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martedì 7 febbraio 2012

Madeleine Delbrel

L´amore
***
Tutto il Vangelo non è altro che la buona notizia della carità: l´amore è stato reso possibile e rimane possibile, attraverso la croce e nella croce
(M. Delbrêl, Che gioia credere).
 

Postato da: giacabi a 07:28 | link | commenti (2)
delbrel, amore

venerdì, 30 settembre 2011
***
Una volta che abbiamo conosciuto la Parola di Dio (che in Gesù Cristo si è fatta carne) non abbiamo il diritto di non riceverla: una volta che l´abbiamo ricevuta non abbiamo il diritto di non lasciarla incarnare in noi; una volta che si è incarnata in noi non abbiamo il diritto di conservarla per noi: noi apparteniamo, da quel momento, a coloro che l´attendono
(M. Delbrêl).

Postato da: giacabi a 21:10 | link | commenti
delbrel

Una reliquia della Passione
***


  Se dovessi scegliere
  una reliquia della tua Passione,
  prenderei proprio quel catino
  colmo d'acqua sporca.
  Girare il mondo con quel recipiente
  e ad ogni piede
  cingermi dell'asciugatoio
  e curvarmi giù in basso,
  non alzando mai la testa oltre il polpaccio
  per non distinguere
  i nemici dagli amici,
  e lavare i piedi del vagabondo,
  dell'ateo, del drogato,
  del carcerato, dell'omicida,
  di chi non mi saluta più,
  di quel compagno per cui non prego mai,
  in silenzio
  finche tutti abbiano capito nel mio
  il tuo amore. 

 
  (Madeleine Delbrel)

 

Postato da: giacabi a 20:50 | link | commenti
delbrel

giovedì, 28 luglio 2011

Delbrêl, giullare di Dio
***

 

 
Il testo inedito che qui pubblichiamo probabilmente è stato scritto nel 1961. Su richiesta di padre Jean Guéguen, Madeleine Delbrêl preparò «qualche cosa sulla missione nella città», in occasione della grande missione che ebbe luogo a Clermont-Ferrand nel corso del 1961. Dedicato alla Vergine Maria e rivolto ad un ateo, che probabilmente rappresenta la Città marxista e atea, riprende con forza alcune delle grandi convinzioni apostoliche di Madeleine.

Quella città - e non è un’eccezione - ha un credito nei miei confronti, come le città che le sono simili o gli uomini verso i quali io ho lo stesso debito.

Dei cristiani non hanno saputo guardare? Allora io non so guardare, m’impegnerò a fare meglio.
Nel momento in cui tu hai fatto di tutto per separarti da Dio, dei cristiani ti hanno lasciato solo. A motivo dell’unità che ci lega, io mi considero responsabile.

È di Dio che sei stato privato, è Dio che dovrei restituirti.

Ma tu sai che la Fede non posso, non possiamo donarla. Devo cercare di darti Dio in un altro modo. Tu crederai o non crederai, come vuoi. Io terrò Dio accanto a te.

Cristo ha detto, ed è il nocciolo di tutta la vita cristiana, di amare Dio con tutto il nostro cuore e più di tutto, e di amare tutti gli uomini come noi stessi. È questo il modo in cui ha voluto che noi fossimo cristiani.


È questo amore che prendo con me per tornare accanto a te.
Cristo ci ha detto senza sosta come bisognava viverlo; vivendolo ci ha mostrato come fare. Ci ha detto che seguendo la sua parola come un bambino incapace di critica, meriteremo di vivere insieme a lui, che la sua presenza non ci abbandonerà fino alla morte.


Cristo, ora invisibile, nostro maestro e nostro Dio: tanto ne ascolterò la parola nel Vangelo, tanto farò parola per parola ciò egli ha detto, che io stesso, ad ogni azione che compirò come vuole lui, lo conoscerò un pò di più.

Con lui tutto inizia e tutto finisce con «Amerai» che è un ordine assoluto.
Tutto inizia così dal basso, così concreto, e così materiale e corporale, che puoi volerlo: amare è versare un bicchiere d’acqua a chi ha sete, dar da mangiare a chi ha fame, dare un ricovero a chi è senza. È essere in prigione col prigioniero, all’ospedale vicino al malato. È avere il cuore distrutto da ogni preoccupazione, ogni pena, ogni dolore dell’altro. È essere un fratello per ciascuno e un fratello per tutti, è vivere con gioia per loro e per loro morire.
Madeleine Delbrêl
Da Avvenire
27 luglio 2011

Postato da: giacabi a 19:23 | link | commenti
delbrel

lunedì, 18 gennaio 2010

La povertà
***
“Non può non andare colui che
possiede il tuo Spirito, Signore.
Noi immaginiamo sempre che per andare
occorrano strade, tappe e paesi che cambiano.
Ma la tua via non consiste in questo.
E’ la vita, semplicemente:
la vita che scorre e nella quale andiamo
se le nostre ancore sono levate.

Da te, Signore, siamo chiamati
ad andare leggeri, senza possessi,
con una fede nuda, essenziale.
Questa fede ci rende semplici
della tua grande semplicità.

Essa si acquista con il sacrificio di tutto quanto
non sia il Regno dei cieli.
Allora quelli che ci incontreranno sul loro cammino
tenderanno le mani avide
al tesoro che zampilla da noi:

un tesoro liberato dai nostri vasi di terra,
dalle nostre valigie, dai nostri bagagli,
un tesoro semplicemente divino.
Allora noi saremo agili
e diventeremo a nostra volta delle parabole
che donano a tutti la perla preziosa,
la vita vera”.

Madeleine Delbrêl

Postato da: giacabi a 20:23 | link | commenti
possesso, delbrel

sabato, 16 gennaio 2010


La Chiesa
***
Con la Chiesa e come la Chiesa, noi, a causa del mondo, siamo in stato di emergenza. Tutto ciò che facesse di noi dei pensatori, delle persone ripiegate nell’introspezione, dei problematici cronici, ci impedirebbe di far fronte a tale emergenza ... Invece, mentre si cammina, si può pensare, ci si può raccogliere, si può riflettere.
Poiché siamo nella Chiesa, siamo persone incalzate, in essa e con essa, da urgenze.

Ora, noi siamo sempre indotti nella tentazione di dimenticare questa condizione della Chiesa, questo stato di emergenza, e di trasformare le soste della nostra vita in immobilismo o in chiacchiere.
Le stesse parole del Signore e la interpretazione che Egli ne dà, possiamo sclerotizzarle, dimenticando che esse sono spirito, vita.
Perfino gli appuntamenti che Cristo ci ha dato: “Là dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, noi possiamo trasformarli in conferenze.
Anche la preghiera, questo mezzo datoci da Gesù per ottenere ciò che a noi è necessario, possiamo ridurla a qualcosa di meccanico o a una richiesta di soccorso.
Le stesse soste necessarie: “Venite in disparte e prendetevi un po’ di riposo”, sì, possiamo non dico trasformarle, in un campeggio, però c’è il rischio che vi studiamo l’arte del campeggiatore.
Nelle curve delle nostre strade, vicino alle persone che incontriamo, corriamo il rischio di dimenticare che Cristo è la nostra unica via e che Egli è presente in ogni nostro incontro. Allora siamo anche capaci di fermarci a dipingere un paesaggio ... o a fare analisi psicologiche.
Da tutte queste tendenze è necessario che il Signore ci scampi. Bisogna chiedergli che la nostra ... guida tascabile ci insegni a sincronizzare i nostri passi, a portare i bagagli gli uni degli altri, a far nostra la fatica di tutti, a sorridere quando i piedi ci fanno male, a sorridere davvero per non essere ingrati.
Lungo il cammino: “Tutto ciò che capita è adorabile”*, lungo il cammino: “Tutto è grazia”.
Fino alla fine dei tempi la Chiesa resterà una sposa novella, ed è proprio così che san Giovanni la presenta. Fino alla fine dei tempi la Chiesa combatte contro la morte, e sulla morte consegue la vittoria che già le è stata data. La Chiesa partorisce dei risorti.
In tal modo la Chiesa avanza indefinitamente, finché dura il tempo, verso la pienezza della sua giovinezza.
In essa è la legge della vita eterna in noi.
La Chiesa ci alleva, ci educa, ci istruisce, ci forma perché in essa diventiamo Vangelo vivente. Tutto nella Chiesa mira a ciò. E noi, da quelle infinite terminazioni nervose che siamo nel corpo della Chiesa, dobbiamo, come tutto il resto, diventare questo Vangelo vivente.

Dobbiamo diventarlo attraverso ciò che la Chiesa a tale scopo incessantemente ci comunica.
Ma dobbiamo diventarlo anche attraverso ciò che l’intimo contatto con il mondo, senza tregua, ci impone, ci propone, ci oppone.
Dobbiamo seguire l’istinto della Chiesa che rivendica il diritto di camminare su tutte le strade.
Affinché in essa Gesù Cristo vada nel mondo per salvare il mondo, è necessario che la Chiesa ogni giorno si incarni nel mondo: la sua carne siamo tutti noi, contrastati e trafitti come il mondo e dal “mondo”


Madeleine Delbrel “Indivisibile amore” pagg 138-140

Postato da: giacabi a 15:32 | link | commenti
chiesa, delbrel

mercoledì, 18 marzo 2009
 Il nuovo giorno di Madeleine Delbrêl
***

Inizia un altro giorno.
 
Gesù vuol viverlo in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.
 
Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa
da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa
da dare.
Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato,
ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull'acqua.
Dolce come un agnello
di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei
per il fatto che lei cammina tra la folla.
 
Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere,
in ogni istante,
gl'inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.
 
Attraverso i fratelli più vicini ch'egli ci farà
servire amare salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.
 
Benedetto questo nuovo giorno che è Natale
per la terra,
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.
Madeleine Delbrêl,  da Il piccolo monaco, P.Gribaudi editore, Torino, 1990

Postato da: giacabi a 13:54 | link | commenti
delbrel

mercoledì, 05 novembre 2008
Preghiera della carità
  ***
Tu, Signore, ci liberi da ogni obbligo,
ma ci rendi completamente dipendenti
da una sola necessità: la carità.
La carità è
più del necessario per esistere;
più del necessario per vivere;
più del necessario per agire.
La carità è la nostra vita
che diventa eterna.
La carità non la si impara:
la si conosce poco a poco
facendo la Tua conoscenza, o Cristo.
È la fede in Te che ci rende capaci di carità;
è la Tua vita che ci mostra come
desiderare, domandare, ricevere la carità.
È il Tuo Spirito
che ci rende vivi di carità,
attivi mediante la carità,
fecondi di carità.
Dilata il nostro cuore, Signore,
perché vi stiano tutti gli uomini;
incidili in questo cuore, perché
vi rimangano scritti per sempre.
Madeleine Delbrel

Postato da: giacabi a 14:02 | link | commenti
delbrel

domenica, 12 ottobre 2008
I nostri Deserti
 ***
Quando ci si ama, si vuol stare insieme e quando si è insieme ci si desidera parlare. Quando ci si ama, è penoso avere sempre gente intorno. Quando ci si ama, si vuole ascoltare l'altro, solo, senza che voci estranee ci vengano a turbare. Per questo coloro che amano Dio hanno sempre sognato il deserto, per questo a coloro che l'amano Dio non può rifiutarlo. E sono sicura, mio Dio, che Tu mi ami e che in questa vita così ostacolata, stretta tutt'intorno dalla famiglia, dagli amici e da tutti gli altri, non può mancare quel deserto in cui ti si può incontrare. Non si arriva mai al deserto senza avere attraversato molte cose, senza essere affaticati da una lunga strada, senza strappare i propri occhi al loro orizzonte abituale. Si guadagnano i deserti, non si regalano. I deserti della nostra vita, noi li strapperemo al segreto delle nostre ore umane, se non faremo violenza alle nostre abitudini, alle nostre pigrizie. E' difficile, ma essenziale al nostro amore. Lunghe ore di sonnolenza non valgono dieci minuti di sonno vero. Così è della solitudine con Te. Ore di quasi solitudine sono per l'anima un riposo minore che un tuffo istantaneo nella Tua presenza. Non si tratta di imparare l'ozio. Bisogna imparare a essere soli ogni volta che la vita ci riserva una pausa. E la vita è piena di pause, che noi possiamo scoprire o sprecare. Nella più pesante e grigia giornata, quale splendida gioia per noi la previsione di tutti questi incontri sgranati...
Quale gioia sapere che noi potremo al tuo solo volto levare gli occhi, mentre la farinata diventerà densa, mentre crepiterà il telefono occupato, mentre, alla fermata, attenderemo l'autobus in ritardo, mentre saliremo le scale, mentre andremo a cercare, in fondo al viale del giardino, ciuffi di prezzemolo per condire l'insalata. Che straordinaria passeggiata, sarà per noi questa sera il ritorno in metrò, quando s'intravedranno appena le persone incrociate sul marciapiede. Quali "vantaggi" per te sono i nostri ritardi, quando si attende un marito, degli amici e dei figli. Ogni fretta di ciò che non arriva è molto spesso il segno di un deserto. Ma i nostri deserti hanno rudi divieti, non fossero che le nostre impazienze o le nostre fantasticherie vagabonde o il nostro torpore. Perché noi siamo fatti così, che non possiamo preferirti senza un minimo di lotta, e Tu, nostro Diletto, sarai sempre messo da noi sulla bilancia con questo fascino, con questa ossessione logorante delle nostre quisquilie.
(Madeleine Delbrel – La gioa di credere)



Postato da: giacabi a 21:05 | link | commenti
amicizia, delbrel

sabato, 04 ottobre 2008
Con la Chiesa e nella Chiesa
 ***
Con la Chiesa e come la Chiesa, noi, a causa del mondo, siamo in stato di emergenza. Tutto ciò che facesse di noi dei pensatori, delle persone ripiegate nell’introspezione, dei problematici cronici, ci impedirebbe di far fronte a tale emergenza ... Invece, mentre si cammina, si può pensare, ci si può raccogliere, si può riflettere.
Poiché siamo nella Chiesa, siamo persone incalzate, in essa e con essa, da urgenze.
Ora, noi siamo sempre indotti nella tentazione di dimenticare questa condizione della Chiesa, questo stato di emergenza, e di trasformare le soste della nostra vita in immobilismo o in chiacchiere.
Le stesse parole del Signore e la interpretazione che Egli ne dà, possiamo sclerotizzarle, dimenticando che esse sono spirito, vita.
Perfino gli appuntamenti che Cristo ci ha dato: “Là dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, noi possiamo trasformarli in conferenze.
Anche la preghiera, questo mezzo datoci da Gesù per ottenere ciò che a noi è necessario, possiamo ridurla a qualcosa di meccanico o a una richiesta di soccorso.
Le stesse soste necessarie: “Venite in disparte e prendetevi un po’ di riposo”, sì, possiamo non dico trasformarle, in un campeggio, però c’è il rischio che vi studiamo l’arte del campeggiatore.
Nelle curve delle nostre strade, vicino alle persone che incontriamo, corriamo il rischio di dimenticare che Cristo è la nostra unica via e che Egli è presente in ogni nostro incontro. Allora siamo anche capaci di fermarci a dipingere un paesaggio ... o a fare analisi psicologiche.
Da tutte queste tendenze è necessario che il Signore ci scampi. Bisogna chiedergli che la nostra ... guida tascabile ci insegni a sincronizzare i nostri passi, a portare i bagagli gli uni degli altri, a far nostra la fatica di tutti, a sorridere quando i piedi ci fanno male, a sorridere davvero per non essere ingrati.
Lungo il cammino: “Tutto ciò che capita è adorabile”, lungo il cammino: “Tutto è grazia”.
Fino alla fine dei tempi la Chiesa resterà una sposa novella, ed è proprio così che san Giovanni la presenta. Fino alla fine dei tempi la Chiesa combatte contro la morte, e sulla morte consegue la vittoria che già le è stata data. La Chiesa partorisce dei risorti.
In tal modo la Chiesa avanza indefinitamente, finché dura il tempo, verso la pienezza della sua giovinezza.
In essa è la legge della vita eterna in noi.
La Chiesa ci alleva, ci educa, ci istruisce, ci forma perché in essa diventiamo Vangelo vivente. Tutto nella Chiesa mira a ciò. E noi, da quelle infinite terminazioni nervose che siamo nel corpo della Chiesa, dobbiamo, come tutto il resto, diventare questo Vangelo vivente.
Dobbiamo diventarlo attraverso ciò che la Chiesa a tale scopo incessantemente ci comunica. Ma dobbiamo diventarlo anche attraverso ciò che l’intimo contatto con il mondo, senza tregua, ci impone, ci propone, ci oppone.
Dobbiamo seguire l’istinto della Chiesa che rivendica il diritto di camminare su tutte le strade.
Affinché in essa Gesù Cristo vada nel mondo per salvare il mondo, è necessario che la Chiesa ogni giorno si incarni nel mondo: la sua carne siamo tutti noi, contrastati e trafitti come il mondo e dal “mondo”

Madeleine Delbrel “Indivisibile amore” pagg 138-140

Postato da: giacabi a 13:04 | link | commenti
chiesa, delbrel

lunedì, 29 settembre 2008
La gioia cristiana
***
| Perché se ci sono molti santi che non amano danzare,
ce ne sono molti altri che hanno avuto bisogno di danzare,
tanto erano felici di vivere:
Santa Teresa con le sue nacchere,
San Giovanni della Croce con un Bambino Gesù tra le braccia,
e san Francesco, davanti al papa.
Se noi fossimo contenti di te, Signore,
non potremmo resistere
a questo bisogno di danzare che irrompe nel mondo,
e indovineremmo facilmente
quale danza ti piace farci danzare
facendo i passi che la tua Provvidenza ha segnato.
Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza
della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da
condottiero,
di conoscerti con aria da professore,
di raggiungerti con regole sportive,
di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato.
Un giorno in cui avevi un po' voglia d'altro
hai inventato san Francesco,
e ne hai fatto il tuo giullare.
Lascia che noi inventiamo qualcosa
per essere gente allegra che danza la propria vita con te”.

Madeleine Delbrêl

Postato da: giacabi a 15:07 | link | commenti
felicità, delbrel

venerdì, 26 settembre 2008
Ecco il mio cuore
***
Signore, Signore,
almeno che questa scorza che mi copre
non ti sia di ostacolo. Passa.
I miei occhi, le mie mani, la mia bocca sono tuoi.
Questa donna così triste davanti a me:
ecco la mia bocca perché tu le sorrida.
Questo bambino quasi grigio, tanto è pallido:
ecco i miei occhi perché tu lo guardi.
Quest'uomo così stanco: ecco tutto il mio corpo
perché tu gli lasci il mio posto,
e la mia voce perché tu gli dica
dolcemente: «Sedetevi».
Questo ragazzo così fatuo, così sciocco, così duro,
ecco il mio cuore perché tu lo ami
più di quanto non lo sia mai stato.
Madeleine Delbrêl

Postato da: giacabi a 20:57 | link | commenti
delbrel

E' Dio che viene ad amarci
***
Ogni piccola azione è un avvenimento immenso
nel quale ci è donato il paradiso,
nel quale possiamo donare il paradiso.
Che importa ciò che dobbiamo fare:
tenere in mano una scopa o una penna,
parlare o stare zitti, rammendare o fare una conferenza,
curare un ammalato o battere a macchina.
Tutto ciò non è che la scorza di una splendida realtà,
l'incontro dell'anima con Dio,
rinnovata di minuto in minuto,
ogni giorno più bella per il suo Dio.
Suonano? Svelti, andiamo ad aprire:
è Dio che viene ad amarci.
Un'informazione? Eccola:
è Dio che viene ad amarci.
È l'ora di mettersi a tavola? Andiamo.
È sempre Dio che viene ad amarci.
Lasciamolo fare!
Madeleine Delbrêl

Postato da: giacabi a 20:48 | link | commenti
delbrel

Una fede nuda
***
Non può non andare colui che
possiede il tuo Spirito, Signore
.
Noi immaginiamo sempre che per andare
occorrano strade, tappe e paesi che cambiano.
Ma la tua via non consiste in questo.
E’ la vita, semplicemente:
la vita che scorre e nella quale andiamo
se le nostre ancore sono levate.
Da te, Signore, siamo chiamati
ad andare leggeri, senza possessi,
con una fede nuda, essenziale.
Questa fede ci rende semplici
della tua grande semplicità.
Essa si acquista con il sacrificio di tutto quanto
non sia il Regno dei cieli.
Allora quelli che ci incontreranno sul loro cammino
tenderanno le mani avide
al tesoro che zampilla da noi:
un tesoro liberato dai nostri vasi di terra,
dalle nostre valigie, dai nostri bagagli,
un tesoro semplicemente divino.
Allora noi saremo agili
e diventeremo a nostra volta delle parabole
che donano a tutti la perla preziosa,
la vita vera”
.
Madeleine Delbrêl

Postato da: giacabi a 20:41 | link | commenti
delbrel

mercoledì, 05 marzo 2008

Solo Dio «è»
  Il mondo «da so­lo » non produce né vita, né verità, né amore ***
da: www.avvenire.it   05/03/08      
Caro prete operaio, in realtà Marx ci allontana dai poveri»
 DI: MADELEINE DELBRÊL
 Caro Padre Fratello ( Jacques Loew), Sono rimasta impantanata per lei, nel bene e nel male, nelle mie considerazioni sulla missione in tutte le sue forme. Penso che la cosa migliore sia spedirle tutto quanto al­la rinfusa, disordinatamente. In caso contrario rischierebbe di aspettare troppo tempo!
  Penso che il filo conduttore sia il confronto fra la vocazione cristiana nella sua essenza e la vocazione missionaria. Un missionario è prima di tutto un cristiano. Per lui, essere mis­sionario rappresenta lo sbocciare della propria vocazione cri­stiana. Tanto più questo cardine è ancorato in maniera profonda al mondo, tanto più rischia di perdere la fede nel «senso unico» della salvezza che non può venire che da Dio attraverso Cristo.
Rischia di confondere il progresso umano con la salvezza e rischia di mettersi al servizio delle «ricette» di felicità che il mondo propone in quel momento. Rischia di da­re al mondo la paternità di qualche idea-forza che non è in realtà che una briciola di Vangelo separata dal suo contesto e di cui alcuni gruppi umani si sono fatti carico. Rischia di unire il messaggio di Cristo ad altri messaggi, di farne un elemento della salvezza dell’uomo ad opera dell’uomo, di mettere il Vangelo al servizio di cause che non sono semplicemente e puramente quelle della salvezza.
 
Potrebbe dimenticare che solo Dio «è». Che il mondo «da so­lo » non produce né vita, né verità, né amore. Rischia di a­mare il mondo più che gli uomini. Rischia di farne una realtà assoluta quando non si tratta che di un relativo, di una possibilità incessantemente modificata dal gioco di forze buone e malvagie di tutti i cuori di tutti gli uomini. Il mondo non ha importanza.
 
Sono gli uomini che sono im­portanti. Il mondo è quello che essi sono. Si rischia anche di fare del mondo una astrazione, di credere che un mondo rico­struito con le nostre mani avrebbe uno slancio maggiore e po­trebbe portare la salvezza. È chi vive ogni giorno che fa e disfa il mondo. Non è lavorando al mondo che lo si renderà miglio­re: è ogni uomo migliore che renderà migliore il mondo.
 
Il Cristo che ci è dato da vivere deve tradursi nella nostra vita: non deve essere né adattato, né rettificato. La vita non si adat­ta a chi la vive, né la verità agli occhi di chi la vede. Cristo è co­me è. Non possiamo renderlo diverso. Non possiamo renderlo altro che amore. Non possiamo modificare il suo amore che è prima di tutto amore per Dio e, di conseguenza, amore per gli uomini.
  Cristo ha frantumato personalmente i falsi assoluti del mon­do: il denaro, l’onore, il potere, rifiutandoli liberamente. Ma non li ha ricostruiti stabilendo un’altra società umana con delle nuove gerarchie di onore, di potere e di ricchezza. Ha vinto il mondo relativizzandolo, perché la vittoria del mondo sull’uomo è fondata sul presentarsi a lui come assoluto.
 
Cristo, di cui il cristiano vive, non gli offre le ali per una evasio­ne verso il cielo, ma un peso che lo trascina verso il più profondo della terra. Questa vocazione nei confronti del mon­do che sembra rappresentare in maniera specifica l’essenziale della vocazione missionaria non è che la conseguenza della presa di Cristo su di noi. Diminuire, assottigliare il nostro lega­me con Cristo e con la Chiesa significa, malgrado tutte le ap­parenze, diminuire quello che in noi tende verso il mondo e ci permette di immergerci in esso. Si tratta della condizione di un amore per il mondo che non sia un’identificazione con es­so ma un dono.
  Da tutto questo risulta che per la nostra vita pratica, al «punto di svolta» in cui tutti i rami della missione si trovano in questo momento –
quello a cui noi siamo chiamati non è un partico­lare tipo di salvezza temporale dell’umanità, ma la salvezza stessa che Cristo è venuto portare e che è una salvezza «so­pra »nnaturale, che richiede dei mezzi «sopra»nnaturali, mezzi che non possono venire se non dall’alto. Se, a causa del fatto che li amiamo e viviamo in mezzo a loro, facciamo nostri i metodi e il movimento dei marxisti come mezzi di salvezza, ci ritroviamo su una strada completamente sbagliata.
 10 luglio 1950



Postato da: giacabi a 19:33 | link | commenti
comunismo, cristianesimo, delbrel

sabato, 01 marzo 2008

Madeleine Delbrêl (1904-1964)

 ***
LITURGIA LAICA
Tu ci hai condotto stanotte in questo bar che ha nome "chiaro di luna".
Volevi esserci Tu, in noi,
per qualche ora, stanotte.
Tu avevi voglia di incontrare,
attraverso le nostre povere sembianze,
attraverso il nostro miope sguardo,
attraverso i nostri cuori che non sanno amare,
tutte queste persone venute ad ammazzare il tempo
.

E poiché i tuoi occhi si svegliano nei nostri,
il tuo cuore si apre nel nostro cuore,
noi sentiamo il nostro labile amore
aprirsi in noi come una rosa espansa,
approfondirsi come un rifugio immenso e dolce
per tutte queste persone,
la cui vita palpita intorno a noi
.

Allora il bar non è più un luogo profano,
quell'angolo di mondo che sembrava voltarti le spalle.
Sappiamo che, per mezzo di Te, noi siamo diventati
la cerniera di carne,
la cerniera di grazia,
che lo costringe a ruotare su di sé ,
a orientarsi suo malgrado,
e in piena notte,
verso il Padre di ogni vita
.

In noi si realizza il sacramento del tuo amore.
Ci leghiamo a Te
con tutta la forza della nostra fede oscura,
ci leghiamo a loro
con la forza di questo cuore che batte per Te,
Ti amiamo,
li amiamo,
perché si faccia di noi tutti una cosa sola.


In noi, attira tutto a Te…
Attira il vecchio pianista,
dimentico del posto in cui si trova
e suona soltanto per la gioia di suonare bene;
la violinista che ci disprezza e offre in vendita
ogni colpo d'archetto,
il chitarrista e quello che suona la fisarmonica
che fan della musica senza saperci amare.
Attira quest'uomo triste, che ci racconta storie
cosiddette gaie;
attira il bevitore che scende barcollando
la scala del primo piano;
attira questi esseri accasciati, isolati dietro un tavolo
e che sono qui soltanto per non essere altrove;
attirali in noi perché incontrino Te,

Tu, il solo che ha diritto di avere pietà.
Dilataci il cuore, perché vi stiano tutti;
incidili in questo cuore,
perché vi rimangano iscritti per sempre.


Tu fra poco ci condurrai
Sulla piazza ingombra di baracconi da fiera.
Sarà mezzanotte o più tardi.
Soli resteranno sul marciapiede
Quelli per cui la strada è il focolare,
quelli per cui la strada è la bottega
.
Che i sussulti del Tuo cuore affondino i nostri
Più a fondo dei marciapiedi,
perché i loro tristi passi
camminino sul nostro amore
e il nostro amore
gl'impedisca di sprofondare più a fondo
nello spessore del male.


Resteranno, intorno alla piazza,
tutti i mercanti di illusioni,
venditori di false paure, di falsi sports,
di fase acrobazie, di false mostruosità.
Venderanno i loro falsi mezzi di uccidere la noia,
quella vera, che rende simili tutti i volti scuri.
Facci esultare nella Tua verità e sorridere loro
Un sorriso sincero di carità.
Più tardi saliremo sull'ultimo metrò.
Delle persone vi dormiranno.
Porteranno impresso su di sé
Un mistero di pena e di peccato.
Sulle banchine delle stazioni quasi deserte,
anziani operai,
deboli, disfatti, aspetteranno che i treni si fermino
per lavorare e riparare le vie sotterranee.

E i nostri cuori andranno sempre dilatandosi,
sempre più pesanti
del peso di molteplici incontri,
sempre più grevi del Tuo amore,
impastati di Te,
popolati dai nostri fratelli, gli uomini
.
Perché il mondo
Non sempre è un ostacolo a pregare per il mondo.
Se certuni lo devono lasciare per trovarlo
E sollevarlo verso il cielo,
altri visi devono immergere
per levarsi
con lui
verso il medesimo cielo.
Nel cavo dei peccati del mondo
Tu fissi loro un appuntamento:
incollati al peccato,
con Te essi vivono
un cielo che li respinge e li attira.
Mentre Tu continui
A visitare in loro la nostra scura terra,
con Te essi scalano il cielo,
votati a un'assunzione pesante,
inguaiati nel fango, bruciati dal Tuo spirito,
legati a tutti,
legati a Te,
incaricati di respirare nella vita eterna,
come alberi con radici che affondano
.

Postato da: giacabi a 16:29 | link | commenti
chiesa, delbrel

Madeleine Delbrêl 1904-1964

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Testo che la Delbrêl scrisse all’età di 17 anni,  prima della conversione
DIO È MORTO… VIVA LA MORTE(1922)
Si è detto “ Dio è morto ”.
Poiché è vero, bisogna avere l’onestà di non vivere più come se vivesse. Si è regolata la questione con lui: resta da regolarla con noi.
Ora siamo fissati. Se non conosciamo la misura esatta della nostra vita, sappiamo che sarà piccola, che sarà una vita piccolissima. Per alcuni l’infelicità ne occuperà tutto il posto. Per altri la felicità ne occuperà più o meno. Non sarà mai una grande infelicità o una grande felicità, perché sarà tutta contenuta nella nostra piccolissima vita.
L’infelicità grande, indiscutibile, ragionevole, è la morte. È davanti ad essa che bisogna diventare realisti, positivi, pratici. Dico “ diventare ”. Io sono stupita dalla generale mancanza di buon senso. E' vero che non ho che diciassette anni e che mi resta ancora molta gente da incontrare.
I rivoluzionari m’interessano, hanno però capito male il problema: essi possono ordinare il mondo al meglio… ma occorrerà sgomberare!
Gli scienziati sono un po’ bambini: credono sempre di uccidere la morte: invece uccidono soltanto i modi di morire, la rabbia, il vaiolo. La morte, lei, sta benissimo.
Ho molta simpatia per i pacifisti, ma sono deboli in calcolo. Se nel 1914 fossero riusciti a mettere la museruola alla guerra, tutti coloro che la guerra non avrebbe ucciso, nel 1998 sarebbero stati definitivamente sistemati nei loro cimiteri personali.
La gente perbene mi sbalordisce per la sua sicurezza: manca di modestia. Sono sicuri di lavorare per la felicità degli altri. È almeno discutibile: più la vita è buona, più è duro morire. La prova: la gente si ammazza da sé quando viene ammazzata la loro ragione di vivere.
Gli innamorati sono radicalmente illogici e restii a ragionare: "Ti amerò per sempre…". Non vogliono prendere coscienza del fatto che saranno infedeli per forza; e che questa infedeltà si avvicina ogni giorno di più…, senza contare la vecchiaia, questa morte a rate. Io non vorrei restare accanto all’uomo che dovessi amare: egli vedrebbe i miei denti cadere, piegarsi la mia schiena, il mio corpo mutarsi in un otre o in un fico secco... Se amerò, sarà come in istantanea, come in un attimo di tregua, in fretta e furia.
Le madri, poverette, fanno fatica a non dire, a non fare follie: "Il mio bambino, vorrei tanto che fosse felice…". Sarebbero capaci d’inventare la felicità pur di poterla donare al loro piccolo. Ci sono quelle che non vogliono fare della carne da cannone – ma andate a raccontare loro che faranno sempre carne da morte… Io non voglio avere bambini. Mi basta seguire tutti i giorni in anticipo i funerali dei miei genitori.
I più logici sono forse i muratori, i falegnami, i fotografi, gli artisti, i poeti. Fanno delle cose che durano e fanno durare qualcosa della gente. I re sono morti, le loro poltrone restano nei musei. Avere la propria fotografia in qualche luogo, è un modo di esistere. I monumenti tengono bene. La Gioconda non avrebbe più la sua testa da parecchio tempo se non gliene avessero fatto il ritratto. Quando in classe si recita una favola di La Fontaine, quel che lui pensava continua un poco a vivere.
Poi ci sono coloro che si divertono, che ammazzano il tempo aspettando che il tempo ammazzi loro… Io sono una di questi. Le persone serie ci disprezzano in nome delle loro occupazioni serie.
Ah! Ma intanto non è stata liquidata la successione di Dio. Ha lasciato dappertutto delle ipoteche di eternità, di potenza, di anima… E chi ne è stato l’erede? La morte… Egli durava: non c’è più che lei a durare; egli poteva tutto, a capo di tutto e di tutti viene lei. Egli era spirito - non so troppo che cos'è - ma lei è dappertutto, invisibile, efficace; dà un colpetto e toc! L’amore cessa di amare, il pensiero di pensare, un bimbo di ridere… e non c’è più nulla.
Una volta qualcuno ha detto: “ noi danziamo su un vulcano ”. Va bene, io danzo. Ma voglio sapere che è sopra un vulcano. Vicino ai vulcani ci sono ville e capanne, giovani e vecchi, genii e imbecilli, malati e campioni; bene-amati e mal-amati; quando il vulcano erutta non c’è più che fuoco: come diciamo, non si vede più che del fuoco.
Siamo tutti vicinissimi alla sola vera sventura: abbiamo o non abbiamo il fegato di dircelo? Dirlo? E con che? Anche le parole Dio ha schiantato… Si può dire a un morente senza mancare di tatto: “ Buongiorno ” o “ Buonasera ”? Allora gli si dice “Arrivederci ” o “ Addio ”…finché non avremo imparato come dire “ A nessun luogo ”…“ Al niente assoluto ”…
 

Postato da: giacabi a 16:12 | link | commenti
senso religioso, delbrel

Madeleine Delbrêl 1904-1964

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Tratto da Antonio Maria Sicari, Il sesto libro dei ritratti di santi, Jaca Book, Milano, 2000,
Il secolo XX, appena trascorso, si aprì con uno slogan molto triste: «Dio è morto», aveva lasciato detto Nietzsche, credendo di annunciare la nascita di un uomo finalmente «superiore».
Ma, già nei primi vent'anni, due terribili sventure (la prima guerra mondiale che provocò nove milioni di morti e un'epidemia che ne uccise altri ventidue milioni) mostravano che era l'uomo che continuava a morire, e spesso in maniera assurda.
Nel 1921 Madeleine Delbrêl ha diciassette anni, e scrive un tema di un impressionante radicalismo che inizia così: «Dio è morto. Ma, se ciò è vero, bisogna avere la lucidità di non vivere più come se Dio esistesse ancora». La ragazza è spietata: se Dio è morto, allora a dominare è la morte e bisogna prenderne atto coraggiosamente. Scrive: «Io sono stupita dalla generale mancanza di buon senso». Secondo lei, i rivoluzionari «sono interessanti, ma hanno capito male il problema», perché vogliono un mondo nuovo senza pensare che, poi, bisogna comunque abbandonarlo. Gli scienziati «sono un po' bambini», perché sperano, con le loro ricerche e i loro ritrovati, di riuscire a debellare la morte, e invece riescono ad uccidere soltanto alcuni modi di morire: «la morte, per quanto la riguarda, sta benissimo». I pacifisti «sono simpatici, ma sono deboli nel calcolo» perché, se anche fossero riusciti ad impedire la prima guerra mondiale del 1915-1918, tutti i morti allora risparmiati sarebbero poi deceduti infallibilmente entro il 1998. La gente perbene «manca di modestia», perché vuol migliorare la vita senza accorgersi che «più la vita è buona, più diventa duro morire». Gli innamorati «sono radicalmente illogici e restii a ragionare»: si promettono amore eterno, ma diventano «sempre più infedeli» perché, ad ogni giorno che passa, si avvicinano sempre di più all'estremo abbandono. E annota: «Io non vorrei restare vicino, da vecchia, all'uomo che dovessi amare: vedrebbe cadere i miei denti, raggrinzirsi la mia pelle, e il mio corpo mutarsi in un'otre o in un fico secco». Le mamme poi «sarebbero pronte ad inventare la felicità», pur di assicurarla ai loro figli, i quali, però, se anche non diventeranno «carne da cannone», diventeranno pur sempre «carne da morte». Perciò conclude: «
Io non voglio avere bambini. È già abbastanza che segua tutti i giorni in anticipo i funerali dei miei genitori».
Per Madeleine insomma le uniche persone serie sono gli artigiani e gli artisti, che fanno cose che durano come le sedie, i quadri, le poesie... Poi ci sono quelli «che ammazzano il tempo, aspettando che il tempo ammazzi loro...». «Io sono una di queste...», conclude. Così si presenta dunque Madeleine a diciassette anni: il componimento, che abbiamo dovuto sintetizzare, è scritto magnificamente: meriterebbe una lettura integrale, tanto è ricco di annotazioni geniali, di sorrisi addolorati, di lucida disperazione.
S'intuisce una sconfinata voglia di vivere e una inesauribile voglia di amare, ma in un cuore che ha imparato di non dover attendere nulla, di non aver nemmeno il diritto di dire «addio!», dato che la parola contiene già quel Nome di un morto («Dio!») che ha trascinato via tutto con sé.
«Anche le parole Dio si è portato via», dice proclamando l'ultima evidenza, come se scoppiasse a piangere. E conclude il suo tema: «Si può dire a un morente, senza mancare di tatto, “buongiorno” o “buonasera”? Allora gli si dice: arrivederci” o “addio”, ... finché non si sarà imparato a dire: “a non vederci più in alcun luogo...”, “al nulla assoluto”». Che ne sarà di una ragazza così? Madeleine ha una vitalità prorompente e non pensa certo a lasciarsi andare.
Con le amiche più care, in un bel giorno di primavera, sceglie «la sua vocazione»: «restare sempre giovani, qualunque cosa accada, per quanti anni passino!...». A diciott'anni s'innamora: lui, Jean, è alto, sportivo, serio, pieno di interessi, intellettualmente e politicamente impegnato ed evidentemente dotato di una profonda vita spirituale. Fanno coppia fissa e tutti dicono che sembrano nati l'uno per l'altra... Improvvisamente il ragazzo scompare: sconvolta, Madeleine viene a sapere che Jean è entrato nel noviziato dei domenicani, ed è una separazione assoluta. Non capisce. Il suo anticlericalismo si riaccende violento, e per di più anche in famiglia la sofferenza dilaga: il papà di Madeleine — ferroviere e poeta mancato — diventa cieco e va gridando la sua angoscia perfino per le strade, per le quali si trascina disperato come un barbone. «In quel momento», confessa, «avrei dato tutto l'universo, pur di sapere che cosa ci facevo dentro!». Il problema della fede si pone, ma non perché ella sia in cerca di conforto. Scrive: «Cento mondi, ancora più disperati di quello in cui vivevo, non mi avrebbero fatto vacillare, se mi avessero proposto la fede come consolazione». A perseguitarla è, invece, il ricordo della bella umanità di Jean e di altri amici conosciuti in quel periodo felice: «Mi era accaduto l'incontro con parecchi cristiani né più vecchi, né più stupidi, né più idealisti di me, che vivevano la mia stessa vita, discutevano quanto me, danzavano quanto me. Anzi, avevano al loro attivo alcune superiorità: lavoravano più di me, avevano una formazione scientifica e tecnica che io non avevo, convinzioni politiche che io non avevo... Parlavano di tutto, ma anche di Dio che pareva essere a loro indispensabile come l'aria. Erano a loro agio con tutti, ma – con una impertinenza che arrivava fino a scusarsene – mescolavano in tutte le discussioni, nei progetti e nei ricordi, parole, idee, messe a punto di Gesù Cristo. Cristo avrebbero potuto invitarlo a sedersi, non sarebbe sembrato più vivo...».
E tra tutti quei cristiani che l'hanno costretta a pensare, un posto di rilievo l'ha certamente quel Jean che ha considerato Dio talmente reale da lasciare lei. La ragazza diciassettenne che aveva formulato in maniera durissima e consequenziale il suo ateismo è ora una ventenne costretta a compiere un percorso inaspettato. Prima guardava il mondo convinta che tutto dimostrasse la non esistenza di Dio e, se si faceva qualche domanda, essa suonava così: «Come si conferma l'inesistenza di Dio?»; ora la domanda diventa: «Dio potrebbe forse esistere?». Ma capisce di conseguenza che, se cambia la domanda, deve cambiare anche il suo atteggiamento interiore. Ricorda allora che «in occasione di un baccano qualsiasi, era stata ricordata Teresa d'Avila che consigliava di pensare in silenzio a Dio cinque minuti ogni giorno». Ed ecco la conclusione: «Scelsi quel che mi sembrava tradurre meglio il mio cambiamento di prospettiva: decisi di pregare!». Un simile racconto di conversione tocca delle notevoli profondità pedagogiche. Madeleine non prega perché si è convertita, prega perché quello è l'unico atteggiamento possibile ed onesto, una volta accettata l'ipotesi che Dio potrebbe esistere. Il suo non è il risultato di una convinzione acquisita (e quindi, in qualche modo, necessitato), ma il regalo anticipato a un Dio che, se esiste, è Tutto. Il Tutto merita tutto, anche se si ha soltanto il presentimento del suo esistere. E Madeleine non prega solo cinque minuti, ma affonda nella preghiera. E lo fa in ginocchio perché vuole essere sicura di farlo realmente, anche col corpo e non soltanto con le idee. Ecco la sua conversione: si è gettata di colpo nel centro della fede; ha abbracciato impetuosamente Dio e si è lasciata abbracciare, senza nemmeno esser certa che le braccia di Lui, nel buio, fossero protese. Si è gettata e si è trovata immersa nella luce, nel fuoco. Più tardi userà volentieri il termine: «abbagliamento», e dirà: «poi, leggendo e riflettendo, ho trovato Dio; ma pregando “ho creduto” che Dio mi trovasse, e che Egli è la verità vivente che si può amare come si ama una persona». Quasi echeggiando sant'Agostino, dialogherà con l'Altissimo, colma di stupore: «Tu vivevi e io non ne sapevo niente. Avevi fatto il mio cuore a tua misura, la mia vita per durare quanto Te e, poiché non eri presente, il mondo intero mi appariva piccolo e stupido e il destino degli uomini insulso e cattivo. Ma, quando ho saputo che vivevi, t'ho ringraziato d'avermi fatto vivere, t'ho ringraziato per la vita del mondo intero». Dopo una simile esperienza, sembra esserci una sola vocazione possibile: vivere in modo che la preghiera diventi tutta la vita. E infatti Madeleine pensa subito di entrare al Carmelo. Ma si accorge che è lo stesso Dio a tenerla legata a una situazione familiare irrisolvibile, dato che il papà sprofonda sempre più nelle sue angosce e la mamma è al limite della resistenza. Ma se il Carmelo non è possibile, allora ne segue inevitabilmente che il mondo dovrà diventare il suo Carmelo, il suo monastero. Comincia imbevendosi degli scritti di santa Teresa e di san Giovanni della Croce, poi frequenta la sua parrocchia come una cristiana qualsiasi, e qui le viene incontro, come un dono, un prete straordinario: Padre Lorenzo, «un prete che voleva essere soltanto prete» e che «insegnava a vivere il Vangelo dappertutto» facendolo diventare «una chiamata attuale, una chiamata personale» per ogni ascoltatore. Madeleine lo definiva: «il Buon Samaritano della Parola», perché la donava come guarigione e salvezza a tutti coloro che incontrava per strada. Si faceva compagno a tutti, ma poi li educava, uno per uno, a saper «restare soli col Signore Gesù» per lasciare Dio libero di agire a suo piacimento. In quei primi anni di “vita cristiana” ella è appassionata di letteratura: pubblica saggi e libri di poesie (ottenendo anche un prestigioso premio letterario), che hanno a tema ciò che è “umilmente doloroso”, ciò che si muove a fatica nelle strade desolate della città. Ma ecco che padre Lorenzo le propone di impegnarsi nel movimento scout, quanto di più lontano ella poteva immaginare dalle sue passate preoccupazioni intellettuali e artistiche.
Deve imparare giochi, canti, esercizi fisici per guidare la sua squadriglia e dimostra una vivacità instancabile e un'intelligenza pedagogica così sicura che ben presto le affidano l'educazione delle ragazze più grandi, destinate ad essere responsabili, e la sua parola d'ordine è «gioia».
Dallo scoutismo, con una ventina di ragazze, passa poi a formare un gruppo detto «Carità», nel ricordo dell'impresa di san Vincenzo de' Paoli che aveva dato questo nome alle comunità di donne che si prendevano cura dei malati e degli emarginati.
Ha un solo progetto chiaro: «Essere volontariamente di Dio, quanto una creatura umana può volere appartenere a colui che ama. Essere volontariamente proprietà di Dio, nella stessa maniera totale, esclusiva, definitiva, pubblica con cui lo diviene una religiosa che si consacra a Dio». In altre parole: ciò che di più profondo c'è nel sacramento del matrimonio e ciò che di più totale c'è nella vocazione religiosa, ella vuole viverlo nel mondo.
A tale scopo, la scelta della verginità è indiscutibile (e ciò rende necessario anche un orientamento contemplativo), ma ella vivrà tutto ciò senza allontanarsi dal mondo. Il suo progetto è di «far calare i consigli evangelici nella vita laica». Siamo in un tempo in cui l'accostamento di questi termini sembra ancora strano; non esistono ancora i moderni «istituti secolari» e non si immagina nemmeno la possibilità di una vita comune tra cristiani laici. Madeleine sceglie perciò un lavoro che la possa tenere a stretto contatto con i poveri, assoggettandosi agli studi necessari per divenire assistente sociale. Nel 1930 ciò significa essere destinate ai bassifondi delle città dove si ammassano poveri e operai, il vero proletariato, soggetto a sfruttamento, che pone nel marxismo le proprie speranze di riscatto. Così una decina di ragazze - senza voti religiosi, senza abito particolare e senza difese istituzionali - decidono di partire per la periferia di Parigi con l'intento di vivere assieme, lavorando in mezzo alla gente più povera, mettendo tutto in comune, senza avere alcuna proprietà (né personalmente né assieme). Formano una comunità «casta, povera e obbediente» che ha come unica regola l'approfondimento comunitario del Vangelo, e come unica struttura stabile il riferimento ad una responsabile. Secondo Madeleine, il gruppo deve essere così semplice e umile, nel normale tessuto della Chiesa, che quasi non bisognerebbe nemmeno vederlo.
Con un paragone dolcissimo, scrive: «Il mio sogno è che il nostro gruppo sia nella Chiesa come il filo di un vestito. Il filo tiene assieme i pezzi e nessuno lo vede, se non il sarto che ce l'ha messo. Se il filo si vede, allora il vestito è riuscito male». Prima che si riesca a realizzare l'impresa, il gruppetto si assottiglia molto: di dieci ragazze, ne restano tre. A Ivry (una cittadina vicino Parigi) offrono loro un «Centro di azione sociale» e le tre coraggiose fissano la loro partenza per il 15 ottobre 1933. La festa di santa Teresa d'Avila è stata scelta appositamente, perché è un monastero «nuovo» quello che vanno a fondare: è una vita contemplativa «nuova» quella che le attende. Partono con poche suppellettili e una statua della Madonna tra le braccia. Certi resoconti sulla situazione a Ivry, risalenti a quegli anni, ci fanno capire bene a cosa vanno incontro. Gli operai lavorano circa dodici ore al giorno, privi di ogni sicurezza sociale e sanitaria, oltreché di ogni previdenza; sono mal pagati, ammassati in alloggi fatiscenti. Le donne sono costrette anch'esse ad andare in fabbrica perché la famiglia possa sopravvivere. La salute è un lusso. Negli anni '40, nel quartiere più industrializzato della città, su quindicimila abitanti, se ne conteranno ancora 2000 ammalati di tubercolosi. L'alcoolismo diffuso è assieme una piaga e un rifugio. La Chiesa serve solo agli anziani; gli altri la frequentano soltanto per battesimi, matrimoni e funerali.
Di fatto Ivry è diventata “la capitale politica del Partito Comunista Francese”, sede del segretario generale del partito. Sugli edifici pubblici non c'è il tricolore, ma la bandiera rossa. I muri sono tappezzati di manifesti che invitano a film sovietici, conferenze ideologiche, battesimi civili, pasque rosse, e simili. L'amministrazione comunale - in fatto di alloggi e impieghi - privilegia gli iscritti al partito. Ci si saluta col pugno alzato, e i preti non si meravigliano troppo se per strada i monelli li prendono a sassate. Perfino i ragazzi nel gioco o nelle sassaiole - per marcare con chiarezza il solito antagonismo di squadra - attribuiscono agli avversari il nome di «preti», mentre tutti vorrebbero appartenere alla squadra dei «compagni». Madeleine è talmente estranea a un tale ambiente da ignorare perfino il significato della bandiera rossa. L'unica cosa che sa è che ha, davanti a sé, persone «non credenti e povere». Ciò che le tre ragazze desiderano - nella loro estrema e volontaria povertà - è «vivere gomito a gomito» con la gente, senza dissociarsi in nulla, se non nell'amore e nella fede. Rinunciano alla loro divisa da scout, quando s'accorgono che infastidisce e allontana gli altri, e poi fanno ciò che sanno fare. Madeleine è assistente sociale (o meglio: sta ancora studiando per diventarlo), una delle due compagne è infermiera, l'altra è maestra d'asilo. Cominciano a partecipare alle attività parrocchiali, ma s'accorgono che questo le emargina. Perciò vanno in mezzo alla gente, sfidando le ostilità. Fanno quello che possono, ma con fantasia tutta femminile. Un giorno che una famiglia povera le ha restituito in malo modo il pacco-dono (di scarso valore, del resto), Madeleine, per farsi perdonare, si presenta con un mazzo di rose e lo mette in braccio a una povera donna che non ne ha mai ricevute in vita sua... E il capo famiglia, arrabbiato militante comunista, le dice commosso: «Se la carità è questa, allora voglio proprio parlare di carità…”. Ed ecco che padre Lorenzo viene fortunatamente nominato parroco a Ivry e i cristiani, prima asserragliati in difesa, si mobilitano. La questione dei rapporti tra cattolici e comunisti non è teorizzata o discussa da Madeleine, ma risolta di schianto in base a un semplicissimo principio: «Dio non ha mai detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso, eccetto i comunisti», perciò c'è solo da accogliere l'evidenza: i comunisti sono di fatto «il suo prossimo» più immediato. Perciò non li evita, come raccomandano i benpensanti, ed è pronta a riconoscere quel che c'è di buono - come aspirazione alla giustizia e dedizione reciproca - in quei rudi militanti della prima ora. E perfino pronta a un dialogo con loro quando si tratta di assistere i disoccupati. Si ferma soltanto quando si scontra col problema della violenza. I comunisti le spiegano che ci sono violenze così terribili e solidificate che non possono essere estirpate se non passando attraverso una violenza di segno contrario. Il Vangelo invece le dice di amare ogni uomo e tutti gli uomini senza alcuna eccezione. Madeleine legge e rilegge il Vangelo, e la contraddizione le appare sempre più evidente e irrisolvibile, ma è solo il primo colpo assestato alla sua istintiva generosità e voglia di giustizia. L'altro colpo è ancora più grave: i testi-guida del partito - che ella legge attentamente - insegnano che l'ateismo è essenziale alla lotta operaia, e che inculcarlo nelle anime dei giovani è lo scopo primario dell'educazione. «In quel tempo», racconta, «sussultai di paura per Dio, mio bene». E fu così che tra lei e il marxismo si scavò «un abisso incolmabile»: con il marxismo, non con i marxisti. La tentazione di cedere anche all'ideologia era stata però fortissima, perché le si era presentata ammantata d'amore per gli uomini. Ma il suo cuore, votato in profondità all'amore per Dio, aveva subito intuito l'inganno e aveva reagito. Con questi travagli, l'identità del gruppo si precisa. Nel 1938 Madeleine scrive un testo programmatico che resterà celebre (e che ella pubblica significativamente sulla rivista «Etudes Carmélitaines»). È intitolato: «Noi, gente della strada» e proclama che ci sono cristiani per i quali «la strada» - cioè: il pezzo di mondo in cui Dio, di volta in volta, li manda - «è il luogo della santità», come lo è il monastero per le persone consacrate. E' la vocazione specifica della «gente qualunque», in un «luogo qualunque», che svolge «un lavoro qualunque», assieme ad altri «uomini qualunque» e che, tuttavia, «si tuffa in Dio» con lo stesso movimento con cui «si immerge nel mondo». Ma dove trovare il silenzio che le claustrali custodiscono nei loro monasteri? Madeleine spiega che nel mondo non è certo difficile trovare «ammassi umani dove l'odio, la cupidigia, l'alcool segnano il peccato», ma proprio qui diventa possibile esperimentare «un silenzio di deserto nel quale il nostro cuore si raccoglie con facilità estrema». E dove trovare la solitudine? Risponde: «La nostra solitudine non è essere soli... La nostra solitudine è incontrare Dio dovunque». Insomma, a Madeleine Gesù non dice soltanto: «Seguimi!», ma: «Seguimi in strada!», e le chiede di camminare con Lui, a fianco di tutti i poveri della terra, soprattutto di quelli che non sanno più dove portino i sentieri dell'esistenza. Se, dunque, il monastero è per lei semplicemente il mondo - senza distinzione tra spazi sacri e profani -, nemmeno la preghiera deve più distinguersi dall'azione, non perché si dimentichino i tempi dell'orazione, ma perché anche l'azione diventi preghiera. A chi le obietta, secondo una mentalità assai diffusa, che non è possibile essere tutti di Dio quando si è chiamati a vivere da laici, in mezzo al mondo, Madeleine ribatte: «Non è concepibile che un Dio onnipotente, mentre vuole essere amato, dia ai suoi figli una vita nella quale non possano amarLo». Ritrovando i più begli insegnamenti di santa Teresa di Lisieux, ma compresi da laica, scrive: «Ogni piccola azione è un avvenimento immenso in cui ci è dato il paradiso e in cui possiamo dare il paradiso. Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina. Tutto questo non è che la scorza di una realtà splendida: l'incontro dell'anima con Dio, incontro ogni minuto rinnovato, ogni minuto che diventa, nella grazia, sempre più bello per il proprio Dio. Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. Una informazione?... Eccola: è Dio che viene ad amarci. È l'ora di mettersi a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci. Lasciamolo fare». Anche Madeleine era affascinata dalla vocazione missionaria. Ma alla tradizionale descrizione del missionario vestito di bianco che sbarca su rive lontane e contempla la lunga distesa delle «terre non ancora battezzate», ella sostituisce un'altra immagine: “Il missionario, in abito o giacca o in impermeabile, dall'alto di una scalinata del metrò, vede di gradino in gradino, nell'ora di punta, una distesa di teste, distesa che freme aspettando l'apertura dei cancelli: una distesa di baschi, berretti, cappelli, copricapo di tutti i colori. Centinaia di teste, centinaia di anime. E noi lì in alto. E, più in alto, dappertutto, Dio...». E quando diceva che si poteva pregare ed essere missionari anche accalcati nel metrò, intendeva questo: «Signore, i miei occhi, le mie mani, la mia bocca sono tuoi. / Questa donna così triste davanti a me: ecco la mia bocca perché tu le sorrida. / Questo bambino quasi grigio, tanto è pallido: ecco i miei occhi perché tu lo guardi. / Quest'uomo così stanco: ecco tutto il mio corpo perché tu gli lasci il mio posto, ed ecco la mia bocca perché tu gli dica dolcemente: “Sedetevi”. / Questo ragazzo così fatuo, così sciocco, così duro, ecco il mio cuore perché tu lo ami, più di quanto non lo sia mai stato...». E, citando san Giovanni della Croce, spiegava: «Si semina Dio all'interno del mondo, sicuri che germoglierà da qualche parte, perché: “Dove non c'è amore, mettete amore e raccoglierete amore ». E venne il tempo della lotta, quando la Francia dovette reagire all'aggressione nazista e subire poi la sconfitta e l'occupazione...: la nazione sembrava distrutta e le città sembravano sfaldarsi. Perfino le più naturali appartenenze, sociali e familiari, sembravano essersi dissolte. Già nel corso della guerra, Madeleine diventa, a Ivry, un punto naturale di aggregazione nella lotta contro la miseria e il disfacimento, tanto che la città si tramuta in un geniale laboratorio di ricostruzione (soprattutto a favore delle famiglie) al quale si guarda da tutta la Francia. Perfino il «Soccorso Nazionale» guarda alla Delbrêl e alla sua équipe, e le chiede di preparare personale ausiliario per le assistenti sociali. Ella accetta, ma chiede di educare le giovani “sul campo”, cioè mettendole al lavoro. Si tratta di una “Veglia d'Armi” - così intitola un testo destinato alla loro formazione - in cui spiega che si tratta di imparare ad avvicinare «gente che è stata scorticata viva» e che perciò soffre solo a sfiorarla; gente che dev'essere incontrata «con dolcezza». Ma che cos'è la dolcezza? Spiega: «È ciò che riesce a toccare senza ferire», e vuole che le sue assistenti siano «esseri dolci che passano senza scalfire». Quando manda le sue giovani a «visitare le famiglie», le avverte che queste non hanno bisogno di essere visitate «come si ispeziona una valigia alla dogana»: bisogna andare a loro come genitori che visitano i figli, e fratelli che visitano i fratelli. È un lavoro stressante che esige coraggio a ritmo continuo (di coraggio «se ne consuma in un'ora quanto in altri tempi ne bastava per un anno») e che dura ininterrottamente fino alla Liberazione, che per altro non impedisce l'ultima atrocità: il bombardamento di Ivry accade dopo che le truppe tedesche sono già partite. Quando i comunisti tornano al potere, Madeleine spiega loro che è disposta a lavorare ancora, ma che il suo programma non cambierà, anche perché esso è assolutamente semplice e completo: «Quel che mi propongo è la diminuzione delle sofferenze e un accrescimento di felicità». Dopo due anni, lascia tuttavia il servizio sociale in municipio, sorprendendo tutti. Si è accorta che la sua piccola comunità risente della sua eccessiva attività. Ella conosce bene le urgenze sociali che premono da ogni lato e sente salire, da ogni parte, l'invocazione dei poveri... Ma la comunità - quella comunità ormai composta di una decina di donne che guardano a lei come a una guida e a una madre - è per lei «un sacramento della Presenza di Gesù». Il mondo non deve guardare a lei e alla sua personale bravura, ma alla piccola comunità di Cristo. Riconsegnandosi alla sua comunità, Madeleine vuole garantirsi di obbedire al Signore Gesù e non ai propri successi. La comunità vive in rue Raspail ed è «un enigma scientifico», come dice un'amica di passaggio. L'unica regola e l'unico ideale è la carità fraterna, come segno dell'amore di ciascuna a Cristo: ognuna poi lavora nel quartiere accanto ai più poveri, e la casa è un porto di mare perché la porta è sempre aperta ad ogni incontro, ad ogni dialogo, disponibile per ogni sostegno. E c'è perfino chi si aggiusta per riuscire a vivere nei dintorni di quella casa straordinaria: nel giardino, ad esempio, o nell'appartamentino vicino, o in una mansarda. Così la comunità si allarga a una congrega variopinta di «amici» e di «fratelli» che chiedono e danno solidarietà nei campi più disparati. Madeleine considera quella casa come una persona viva. La chiama «il signor Raspail» (dal nome della via) e la descrive così: «Il signor Raspail è un personaggio assai difficile da presentare... è un uomo di mezza età, né bene né male, piuttosto simpatico, piuttosto malvestito, dall'aria soddisfatta della sua sorte. Le persone lo giudicano rivoluzionario, i pettegoli pensano che sia un ex seminarista, i maldicenti suppongono che abbia costumi equivoci... Tanta gente va da lui e cerca la sua compagnia...». In tale strana compagnia, il compito proprio di Madeleine sembra quello di far sentire a ciascuno/a d'essere preferito/a: ella, infatti, sembra possedere una inesauribile tenerezza per tutti. «Madeleine è il solo essere al mondo che mi abbia amato in speranza», spiegava un ragazzo disadattato dopo averla incontrata, e illustrava così la sua splendida formula: «
Lei ha indovinato il mio vero io, sfigurato per tutti, sconosciuto perfino a me stesso, un io che io stesso odiavo perché mi sentivo incatenato... Grazie a lei io sono esistito, prima di esistere nella mia coscienza, quando ancora tutti gli altri mi ignoravano...». Non c'è nulla che Madeleine trascuri: può inventare un regalo, o una canzone o una scenetta comica, se ciò serve agli amici. Può immergersi nella preghiera, scrivere un articolo o una poesia, o dare una conferenza, o battersi per i diritti di qualche perseguitato politico: il tutto con la stessa foga e la stessa lucida intelligenza; il tutto con l'evidente «gioia di credere». Intanto la Francia ha un doloroso sussulto: scopre di essere diventata «una terra di missione» e il cardinale di Parigi pensa di affrontare il problema della scristianizzazione delle masse operaie come lo si affronta nei paesi di missione. Così a Lisieux viene aperto un seminario particolare - posto sotto la protezione di santa Teresa - che dovrà preparare un nuovo tipo di prete, capace di andare là dove la fede sembra non solo scomparsa, ma divenuta impossibile: nelle periferie più abbandonate, nei quartieri operai, nelle fabbriche. Madeleine esulta perché sembra che la sua originaria intuizione stia quasi per diventare un progetto che la Chiesa assume in proprio. La nuova esperienza si dilata, cresce vertiginosamente e dà origine al fenomeno dei preti che tentano di portare il Vangelo nelle fabbriche, facendosi essi stessi operai, condividendo le pene, le fatiche, le lotte dei lavoratori. Ma non è facile farlo senza schierarsi, senza condividere le lotte sociali e politiche, senza aderire al partito che rappresenta i lavoratori, senza cedere prima o poi all'ideologia marxista che impera, senza accettare la logica dello scontro e della violenza... Madeleine vede molti preti - ministri di quel Cristo che ella ama con tutta se stessa - cedere alla tentazione che ella ben conosce per averla già subita: quella di mettere a rischio la loro stessa vocazione, lasciandosi trascinare dagli «ingranaggi accecanti» della lotta di classe. Roma interviene e, con pronunciamenti successivi, sconfessa l'esperienza dei preti-operai, così come veniva allora condotta. Madeleine soffre fino in fondo all'anima: da un lato vorrebbe che quello sforzo generoso di preti generosi - che ella conosce personalmente ed ammira - venisse compreso e valorizzato, e non accetta i giudizi superficiali dei troppi benpensanti; dall'altro comprende ancor più le preoccupazioni della Chiesa che vede ideologizzato e reso di parte il suo ministero sacerdotale, e teme ormai per la fede dei suoi preti. Per conto suo ella ha maturato una convinzione: a quella esperienza straordinaria è mancato il sostegno della preghiera di tutti i cristiani. L'errore è stato di esporre così i preti, nella trincea più avanzata, senza che tutti i cristiani si stringessero assieme in una preghiera corale e intensissima per sostenerli. E un altro problema ancora ella vede: troppo scarso è l'amore alla Chiesa. Troppo poco gli uomini capiscono che «la Chiesa li ama» - anche la Chiesa considerata nei suoi aspetti istituzionali e gerarchici - e troppo poco questa Chiesa si preoccupa di far capire il suo amore per gli uomini. Nel 1952, sorprendendo tutti, Madeleine decide un viaggio lampo a Roma che per lei è «una specie di sacramento di Cristo-Chiesa». E' un vero pellegrinaggio, volutamente faticoso, che ella intraprende perché «certe grazie non si chiedono né si ottengono, per la Chiesa, se non a Roma». Due giorni e due notti in treno, tra andata e ritorno, per fermarsi nella città eterna dodici ore soltanto: le passa quasi tutte a san Pietro, pregando «a perdita di cuore». Racconterà poi: «Mi è apparso fino a che punto occorrerebbe che la Chiesa gerarchica fosse riconosciuta da tutti gli uomini come colei che li ama. Pietro: una pietra alla quale è chiesto di amare. Ho compreso quanto amore bisognerebbe far passare nei segni della Chiesa». Quando torna a Ivry viene a sapere che un amico prete, residente a Roma, venuto a conoscenza del suo viaggio, le aveva addirittura ottenuto una udienza dal papa, ma poi non era riuscito a contattarla e il papa aveva atteso invano. L'attaccamento di Madeleine alla Chiesa è indistruttibile. Ella ne parla sempre come del «Cristo-di-ora».
Nel corpo della Chiesa si deve essere soltanto «cellule viventi e amanti». «Quando si hanno ragioni per non capire», scrive, «bisogna pregare due volte, riflettere due volte, scusare due volte quel che non si capisce. Dove la nostra carità è messa in tentazione, bisogna volere due volte la carità». L'anno successivo, la tempesta si aggrava ancora; ella torna a Roma e questa volta può parlare al papa per qualche minuto. Nella breve risposta, il papa le ripete per tre volte la parola: «Apostolato». e Madeleine se ne torna via molto colpita da quella strana parola. In Francia la parola d'ordine è «missione», nessuno usa più il termine «apostolato», e Madeleine intuisce che c'è qualcosa di profetico nell'insistenza del pontefice. Si accorge che nel progetto di «missione», a cui anch'ella si è appassionata, c'è in primo piano l'annuncio della Buona Novella e la preoccupazione della salvezza degli uomini, ma che ne è della preoccupazione «per la gloria di Dio»? Che ne è della preoccupazione perché Dio sia adorato e amato, perché Dio «cessi di essere morto» per i marxisti?
Capisce così che una vera missione, condotta alla maniera degli apostoli, dovrà muoversi su due direttive: risvegliare in sé e nei credenti il senso dell'adorazione di Dio che vuole essere conosciuto e amato come una persona viva, e poi testimoniare questo attaccamento a Lui, occupandosi della salvezza del prossimo
. In fondo si tratta ancora dell'essenziale unità dei due più grandi comandamenti e delle necessarie priorità nell'amore. Per Madeleine è come scoprire in sé lo stesso amore di prima ai fratelli più poveri e a quelli che lottano - e agli stessi marxisti - ma rigenerato da una nuova maternità ecclesiale. In un suo celebre testo intitolato: «Città marxista, terra di missione», arriva a scrivere: «Se ti amo, comunista, non è malgrado la Chiesa, è grazie a lei e in lei!». Intanto il suo gruppo, la sua piccola comunità, è alla ricerca di una identità: tutti cominciano a chiedersi quale sia il «posto» che essa occupa nella Chiesa. C'è chi vorrebbe che Madeleine aggregasse la sua comunità a qualche ordine religioso già esistente o a qualche organizzazione ecclesiale. Come si può lasciare una comunità di vergini, protese all'amore di Cristo e al servizio ecclesiale, senza nessuna regola e nessuna salvaguardia giuridica? Per fortuna, a Roma, un monsignore francese che ha una qualche influenza protegge la comunità con la sua amicizia e la sua guida. Si chiama mons. Veuillot. In seguito diventerà Cardinale Segretario di Stato di Paolo VI. Nel 1956 costui pone a Madeleine la domanda decisiva: che cosa pensa «lei stessa, per lei stessa?». Di getto Madeleine scrive un testo in cui le frasi si susseguono tutte ritmate da un appassionato: «Avrei voluto...». «
Avrei voluto unicamente, appartenere interamente ed esclusivamente a Gesù, Nostro Signore e nostro Dio; avrei voluto provare a vivere il suo Vangelo, essere completamente disponibile alla sua volontà, nel più intimo della Chiesa e per la salvezza dell'uomo... Avrei voluto che ciò bastasse a spiegare tutto». Senza saperlo, però, Madeleine non sta soltanto offrendo alla Chiesa un fedele in più che prende sul serio la vocazione alla santità: sta descrivendo un «nuovo tipo di cristiano» tutto appartenente a Gesù e tutto innestato nel mondo. Oggi, perfino i Dizionari di Teologia già citano tale nuova «tipologia» offerta da Madeleine e sintetizzano il suo insegnamento in questo testo: «Quando teniamo il Vangelo tra le mani, dobbiamo pensare che lì abiti il Verbo che vuole farsi carne in noi, impadronirsi di noi, perché con il Suo cuore innestato nel nostro cuore e con il Suo Spirito comunicante col nostro spirito, noi diamo nuovo inizio alla Sua vita in un altro luogo, in un altro tempo, in un'altra società». E fu vivendo in prima persona questo ideale che ella divenne una maestra di preghiera: di una preghiera che poteva essere fatta dovunque e che poteva accompagnare il credente in ogni attimo della giornata Hans Urs von Balthasar - uno tra i più grandi teologi del nostro tempo - diceva che la personalità e gli scritti della Delbrêl manifestano qualità contrastanti e paradossali: da un lato una profonda serietà e dall'altro uno humour sorridente; da un lato un infantile «sapersi di Dio» e dall'altro uno forte realismo nelle analisi sociali e psicologiche; da un lato l'appartenenza ecclesiale vissuta fin nel midollo delle ossa e dall'altro un'assoluta libertà dai consueti clichés ecclesiastici. Ma spiegava che ella riusciva a tener uniti questi aspetti contrastanti in forza della qualità straordinaria della sua preghiera. Quando qualcuno domandava un colloquio a Madeleine, l'incontro cominciava sempre con qualche minuto di silenzio, il tempo che le occorreva per accendersi accuratamente una sigaretta. Solo i più intimi sapevano che quello era il tempo che ella si concedeva per pregare per la persona che aveva di fronte, prima di cominciare il dialogo. E se l'episodio fa sorridere, esso appartiene - dal vivo - allo stesso mondo che Madeleine ha descritto in un libretto di massime da lei attribuite ad Alcide, piccolo monaco che scopre ogni giorno l'incredibile saggezza che si acquista quando si vive in familiarità con Dio. «Per chi cerca Dio come lo cercava Mosè», spiega Alcide, «anche una scala può trasformarsi in Monte Sinai».
E il fatto di poter trovare Dio sempre, anche fumando una sigaretta, dipendeva dalla certezza che il piccolo monaco esprimeva così: «Se credi davvero che il Signore vive con te, dovunque hai un posto per vivere, hai un posto per pregare». L'importante era saper vincere l'errore più strano che noi commettiamo, quello che lo stesso Alcide indicava con la invocazione-domanda: «Mio Dio, se tu sei dappertutto, come mai io sono così spesso altrove?». Madeleine non voleva «essere altrove», nemmeno quando fumava una sigaretta. Negli ultimi anni di vita, ella ebbe la gioia di intravedere i tempi nuovi, anche se la questione dei «preti operai» - che si concludeva in quegli anni con la definitiva interdizione dell'esperienza - la faceva nuovamente soffrire. Dapprima la rallegrò l'avvento di papa Giovanni XXIII, così caritatevole e semplice che la faceva sentire - disse - «come una analfabeta del Vangelo». Poi la riempì d'entusiasmo la celebrazione del Concilio Vaticano II, riflettendo sul quale trova una delle sue espressioni più belle: «Il cristiano è “in stato di Chiesa” come è “in stato di grazia”».
Aveva solo sessant'anni e già si sentiva stanca, ma continuava a provare un'estrema ripugnanza al pensiero della morte. Diceva, sentendosi un po' in colpa: «Probabilmente sono stata battezzata a metà...», ma si consolava al pensiero che «anche Gesù provava una specie di indignazione ogni volta che si trovava davanti alla morte». Ma la sua capacità di immedesimazione amorosa negli altri era intatta. Una foto del luglio 1964 (tre mesi prima della morte) la mostra accoccolata a terra di fronte a una bambinetta, e tra loro c'è una trottola che gira. Il 13 ottobre 1964, a Roma - per la prima volta nella storia della Chiesa - un laico prendeva la parola nell'aula conciliare, per parlare a tutti i Vescovi del mondo sul tema dell'Apostolato dei laici... In quello stesso pomeriggio, a Ivry, Madeleine si accasciava sul suo tavolo da lavoro: se ne era andata senza disturbare nessuno...
Nel suo messale, le compagne trovarono alcune parole risalenti a dieci anni prima, e da lei scritte per commemorare il trentesimo anniversario della propria “conversione”.
Per segnare il proprio radicale abbandono a Dio, maturato in quegli anni, aveva scritto:     
IO VOGLIO CIO' CHE TU VUOI/               SENZA CHIEDERMI se lo posso/        SENZA CHIEDERMI se lo desidero/       SENZA CHIEDERMI se lo voglio”.
Il programma
che lasciava alle sue figlie e a innumerevoli amici - per giungere a tanta assolutezza - poteva essere espresso con una frase soltanto: “Leggere il vangelo – tenuto dalle mani della Chiesa – come si mangia il pane”

Postato da: giacabi a 15:57 | link | commenti
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giovedì, 28 febbraio 2008
TU VIVEVI, IO NON NE SAPEVO NIENTE
***


Tu vivevi, io non ne sapevo niente.
Avevi fatto il mio cuore a tua misura,
la mia vita per durare quanto Te,

ma poiché Tu non eri presente,
il mondo intero mi pareva piccolo e stupido
e il destino degli uomini insulso e cattivo.
Quando ho saputo che Tu vivevi,
Ti ho ringraziato di avermi fatto vivere,
Ti ho ringraziato per la vita del mondo intero.
Madeleine Delbrêl


Postato da: giacabi a 23:07 | link | commenti
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lunedì, 03 dicembre 2007
L’agire cristiano
***
 « Ogni piccola azione è un avvenimento immenso nel quale ci viene dato il paradiso, nel quale possiamo dare il paradiso. Non importa quel che dobbiamo fare: tenere in mano una scopa o una stilografica. Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina. Tutto ciò non è che la scorza della realtà splendida, l'incontro dell'anima con Dio rinnovata ad ogni minuto, che ad ogni minuto si accresce in grazia, sempre più bella per il suo Dio. Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. Un'informazione?…eccola: è Dio che viene ad amarci. È l'ora di metterci a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci. Lasciamolo fare.  »   Madeleine Delbrel

Postato da: giacabi a 16:01 | link | commenti (2)
delbrel

sabato, 15 settembre 2007
Ogni mattina
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Ogni mattina è una giornata intera che riceviamo dalle mani di Dio. Dio ci dà una giornata da Lui stesso preparata per noi. Non vi è nulla di troppo e nulla di “non abbastanza”, nulla di indifferente e nulla di inutile. È un capolavoro di giornata che viene a chiederci di essere vissuta. Noi la guardiamo come una pagina d’agenda, segnata da una cifra, da un mese. La trattiamo alla leggera come un foglio di carta. Se potessimo frugare il mondo e vedere questo giorno elaborarsi e nascere dal fondo dei secoli, comprenderemmo il valore di un solo giorno umano.
Madeleine Delbrel "Che gioia credere"
 

Postato da: giacabi a 08:18 | link | commenti
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giovedì, 08 marzo 2007

Carità fraterna

Quando pratichiamo una carità che si arroga il diritto di essere materna, educatrice, rettificatrice, ci disancoriamo dalla terraferma della realtà: non siamo più fratelli.
Vicino a un non credente, la carità diventa evangelizzazione, ma questa evangelizzazione non può essere che fraterna.
Noi non andiamo ad offrire di condividere generosamente quel che sarebbe nostro, e cioè Dio.
Non andiamo come giusti in mezzo a peccatori, come gente in possesso di diploma in mezzo a gente incolta; noi andiamo a parlare di un Padre comune, conosciuto dagli uni, ignorato dagli altri; come perdonati, non come innocenti; come gente che ha avuto la fortuna di essere chiamata a credere, di ricevere la fede, ma di riceverla come un bene che non è nostro, ma che è stato depositato in noi per il mondo.

(Da "Noi delle strade" di Madeleine Delbrel - Gribaudi Editore, Milano, 1995)



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