conoscenza che implica la ragione è un fenomeno di conoscenza di ciò che c'è, della realtà.
E siccome quello che dice la fede, nella realtà che la nostra ragione
misura e capisce, non c’è -e infatti noi abbiamo detto che la fede è una conoscenza di una realtà che è al di la, di una realtà che e più di quello che la ragione conosce -, come fai ad ammetterlo, questo più di quello che la ragione conosce? Perché soltanto di fronte all'ipotesi, all'annuncio, all'intuizione di questo più, il cuore sente la risposta a quello che è. Così la fede e la cosa più razionale che ci sia, perche compie la ragione, vale a dire, risponde finalmente a ciò che il cuore desidera, indica l'esistenza della realtà che compie ciò che il cuore desidera.
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 09:12 |
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fede, giussani
La fede
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“La fede è riconoscere l'assoluta impossibilità di una salvezza che venga solo dall'uomo”
Pierre Chaunu
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Postato da: giacabi a 14:53 |
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fede
La fede
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" La fede è guardare di là, oltre il segno. “
P. Mazzolari |
Postato da: giacabi a 14:31 |
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fede
Riconoscere per conoscere
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La fede è il senso del cuore
come la vista è il senso dell'occhio.
Kahlil Gibran "A Treasury of Kahlil Gibran"
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Postato da: giacabi a 09:37 |
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fede, gibran
Fede,ragione e scienza
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“Giovanni Paolo II sottolinea invece l’importanza di coniugare fede e ragione nella loro reciproca relazione, pur nel rispetto della sfera di autonomia propria di ciascuna. Con questo magistero, la Chiesa si è fatta interprete di un'esigenza emergente nell'attuale contesto culturale. Ha voluto difendere la forza della ragione e la sua capacità di raggiungere la verità, presentando ancora una volta la fede come una peculiare forma di conoscenza, grazie alla quale ci si apre alla verità della Rivelazione (cfr Fides et ratio,
13). Si legge nell’Enciclica che bisogna avere fiducia nelle capacità
della ragione umana e non prefiggersi mete troppo modeste: "È
la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a
rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si
fa così avvocato convinto e convincente della ragione"
(n. 56). Lo scorrere del tempo, del resto, manifesta quali traguardi la
ragione, mossa dalla passione per la verità, abbia saputo raggiungere.
Chi potrebbe negare il contributo che i grandi sistemi filosofici hanno
recato allo sviluppo dell’autoconsapevolezza dell’uomo e al progresso
delle varie culture? Queste, peraltro, diventano feconde quando si
aprono alla verità, permettendo a quanti ne partecipano di raggiungere
obiettivi che rendono sempre più umano il vivere sociale. La ricerca della verità dà i suoi frutti soprattutto quanto è sostenuta dall'amore per la verità. Ha scritto Agostino: "Ciò che si possiede con la mente si ha conoscendolo, ma nessun bene è conosciuto perfettamente se non si ama perfettamente" (De diversis quaestionibus 35,2).
Non
possiamo nasconderci, tuttavia, che si è verificato uno slittamento da
un pensiero prevalentemente speculativo a uno maggiormente sperimentale. La ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti.
Il desiderio di conoscere la natura si è poi trasformato nella volontà
di riprodurla. Questo cambiamento non è stato indolore: l'evolversi dei
concetti ha intaccato il rapporto tra la fides e la ratio con la conseguenza di portare l'una e l'altra a seguire strade diverse. La conquista scientifica e tecnologica, con cui la fides è sempre più provocata a confrontarsi, ha modificato l'antico concetto di ratio;
in qualche modo, ha emarginato la ragione che ricercava la verità
ultima delle cose per fare spazio ad una ragione paga di scoprire la
verità contingente delle leggi della natura. La ricerca scientifica ha
certamente il suo valore positivo. La scoperta e l'incremento delle
scienze matematiche, fisiche, chimiche e di quelle applicate sono frutto
della ragione ed esprimono l'intelligenza con la quale l'uomo riesce a
penetrare nelle profondità del creato. La fede, da parte sua, non teme
il progresso della scienza e gli sviluppi a cui conducono le sue
conquiste quando queste sono finalizzate all'uomo, al suo benessere e al
progresso di tutta l'umanità. Come ricordava l'ignoto autore della Lettera a Diogneto: "Non l'albero della scienza uccide, ma la disobbedienza. Non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera" (XII, 2.4).
Avviene, tuttavia, che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi.
Il facile guadagno o, peggio ancora, l'arroganza di sostituirsi al
Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. E’ questa una forma
di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. La scienza, d'altronde, non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie. La
filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti
indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza
proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo
di rischi.
Ciò non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire
alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere
vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono
nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo servizio
all'uomo.
La lezione di sant’Agostino è sempre carica di significato anche nell'attuale contesto: "A che cosa perviene - si domanda il santo Vescovo di Ippona - chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non
è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che
cercano quanti usano la ragione... Confessa di non essere tu ciò che è
la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa
non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la
disposizione della mente" (De vera religione, 39,72). Come dire: da
qualsiasi parte avvenga la ricerca della verità, questa permane come
dato che viene offerto e che può essere riconosciuto già presente nella
natura. L'intelligibilità della creazione, infatti, non è frutto dello
sforzo dello scienziato, ma condizione a lui offerta per consentirgli di
scoprire la verità in essa presente. "Il ragionamento non crea queste verità - continua nella sua riflessione sant'Agostino - ma le scopre. Esse perciò sussistono in sé prima ancora che siano scoperte e una volta scoperte ci rinnovano" (Ibid.,
39,73). La ragione, insomma, deve compiere in pieno il suo percorso,
forte della sua autonomia e della sua ricca tradizione di pensiero.
La
ragione, peraltro, sente e scopre che, oltre a ciò che ha già raggiunto
e conquistato, esiste una verità che non potrà mai scoprire partendo da
se stessa, ma solo ricevere come dono gratuito. La
verità della Rivelazione non si sovrappone a quella raggiunta dalla
ragione; purifica piuttosto la ragione e la innalza, permettendole così
di dilatare i propri spazi per inserirsi in un campo di ricerca
insondabile come il mistero stesso. La verità rivelata, nella "pienezza dei tempi" (Gal 4,4), ha
assunto il volto di una persona, Gesù di Nazareth, che porta la
risposta ultima e definitiva alla domanda di senso di ogni uomo.
La verità di Cristo, in quanto tocca ogni persona in cerca di gioia, di
felicità e di senso, supera di gran lunga ogni altra verità che la
ragione può trovare. E' intorno al mistero, pertanto, che la fides e la ratio trovano la possibilità reale di un percorso comune.
In
questi giorni, si sta svolgendo il Sinodo dei Vescovi sul tema "La
Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Come non vedere
la provvidenziale coincidenza di questo momento con il vostro Congresso.
La passione per la verità ci spinge a rientrare in noi stessi per
cogliere nell'uomo interiore il senso profondo della nostra vita. Una
vera filosofia dovrà condurre per mano ogni persona e farle scoprire
quanto fondamentale sia per la sua stessa dignità conoscere la verità
della Rivelazione. Davanti a questa esigenza di senso che non dà tregua
fino a quando non sfocia in Gesù Cristo, la Parola di Dio rivela il suo
carattere di risposta definitiva. Una Parola di rivelazione che diventa
vita e che chiede di essere accolta come sorgente inesauribile di
verità.
Benedetto XVI Da: Discorso ai partecipanti ad un Congresso Internazionale nel decimo anniversario della pubblicazione della Fides et ratio, Roma, 16 ottobre 2008
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Postato da: giacabi a 12:02 |
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fede, ragione, benedettoxvi, scienza - articoli
La fede
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“È la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della ragione”.
dall’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II
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Postato da: giacabi a 07:06 |
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fede, giovanni paoloii
La fede rende veri uomini
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“La fede restituisce all'uomo il corpo, l'anima, la ragione, la volontà e la vita stessa.
L'uomo che la riceve, riceve insieme l'attitudine a tutte le antiche
funzioni umane che le altre filosofie stanno sottraendogli. Si sarebbe
molto vicini al vero dicendo che egli, soltanto possiede la libertà e la volontà, perché egli soltanto crederà nel libero arbitrio; che egli soltanto possiederà la ragione perché il dubbio assoluto nega tanto l'autorità che la ragione; che egli solo potrà veramente agire, perché l'azione non si esegue se non per un fine. E' una visione non impossibile: tutto questo indurirsi dell'intelletto e tutta questa disperazione senza fine, faranno sì che, alla fine, egli sarà, in una città di paralitici, l'unico cittadino in grado di muoversi e di parlare“.
Chesterton , in The Thing, 1929 |
Postato da: giacabi a 20:38 |
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fede, chesterton
Bisogna credere perché Dio esiste
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«Non
bisogna credere per tradizione, per paura della morte oppure per
mettere le mani avanti. O perchè c'è qualcuno che comanda e incute
timore, oppure ancora per ragioni umanistiche, per salvarsi e fare
l'originale. Bisogna credere per la semplice ragione che Dio esiste.»
A. Sinjavskij Pensieri improvvisi Jaka Book
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Postato da: giacabi a 14:35 |
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fede, sinjavskij
Fede e ragione
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«L’autorità della fede non è mai abbandonata dalla ragione, poiché è la ragione che considera a chi si debba credere. »
sant’Agostino
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Postato da: giacabi a 18:55 |
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fede, ragione, agostino
La fede
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«la Fede fiorisce come un fiore al culmine della ragione».
don Giussani da:Generare tracce nella storia del mondo, Rizzoli
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Postato da: giacabi a 17:19 |
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fede, giussani
La fede
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Se non hai capito, credi. L’intelligenza è frutto della fede. Non cercare dunque di capire per credere, ma credi per capire.
S. Agostino
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La fede comincia appunto là dove la ragione finisce.
S. Kierkegaard
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