La scrittura "rock" della cattolica Flannery
di Antonio Giuliano
01-03-2011
Ci vuole occhio per essere scrittori. E la narratrice statunitense Flannery O’Connor (1925-1964) non ha mai nascosto la sua prospettiva: «Scrivo come scrivo perché sono (non sebbene sia) cattolica». E anzi: «Proprio perché sono cattolica non posso permettermi di esser meno di un’artista». Una rivendicazione orgogliosa, così stridente con una certa cultura dominante, al punto da sospettarne la censura. Come dimostra una raccolta di saggi ancora stranamente inediti che esce il 2 marzo da Rizzoli Il volto incompiuto. Saggi e lettere sul mistero di scrivere (Rizzoli, pp. 180, euro 9). Scritti giudicati mai degni di pubblicazione ora presentati per la prima volta dal gesuita Antonio Spadaro, critico letterario de La Civiltà Cattolica, folgorato dall’autrice statunitense di cui da anni è impegnato a farne conoscere l’opera, ora anche attraverso un sito (www.flanneryoconnor.it). Stroncata dal lupus, a Flannery O’Connor bastarono 39 anni per diventare una scrittrice di culto grazie a ventisette racconti e due romanzi: “La saggezza nel sangue” e “Il cielo è dei violenti” in cui spiccano trame forti e scioccanti, e personaggi tragicomici. Non è un caso, ci dice Spadaro, che registi pulp come Quentin Tarantino o i grandi del rock abbiano tratto ispirazione dalle sue opere.
Perché Flannery O’Connor sente il bisogno di manifestare chiaramente la sua fede?
È la sua visione del mondo. Flannery non è né bigotta né intellettuale o interleckchul (intellettualoide) come diceva lei. La sua fede certamente illumina la sua ispirazione artistica, lei stesso scrive: «Credo che se non fossi cattolica, non avrei ragione di scrivere, nessuna ragione di vedere, nessuna ragione di provare orrore, o di provare piacere in nulla. Sono nata cattolica, ho frequentato scuole cattoliche durante l’infanzia, e non ho mai lasciato, né ho mai voluto lasciare la Chiesa. Non ho mai percepito l’essere cattolica come un limite alla libertà dello scrittore, piuttosto l’opposto». Per lei la fede è vedere le cose: la fede è una sorta di motorino di avviamento della percezione e, quindi, della scrittura: «La fede, nel mio caso almeno, è il motore che aziona la percezione». Chi ha fede ha l’occhio giusto per essere scrittore. «Per lo scrittore di narrativa, non credere in niente equivale a non vedere niente». E così le si amplia il campo visivo su un mondo che Flannery ha definito come Christ-haunted, cioè “infestato da Cristo”.
Un cattolicesimo, quello della scrittrice, che lei nella prefazione definiscehardcore (duro), in cui la fede sembra diventare una sorta di lente di ingrandimento…
Sì secondo lei «gli scrittori che vedono alla luce della loro fede cristiana saranno, di questi tempi, i più fini osservatori del grottesco, del perverso e dell’inaccettabile» perché «non vi sarà niente nella vita di troppo grottesco, o troppo “non cattolico”, da non poter fornire materiale». La O’Connor è particolarmente sensibile agli aspetti più drammatici e paradossali dell’incisività della grazia, che può arrivare fino all’abbrutimento del personaggio. Anzi, l’irruzione della grazia non sempre migliora la vita personale e sociale dei personaggi e, nel suo caso, è proprio esattamente il contrario. La sua narrativa allora non potrà che risultare “selvaggia”, insieme violenta e comica, per via delle discrepanze che cerca di ricomporre.
Una scrittura che comunque colpisce per la concretezza, per una dura realtà…
Per Flannery «l’universo visibile è un riflesso di quello invisibile». Dio è un dato dell’esperienza non un’intuizione della mente. La scrittrice dà alla dimensione spirituale una consistenza materiale o “sacramentale”. Quando una sua collega scrittrice le diceva di considerare l’Eucarestia solamente come un simbolo, la sua risposta fu netta: «Beh, se è un simbolo, che vada al diavolo» (“Well, if it’s a symbol, to hell with it”). E aggiungeva: «Non sono scrittrice dell’impercettibile, io».
Nella scelta dei protagonisti delle sue trame sembra esserci una preferenza per personaggi del Vangelo, come storpi, ciechi…
Il suo modello è la Bibbia. Non si fanno storie senza una storia di riferimento e la Bibbia fornisce una storia nella quale «chiunque possa riconoscere la mano di Dio e la sua discesa». E infatti per Flannery la nostra reazione della vita sarà diversa se «ci hanno inoculato soltanto una definizione della fede o se abbiamo tremato insieme ad Abramo che levava il coltello su Isacco». Ma lei stessa lamentava che la Bibbia «non ha fatto breccia nel profondo della nostra coscienza» e la cultura ha eliminato il mistero. La scrittrice attacca non tanto gli atei, quanto coloro che ammettono l’esistenza di un essere divino che non ha niente a che fare con la storia.
Non solo per la rivendicazione della fede: mi pare raggiunga vette di anticonformismo nel panorama culturale (anche di quello cattolico) parlando spesso di diavolo. Secondo la scrittrice per fare la prova dell’esistenza di Satana basta provare a resistere a una qualsiasi tentazione per cinque minuti….
Flannery dice di essere interessata all’azione della grazia in un territorio tenuto in gran parte dal diavolo. La scrittrice riconosce che il lettore troverà che il diavolo getta le basi necessarie affinché la grazia sia efficace. Il senso del male è garanzia del nostro senso del mistero e dunque il diavolo diventa, in qualche modo, una necessità drammatica dello scrittore. Più anticonformista di così…
Perché anche critici nostrani come Fernanda Pivano, l’hanno ignorata?
Non solo lei. Flannery è scomoda per tutti. Imbarazzante. Nelle opere della O’Connor i personaggi sono sempre e in ogni momento tutti allineati al principio di tutte le loro possibilità. Così la salvezza può venire da un assassino e, invece, un cieco egoismo può essere l’espressione tipica di un filantropo umanista. Ogni ideologia esplode, e così ogni prevedibilità. E poi la O’Connor è sempre stata defilata rispetto al mondo delle mode.
Perché alcuni grandi del rock le sono debitori?
Nick Cave come la O’Connor assume dalla Bibbia, e in particolare dall’Antico Testamento immagini e linguaggio. Cave trova nella tough prose, la prosa dura del Vecchio Testamento una lingua perfetta, allo stesso tempo misteriosa e familiare. Il mondo dei personaggi di Springsteen è un mondo cupo: se per la O’Connor la grazia agisce in un territorio tenuto in gran parte dal diavolo, così anche per Springsteen: ogni forma di grazia possibile si trova soltanto in badlands (bassifondi) e darkness (oscurità), per usare due delle tante metafore possibili. La luce brilla solamente se ci sono tenebre. Ma l’eredita “oconnoriana”, in realtà, è più estesa e dunque si dovrebbe prendere in considerazione, ad esempio, almeno In God’s Country e l’intero album The Joshua Three degli U2, il disco Murmur dei R.E.M., Blood Money di Tom Waits.
Parliamo di una donna che nonostante la propria malattia non ha mai imputato a Dio la sofferenza, nè l’inspiegabilità del male.
La sua è una visione radicalmente escatologica. Vede il mondo under construction, in costruzione, non finito, e così tiene il suo sguardo lasciando intatto il senso del mistero. Non si accontenta della tenerezza: vuole andare oltre, avere una visione del significato del male, e comprende che a volte l’eccessiva tenerezza distrae l’occhio e lo rammollisce. Scrive testualmente: «Una tenerezza staccata dalla persona di Cristo è avvolta nella teoria. Quando la tenerezza è separata dalla sorgente della tenerezza, la sua logica conseguenza è il terrore. Finisce nei campi di lavoro forzato e nei fumi delle camere a gas». Il rischio è la trasformazione della carità in idea, o meglio, in ideologia del bene per l’umanità. La carità che non sa accettare l’incompletezza della condizione umana, e non solo la debolezza, rischia di rimanere cieca. Da qui deriva l’utopia di un uomo e di un mondo perfetto e ideale, in cui non c’è più dolore e male: non a caso in nome della realizzazione di paradisi in terra, sono stati commessi delitti atroci nella storia.
Per questo rifugge anche nei suoi scritti da un certo sentimentalismo?
Lei mostra non una generica attitudine alla tenerezza, ma un occhio profetico capace di vedere anche nel dramma la traccia di un destino. L’occhio deve vedere che il suo orizzonte finito non offre spiegazioni plausibili. Non cerca risposte dinanzi al male. Non fa neanche alcun rinvio alla responsabilità dell’uomo come alibi per “assolvere” Dio e per aiutare l’uomo ad essere più moralmente vigile. Parte dal fatto che il poeta è cieco per tradizione, ma il poeta cristiano è come il cieco toccato da Cristo, che guardò e vide uomini come fossero alberi. È una visione distorta, ma è quella che interessa a Flannery: descrivere gli uomini come alberi che camminano. Ciò che queste “strane visioni”, come lei le definisce, fanno saltare subito per aria è il “buon senso” vagamente laico, razionale e illuministico che tanto ammorba la vera ispirazione artistica.
Postato da: giacabi a 19:58 |
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oconnor
INTERFERENZA DI DIO
***
«La Chiesa è fondata su Pietro che rinnegò Cristo tre volte e che non poté camminare sull'acqua in virtù di se stesso. Tu stai attendendo che il suo successore cammini sull'acqua. L'intera natura umana resiste con tenacia alla grazia perché la grazia provoca in noi un cambiamento e il cambiamento è doloroso. I preti vi resistono quanto gli altri. Ottenere che la Chiesa sia quel che vuoi tu richiede la continua miracolistica interferenza di Dio negli affari umani,
mentre quel che ci viene concesso è che la nostra dignità, in misura
minore o maggiore, si accresca con le grazie che ci vengono attraverso
la fede e i sacramenti, e che lavorano attraverso la natura umana. Dio
ha scelto di operare in questo modo. Possiamo non capire queste cose, ma
non possiamo rifiutarle senza rifiutare la vita. La
natura umana è così imperfetta che può resistere a ogni quantità di
Grazia e il più delle volte lo fa. La Chiesa fa bene a tenere la Grazia
con sé; tu invece chiedi che mostri un profitto. Quando la Chiesa mostra
un profitto, sei in presenza di un santo, non necessariamente un santo
canonizzato.
Flannery O'Connor - Lettere
grazie a:http://rapyna.splinder.com
|
Postato da: giacabi a 14:40 |
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chiesa, oconnor
Il mistero imperfetto della piccola Mary Ann
***
Le
storie di bambini devoti tendono a essere false. Probabilmente perché
vengono raccontate da adulti, che vedono virtù dove i loro soggetti
vedrebbero solo una pratica linea di condotta; o forse perché tali
storie sono scritte per edificare, e quel che è scritto per edificare
finisce in genere per far sorridere. Da parte mia, non ho mai avuto un
grande interesse per le storie di ragazzini che costruiscono altarini e
giocano a fare i preti o di bambine che si vestono da suore, o dei
devoti bambini protestanti che, in mancanza di questo equipaggiamento,
rischiarano gli angoli dove si trovano.
Nella
primavera del 1960 ricevetti una lettera da suor Evangelist, la
superiora della Casa per malati di cancro "Nostra Signora del Perpetuo
Soccorso" di Atlanta. "Questa è una strana richiesta", diceva, "ma
cercheremo di esporre la nostra storia il più brevemente possibile. Nel 1949
una bimba di tre anni, Mary Ann, venne accolta come paziente nella
nostra casa. Si rivelò una bambina straordinaria, e visse fino all'età
di dodici anni. Di questi nove anni molto merita di essere raccontato.
Pazienti, visitatori, suore, tutti furono in qualche modo influenzati da
questa bambina malata, anche se nessuno pensava a lei come a una
malata. È vero, era nata con un tumore che le copriva un lato del viso;
un occhio le era stato tolto, ma l'altro brillava, ammiccava, danzava
birichino, e dopo averla vista una volta non ci si rendeva più conto del
suo difetto fisico, ma si riconosceva soltanto il suo spirito
splendidamente coraggioso e si provava gioia per averla incontrata. Dunque la storia di Mary Ann deve essere scritta, ma chi potrebbe farlo?" Non io, mi dissi.
"Si
sono offerte suore e altre persone, ma noi non vogliamo un raccontino
pio. Vogliamo un racconto che abbia un reale impatto sulla vita dei
lettori, lo stesso impatto che Mary Ann ha avuto su ogni vita che ha
toccato... Non c'è bisogno che sia un resoconto fattuale. Potrebbe
essere un romanzo con molti altri personaggi, ma con Mary Ann come
protagonista".
Un romanzo, pensai. Orrore.
Suor
Evangelist concludeva invitandomi a scrivere la storia di Mary Ann e a
venir su per trascorrere qualche giorno nella loro Casa di Atlanta e
"assorbire l'atmosfera" in cui la piccola aveva vissuto per nove anni.
È
sempre difficile ficcare in testa a chi non è uno scrittore
professionista che aver talento non vuol dire essere capaci di scrivere
qualunque cosa. Non avevo intenzione di assorbire l'atmosfera di Mary
Ann. Non sarei stata capace di scrivere la sua storia.
Suor Evangelist aveva allegato una foto della bambina. Le avevo dato
un'occhiata appena aperta la lettera e l'avevo subito messa da parte. La
ripresi per darle un ultimo rapido sguardo prima di rispedirla alle
suore. Mostrava una ragazzina con l'abito e il velo della Prima
Comunione. Era seduta su una panca e teneva in mano qualcosa che non
riuscivo a riconoscere. Un lato del suo visetto era regolare e luminoso;
l'altro lato era protuberante, l'occhio bendato, il naso e la bocca
troppo vicini e leggermente fuori posto. La bambina guardava
l'osservatore con evidente gioia e compostezza. Dopo aver pensato di
aver visto quel che c'era da vedere, continuai a fissare la fotografia
ancora a lungo.Dopo un po' mi alzai, andai allo scaffale
e ne tirai fuori un volume dei racconti di Nathaniel Hawthorne. La
Congregazione Domenicana alla quale appartengono le suore che si erano
prese cura di Mary Ann era stata fondata dalla figlia di Hawthorne, Rose.
La foto della bambina mi aveva riportato alla mente uno dei racconti,
"La voglia". Lo trovai e lo aprii alla pagina dello stupendo dialogo in
cui Alymer parla per la prima volta alla moglie del suo difetto.
Un giorno Alymer sedeva fissando la moglie con un'espressione preoccupata che crebbe finché non aprì bocca.
"Giorgiana", esordì, "hai mai pensato che la macchia che hai sulla guancia potrebbe essere tolta?"
"No,
davvero", rispose lei sorridendo; ma percependo la serietà
dell'atteggiamento del marito, arrossì. "A dire il vero, è stata
definita così spesso un vezzo che sono stata così ingenua da immaginare
che lo fosse davvero".
"Ah,
potrebbe esserlo, forse, su un altro viso", replicò il marito, "ma mai
sul tuo. No, adorata Giorgiana, tu sei uscita così perfetta dalle mani
della Natura che questo difetto, così lieve che non sappiamo se
definirlo un difetto oppure un pregio, mi sconvolge perché segno
visibile dell'imperfezione terrena".
"Ti
sconvolge, marito mio!" gridò Giorgiana, profondamente offesa, per un
momento arrossendo di collera, e poi scoppiando in lacrime. "Perché
allora mi hai portato via dalla casa di mia madre? Non puoi amare ciò
che ti sconvolge!".
Il
difetto sulla guancia di Mary Ann non poteva essere preso per un vezzo.
Era qualcosa di palesemente grottesco. Lei apparteneva alla realtà, non
alla fantasia. Sentii di dover scrivere a Suor Evangelist che se
qualcosa andava scritto su quella bambina, doveva essere proprio "un
resoconto fattuale", e proseguii dicendo che se qualcuno doveva
raccontare i fatti, soltanto le suore stesse che l'avevano conosciuta e
assistita avrebbero potuto farlo. Ne ero sicura. Allo stesso tempo
volevo fosse chiaro che io non ero la persona adatta a scrivere quella
storia, e non c'è modo più sbrigativo per liberarsi di un lavoro che
farlo fare a chi l'ha prescritto a te. Aggiunsi che se avessero seguito
il mio consiglio sarei stata felice di aiutarle nella preparazione del
manoscritto, apportando le piccole correzioni che si rivelassero
necessarie. Non avevo dubbi che questa fosse prudentissima generosità, e
non mi aspettavo di risentirle più.
In Our Old Home Hawthorne racconta
di un signore schizzinoso che, visitando un ricovero di mendicità a
Liverpool, venne seguito da un bambino miserabile e catarroso, d'aspetto
così orripilante che era impossibile capire di che sesso fosse. Il
bambino lo seguì finché decise di piantarglisi davanti in un muto
appello per essere preso in braccio. Il signore schizzinoso, dopo una
pausa molto significativa, lo tirò su e se lo tenne stretto. Hawthorne
commenta:
E
tuttavia, non gli dovette essere facile, essendo persona gravata da una
misura di riservatezza maggiore di quanto non sia abituale in un
Inglese, restia al contatto fisico con gli esseri umani, afflitta da un
particolare disgusto per tutto ciò che è brutto, e, per di più abituata a
quel modo di osservare le cose da una posizione isolata che si dice (ma
spero erroneamente) abbia la conseguenza di mettere il ghiaccio nel
sangue.Osservai
perciò con molto interesse la lotta nel suo animo, e sono seriamente
dell'opinione che, quando sollevò quel bambino inguardabile e lo
accarezzò con la tenerezza di un padre, egli compì un atto eroico e
guadagnò molto di più di quanto non si sarebbe sognato ai fini della sua
salvezza finale.
Quel
che Hawthorne ha tralasciato di aggiungere è che era lui il signore che
fece questo. Dopo la sua morte, la moglie pubblicò i suoi taccuini in
cui si può leggere questo resoconto dell'episodio:
Poi
andammo nel reparto dove erano tenuti i bambini e, entrando, per prima
cosa vedemmo due o tre monelli d‘aspetto sgradevole e malaticcio, che
stavano giocando pigramente. Uno di loro (sui sei anni, ma non saprei se
maschio o femmina) manifestò immediatamente una singolare simpatia per
me. Era un cosino miserabile, pallido, mezzo intorpidito, con un umore
nell'occhio dovuto, ci disse il direttore, allo scorbuto. Non avevo mai
visto fino a quel momento un bambino che mi sentissi meno incline ad
accarezzare. Ma questo piccolo sgorbio divorato dalla malattia mi
gironzolava attorno, si aggrappava ai miei vestiti, mi stava alle
calcagna e alla fine sollevò le mani, mi sorrise e mettendosi
esattamente di fronte a me insistette perché lo prendessi in braccio!
Non che dicesse una parola; credo piuttosto che fosse ritardato, e non
sapesse parlare; tuttavia la sua faccia esprimeva tale perfetta fiducia
che sarebbe stato preso in braccio che fu impossibile non farlo. Era
come se Dio avesse promesso al bambino questo favore a mio vantaggio, e
io non potessi esimermi dall'adempiere al patto. Tenni per qualche
momento quel peso indesiderabile, e dopo averlo messo giù, il bambino
continuò a seguirmi, prendendo due delle mie dita e giocandoci, come se
fosse un figlio mio. Era un trovatello, e di tutto il genere umano aveva
scelto me come padre! Salimmo in un altro reparto, e quando tornammo
giù era ancora lì ad aspettarmi, con un sorriso malato sulla bocca
sfigurata, e negli occhi arrossati... Se avessi respinto le sue
attenzioni non me lo sarei mai perdonato.
Rose
Hawthorne, madre Alfonsa da religiosa, scrisse in seguito che il
racconto di quanto accaduto nell'istituto di Liverpool conteneva,
secondo lei, le più belle parole che suo padre avesse mai scritto.
L'attività della figlia di Hawthorne è forse nota a pochi in questo
Paese, mentre meriterebbe di essere conosciuta da tutti. Rose
scoprì molto di ciò che il padre andava cercando, e ne realizzò nella
pratica i desideri nascosti di tutta una vita. Il ghiaccio nel sangue
che egli temeva, e dal quale lo salvò proprio tale timore, fu da lei
trasformato nel calore da cui ebbe origine il suo agire. Se
lui osservò, con timore ma fino in fondo, se lui agì, riluttante ma con
fermezza, lei si lanciò a capofitto, sicura nel cammino che la
sincerità del padre aveva segnato per lei.
Verso
la fine del diciannovesimo secolo, prese coscienza della situazione dei
poveri di New York malati di cancro e ne rimase colpita. I malati
terminali bisognosi non venivano tenuti negli ospedali cittadini, ma
erano mandati a Blackwell's Island o lasciati a trovarsi un posto dove morire. In entrambi i casi si trattava di lasciarli a marcire da soli. Rose
Hawthorne Lathrop era una donna di straordinaria energia e forza
d'animo. Qualche anno prima era diventata cattolica, e da allora aveva
cercato un'occupazione che fosse il pratico adempimento della sua
conversione. Quasi senza un soldo, si trasferì in un alloggio nel
peggior quartiere di New York e cominciò a ospitarvi i malati di cancro
incurabili. Più tardi la raggiunse una giovane ritrattista, Alice Huber,
le cui doti di costanza e pazienza completavano la sua forza ed
esuberanza. Grazie agli sforzi congiunti, il loro estenuante lavoro fece
progressi. Poi ad aiutarle arrivarono altre donne, e divennero una
congregazione di suore dell'Ordine Domenicano - le Serve del Sollievo
del Cancro Incurabile. Oggi, in tutto il Paese, ci sono sette delle loro
case di accoglienza gratuita per i malati di cancro.
Madre Alfonsa ereditò dal padre una discreta dose del suo talento
letterario. Quel che racconta del nipote della sua prima paziente è una
lettura molto piacevole. Per ragioni inevitabili, il ragazzo era stato
ospitato per qualche tempo nell'alloggio insieme alla nonna malata e ai
pochi altri pazienti che vi risiedevano allora.
Il
ragazzo fu portato in visita da un funzionario dell'istituzione. La
prima occhiata alla sua faccia rosea, sana, intelligente, insinuò nella
mia anima un brivido ammonitore. Era un fiorente virgulto spuntato da
radici criminali. I suoi occhi avevano lo sguardo gagliardo del vigore
satanico... Cominciai a insegnargli il catechismo. Con la migliore
disposizione d'animo, per tutto il tempo che restavo seduta, sedeva di
fronte a me, dandomi le risposte corrette. "Preferisce studiare che
starsene con le mani in mano", diceva la nonna, "e queste cose gliele ho
insegnate io, tanto tempo fa". Durante le lezioni i suoi occhi
assumevano un'espressione di mistica vaghezza, e io ero certa che in
futuro avrebbe detto la verità e si sarebbe comportato mitemente e non
come un barbaro. Il cibo veniva nascosto negli angoli più segreti per il
nostro angelico, supernutrito beniamino, i suoi furti e le sue
monellerie venivano coperti e negati, e i bei vestiti di cui lo
rifornii, presi dai nostri magazzini, con un completo nuovo per la
domenica, scomparvero stranamente quando Willie andò a far visita alla
madre... In poche settimane Willie divenne famoso come il peggior
ragazzo che si fosse mai visto nel vicinato, sebbene il quartiere fosse
pieno zeppo di piccoli furfanti. I ricoverati e quelli che vivevano
nelle baracche vicine lo temevano, gli altri furfantelli gli facevano
cerchio attorno mentre lui passava da una bravata all'altra per quella
strada diabolica mai indenne da qualche sorta di violenza perpetrata da
giovani o da vecchi. Willie appiccava il fuoco al tetto delle baracche,
lanciava mattoni che solo gli angeli custodi scampavano dalle nostre
teste e in più di un'occasione finì per colpire diversi bimbetti, che
poi noi medicammo nella Infermeria. Profferiva esclamazioni che
suonavano terribili anche alle orecchie dei miscredenti... Lo
deliziavano le immagini dei santi che gli regalavo, rubava quelle che
non gli regalavo e vendeva il tutto. Lo pregavo affettuosamente, lui mi
ascoltava intenerito, prometteva di "ricordare" ed era molto dispiaciuto
dei suoi peccati quando da una presa di ferro era costretto ad
accettarne la rivelazione. Fece un'ottima impressione su un esperto
sacerdote che chiamammo per tentare di recuperare la sua anima, e fece
un falò particolarmente grande nella nostra legnaia quando lo
congedammo. A causa degli spaventi che riceveva e dei continui
rimproveri che gli dava, la povera nonna cominciò ad avere forti
emorragie. Prima che arrivasse lo chiamava "quell'angioletto". Ora
saggiamente dichiarava che in fondo era buono di cuore.
I
bambini cattivi sono più duri da sopportare di quelli buoni, ma è più
facile leggere di loro, e mi congratulavo con me stessa per essermi
sottratta alla possibilità di un libro su Mary Ann suggerendo che
fossero le suore a scriverlo. Benché da suor Evangelist avessi avuto
notizia che s'erano messe all'opera, ero sicura che un paio di tentativi
di catturare Mary Ann sulla pagina le avrebbe indotte a ripensare al
progetto. Era molto difficile che qualcuna di loro avesse il talento
letterario della loro fondatrice. Inoltre erano delle infermiere a tempo
pieno, tutte prese dalla loro strenua vocazione. Il manoscritto arrivò
il primo di agosto. Dopo essermi fatta coraggio, mi sedetti e iniziai a
leggerlo. Per quanto riguardava la forma non mancava nulla di ciò che fa
indignare lo scrittore professionista: quasi tutto era riferito, molto
poco drammatizzato; nei punti forti - quando ce n'era uno -
l'osservatore sembrava dissolversi, e quando sarebbe servita una parola o
espressione esatta, in genere se ne presentava una vaga. Tuttavia
appena finita la lettura, dimenticate la imperfezioni di forma, rimasi a
lungo a pensare al mistero di Mary Ann. Le suore erano riuscite a
trasmetterlo. Il racconto era incompiuto come il volto della bambina.
Entrambi sembravano lasciati, come la creazione al settimo giorno,
perché altri li finissero. Il lettore era chiamato a fare qualcosa del
racconto come Mary Ann aveva fatto qualcosa del suo viso.
Lei
e le suore che l'avevano educata, dal suo viso incompiuto avevano
modellato il materiale della sua morte. L'azione creativa della vita del
Cristiano consiste nel preparare la propria morte in Cristo. È
un'azione continua in cui i beni di questo mondo sono utilizzati al
massimo, sia quelli positivi sia quelli che Père Teilhard de Chardin
chiama "diminuzioni passive". La diminuzione di Mary Ann era estrema, ma
lei era preparata, grazie a una naturale intelligenza e a una
educazione appropriata, non solo a sopportarla, ma a costruire su di
essa. Era una ragazzina straordinariamente ricca.
La
morte è il tema di tanta letteratura moderna: Morte a Venezia, Morte di
un commesso viaggiatore, Morte nel pomeriggio, Morte di un uomo. Quella
di Mary Ann era la morte di una bambina. Più semplice di ognuna di
queste, ma infinitamente più rivelatrice. Quando varcò la porta della
Casa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso ad Atlanta, finì nelle mani
di donne che non si spaventavano facilmente e che amavano tanto la vita
da spendere la propria per rendere più sopportabile la condizione di
coloro a cui era stato diagnosticato un cancro incurabile. La sua
prognosi era di sei mesi, ma visse dodici anni, abbastanza perché le
suore le insegnassero ciò che solo poteva avere importanza per lei. La
sua fu un'educazione alla morte, ma non condotta in maniera invadente.
Le sue giornate furono piene di cani e di vestitini per la festa, di
suore e di sorelle, di coca-cola e panini, e dei suoi molti e diversi
amici - da Mr. Slack e Mr. Connolly a Lucius, il giardiniere; da
pazienti malati come lei a bambini portati alla Casa per farle visita e
ai quali, quando andavano via, veniva forse detto di pensare quanto
dovessero essere grati a Dio per aver dato loro una faccia perfetta. Ma
c'è da chiedersi se qualcuno di loro fosse altrettanto fortunato di Mary
Ann. Tutto questo le suore l'avevano buttato giù alla buona, dedicando
un bel po' di spazio a un resoconto dettagliato delle numerose buone
azioni di Mary Ann.
Ero tentata di tagliarne via parecchie. Loro mi avevano liberamente
dato il diritto di tagliare, ed io avrei potuto darmi da fare con
soddisfazione, non fosse stato per il fatto che non c'era niente con cui
colmare le lacune che avrei creato. Inoltre sentivo che, sebbene lo
stile risentisse dell'agiografia tradizionale e un po' anche di Parson
Weems, loro avevano raccontato quel che era avvenuto e non c'era modo di
girarci intorno. Questa era una bambina cresciuta da diciassette suore;
era quello che era, e la mano impaziente dello scrittore di narrativa
doveva frenarsi. Io sarei stata capace soltanto di trattare di un altro
Willie.
In
seguito, un pomeriggio in cui alcune delle suore erano venute da me per
discutere del manoscritto, suggerii a suor Evangelist che Mary Ann non
poteva essere altro che buona, considerando l'ambiente in cui era
cresciuta. Suor Evangelist si appoggiò sul bracciolo della sedia e mi
guardò. I suoi occhi erano blu e imprevedibili dietro gli occhiali che
li rendevano lievemente vacui. "Ne abbiamo avuti di demoni!", disse, e
con un gesto della mano respinse la mia ignoranza.
Dopo
un pomeriggio con loro, conclusi che ne avevano avute di tutti i colori
e non si erano tirate indietro di fronte a nulla, anche se una di loro
durante la visita mi chiese come mai scrivessi di personaggi così
grotteschi, perché mai proprio il grottesco fosse la mia vocazione.
Avevano avuto tempo di ispezionare alcuni dei miei scritti. Mi stavo
dibattendo per tirarmi fuori da quella trappola, quando un altro dei
nostri ospiti fornì l'unica risposta che poteva rendere la cosa chiara a
tutte loro: "Ma è anche la vostra vocazione", le disse. E questo aprì
anche per me una nuova prospettiva sul grottesco. La maggior parte di
noi ha imparato a essere spassionata di fronte al male, a guardarlo in
faccia e, il più delle volte, trovarvi il nostro ghignante riflesso, con
cui normalmente non ci confrontiamo; ma il bene è un'altra faccenda.
Pochi l'hanno fissato abbastanza a lungo da accettare il fatto che anche
il suo aspetto è grottesco, che in noi il bene è spesso in corso
d'opera. Le forme del male di solito ricevono espressione adeguata;
quelle del bene devono accontentarsi di un cliché o di una lisciatina
che ammorbidisce il loro aspetto reale. Quando guardiamo in faccia il
bene possiamo trovarci di fronte ad una faccia come quella di Mary Ann,
piena di promessa.
Il
vescovo Hyland pronunciò il sermone al funerale di Mary Ann. Disse che
il mondo avrebbe chiesto perché Mary Ann dovesse morire. Senza dubbio
pensava a coloro che l'avevano conosciuta e che sapevano quanto amasse
la vita, lei che una volta aveva stretto con tanta forza un hamburger da
precipitare all'indietro dalla sedia senza lasciarlo cadere; o che
pochi mesi prima di morire, con suor Loretta, aveva avuto un bambino
vero da accudire. Il vescovo stava parlando ai suoi familiari e amici.
Non pensava sicuramente a quel mondo, tanto più lontano ma tuttavia
ovunque, che avrebbe chiesto non perché Mary Ann fosse morta, ma perché
innanzi tutto fosse nata.
Una
delle tendenze della nostra epoca è di usare la sofferenza dei bambini
per screditare la bontà di Dio, e una volta scredidata la sua bontà,
aver chiuso il conto con lui. Gli Alymer che Hawthorne vedeva come una
minaccia si sono moltiplicati. Intenti a tagliar via l'umana
imperfezione stanno facendo progressi anche sulla materia prima del
bene. Ivan Karamazov non può credere finché cí sia un bambino che
soffre; l'eroe di Camus non può accettare la divinità di Cristo per via
del massacro degli innocenti. In questa pietà popolare si guadagna in
sensibilità e si perde in visione. Se sentivano meno, altre epoche
vedevano di più, anche se vedevano con l'occhio cieco, profetico,
insensibile dell'accettazione, vale a dire della fede. Ora in assenza di
questa fede siamo governati dalla tenerezza. Una tenerezza che da
tempo, staccata dalla persona di Cristo, è avvolta nella teoria. Quando
la tenerezza è separata dalla sorgente della tenerezza, la sua logica
conseguenza è il terrore. Finisce nei campi di lavoro forzato e nei fumi
delle camere a gas.
Queste
riflessioni sembrano molto lontane dalla semplicità e dall'innocenza di
Mary Ann; ma in realtà non è così. Hawthorne avrebbe potuto metterle in
una favola e mostrarci di cosa avere paura. Alla fine, non posso
pensare a Mary Ann senza pensare anche a quello schifiltoso e scettico
figlio del New England che temeva il ghiaccio nel suo sangue. C'è una
linea diretta tra l'episodio nel ricovero di Liverpool, l'opera della
figlia di Hawthorne e Mary Ann - che rappresenta non soltanto se stessa,
ma tutti gli altri esempi di umana imperfezione e umano grottesco per
prendersi cura dei quali le suore dell'ordine di Rose Hawthorne danno la
vita. Il loro lavoro è l'albero cresciuto dal piccolo gesto cristiano
di Hawthorne e Mary Ann ne è il fiore. In ragione della paura, della
ricerca, della carità che segnarono la sua vita e influenzarono quella
di sua figlia, Mary Ann ha ereditato, un secolo dopo, la ricchezza della
saggezza cattolica che le ha insegnato cosa fare della sua morte.
Hawthorne le ha dato ciò che non aveva per sé.
Questa
azione per cui la carità cresce invisibile in mezzo a noi, intrecciando
i vivi e i morti, è chiamata dalla Chiesa la Comunione dei Santi. È una
comunione creata sull'imperfezione umana, creata da ciò che facciamo
del nostro stato grottesco. Della sua condizione Mary Ann ha fatto ciò
di cui, come di tutte le cose buone, non si sarebbe saputo nulla se le
suore e molti altri non ne fossero stati colpiti e non avessero
desiderato di scriverne. Le suore che hanno composto il memoria mi hanno
detto che sentivano di non essere riuscite a renderla com'era
realmente, che lei era più vivace di com'erano riuscite a renderla, più
gaia, più piena di grazia, ma io penso che abbiano fatto abbastanza e
che l'abbiano fatto bene. Penso che per il lettore questa storia
illuminerà quelle linee che uniscono le vite più diverse e ci tengono
saldi in Cristo.
Flannery O’ Connor
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Postato da: giacabi a 21:40 |
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oconnor
LA CHIESA E LA GRAZIA
La Chiesa è fondata su Pietro che rinnegò Cristo tre volte e che non poté camminare sull'acqua in virtù di se stesso. Tu stai attendendo che il suo successore cammini sull'acqua. L'intera natura umana resiste con tenacia alla grazia perché la grazia provoca in noi un cambiamento e il cambiamento è doloroso. I preti vi resistono quanto gli altri. Ottenere che la Chiesa sia quel che vuoi tu
richiede la continua miracolistica interferenza di Dio negli affari
umani, mentre quel che ci viene concesso è che la nostra dignità, in
misura minore o maggiore, si accresca con le grazie che ci vengono
attraverso la fede e i sacramenti, e che lavorano attraverso la natura
umana. Dio ha scelto di operare in questo modo. Possiamo non capire queste cose, ma non possiamo rifiutarle senza rifiutare la vita. La natura umana è così imperfetta che può resistere a ogni quantità di Grazia e il più delle volte lo fa. La Chiesa fa bene a tenere la Grazia con sé tu invece chiedi che
mostri un profitto. Quando la Chiesa mostra un profitto, sei in presenza di un santo, non necessariamente un santo canonizzato.
Flannery O'Connor
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