Musica al Meeting di Rimini 2009
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meeting di rimini
Uomo, santo e peccatore:
ecco cos'è il Meeting
Pubblicato da Massimo Pandolfi Dom, 30/08/2009 - 09:07
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Cos'è
il Meeting di Rimini? E’ da 30 anni che ci ingegniamo tutti per trovare
una definizione, più o meno a effetto, ma la festa di Comunione e
Liberazione è così allergica alle parole che sguscia via, sempre, dalle
gabbie e dagli aggettivi che vorremmo costruirle attorno. Esonda. Don Julian Carron, grande capo di Cl, successore di Giussani, una volta ha detto ai suoi ragazzi: «Senza
che Cristo sia presente ora — ora! — io non posso amarmi ora e non
posso amare te ora. Coi testi dei vangeli al limite potrei anche
suicidarmi, con la presenza di Cristo no». Un ciellino
ti risponde allora che il Meeting è Cristo che si presenta a te in tutta
la sua evidenza, ma vallo a spiegare a chi non crede che se vai a
Rimini trovi Gesù. Ti fa un pernacchione. Lui vede una baracca
gigantesca con stand, incontri, ministri, mostre, ristoranti, tanti
giovani, magari il business e, nel caso sia un po’ prevenuto con ‘quegli
integralisti’ di Cl, si diverte pure a storpiarne il nome: Comunione e
Fatturazione.«Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore». Questa l’ha
detta don Giussani ed è il titolo per il 2010 annunciato ieri al
termine dell’edizione record 2009 (800 mila presenze, qualcuno dice
anche un milione).Ecco allora che queste parole — ‘cose grandi’
e ’cuore’ — sono forse alla portata di tutti, perché chi passa da
Rimini intuisce per forza che al Meeting ci sono davvero ‘cose grandi’,
fatte col ’cuore’. Lo vede dalle facce della gente qualunque. Lo vede
dagli sguardi, dalla pulizia, dal tumultuoso ordine. E poi succede
qualcosa al Meeting, sempre. Mica l’annuncio del nuovo piano anticrisi
di Tremonti (quella è roba per noi giornalisti). Succede
(successe) che Umberto Agnelli butta via i fogli dattiloscritti
preparati dal suo staff e prova a spiegare, a braccio, il suo dolore per
la morte del figlio Giovannino. Succede (è successo ieri) che Oscar
Giannino strega tutti raccontando la sua conversione. Come Tony Blair. E
succede (in continuazione) che dei vecchi mangiapreti come Giampaolo
Pansa ed Enzo Jannacci trovano a Rimini una loro casa ideale. Perché?
Perché al centro del Meeting non ci sono dei discorsi, dei bei discorsi:
ne abbiamo fatto indigestione. Al
centro del Meeting c’è l’uomo, tutto l’uomo: un po’ santo, tanto
peccatore, irrimediabilmente poveraccio. Ognuno di noi, insomma.
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Postato da: giacabi a 17:05 |
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meeting di rimini
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Cari
detestabili colleghi, editorialisti, intellettuali, direttori, inviati
dei giornali: andate a quel paese. Capalbio, Cortina, Todi o dove volete
voi.
Siete
snob e noiosi, pretenziosi e incolti (almeno sulla religione), imbevuti
di ideologia e pregiudizi, provinciali, narcisisti (quasi come me),
rinchiusi nel pasoliniano Palazzo dove non vedete che voi stessi e vi
rispecchiate in quelli come voi, dove non parlate che di politica e non
pensate che politicamente perché siete ancora sotto le macerie del
Sessantotto: andate a quel paese e restateci.
Tanto
da lì potrete continuare ad ammorbare le pagine dei giornali dove il
caso politico dell’estate è frugare nelle mutande del premier e dove il
caso culturale è lo scazzo Scarpa-Scurati che la gente normale – se
perdesse tempo a leggerne le cronache – liquiderebbe con un sonoro
“ecchisenefrega”.
Meriterebbero tutti (meriteremmo tutti), giornalisti, cervelloni, politici, editorialisti, un grande calcio in culo? Enzo
Jannacci che al Meeting di Rimini ha portato la sua commozione e la sua
vita nuda, con una sincerità rara (uno dei pochi casi simili che
ricordo è quello di Giovanni Testori), Jannacci che dice, con la sua
disarmante inermità fanciullesca “amo Gesù”, ecco Jannacci sente che se
Lui scendesse dalla croce dovrebbe prenderci tutti “a calci in culo”,
che lo meriteremmo.
Ma
Enzo in realtà è rimasto commosso dalla “carezza del Nazareno”. Dal
fatto che Lui continua a far sentire a noi cazzoni immemori il calore
della sua misericordia, della sua amicizia e la vertigine della sua
bellezza.
Allora,
cari colleghi, amici e nemici, se voleste alzare lo sguardo dal
panorama gratificante del vostro ombelico, se – hai visto mai – aveste
ancora una qualche curiosità nella ricerca della Verità (ma c’è qualcuno
che la cerca?) o – chissà – se qualcuno sentisse agra la ferità della
Bellezza e il fascino e il dolore della vita, vi prego, passate un
giorno nella cittadella del Meeting, in questa cattedrale della
giovinezza: l’assolutamente altro da voi.
Guardate,
ascoltate, riflettete, leggete. Andate in quel villaggio sui generis
che è in questi giorni la Fiera di Rimini. Ascoltate le storie, le
testimonianze, guardate quelle facce giovani e luminose: potreste
sentire la carezza del Nazareno anche voi. E non la dimentichereste più.
O
forse qualcuno di voi potrebbe porsi una domanda. Almeno una – voi che
siete nati “già saputi” – magari di sapore sociologico come quelle che
voi prediligete: dov’è oggi nel mondo un
avvenimento culturale che richiama 700 mila presenze, che è tenuto in
piedi – come quest’anno – da 3058 volontari (che lavorano qui gratis e a
proprie spese) più altri 700 che hanno costruito il Meeting prima (sono
venuti a dare una mano perfino dei terremotati dell’Aquila, colpiti da
ragazzi del movimento di CL che erano andati in Abruzzo ad aiutare)?
Dov’è
una “cosa” simile che propone 116 incontri, 26 spettacoli, 8 mostre,
che ascolta 299 relatori, che ha ospitato le maggiori personalità della
scena mondiale (in questi 30 anni tutti, da Lech Walesa a Ionesco, da
Tony Blair a Madre Teresa, da Giovanni Paolo II e Ratzinger a
Tarkowskij, da Helmuth Kohl al Dalai Lama, da Von Balthasar a Renzo de
Felice, da Carreras a Marta Graham, dai vertici dell’Onu, ai leader di
tanti popoli a cominciare da Israele, Palestina)?
La risposta è semplice: non esiste nulla di paragonabile in nessuna parte del mondo.
E ancor più eclatante e sorprendente è il fatto che una cosa simile non
sia nata da qualche potentato finanziario, politico o culturale o da
importanti istituzioni. Ma
che sia nato tutto da un gruppo di giovani appassionati alla Bellezza e
alla Verità dopo aver conosciuto un prete speciale, don Luigi Giussani.
Affascinati dal suo sguardo in cui avvertirono “la carezza del Nazareno”
sui loro cuori giovani.
E’
sorprendente, considerata la condizione di assedio, bombardamento e
annichilimento sistematico della cultura cattolica in questi 50 anni,
spesso ad opera di quegli stessi intellettuali cattolici che avrebbero
dovuto esprimerla. Considerato che i potentati mediatici continuamente
stravolgono il cattolicesimo e hanno trasformato in un “teologo
cattolico” perfino Vito Mancuso, che non è né l’uno né l’altro, e si
fanno raccontare il cristianesimo da Corrado Augias (che sarebbe come
farsi spiegare la relatività di Einstein da Jovanotti).
Ho
seguito le cronache dei giornali dal Meeting: sempre più scarne,
riguardano sempre e solo le dichiarazioni di questo o quel politico o
economista. Gli inviati a Rimini stanno barricati in sala stampa,
impermeabili a quello che sta accadendo attorno a loro (i giornali si
fanno così oggi). Solo a caccia dei politici. Quando qualcosa “buca” il
muro dell’indifferenza – che so, la conversione di Jannacci – la si
annega nel Banal grande di ritorno.
Per
tutta l’estate Repubblica ha sparato editoriali sulla Chiesa dalla
prima pagina impegnando le sue firme di punta: Ezio Mauro (il
direttore), Eugenio Scalfari, Adriano Sofri, Adriano Prosperi. I quali –
per ottenere un anatema su Berlusconi – hanno spiegato a noi, al Papa e
ai vescovi cose è il cristianesimo. Ce ne fosse uno che è andato a
Rimini a farselo spiegare da chi lo vive, da missionari e testimoni che,
sotto “le tende” della Fiera, raccontano storie struggenti e
bellissime.
E
fanno percepire come “la carezza del Nazareno” – oggi, ora – sta
avvolgendo e sconvolgendo la vita di milioni di persone, dal Sudamerica
alla Siberia, dal Sudan alla Cina fino ai Rione Sanità di Napoli e al
carcere di Padova.
Immaginate
in pieno agosto 15 mila (dicasi quindicimila!!!) persone assiepate ad
ascoltare un professore di filosofia sconosciuto ai giornali, Carmine Di
Martino a parlare di Cartesio e della nozione di conoscenza in don
Giussani, di Kant e di sant’Agostino che solleva la grande domanda:
“Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem?” (che cosa infatti
desidera l’uomo più potentemente della verità?).
Quindicimila
persone, perlopiù giovani, sotto il sole riminese, quindicimila pioppi
che in quel momento sentono soffiare fra le loro fronde una grande
ventata e ognuno pensa a sé, al mistero che è per se medesimo, pensa al
volto che ama, all’avventura della sua vita. E anche il mare blu e il
cielo azzurro vibrano…
E’
una cosa dell’altro mondo quella che si vede qui. Una cosa dell’altro
mondo in questo mondo. Lasciatelo dire a me che, in un paio di
occasioni, negli anni passati, ho criticato certe scelte del Meeting: si
può ben discutere e avere opinioni diverse, ma restare indifferenti non
si può se si ama appena un po’ la nostra comune umanità.
E
pensate ai ventimila che, martedì scorso, hanno affollato la Fiera per
ascoltare Julian Carròn e hanno sentito il brivido nel cuore per la
storia di Paolo di Tarso a cui la “carezza del Nazareno” è arrivata come
un ciclone e che poi questo ciclone ha fatto irrompere in tutto il
mondo di allora arrivando fino a Roma dove ha stupito e commosso perfino
gli intellettuali del tempo come Seneca.
Una
folla immensa di ventimila giovani e meno giovani ha ascoltato Carròn:
attentissimi, pensosi, stupiti, commossi. Ma – per dire – sul Corriere
della sera ieri l’articolo più ampio era dedicato a ben altra
manifestazione cattolica. Udite udite: il “Premio Giovanni Paolo II”
assegnato a Roberto Calderoli a Scafati, nell’agro nocerino (provincia
di Salerno), dall’associazione “Continente uomo” promossa dal
consigliere comunale dell’Idv, Espedito De Marino.
Volete
mettere… Non c’è confronto fra questa fondamentale manifestazione di
Scafati e il Meeting. Il Corrierone, che da mesi, per la penna di
Ernesto Galli Della Loggia, lamenta l’incultura e la rozzezza dei
politici e delle classi dirigenti, ci mostra così con quale ampiezza di
orizzonti e profondità culturale il più diffuso quotidiano del Paese
racconta l’Italia. Complimenti.
Mi dispiace per voi, per l’aria asfittica che respirate nel Palazzo. Ma in terra di Romagna in questi giorni scorre buon vino e soffia una bell’aria fresca. Come una carezza.
Fonte Libero © 28 agosto 2009
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Postato da: giacabi a 16:56 |
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socci, meeting di rimini
Ragione maestra di conoscenza
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Il filosofo Carmine Di Martino commenta il tema che per 7 giorni terrà banco a Rimini Una sfida al pensiero dominante
di Giorgio Paolucci
Tratto da www.avvenire.it del 21 agosto 2009
I
titoli del Meeting non sono mai facili, ma lasciano il segno, spesso
provocano discussioni e polemiche infuocate. La spiegazione di quello di
quest’anno – «La conoscenza è sempre un avvenimento» – è stata affidata
a un filosofo, Carmine Di Martino, che ne parlerà nell’auditorium
principale lunedì 24 agosto. Di Martino insegna Gnoseologia all’Università Statale di Milano.
Tra le sue pubblicazioni recenti, «Segno, gesto, parola. Da Heidegger a
Mead e Merleau-Ponty» (Ets, 2006) e «Figure dell’evento. A partire da
Jacques Derrida» (Guerini e Associati, 2009).
Il Meeting mette a tema due parole come conoscenza e avvenimento,
travisate o poco utilizzate nel linguaggio comune. Ma non vuole farne
elaborazioni teoriche, bensì andare al cuore di temi che segnano la vita
dell’uomo contemporaneo. Cominciamo dalla parola conoscenza, che nella
mentalità comune viene intesa come un derivato della scienza.
Oggi
siamo portati a pensare che ciò che non è sottoponibile al metodo
logico-matematico e all’esperimento non sia né razionalmente conoscibile
né in definitiva reale.
Ci siamo rassegnati a 'credere' che la ragione con la 'R' maiuscola sia
quella scientifica e che la realtà vera non sia quella di cui facciamo
esperienza, ma quella che la scienza ha 'ridotto' in un modello.
Ma come la ragione non si lascia ridurre ad un solo metodo, così la
realtà è più ricca, ha molti più strati di quelli che l’osservazione
scientifica seleziona, legittimamente, per i suoi scopi. Se dico per
esempio: 'Tu sei un uomo come me', non ho affatto bisogno di usare una
ragione scientifica e sono perfettamente razionale. Quando m’interrogo
sul perché una persona si comporti in un certo modo, cerco di conoscere
le sue motivazioni: tali motivazioni 'esistono' e io procedo in modo
razionale se non utilizzo il metodo matematico o sperimentale. Bisogna
liberarsi dell’ideologia scientista, per non rinunciare ad essere
uomini, cioè razionali, di fronte alle sfide del presente.
La
seconda parola-chiave è avvenimento. Cosa è 'avvenimento'? E perché
l’avvenimento è un modo privilegiato per conoscere la realtà?
Avvenimento
è tutta la realtà colta nella sua abissale gratuità, nel suo accadere
improducibile e improgrammabile, nella sua irriducibilità a qualsivoglia
schema o definizione.
Prenda la nascita di un bambino: per quanto sia preparata e attesa, il
bambino che giunge è qualcosa di assolutamente nuovo, assolutamente
altro, sorprende ogni previsione. In questo senso è un avvenimento. Avvenimento
è la realtà nella sua non-deducibilità: essa mi colpisce e mi mette in
movimento. Non ci sarebbe conoscenza senza avvenimento: la conoscenza è
infatti la risposta propria dell’uomo all’irrompere dell’avvenimento.
In che senso il Meeting può essere un avvenimento?
Il Meeting è un avvenimento se lì accade qualcosa di nuovo, che non è il semplice prodotto dello sforzo di chi lo costruisce. L’avvenimento non è il risultato di un’organizzazione, pur efficiente e creativa; esso
accade attraverso le persone che vi partecipano, a vario titolo, con la
loro disponibilità e consapevolezza, con la loro domanda e la loro
ferita, ma accade come un effetto superiore a tutte le cause. E questo è
ciò che rende 'unico' un appuntamento, un luogo, un fenomeno umano. In
quest’ottica, direi, solo l’avvenimento è interessante. Tutto il resto
annoia.
Cosa
pensa dell’affermazione che la sfida più importante per i cristiani sia
riaffermare 'la fede come metodo di conoscenza'? Secondo alcuni è più
importante la battaglia per la difesa di certi principi etici (pace,
giustizia, solidarietà). Che nesso c’è tra l’affermazione della fede
come metodo di conoscenza e la promozione di questi temi etici?
Anzitutto mi sembra lodevolmente controcorrente l’affermazione che 'la fede è un metodo di 'conoscenza': una conoscenza indiretta, ottenuta attraverso la mediazione di un testimone.
La riduzione di cui parlavamo prima ci fa dimenticare che la maggior
parte delle nostre conoscenze sono attinte con questo metodo, senza del
quale non ci sarebbero la cultura, la storia, la convivenza. Ma
l’affermazione di cui lei parla dice anche che la fede stessa, in senso stretto, è una conoscenza.
Credo sia decisivo: rimette in questione quell’opposizione tra un
sapere razionalisticamente concepito e un credere perfettamente estraneo
al sapere che abbiamo ereditato dalla modernità. Se
il punto di partenza della fede cristiana non è un’immaginazione
religiosa, ma – secondo quanto essa dice di se stessa – l’incontro con
un fatto tangibile, con un fenomeno umano diverso, essa esige tutto il
percorso della ragione davanti a quel fatto (o avvenimento) e
all’esperienza che esso rende possibile, in vista di un’adesione
motivata. Senza questo, vi sarebbe solo fideismo. Non penso che ciò si opponga alla promozione dei valori etici; semplicemente sottolinea
la necessità del riconoscimento (conoscenza) di quel fatto attraverso
cui storicamente essi si sono resi chiari alla coscienza degli uomini e
concretamente vivibili. Si possono mantenere, secondo lei, le conseguenze senza l’origine?
Spesso
l’esperienza religiosa viene presentata come sinonimo di chiusura,
divisione e intolleranza. Al Meeting si ' scopre' il contrario...
Al
di là di un discorso sull’esperienza religiosa, è interessante
smascherare quello che oggi è divenuto un articolo di fede: si può
essere aperti solo se non si è certi di niente, non si ha niente da
dire, da affermare, da amare. Cioè se si è dogmaticamente relativisti,
di quel relativismo che tende intrinsecamente ad assolutizzarsi, negando
validità ad ogni altra posizione. Ma così viene minacciato proprio l’incontro
con l’altro. Questo, infatti, presuppone l’identità, la coscienza
critica di ciò che sono, la comunicazione di quello che vivo. Non
esistono apertura viva e vera simpatia – ben diversa dalla tolleranza,
che è la prima negazione del rapporto – che non derivino da una
sovrabbondanza vissuta, dalla certezza che sorge da un’esperienza (il
contrario di un arroccamento ideologico o fazioso), da un desiderio di
continua verifica di essa. È evidente nel bambino: si muove con simpatia
e apertura verso gli altri quanto più è certo del rapporto con i
genitori; dove non si dà questa certezza dominano aggressività e paure,
un’ipertrofia dell’istinto di difesa. E poi occorrerebbe guardare
quello che accade. Forse anche il Meeting, da questo punto di vista,
contribuisce a sconvolgere certi modi di pensare.
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Postato da: giacabi a 20:51 |
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ragione, meeting di rimini
LA SIGNORA DEL MEETING
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Meeting Rimini 1980 - 2009
Emilia Guarnieri, Presidente e volontaria, si racconta.
Sono
una dei 4 mila volontari che ogni anno preparano il Meeting di Rimini».
Esordisce così Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione del
Meeting per l’amicizia tra i popoli, quest’anno giunto al traguardo
della sua trentesima edizione e che ha come titolo "La conoscenza è
sempre un avvenimento" (dal 23 al 29 agosto, Rimini, Nuova Fiera).
Presidente, com’è iniziata per lei l’avventura del Meeting?
«A 15 anni rimasi folgorata da una frase di don Giussani: "La cultura è Cristo". Mi affascinò in maniera totale e volevo capirne il significato».
E come è nata concretamente questa manifestazione?
«Intorno
a una pizza, tra un gruppo di amici spinti dal desiderio di essere una
presenza nella società e dal gusto di incontrare le persone per
paragonare la fede con tutta la realtà. Senza molti passaggi è venuta
subito fuori la sfida: perché non facciamo nascere a Rimini il Meeting
per l’amicizia tra i popoli? Erano anni in cui si parlava di dialogo, di
consenso e dissenso, di censura delle identità e di omologazione. La
parola "amicizia" ci è sembrata subito di rottura, l’intuizione di una
diversità possibile e nello stesso tempo di una possibile unità tra i
popoli fondata sulla certezza che l’esperienza cristiana, così come
l’avevamo incontrata attraverso il carisma di don Giussani, potesse
avere questa energia ecumenica. Non sapevamo come si sarebbe realizzato tutto ciò ma eravamo certi che in quello che vivevamo c’era già presente il Tutto».
A
partire da questa totalità di Cristo che abbraccia tutto, può spiegarci
il titolo del Meeting 2009: "La conoscenza è sempre un avvenimento"?
«Si conosce solo ciò che si ama, dice sant’Agostino. La
conoscenza è un atto di amore tra un soggetto che desidera conoscere e
un oggetto che prima non c’era, totalmente imprevisto e al di fuori del
proprio orizzonte: occorre il coraggio di rischiare questo rapporto. Non
è una questione filosofica ma della dinamica umana fondamentale, quella
che c’è tra il bambino e la realtà. Per imparare a camminare occorre
desiderare, protendersi, fidarsi, non avere paura della fatica. E poi
stupirsi. La conoscenza è come la scintilla iniziale dell’innamoramento,
ma poi diventa riconoscimento della diversità dell’altro. Non è una
questione sentimentale, ma di conoscenza. E la conoscenza è stata sempre la molla, il Dna, l’anima di ogni nuova edizione del Meeting».
Anche quest’anno, nonostante la crisi economica, alla trentesima edizione del Meeting di Rimini non sono mancati i volontari...
«Anzi,
nonostante si paghino vitto e alloggio, abbiamo avuto più volontari del
previsto. È la dimostrazione che in questo difficile 2009 il Meeting
testimonia la speranza di un popolo che non è stato vinto dalla crisi
economica».
Prevedete
un maggiore afflusso di visitatori per l’occasione del trentennale,
anche grazie alle presentazioni che avete fatto a Parigi, a Washington e
in Brasile?
«Certamente.
Mi preme sottolineare però che siamo andati a presentare il Meeting
all’estero là dove siamo stati invitati. Monsignor Francesco Follo,
osservatore permanente della Santa Sede, ci ha invitati a Parigi,
all’Unesco, il tempio della cultura e dell’amicizia tra i popoli. E l’ex
ambasciatrice americana presso la Santa Sede Mary Ann Glendon ha voluto
lei stessa presentare il Meeting a Washington».
E in Brasile?
«Un
viaggio di 1.600 chilometri con tappa a Rio de Janeiro, San Paolo e
Salvador de Bahia. A San Paolo, in particolare, l’incontro con i coniugi
Zerbini, Cleuza e Marcos, due personaggi incredibili, da vent’anni
responsabili del movimento Trabalhadores Sem Terra, persone che hanno
dedicato la loro vita al bisogno dei più poveri e sono stati
letteralmente folgorati dell’incontro con don Julián Carrón».
Torniamo a lei e alla sua vita personale: volontaria o presidente?
«Volontaria
da sempre, presidente dell’associazione Meeting da 17 anni, mentre per i
primi 13 lo è stato mio marito. Mi considero una semplice volontaria
perché mi occupo del Meeting nel tempo libero. Insegno in un liceo
classico riminese e non rinuncerei mai al mio lavoro: per presentare il
Meeting a Parigi, all’Unesco, ho usato il mio giorno libero. E non
dimentico che sono moglie, madre e anche nonna di sei nipotini».
Al Meeting quali sono stati per lei gli incontri più significativi in questi trent’anni?
«Quelli
con Giovanni Paolo II e con Madre Teresa di Calcutta; poi con i
rappresentanti della cultura ebraica e musulmana, con gli ortodossi e
con i monaci buddhisti; e poi con tutti gli uomini di cultura, arte e
scienza che ho conosciuto, sempre spinta dalla curiosità di lasciarmi
stupire da loro. Quando diciamo che il Meeting è un avvenimento
imprevedibile è vero, sappiamo chi abbiamo invitato, quest’anno per
esempio Tony Blair o il cardinale Caffarra, ma non sappiamo cosa potrà
accadere da questi incontri che non sono istituzionali ma fondati
sull’amicizia».
Possiamo
dire che le mostre del Meeting rappresentano una forma nuova di
cultura, quasi un’università popolare per il numero di persone che le
visitano e poi per la loro diffusione?
«Ogni
mostra è visitata in media ogni anno almeno da 7 mila persone ma certe
mostre, come quella sui carcerati di Padova l’anno scorso, sono state
visitate addirittura da 50 mila persone. Chiuso il Meeting, le mostre ci
vengono poi domandate in affitto da centri culturali, Comuni,
parrocchie e associazioni anche all’estero: una diffusione che non ci
saremmo mai aspettati».
Passiamo all’album dei ricordi. Per esempio quello della visita di Giovanni Paolo II del 1982: cosa la colpì?
«L’abbraccio
fisico e lo sguardo con cui il Papa ci comunicava tutta la sua
simpatia: pensi che prima di parlare in auditorium ha voluto visitare
tutti gli stand, incontrare le persone alle mostre, immergersi
nell’esperienza del Meeting che egli definì "una cultura di frontiera"».
E quando venne don Giussani?
«Nel
1983 parlò a Rimini sul tema "La libertà di Dio", nel 1985 su "Dio ha
bisogno degli uomini", occasione in cui disse la famosa frase: "Vi auguro di non stare mai tranquilli".
Poi venne altre due volte: una con il presidente Scalfaro e un’ultima
volta per celebrare la Messa per i volontari. Don Giussani era sempre
teso a comunicare una passione per le cose e questa tensione,
paradossalmente, trasmetteva a chi gli stava vicino una pace e una
tenerezza indicibili».
Perché dopo trent’anni Emilia Guarnieri fa ancora il Meeting?
«Per capire sempre di più cosa significa che la realtà è Cristo».
Come sono nati i titoli che hanno segnato le passate edizioni?
«Sono
nati sempre da un taglio sull’esperienza umana, non per indicare
un’idea, ma per evidenziare un raggio che penetri l’esperienza umana che
viviamo ogni giorno nella storia»
Come scegliete gli spettacoli?
«Non
come forma di intrattenimento ma come fattore integrante della
proposta. La bellezza di un’opera nasce da chi la fa, dalla sua
personalità. Abbiamo puntato su artisti-testimoni e grossi interpreti
come José Carreras, Riccardo Muti, Franco Branciaroli, Marta Graham.
Quest’anno la rappresentazione dell’opera teatrale Miguel Manara del
poeta lituano Oscar V. Milosz dirà come l’amore sia sempre conoscenza e
la conoscenza sempre amore: l’uomo mosso da desiderio di amore arriva a
incontrare l’oggetto ultimo dell’amore».
Alfredo Tradigo
da :Familia Cristiana, n° 34 19 agosto 2009
grazie a : stellanuova
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