L’INTELLIGENZA
DI FRONTE A DIO
di C. Tresmontant
Noi
siamo, noi viviamo, ma la nostra esistenza, la nostra vita, appare a
noi stessi come una sorpresa, come un fatto di cui non siamo capaci di
rendere ragione. Anche l'universo tutto intero esiste come un fatto di
cui né esso né noi sappiamo rendere ragione.
Noi
possiamo studiare la struttura dell'universo, della materia, della
vita, studiare il come del suo sviluppo e della sua evoluzione: ci manca
sempre la risposta alla domanda dell'essere: l'universo esiste, con
l'infinita ricchezza della sua struttura, della sua diversità, col suo
sviluppo e la sua evoluzione. Ma questa esistenza appare come un fatto
che richiede esso stesso spiegazione. Constatare l'esistenza
dell'universo non ci basta: nasce un problema attorno a questa
esistenza, struttura e sviluppo, in forma di domanda radicale sulla
sorgente di questa esistenza.
E'
questo uno pseudo-problema, uno di quei problemi che l'analisi
concettuale oppure l'analisi psicologica riducono a nulla e svuotano
come un brutto sogno? E' quanto dobbiamo vedere. Diciamo solamente, per
ora, che ciò che manca, il desiderio di immortalità e di vita felice che
ha portato l'uomo ad inventare le idee felici, il suo sentimento
profondo di insufficienza, si ricapitolano, si sommano nella
coscienza che l'esistenza e la vita sono per noi come un dono che ci è
fatto, e che la condizione umana ci è imposta dal di fuori: noi non
siamo gli autori della nostra esistenza, e tanto meno della nostra
condizione mortale, sofferente, effimera. Se noi
fossimo stati gli autori della condizione della nostra vita, ci saremmo
fatti felici, immortali, come gli dei della mitologia. Tutto ciò che
cosi crudelmente ci manca, ce lo saremmo concesso. Ma di fatto noi non
siamo i nostri creatori. Sono stati gli dei, dicono le tradizioni dei
padri, che ci hanno trattato cosi, gli dei gelosi che ci hanno fatto
fragili e mortali conservando per se stessi l'immortalità della vita
felice.
Qualunque significato abbiano queste antiche tradizioni, una cosa è certa; noi non ci siamo creati da noi. La
nostra esistenza, la nostra natura, il nostro corpo, la nostra anima
sono per noi una sorpresa e un oggetto inesauribile di stupore.
I
biologi fanno l'analisi della struttura del nostro organismo e non
siamo che alla prima scoperta di questo mistero, che è per noi il nostro
organismo. La nostra anima, la nostra psicologia, le nostre tendenze
sono per noi altrettanti misteri. Ci vorrà il lungo travaglio della
scienza per scoprire a noi stessi chi siamo.
La
nostra esistenza, il battito del nostro cuore, il chimismo della nostra
responsabilità e questa boccata d'aria che noi inghiottiamo e che si
trasforma in noi stessi, senza di noi, il nostro pensiero stesso che
sgorga come una fontana e la cui sorgente rimane sconosciuta, tutto
questo è per noi mistero. Noi siamo mistero a noi stessi. Noi siamo nelle nostre mani, come un bel giocattolo che è dato ad un bambino e che il bambino gira e rigira con stupore. Tutto è dato in noi: l'essere, la vita, il battito del nostro cuore e questo stesso pensiero che io penso e che mi viene da un luogo che io non conosco, da una profondità che non ho mai sondato.
lo
è un altro, diceva il poeta. Il filosofo, il matematico, tutti possono
dire: questo pensiero che mi viene e che è mio, mi viene, « sale al mio
cuore », come dicono gli ebrei, ma io non posso dire legittimamente che
io ne sono il creatore assoluto; il pensiero che mi viene è esso stesso
un dono, un dono al quale io coopero, un dono che è frutto di me stesso
concepito nel più profondo di me stesso, ma tuttavia un dono, come io
stesso, perché di questo io, io non sono il creatore. lo sono un dono a
me stesso. Tutto questo potere che è in me, questo movimento, questa
forza, questa potenza d'agire e di concepire, non sono io che le ho
messe in me. lo sono nato ed ho ricevuto. La vita, il pensiero, come il
movimento e l'agire sono per l'uomo ricevuti.
L'essere,
il vivere, il pensare, l'agire sono nostri, ma alla radice del nostro
essere e della nostra vita, alla radice interiore del nostro agire e del
nostro pensare c'è una energia di cui non siamo creatori.
Postato da: giacabi a 12:04 |
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senso religioso, tresmontant
IL SENTIMENTO RELIGIOSO
di A. Einstein
***
L'individuo è cosciente della vanità delle aspirazioni e dei desideri umani e, peraltro, riconosce l'impronta sublime e l'ordine mirabile che si rivelano nella natura e nel mondo del pensiero.
L'esistenza individuale gli dà l'impressione di una prigione e vuoI
vivere nella piena conoscenza dell'universo, della sua unità e del suo
senso profondo. Già nei primi gradi di evoluzìone della religione, per
esempìo in molti salmi dì David e in qualche Profeta, troviamo accenni a
una religione cosmica. (...) In tutti i tempì, i grandì spiriti
religìosi sono stati influenzati da questa religiosità cosmica che non
conosce dogmi né dèi concepiti a immagine dell'uomo. Non vi può essere
alcuna Chiesa che fondi su di essa la propria dottrina. E' perciò tra
gli eretici di tutti ì tempi che noi troviamo uomini penetrati di questa
superiore religiosità, e che assai spesso furono considerati dai loro
contemporanei come ateì, ma sovente anche come santi.
Come
può la religiosità cosmica comunicarsi da uomo a uomo se non dà origine
a una precisa idea di Dio né ad alcuna teologia? Compito fondamentale
dell'arte e della scienza è appunto, a mio avviso, quello di risvegliare
e mantenere vivo questo sentimento tra coloro che si dimostrano capaci
di accoglierlo.
Giungiamo
così a una visione dei rapporti tra scienza e religione molto diversa
da quella corrente. Da un punto di vista storico si è portati a ritenere
scienza e religione come antagonisti irriducibili, e ciò per una
ragione molto ovvia. L'uomo sinceramente convinto della portata
universale della legge di causalità non può arrendersi all'idea di un
Essere che interviene nelle vicende umane, e perciò la religione fondata
sul timore, così come la religione sociale e morale, non hanno presso
di lui alcun credito. Un Dio che ricompensa e punisce è per lui
inconcepibile, perché l'uomo agisce sotto la spinta di leggi interiori
ed esteriori e per conseguenza non potrebbe essere responsabile verso
Dio più di quanto un oggetto inanimato lo sia dei movimenti ai quali è
sottoposto. A torto si è rimproverato alla scienza di insidiare la
morale. La condotta etica dell'uomo dovrebbe fondarsi sulla compassione,
l'educazione e i vincoli sociali, senza dover ricorrere ad alcun
principio religioso. Gli uomini sarebbero da compiangere se dovessero
essere frenati dal timore della punizione o dalla speranza di una
ricompensa dopo la morte.
D'altra parte io sostengo che la religiosità cosmica costituisce il più forte e nobile impulso alla ricerca scientifica. .
Soltanto
chi può valutare gli sforzi e i sacrifici immani che sono necessari per
giungere a quelle scoperte scientifiche che schiudono nuove vie, è in
grado di rendersi conto della forza del sentimento che solo può
suscitare una tale opera, sciolta da ogni vincolo con l'immediata vita
pratica. Quale
profonda fede nella razionalità dell'universo e quale ardente desiderio
di conoscere, sia pure un debole riflesso dell'intelligenza che si
rivela in questo mondo, devono aver avuto Keplero e Newton per dedicare
anni di solitaria ricerca alla scoperta dei principi del meccanismo
celeste. Soltanto colui che ha dedicato la propria vita a
tale missione può formarsi un'immagine viva di ciò che ha ispirato
questi uomini e dato loro la forza di restare fedeli, nonostante
innumerevoli insuccessi, alla propria missione. E' la religiosità
cosmica che dà all'uomo una simile forza. Giustamente
un contemporaneo ha osservato che nella nostra epoca, votata in genere
al materialismo, i soli uomini profondamente religiosi sono gli
scienziati.
Voi
troverete difficilmente uno spirito profondamente devoto alla scienza
che non abbia un suo proprio sentimento religioso. Si tratta però di una
religiosità diversa da quella dell'uomo semplice. Per quest'ultimo Dio è
un essere di cui si cerca la bontà e si teme il castigo; la
sublimazione di un sentimento simile a quello che nutre il bambino verso
il padre; un essere col quale si stabilisce, per così dire, un rapporto
personale, per quanto rispettoso esso sia.
Al contrario, lo scienziato
è penetrato dal senso della causalità universale. Il futuro per lui è
altrettanto necessario e determinato del passato, e la morale non ha
nulla di divino, ma è un fatto puramente umano.
Il suo sentimento religioso assume la forma dello stupore estatico di
fronte all'armonia delle leggi della natura, rivelandogli
un'intelligenza talmente superiore che, confrontato ad essa, tutto il
pensiero e l'agire degli uomini appare come un riflesso del tutto insignificante.
Postato da: giacabi a 19:54 |
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einstein, senso religioso
IL SETTIMO SIGILLO
di I. Bergman
Cavaliere: Voglio parlarti più sinceramente che posso, ma il mio cuore è vuoto.
La Morte non risponde.
Cavaliere: Il vuoto è uno specchio rivolto verso il mio viso. In esso vedo me stesso, e mi sento pieno di timore e di disgusto.
La Morte non risponde.
Cavaliere:
Per la mia indifferenza verso i miei simili mi sono isolato dalla loro
compagnia. Ora vivo in un mondo di fantasmi. Sono prigioniero dei miei
sogni e delle mie fantasie.
Morte: Eppure non vuoi morire.
Cavaliere: Sì che voglio.
Morte: E che cosa aspetti?
Cavaliere: Voglio conoscere.
Morte: Vuoi delle garanzie?
Cavaliere.
Chiamale come vuoi. E' davvero così inconcepibile afferrare Dio coi
sensi? Perché deve nascondersi in una nebbia di mezze promesse e
d'invisibili miracoli?
La Morte non risponde.
Cavaliere:
Come possiamo aver fede in coloro che credono, se non possiamo aver
fede in noi stessi? Che cosa accadrà a quelli di noi che vogliono
credere ma non vi riescono? E che cosa ne sarà di coloro che non
vogliono né possono credere?
Il cavaliere tace in attesa d'una risposta, ma nessuno risponde. Vi è un completo silenzio.
Cavaliere: Perché
non posso uccidere Dio dentro di me? Perché egli continua a vivere in
questo modo doloroso e umiliante anche se io lo maledico e voglio
strapparmelo dal cuore? Perché, nonostante tutto, egli è un'illusoria
realtà ch'io non posso scuotere da me? Mi ascolti?
Morte: Ti ascolto.
Cavaliere: Io voglio la conoscenza, non la fede, non supposizioni, la conoscenza. Voglio che Dio
tenda la sua mano verso di me, si riveli e mi parli.
Morte: Ma egli rimane zitto.
Cavaliere: Lo chiamo nel buio, ma sembra come se non ci fosse nessuno.
Morte: Forse non c'è nessuno.
Cavaliere: Allora la vita è un atroce orrore. Nessuno può vivere in vista della morte, sapendo che tutto è nulla.
Morte: La maggior parte della gente non riflette mai né sulla morte né sulla futilità della vita.
Cavaliere.: Ma un giorno si troveranno di fronte all'ultimo momento della vita, e guarderanno
verso le tenebre.
Morte: Quando arriva «quel» giorno ..
Cavaliere: Nella nostra paura formiamo un'immagine, e questa immagine la chiamiamo Dio. Morte: Tu ti affanni '"
Cavaliere: La Morte
mi ha visitato, questa mattina. Stiamo facendo una partita a scacchi.
Questo rinvio mi permette di sistemare una questione urgente.
Morte: Di che questione si tratta?
Cavaliere:
La mia vita è stata una futile impresa, un vagabondaggio, un mucchio di
chiacchiere senza significato. Non ne ho rimpianto né rimorso, poiché
la vita dei più è assai simile a questo.
Postato da: giacabi a 18:37 |
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bergman, senso religioso
IL CUORE DELL’UOMO
***
"Due
cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e
crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di
esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste
due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se
fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio
orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima
comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed
estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile,
con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi
illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro
durata. La seconda comincia
dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un
mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può
penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi
visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là,
semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo
di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza
di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto
nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata
provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore,
come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui
la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e
anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire
dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante
questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e
ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito”
Immanuel Kant [Critica della ragion pratica, Conclusione, Laterza, Bari, 1974]
Postato da: giacabi a 20:19 |
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bellezza, kant, senso religioso
PRIMA DEL VIAGGIO
***
Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano
le guide Hacchette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi:
prima del viaggio si informa
qualche amico o parente: si controllano
valige e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dá un'occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i disastri aerei
in percentuale sono nulla:
prima
del viaggio si é tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto é O.K. e tutto
é per il meglio e inutile
…………………………
E ora che ne sará
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l'ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
é la sola speranza. Ma mi dicono
ch'è una stoltezza dirselo.
Eugenio Montale
Postato da: giacabi a 19:31 |
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montale, senso religioso
Il desiderio umano di Infinito
Il
sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i
piaceri a riempirci l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere.
(…) Il fatto è che quando l’anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito,
desidera veramente il piacere, e non un tal piacere; ora nel fatto
trovando un piacere particolare, e non astratto, e che comprenda tutta
l’estensione del piacere, ne segue che il suo desiderio non essendo
soddisfatto di gran lunga, il piacere, appena è piacere, perché non si
tratta di una piccola, ma di una somma inferiorità al desiderio e
oltracciò alla speranza. E perciò tutti
i piaceri debbono essere misti di dispiacere, come proviamo, perché
l’anima nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè
una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio
illimitato.
dallo Zibaldone, di Leopardi
Postato da: giacabi a 21:18 |
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leopardi, senso religioso
Il desiderio umano
di Felicità
***
Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo
e poi, più procedendo, desiderare uno augellino
e poi, più oltre, desiderare bel vestimento
e poi lo cavallo
e poi una donna
e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre.
Per
che vedere si può che l'uno desiderabile sta dinanzi all'altro alli
occhi della nostra anima per modo quasi piramidale, che 'l minimo li
cuopre prima tutti, ed è quasi punta dell'ultimo desiderabile, che è Dio, quasi base di tutti. Sì che, quanto dalla punta ver la base più si procede, maggiori apariscono li desiderabili
e questa è la ragione per che, acquistando, li desiderii umani si fanno più ampii, l'uno appresso dell'altro.
Dante Convivio
Postato da: giacabi a 16:05 |
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dante, senso religioso
L’istinto del Bello
***
È questo ammirevole, questo immortale istinto del Bello che ci fa considerare la terra e i suoi spettacoli come un’intuizione, come una corrispondenza del Cielo. La sete insaziabile di tutto quanto è al di là e che la vita svela, è la prova più viva della nostra immortalità. Allo stesso tempo è con la poesia e attraverso la poesia, con e attraverso la musica che l'anima intravede gli splendori situati dietro la tomba; e
quando una squisita poesia fa salire le lacrime agli occhi, queste
lacrime non sono la prova di un eccesso di godimento, quanto invece la
testimonianza di una malinconia irritata, di un postulato dei nervi, di
una natura esiliata nell'imperfetto e che vorrebbe impadronirsi
immediatamente, su questa terra stessa, di un paradiso rivelato»
C.Baudelaire. Opere A. Mondatori Editore
Postato da: giacabi a 16:01 |
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baudelaire, bellezza, senso religioso
Il senso religioso
***”
Appunto dell’11.6.1916
Che cosa so di Dio e del fine della vita?
So che questo mondo è.
Che io sto in esso come l’occhio nel suo campo visivo.
Che qualcosa in esso è problematico, ciò che noi chiamiamo il suo senso.
Che questo senso non risiede in esso, ma al di fuori di esso.
Che la vita è il mondo.
Che la mia volontà compenetra il mondo.
Che la mia volontà è buona o cattiva.
Che dunque bene e male sono in qualche modo congiunti al senso del mondo.
Il senso della vita, cioè il senso del mondo possiamo chiamarlo Dio.
E collegare a ciò la similitudine di Dio come padre.
La preghiera è il pensiero sul senso del mondo.
Non posso volgere gli avvenimenti del mondo secondo la mia volontà; piuttosto sono completamente impotente.
Solo
così posso rendermi indipendente dal mondo- e in un certo senso quindi
dominarlo- rinunciando a un influsso sugli avvenimenti. [Wittgenstein, op. cit.,p.167]
[Wittgenstein, Tractatus ]
Postato da: giacabi a 22:06 |
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wittgenstein, senso religioso
LA COSCIENZA ANGOSCIATA
«È una cosa eccellente, l'unica necessaria e chiarificante, questa che dice Lutero: "Tutta
la dottrina (della Redenzione, e in fondo tutto il cristianesimo) deve
essere messa in rapporto alla lotta della coscienza angosciata. Elimina la coscienza angosciata, e tu puoi anche chiudere le chiese e farne delle sale da ballo". La coscienza angosciata capisce il cristianesimo, come un animale affamato; se
gli metti davanti un pezzo di pane o una pietra, capisce che l'uno è da
mangiare e l'altra no; a questo modo la coscienza angosciata capisce il
cristianesimo».
Kierkegaard
Postato da: giacabi a 19:19 |
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senso religioso, kierkeergaard
L'ATTESA
«Sei tu colui che ha da venire o attenderemo un altro?» (Mt 11,3)
Un’affascinante riflessione di don Primo Mazzolari
La vita di ognuno è un'attesa.
Il presente non basta a nessuno: l'occhio e il cuore sono sempre
avanti, oltre la breve gioia, oltre il limite del nostro possesso, oltre
le mete raggiunte con aspra fatica.
In un primo momento pare che ci manchi solo qualcosa: più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno.
E lo attendiamo.
Ogni popolo, come ogni cuore, è in stato messianico. La nostra epoca è forse l'epoca più messianica della storia.
Tale attesa, calma o disperata, silenziosa o urlante, è il disegno inconfondibile della nostra povertà e della nostra grandezza.
L'uomo non è mai tanto povero come quando si accorge che gli manca tutto: non è mai tanto grande come quando, da questa stessa povertà, tende le braccia e il cuore verso Qualcuno.
Cristo è questo Qualcuno.
Il profeta lo chiama «il Veniente».
Poiché egli è colui che viene, io sono colui che attende.
E l'inquietudine di chi attende si placa nella carità di chi
viene: come l'incarnazione è l'inizio compiuto ed esemplare
dell'incontro, il suo fermento.
La nostra attesa è così assetata, che spesso rivolgiamo male
la nostra ricerca e ancor peggio collochiamo il nostro cuore.
Gli stessi eletti possono avere momenti di esitazione. Il
fatto di Giovanni il Battista, secondo l'odierno Vangelo, insegna.
Egli aveva visto Gesù sulle rive del Giordano: l'aveva
battezzato e indicato al popolo come «l'Agnello di Dio...». Poi, non
l'aveva più incontrato. E, adesso, era in prigione a motivo di
Erodiade...
Certe prove mettono in discussione tutte le nostre certezze.
Io l'ho provato qualche mese fa. Lo scoramento spirituale
può prendere anche i santi e i profeti; solo coloro, che si dimenticano
di ascoltare il cuore dell’uomo nel santo, ne fanno meraviglia.
La differenza tra noi e i santi è nella maniera con cui si fa fronte allo smarrimento.
Noi accogliamo il dubbio e ci lasciamo prendere dall'accidia...
Nella domanda che i discepoli di Giovanni portano a Cristo c'è già qualcosa di bruciante.
Senza fede non si vive.
Un naufrago si attacca a tutto: a una tavola, a una corda, a un filo d'erba.
L'uomo non può fare il naufrago per tutta la vita.
Purché sia uomo e non «una canna agitata dal vento»! I
problemi dello spirito sono guardati seriamente e vissuti passionalmente
soltanto dai veri uomini.
Le
«canne agitate dal vento» (che non hanno nulla a che vedere con «le
canne pensanti» di Pascal perché non pensano affatto) si credono libere
perché servono tutti i padroni e deridono il profeta che, per servire
uno solo, abbandona la propria testa sul piatto del festino
Tratto da Primo Mazzolari - ”La parola che salva”- Edb 1995
Postato da: giacabi a 21:11 |
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senso religioso, don mazzolari
DIARIO DELLA AMICIZIA
di E. van Broeckoven
***
Scoprire la realtà dell'amicizia della persona, non solamente in noi ma anche negli altri.
Profondità
dell'intimità dell'uomo: il suo corpo, il suo temperamento, il suo
carattere più profondamente ancora ...egli è «di Dio ».
L'amicizia è l'amore che cerca l'altro e può fare a meno di ciò che l'altro ha, perché essa non cerca ciò che egli ha, ma ciò che egli è: «di Dio ».
L'amicizia
cerca ciò che in lui vi è di più intimo, cioè ciò per cui egli è di
Dio, ciò per cui la sua intimità sta nell'intimità di Dio. In tal modo
l'amicizia cerca di penetrare nel mistero di Dio che è Amore; se gli
uomini comprendessero questo, cercherebbero Dio. (...)
Solamente
quando l'amore si esprime in modo concreto mediante un impegno totale
nella situazione di colui che si ama e nella misura in cui si cerca
l'intimità concreta dell'altro, allora l'amore è veramente autentico,
esistenziale, profondo, senza limiti, superando il tempo (eterno), e la
materia (spirituale).
L'amore che non si esprime, non si esteriorizza concretamente,
-non è autentico: resta chimerico, astratto;
-non è esistenziale: resta estraneo a ogni impegno personale.
-non è profondo: non tocca nemmeno la superficie.
-non è senza limiti: solamente l'amore che si è concretizzato può, incarnandosi, scoprire delle prospettive reali infinite.
-non è eterno: solamente un atto posto nel tempo della storia può influenzare l'insieme della realtà storica.
-non è spirituale: tutte le realtà spirituali di questo mondo devono essere calate in una realtà corporale concreta.
Nella misura in cui si impegna concretamente nell'azione effettiva di colui che si ama, l'amore è autentico..
Postato da: giacabi a 09:53 |
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amicizia, senso religioso
Per arrivare alla Verità
***
Per arrivare alla verità bisogna rinunciare alla propria aseità*, uscire da se stessi e questo ci è decisamente impossibile perché siamo carne. E allora come aggrapparsi alla colonna della verità? Sappiamo soltanto che tra le crepe del raziocinio umano si intravede l'azzurro dell'Eternità; è inattingibile, ma è così. Sappiamo
anche che «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e non il Dio dei
filosofi» e dei dotti viene a noi, viene al nostro letto, ci prende per
mano e ci guida in una maniera che non avremmo mai potuto prevedere. «Agli uomini questo è impossibile, ma tutto è possibile a Dio».
P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità,
*L'"aseità" è la natura o la caratteristica di ciò che ha in sé la causa della del proprio essere. Il termine si contrappone ad "abalietà", che indica la natura o la caratteristica di cio che è ab alio, ossia di un essere, la cui esistenza dipende da un altro o comunque da qualcosa che è al di fuori di sé.
Se l'aseità indica un'esistenza totalmente indipendente, diviene attributo dell'Assoluto, di Dio
P. Florenskij,
Postato da: giacabi a 21:50 |
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verità , senso religioso, florenskij
L’uomo:
attesa di essere redento
***
«Hai bisogno di redenzione, altrimenti ti perdi (…) Occorre che entri una luce, per così dire, attraverso il soffitto, il tetto sotto cui lavoro e sopra cui non voglio salire (…) Questo tendere all’assoluto, che fa sembrare troppo meschina qualsiasi felicità terrena… mi sembra stupendo, sublime, ma io fisso il mio sguardo nelle cose terrene: a meno che “Dio” non mi visiti».
L. Wittgenstein, Movimenti di pensiero. Diari 1930-32/1936-37
La speranza dell’Infinito
***
«La
speranza induce a esplorare il mondo alla ricerca di una piccola,
minuscola crepa che potrebbero aver lasciato rapporti e legami; una fessura sia pur sottilissima che
aiuti a ordinare e centrare il mondo indefinito perché l'inatteso
desiderato dovrà infine uscirne fuori come felicità definitiva. La speranza porta alla disperazione se la convinzione non fa trovare nessuna fessura, nessuna possibilità di essere felice.
Questa è la situazione di Rahel* a ventiquattr'anni; non ha ancora
vissuto nulla, in una vita che non ha ancora contenuto personale. "Sono sfortunata; non mi lascio convincere del contrario; il che ha un brutto effetto". La convinzione diventa definitiva; non si preoccupa del fatto che continui a sperare nella felicità per quasi tutta una vita; Rahel sa in segreto che in tutto quello che accadrà, la condizione della sua giovinezza aspetta solo di essere confermata». Hanna Arent
*intellettuale ebrea berlinese di epoca romantica
arendt, senso religioso
Nulla, Signore, io sono
***
Nulla, Signore, io sono
su questa terra. Nulla è questa terra
nell'universo. Ed io non so di dove
vengo, né dove andrò: tenebra fonda
prima che il tuo voler qui mi chiamasse,
cieca speranza nella tua clemente
misericordia, oltre il traguardo estremo.
Unica realtà questo mio nulla
che avanza in solitudine su angusto
ponte sospeso fra due sponde ignote:
e sotto ondeggia e rumoreggia il fiume
che non ha foce, e sopra ardon nei cieli
parole incomprensibili di stelle.
Che vuoi da me? Qual dono
chiedi alla mia miseria, e di qual luce
folgorerai l'anima mia,
nel giorno ch 'ella in Te rivivrà?
Ma tu giammai
ti scopri. Ed è nel tuo pensiero occulto
ch 'io più ti cerco e imploro: è in quest 'angoscia
di sapere da Te ciò che m'ascondi
ch 'io forza attingo per amarti -e il mio
tormento è grande come il tuo silenzio.
Ada Negri
Postato da: giacabi a 18:44 |
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negri, senso religioso
“Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita. Sono
nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e
guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti… Poi io muoio e la
carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccato.
Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo
mio, mi sentirei creatura finita”.
San Gregorio Nazianzeno
Postato da: giacabi a 15:52 |
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senso religioso, gregorio nanzianzeno
L'unica cosa che conta e' l'inquietudine divina delle anime inappagate
"Piu' si vive, piu' ci accosta a Pascal: l'unica
cosa che conta e' l'inquietudine divina delle anime inappagate.
Oh, gli spiriti limitati, le persone sedute in cattedra, in tribuna,
nelle loro poltrone, le persone soddisfatte, gli intellettuali, gli
u-n-i-v-e-r-s-i-t-a-r-i! Vedi, e' assolutamente necessario che diamo un senso alla nostra vita. Non quello che gli altri vedono e ammirano, ma il tour de force che consiste nell'imprimervi il sigillo dell'infinito."
[12-01-1928, E. Mounier a M. Mounier
Postato da: giacabi a 22:05 |
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malinconia, senso religioso, mounier
Teologia solubile –
I - Premessa
C'è il caffè, e c'è il caffè solubile. C'è la Teologia ,
e ci sono queste note che vi infliggerò saltuariamente nei prossimi
mesi in un tentativo vagamente masochistico di cercare di spiegare (in
modo spero semplice) alcune delle verità del Cristianesimo. Poichè noto
che spesso chi parla della Chiesa non ha la più pallida idea di cosa la Chiesa sia, partirò illustrando quella sequenza che la Chiesa
stessa, da sedici e passa secoli, usa per identificare se stessa: il
Simbolo Niceno-Costantinopolitano, noto con l'affettuoso soprannome di Credo.
Mi perdonino gli amanti del caffè espresso.
Teologia vuol dire: parlare di Dio (Theo=Dio, Logia=parlare di). Corbezzoli. Roba grossa, difficile. Però...
Come uomini, noi desideriamo cose:
una donna, un'auto, non essere tartassati, una giornata di sole. Ma se
guardiamo bene, nessuna di queste cose ci soddisfa appieno. Vorremmo una
donna che ci ama totalmente; una giustizia per il mondo; che tutto sia
bello. Insomma L'Amore, LA Giustizia , LA Bellezza , LA Verità. Che non sono però di questa terra, evidentemente: sono come un Mistero a cui tendiamo ma a cui non riusciamo ad arrivare.
Il nome che diamo a questo Mistero, cioè alla Bellezza, all Giustizia, alla Verità, all'Amore, è Dio. Perciò quando parliamo in un certo modo della donna, dell'auto, di tutto, parliamo di Dio. Teologia, amici. Noi facciamo continuamente teologia.
La
storia umana è un ininterrotto tentativo di conoscere questo Mistero
dell’esistenza. Ma Dio, questo Mistero, non si può conoscere, se non per
quello che Lui ci rivela. Dio si è rivelato facendosi Uomo, duemila anni fa. E il metodo con cui questo Mistero si rivela nel mondo oggi è la Chiesa.
Così
qui di seguito affronteremo parola per parola il fondamento che questa
stessa Chiesa ha dato per identificarsi, per evidenziare quello che la
distingue da tutti gli altri innumerevoli tentativi che l’Uomo ha fatto
nei secoli per conoscere questo Mistero. Insomma, il Credo.
Ma la Chiesa è una vita, e come tale per comprenderla veramente, al di là delle parole, occorre viverla, parteciparvi.
Occorre coinvolgersi con essa, così come per conoscere una persona
bisogna viverci assieme. Solo così si riuscirà a dare un volto alle
parole, si farà sì che non rimangano puro suono che non incide e
svanisce. Capirle. Ed amarle. (segue...)
Postato da: giacabi a 20:22 |
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chiesa, bellezza, senso religioso
Il 'Newton scorretto' che a scuola non si insegna
di Corradi Marina
Non avevamo mai
letto, e nemmeno sentito parlare ai tempi del liceo - un liceo milanese
di fine anni Settanta, rigorosamente di sinistra e democratico - del ventottesimo commento all'Ottica di Isaac Newton. Dunque l'uomo che elaborò la teoria della gravitazione universale, all'alba del Settecento, si chiedeva: «Che
cosa c'è in luoghi quasi completamente vuoti di materia, e donde deriva
che il sole e i pianeti gravitino gli uni verso gli altri, senza che vi
sia tra loro nessuna materia densa? Donde viene che la Natura
non fa nulla invano: e da dove trae origine tutto quell'ordine e tutta
quella bellezza che vediamo nel mondo? A qual fine esistono le comete, e
donde viene che i pianeti si muovano tutti in un unico e medesimo modo
in orbite concentriche; e che cosa impedisce alle stelle di precipitare
le une sulle altre? (.) È possibile che l'occhio sia stato costruito
senza conoscenza d'ottica, e l'orecchio di acustica? (.) Donde viene
l'istinto degli animali?».
Le domande di Newton paiono l'eco di quelle di Dio nel libro di Giobbe. Chiedeva Dio a Giobbe: «Dov'eri tu, quando io fondavo la Terra ?
Chi fissò le sue dimensioni, che tu sappia, e chi distese sovr'essa la
corda? Su cosa stanno fissi i suoi cardini, e chi gettò la sua pietra
angolare, tra il concerto gioioso delle stelle del mattino? (.) Chi
rinchiuse fra le porte il mare, quando erompendo dall'utero uscì? (.) Da
che vivi, hai tu comandato al mattino, hai tu additato all'aurora il
suo posto? (.) Sei giunto tu fino alle sorgenti del mare, o hai
passeggiato nelle profondità dell'abisso? Forse ti furono aperte le
porte della morte, e hai veduto le porte dell'ombra? (.) Qual è la via
per cui si spande la nebbia, si diffonde lo scirocco sulla terra? Chi
aprì all'inondazione i fiumi, e una strada ai nembi dell'uragano, per
far piovere su contrade ove non vive l'uomo, su deserti in cui non abita
alcuno, per abbeverare squallide solitudini e far germogliare la
steppa? Ha forse un padre la pioggia, o chi generò le stille di rugiada?
(.) Annodi tu i legami delle Pleiadi, o sciogli i vincoli di Orione?
(.) Procuri tu la preda alla leonessa o sazi tu la fame dei leoncelli,
quando s'accovacciano nelle tane o si appiattano in agguato nella
macchia?».
Giobbe e Newton, oltre due millenni lo stesso sbalordimento davanti alla creazione. Concludeva Newton: «Non
risulta con evidenza dai fenomeni che esiste un Essere incorporeo,
vivente, intelligente, onnipresente il quale vede intimamente le cose
stesse e le capisce interamente in virtù della loro presenza immediata a
se stesso?».
Ecco perché di Newton in quel liceo si parlò solo nei libri di fisica.
Newton era scorretto, era fuori linea in quella scuola pubblica,
comunista di stretta osservanza. Nessuno dunque ci fece leggere le sue
domande - le stesse che tutti si fanno, a sedici anni, come intuendo una
risposta come nascosta appena dietro l'evidenza del creato.
Positivismo, marxismo, esistenzialismo, quella, ci dissero, era l'unica
modernità, e l'unico pensiero scientifico possibile. Su Giobbe e Newton,
e la loro straordinaria simmetria, il silenzio.
Postato da: giacabi a 16:22 |
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newton, senso religioso
Postato da: giacabi a 20:52 |
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ragione, giussani, senso religioso
kierkeergaard “Discorso Edificante”1844
(traduzione italiana inedita)
Aver bisogno di Dio
è la suprema perfezione dell’essere umano
Aver bisogno di Dio è la suprema perfezione dell’essere umano.
Una circostanza, a tutti nota, sembra ricordare a ciascuno, almeno
incidentalmente, che sia così, che l’aver bisogno di Dio sia una
perfezione. Che cos’è un essere umano? È solo un ulteriore ornamento
nell’ordine della creazione; oppure non ha alcun potere, non è capace di
nulla da solo? E qual è allora questo potere, che cos’è la cosa suprema
che può volere? Come suona la risposta a questa domanda, quando nel
domandare l’audacia della giovinezza si unisce alla forza della
virilità, quando questa magnifica unione è pronta a sacrificare tutto
per compiere qualcosa di grande, quando l’ardente afferma infervorato:
«Anche se nessuno al mondo c’è riuscito prima, io ci riuscirò; seppure
milioni tralignarono dimenticando il compito, io combatterò - ma qual è
la cosa suprema?». Ebbene, non vogliamo defraudare la cosa suprema del
suo prezzo, non nascondiamo che è stata raggiunta di rado nel mondo,
perché la cosa suprema è: che un essere umano si convinca fino in fondo di non essere capace di nulla da solo, assolutamente di nulla.
Certo, quando l’essere umano si volge all’esterno, sembra
essere capace delle cose più sorprendenti, che gli darebbero ben altra
soddisfazione, che sarebbero circondate da ammirazione e giubilo.
Invece, quella rara elevazione non serve all’ammirazione, non tenta
l’essere umano carnale, al contrario essa condanna l’ammiratore come
persona stolta che non conosce ciò che ammira, invitandola a tornarsene a
casa; oppure come anima ingannatrice, invitandola a tornare in se
stessa. Osservato dall’esterno, l’essere umano è la più magnifica delle creature, ma la sua gloria è però solo esterna e per l’esterno: con
la sua freccia, l’occhio non mira forse all’esterno, ogni volta che la
passione e il piacere tendono l’arco, la sua mano non è volta
all’esterno, il suo braccio non è proteso, la sua ingegnosità non è
conquistatrice?
Ma se non
vuol essere un attrezzo di guerra al servizio di inesplicati istinti,
sì, al servizio del mondo, perché il mondo stesso, oggetto della sua
brama, desta l’istinto; se non vuol essere come uno strumento a corda
nelle mani di oscuri stati d’animo o, meglio, nelle mani del mondo,
perché il movimento della sua anima dipende da come il mondo tocca le
sue corde; se non vuole essere come uno specchio con cui fissa il mondo
o, meglio, in cui il mondo si specchia; se non vuole tutto questo, se,
prima che l’occhio miri a qualcosa per conquistarlo, vuole acchiappare
l’occhio, così che gli appartenga, e non lui all’occhio; se afferra la
mano, prima che questa afferri qualcosa all’esterno, così che gli
appartenga, e non lui alla mano, se vuole tutto ciò così seriamente da
non temere di cavarsi l’occhio, di tagliarsi la mano, di chiudere le
finestre dei sensi, se fosse necessario - sì, allora tutto è cambiato,
il potere e la gloria gli sono tolti. Non combatte con il mondo, ma con se stesso.
Guardalo adesso, la sua figura possente è cinta
da un’altra figura, e si tengono abbracciati così strettamente,
parimenti agili e forti si serrano l’un l’altro, così che la lotta non
può neppure iniziare, perché l’altra figura nello stesso istante lo
sopraffarebbe; ma l’altra figura è lui stesso. Così non può fare
assolutamente nulla; perfino la persona più debole, che non fosse
provata da questa contesa, sarebbe capace di molto di più. E questa
contesa non è solo spossante, ma anche tremenda (se però non è lui
stesso che, seguendo una propria trovata, si è avventurato in essa, ché,
se è così, non è messo alla prova nella contesa di cui parliamo), quando
la vita, grazie alla guida di Dio, getta un essere umano in essa per
rafforzarlo in questa nullificazione che non conosce raggiro, che non
permette fuga, che non produce autoinganno (quasi che in altre
circostanze sarebbe capace di fare di più); infatti, quando la persona
lotta con se stessa le circostanze non influiscono sull’esito. Questa è
la nullificazione di un essere umano, e la nullificazione è la verità di
esso. Egli
non deve riuscire a fuggire da questa conoscenza; ché egli stesso è il
proprio testimone, il proprio accusatore, il proprio giudice, egli è
l’unico capace di confortare se stesso, giacché comprende l’indigenza
della nullificazione, è l’unico incapace di conforto, poiché è egli
stesso lo strumento della nullificazione. Cogliere
questa nullificazione è la cosa suprema di cui è capace un essere
umano, vegliare su questa comprensione - perché è un bene affidatogli,
ossia confidatogli da Dio dei cieli come il segreto della verità - è la
cosa suprema e più difficile di cui un essere umano è capace; ché l’inganno e la falsificazione sono presto fatti, così che egli stesso divenga qualcosa, a spese della verità. Questa
è la cosa suprema e più difficile che un essere umano può, ma che
dico?, neanche questo può un essere umano, può al massimo voler
comprendere che questo incendio secco non fa che consumare, finché il
fuoco dell’amore di Dio accende la fiamma in ciò che l’incendio secco
non poteva consumare.
Pertanto l’essere umano è una creatura indifesa; ogni altra
comprensione, con cui esso comprenda di poter aiutare se stesso, è solo
una mancata comprensione, seppure agli occhi del mondo sia ritenuta
coraggio: il coraggio di restare in una mancata comprensione, cioè, il
coraggio di non comprendere la verità.
Postato da: giacabi a 15:14 |
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senso religioso, kierkeergaard
IL SENSO RELIGIOSO
di HENRI MATISSE
Tratto da: http://www.santamelania.it/arte_fede/matisse/matisse.htm#titre4
-
Questo mattino egli ha insistito sull'unità di sentimento in tutta la sua opera, sul sentimento religioso nel quale ha sempre dipinto. “Anche le odalische”, ha detto. Appunto del 29 dicembre 1949. Da Marie-Alain Couturier, Se garder libre , Paris, Editions du Cerf, 1962, ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.270
CHAPELLE DU ROSAIRE
di Henri Matisse a Vance (Francia)
Questa cappella è per me il compimento di tutta una vita di lavoro e la fioritura di uno sforzo enorme, sincero e difficile. Non
è un lavoro che io ho scelto, ma un lavoro per il quale sono stato
scelto dal destino sul finire della mia strada, che io continuo secondo
le mie ricerche, visto che la cappella mi dà l'opportunità di fissarle
riunendole. Io ho il presentimento che questo lavoro
non sarà inutile e che potrà restare l'espressione di un'epoca
dell'arte, forse superata - ma io non lo credo. E' impossibile saperlo
oggi, prima che i nuovi movimenti abbiano trovato la loro realizzazione.
Gli errori che questa espressione del sentimento umano
può contenere cadranno da soli, ma resterà una parte viva che potrà
unire il passato con l'avvenire della tradizione plastica.
Mi auguro che questa parte, che io chiamo “le mie
rivelazioni”, sia espressa con forza Se avessi messo tutti questi studi
sotto forma di Via crucis, voi avreste quattordici piccole tavole, l'una
a fianco dell'altra, senza continuità, mentre la Via Crucis
è un dramma dove tutto è concatenato. Le stazioni sono consequenziali
le une alle altre, voi non potete separarle. Tutto è centrato sulla
croce: “Gesù muore in croce”. E' per questo che io l'ho fatta più grande
delle altre. E' il culmine principale.
Bisogna muoversi per seguire la Via crucis; così io l'ho fatta come un cammino che sale a serpentina. [38]
H.Matisse, Via crucis
sufficiente da essere fertile e da tornare alla sua sorgente
Il p.Rayssiguier avrebbe voluto la Vergine vestita con abiti moderni, seduta con i due gomiti sulle ginocchia, il mento tra le mani. Matisse replicò: La Vergine
sarà vestita come si ha l'abitudine di vederla ed avrà un bambino fra
le braccia, perché senza il bambino ella non avrebbe ragione di
essere... Per la Vergine voleva la purezza di una bambina. [39]
H.Matisse, La Vergine con il Bambino
Io considero (la Cappella di Vence), malgrado tutte le sue imperfezioni, come il mio capolavoro. Che
l'avvenire voglia ben giustificare questo giudizio per un interesse
crescente, al di là anche del significato superiore di questo monumento
Bisognava decorare l'altare in modo leggero… Questa leggerezza da il sentimento di liberazione, di affrancamento, così bene che la mia cappella non è: “Fratelli bisogna morire”. E', al contrario: “Fratelli bisogna vivere!”
Una
Chiesa piena di gaiezza – uno spazio che renda la gente felice... Che
tutti coloro che visitano questo luogo lo lascino gioiosi e riposati
Io voglio che quelli che entreranno nella mia cappella si sentano purificati e scaricati dai loro pesi
Noi avremo una cappella nella quale tutti potranno sperare. Quale che sia il carico dei peccati, li si potrà lasciare alla porta, come i maomettani lasciano la polvere delle strade sulla suola dei loro sandali alla porta delle moschee.
Uscendo
da Notre-Dame mi sono detto: “Eh bene! Di fronte a tutto questo cos'è
la mia cappella?”… Allora mi sono detto: “E' un fiore. Non è che un
fiore, ma è un fiore”.
Io
medito e lascio penetrare in me ciò a cui do inizio. Io non so se ho o
no la fede. Potrebbe darsi che io sia piuttosto buddista. L'essenziale è
di lavorare in uno stato di spirito, prossimo a quello della preghiera
Ho detto, a Picasso: Sì,
io faccio la mia preghiera, e voi anche, e voi lo sapete molto bene:
quando tutto va male, noi ci gettiamo nella preghiera, per ritrovare il
clima della nostra prima comunione. E voi lo fate. Voi anche. Non mi ha
detto di no.
Quei disegni là, bisogna che vi escano dal cuore
In fondo, Picasso, non dobbiamo fare i maligni. Voi siete come me: ciò che noi tutti cerchiamo di ritrovare nell'arte, è il clima della nostra prima comunione.
Come è curioso. Si è condotti, non si conduce mica. Io non sono che un servitore [63].
Il mio lavoro consiste nell'imbevermi delle cose. E dopo, tutto questo rifluisce fuori [64].
Io sono fatto di tutto ciò che ho visto [65].
Questa
opera mi ha domandato quattro anni di un lavoro esclusivo ed assiduo,
ed essa è il risultato di tutta la mia vita attiva... Lo considero,
malgrado tutte le sue imperfezioni, come il mio capolavoro… uno sforzo
che è il risultato di tutta una vita consacrata alla ricerca della
verità
Una domenica, Matisse mi telefonò per domandarmi se poteva venire alla cappella alle 17.00:
-Sì, mio signore, ma ci sarà la preghiera corale, la benedizione con il Santissimo, Sacramento, seguita dall'ufficio.
-Io vi disturbo?
-Per niente, l'ho detto per voi.
-Bene, allora io vengo.
Venne. Volle assistere alla preghiera corale, alla
benedizione con il Santissimo e all'ufficio recitato dalle suore. Ogni
tanto gli domandavo se preferiva uscire, ma mi faceva segno di no. Quel
giorno se ne andò felice; aveva visto la cappella “in servizio”, la sua
opera associata alla vita tal quale doveva essere da allora in avanti.
Postato da: giacabi a 17:03 |
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matisse, senso religioso
DISINTERESSE PER
IL SENSO DELLA VITA
Forse non è
mai stato più forte il tentativo dell’uomo di proporsi come un fine a se
stesso. E il nodo del problema è tutto qui. Milioni di esseri umani aspirano all’amore, ma la parola non viene pronunciata che nelle più sconce sedi della pubblicistica.
Giornali e
libri, dépliants e almanacchi, visioni accampate su tela o su vetro,
suoni messi insieme per darci un’impressione fisica motrice, dinamica,
notizie e nozioni gettate su noi a piene mani costituiscono un
vociferante abracadabra che dovrebbe dire all’uomo solo: Ci siamo anche
noi, non sei solo.
Oggi gli individui – un’infinità – chiedono di rappresentarsi, di esistere, di esplodere individualmente, chiedono di vivere la propria vita sul piano che ad essi è possibile: quello delle emozioni e delle sensazioni.
E su questo piano non sono possibili deleghe privilegiate: l’uomo
qualunque ha gli stessi diritti dell’uomo di eccezione e può persino
illudersi che la sua trivellazione della couche vitale sia più autentica
di quella dell’uomo di studio. Ma all’uomo-massa corrisponde il male di
massa, al quale nessuno di noi sfugge.
E il lato più pericoloso della vita attuale è il dissolversi del sentimento della responsabilità individuale. La solitudine di massa ha reso vana ogni differenza tra il dentro e il fuori.
Poiché il nostro tempo ha sostituito l’eccitazione alla contemplazione e il numero non è più il segreto delle leggi divine, bensì l’oggetto della statistica, non vedo perché non si debbano trarre le debite conclusioni dalle mutate condizioni di vita dell’uomo che fu detto sapiens e faber (e poi ludens ed ora è destruens) a vantaggio dell’immenso tutti-nessuno che stiamo avvicinandoci a formare.
Quel
che avviene nel mondo cosiddetto civile a partire dalla fine
dell’Illuminismo (ma ora in sempre più rapida escalation) è totale
disinteresse per il senso della vita. Ciò non contrasta con il darsi da fare, anzi. Si riempie il vuoto con l’inutile. L’uomo non ha più molto interesse per l’umanità. L’uomo si annoia spaventosamente.”
Eugenio Montale, Nel nostro tempo.
.
.
Postato da: giacabi a 09:07 |
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montale, senso religioso
Oggi mi sono ricordato di questa bella poesia di Clemente Rebora :
Sacchi a terra per gli occhi
Qualunque cosa tu dica o faccia
c’è un grido dentro:
non è per questo, non è per questo!
E così tutto rimanda
a una segreta domanda:
l’atto è un pretesto…….
Nell’imminenza di Dio
la vita fa man bassa
sulle riserve caduche,
mentre ciascuno si afferra
a un suo bene che gli grida: addio.
Postato da: giacabi a 07:39 |
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rebora, senso religioso
Oggi vi propongo una bella poesia di Clemente Rebora
La Speranza
“Speravo in me stesso ma il nulla mi afferra.
Speravo nel tempo, ma passa trapassa;
in cosa creata: non basta, e ci lascia.
Speravo nel ben che verrà, sulla terra:
ma tutto finisce, travolto in ambascia.
Ho peccato, ho sofferto, cercato,
ascoltato la Voce d'Amore che chiama e non langue:
ed ecco la certa speranza: La Croce.
Ho trovato Chi prima mi ha amato,
e mi ama e mi lava , nel Sangue che è fuoco,
Gesù d’Ogni bene, L’Amore infinito
L’Amore che dona l’Amore,
l'Amore che vive ben dentro nel cuore”
Amore di Cristo che già qui nel mondo
Comincia ed insegna il viver più buono:
Felice amore di Spirito Santo
Che trasfigura in grazia e morte e pianto,
D’anima e corpo la miseria buia:
Eterna Trinità, dove alfin belli
- Finendo il mondo – saran corpi e cuori
In seno al Padre con la dolce Madre
Per sempre in Cristo amandosi fratelli,
Alleluia.
Da Poesie religiose, 1936 - 1947
Postato da: giacabi a 22:01 |
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L’INTELLIGENZA
DI FRONTE A DIO
di C. Tresmontant
Noi
siamo, noi viviamo, ma la nostra esistenza, la nostra vita, appare a
noi stessi come una sorpresa, come un fatto di cui non siamo capaci di
rendere ragione. Anche l'universo tutto intero esiste come un fatto di
cui né esso né noi sappiamo rendere ragione.
Noi
possiamo studiare la struttura dell'universo, della materia, della
vita, studiare il come del suo sviluppo e della sua evoluzione: ci manca
sempre la risposta alla domanda dell'essere: l'universo esiste, con
l'infinita ricchezza della sua struttura, della sua diversità, col suo
sviluppo e la sua evoluzione. Ma questa esistenza appare come un fatto
che richiede esso stesso spiegazione. Constatare l'esistenza
dell'universo non ci basta: nasce un problema attorno a questa
esistenza, struttura e sviluppo, in forma di domanda radicale sulla
sorgente di questa esistenza.
E'
questo uno pseudo-problema, uno di quei problemi che l'analisi
concettuale oppure l'analisi psicologica riducono a nulla e svuotano
come un brutto sogno? E' quanto dobbiamo vedere. Diciamo solamente, per
ora, che ciò che manca, il desiderio di immortalità e di vita felice che
ha portato l'uomo ad inventare le idee felici, il suo sentimento
profondo di insufficienza, si ricapitolano, si sommano nella
coscienza che l'esistenza e la vita sono per noi come un dono che ci è
fatto, e che la condizione umana ci è imposta dal di fuori: noi non
siamo gli autori della nostra esistenza, e tanto meno della nostra
condizione mortale, sofferente, effimera. Se noi
fossimo stati gli autori della condizione della nostra vita, ci saremmo
fatti felici, immortali, come gli dei della mitologia. Tutto ciò che
cosi crudelmente ci manca, ce lo saremmo concesso. Ma di fatto noi non
siamo i nostri creatori. Sono stati gli dei, dicono le tradizioni dei
padri, che ci hanno trattato cosi, gli dei gelosi che ci hanno fatto
fragili e mortali conservando per se stessi l'immortalità della vita
felice.
Qualunque significato abbiano queste antiche tradizioni, una cosa è certa; noi non ci siamo creati da noi. La
nostra esistenza, la nostra natura, il nostro corpo, la nostra anima
sono per noi una sorpresa e un oggetto inesauribile di stupore.
I
biologi fanno l'analisi della struttura del nostro organismo e non
siamo che alla prima scoperta di questo mistero, che è per noi il nostro
organismo. La nostra anima, la nostra psicologia, le nostre tendenze
sono per noi altrettanti misteri. Ci vorrà il lungo travaglio della
scienza per scoprire a noi stessi chi siamo.
La
nostra esistenza, il battito del nostro cuore, il chimismo della nostra
responsabilità e questa boccata d'aria che noi inghiottiamo e che si
trasforma in noi stessi, senza di noi, il nostro pensiero stesso che
sgorga come una fontana e la cui sorgente rimane sconosciuta, tutto
questo è per noi mistero. Noi siamo mistero a noi stessi. Noi siamo nelle nostre mani, come un bel giocattolo che è dato ad un bambino e che il bambino gira e rigira con stupore. Tutto è dato in noi: l'essere, la vita, il battito del nostro cuore e questo stesso pensiero che io penso e che mi viene da un luogo che io non conosco, da una profondità che non ho mai sondato.
lo
è un altro, diceva il poeta. Il filosofo, il matematico, tutti possono
dire: questo pensiero che mi viene e che è mio, mi viene, « sale al mio
cuore », come dicono gli ebrei, ma io non posso dire legittimamente che
io ne sono il creatore assoluto; il pensiero che mi viene è esso stesso
un dono, un dono al quale io coopero, un dono che è frutto di me stesso
concepito nel più profondo di me stesso, ma tuttavia un dono, come io
stesso, perché di questo io, io non sono il creatore. lo sono un dono a
me stesso. Tutto questo potere che è in me, questo movimento, questa
forza, questa potenza d'agire e di concepire, non sono io che le ho
messe in me. lo sono nato ed ho ricevuto. La vita, il pensiero, come il
movimento e l'agire sono per l'uomo ricevuti.
L'essere,
il vivere, il pensare, l'agire sono nostri, ma alla radice del nostro
essere e della nostra vita, alla radice interiore del nostro agire e del
nostro pensare c'è una energia di cui non siamo creatori.
senso religioso, tresmontant
IL SENTIMENTO RELIGIOSO
di A. Einstein
***
L'individuo è cosciente della vanità delle aspirazioni e dei desideri umani e, peraltro, riconosce l'impronta sublime e l'ordine mirabile che si rivelano nella natura e nel mondo del pensiero.
L'esistenza individuale gli dà l'impressione di una prigione e vuoI
vivere nella piena conoscenza dell'universo, della sua unità e del suo
senso profondo. Già nei primi gradi di evoluzìone della religione, per
esempìo in molti salmi dì David e in qualche Profeta, troviamo accenni a
una religione cosmica. (...) In tutti i tempì, i grandì spiriti
religìosi sono stati influenzati da questa religiosità cosmica che non
conosce dogmi né dèi concepiti a immagine dell'uomo. Non vi può essere
alcuna Chiesa che fondi su di essa la propria dottrina. E' perciò tra
gli eretici di tutti ì tempi che noi troviamo uomini penetrati di questa
superiore religiosità, e che assai spesso furono considerati dai loro
contemporanei come ateì, ma sovente anche come santi.
Come
può la religiosità cosmica comunicarsi da uomo a uomo se non dà origine
a una precisa idea di Dio né ad alcuna teologia? Compito fondamentale
dell'arte e della scienza è appunto, a mio avviso, quello di risvegliare
e mantenere vivo questo sentimento tra coloro che si dimostrano capaci
di accoglierlo.
Giungiamo
così a una visione dei rapporti tra scienza e religione molto diversa
da quella corrente. Da un punto di vista storico si è portati a ritenere
scienza e religione come antagonisti irriducibili, e ciò per una
ragione molto ovvia. L'uomo sinceramente convinto della portata
universale della legge di causalità non può arrendersi all'idea di un
Essere che interviene nelle vicende umane, e perciò la religione fondata
sul timore, così come la religione sociale e morale, non hanno presso
di lui alcun credito. Un Dio che ricompensa e punisce è per lui
inconcepibile, perché l'uomo agisce sotto la spinta di leggi interiori
ed esteriori e per conseguenza non potrebbe essere responsabile verso
Dio più di quanto un oggetto inanimato lo sia dei movimenti ai quali è
sottoposto. A torto si è rimproverato alla scienza di insidiare la
morale. La condotta etica dell'uomo dovrebbe fondarsi sulla compassione,
l'educazione e i vincoli sociali, senza dover ricorrere ad alcun
principio religioso. Gli uomini sarebbero da compiangere se dovessero
essere frenati dal timore della punizione o dalla speranza di una
ricompensa dopo la morte.
D'altra parte io sostengo che la religiosità cosmica costituisce il più forte e nobile impulso alla ricerca scientifica. .
Soltanto
chi può valutare gli sforzi e i sacrifici immani che sono necessari per
giungere a quelle scoperte scientifiche che schiudono nuove vie, è in
grado di rendersi conto della forza del sentimento che solo può
suscitare una tale opera, sciolta da ogni vincolo con l'immediata vita
pratica. Quale
profonda fede nella razionalità dell'universo e quale ardente desiderio
di conoscere, sia pure un debole riflesso dell'intelligenza che si
rivela in questo mondo, devono aver avuto Keplero e Newton per dedicare
anni di solitaria ricerca alla scoperta dei principi del meccanismo
celeste. Soltanto colui che ha dedicato la propria vita a
tale missione può formarsi un'immagine viva di ciò che ha ispirato
questi uomini e dato loro la forza di restare fedeli, nonostante
innumerevoli insuccessi, alla propria missione. E' la religiosità
cosmica che dà all'uomo una simile forza. Giustamente
un contemporaneo ha osservato che nella nostra epoca, votata in genere
al materialismo, i soli uomini profondamente religiosi sono gli
scienziati.
Voi
troverete difficilmente uno spirito profondamente devoto alla scienza
che non abbia un suo proprio sentimento religioso. Si tratta però di una
religiosità diversa da quella dell'uomo semplice. Per quest'ultimo Dio è
un essere di cui si cerca la bontà e si teme il castigo; la
sublimazione di un sentimento simile a quello che nutre il bambino verso
il padre; un essere col quale si stabilisce, per così dire, un rapporto
personale, per quanto rispettoso esso sia.
Al contrario, lo scienziato
è penetrato dal senso della causalità universale. Il futuro per lui è
altrettanto necessario e determinato del passato, e la morale non ha
nulla di divino, ma è un fatto puramente umano.
Il suo sentimento religioso assume la forma dello stupore estatico di
fronte all'armonia delle leggi della natura, rivelandogli
un'intelligenza talmente superiore che, confrontato ad essa, tutto il
pensiero e l'agire degli uomini appare come un riflesso del tutto insignificante.
einstein, senso religioso
IL SETTIMO SIGILLO
di I. Bergman
Cavaliere: Voglio parlarti più sinceramente che posso, ma il mio cuore è vuoto.
Cavaliere: Il vuoto è uno specchio rivolto verso il mio viso. In esso vedo me stesso, e mi sento pieno di timore e di disgusto.
Cavaliere:
Per la mia indifferenza verso i miei simili mi sono isolato dalla loro
compagnia. Ora vivo in un mondo di fantasmi. Sono prigioniero dei miei
sogni e delle mie fantasie.
Morte: Eppure non vuoi morire.
Cavaliere: Sì che voglio.
Morte: E che cosa aspetti?
Cavaliere: Voglio conoscere.
Morte: Vuoi delle garanzie?
Cavaliere.
Chiamale come vuoi. E' davvero così inconcepibile afferrare Dio coi
sensi? Perché deve nascondersi in una nebbia di mezze promesse e
d'invisibili miracoli?
Cavaliere:
Come possiamo aver fede in coloro che credono, se non possiamo aver
fede in noi stessi? Che cosa accadrà a quelli di noi che vogliono
credere ma non vi riescono? E che cosa ne sarà di coloro che non
vogliono né possono credere?
Il cavaliere tace in attesa d'una risposta, ma nessuno risponde. Vi è un completo silenzio.
Cavaliere: Perché
non posso uccidere Dio dentro di me? Perché egli continua a vivere in
questo modo doloroso e umiliante anche se io lo maledico e voglio
strapparmelo dal cuore? Perché, nonostante tutto, egli è un'illusoria
realtà ch'io non posso scuotere da me? Mi ascolti?
Morte: Ti ascolto.
Cavaliere: Io voglio la conoscenza, non la fede, non supposizioni, la conoscenza. Voglio che Dio
tenda la sua mano verso di me, si riveli e mi parli.
Morte: Ma egli rimane zitto.
Cavaliere: Lo chiamo nel buio, ma sembra come se non ci fosse nessuno.
Morte: Forse non c'è nessuno.
Cavaliere: Allora la vita è un atroce orrore. Nessuno può vivere in vista della morte, sapendo che tutto è nulla.
Morte: La maggior parte della gente non riflette mai né sulla morte né sulla futilità della vita.
Cavaliere.: Ma un giorno si troveranno di fronte all'ultimo momento della vita, e guarderanno
verso le tenebre.
Morte: Quando arriva «quel» giorno ..
Cavaliere: Nella nostra paura formiamo un'immagine, e questa immagine la chiamiamo Dio. Morte: Tu ti affanni '"
Cavaliere: La Morte
mi ha visitato, questa mattina. Stiamo facendo una partita a scacchi.
Questo rinvio mi permette di sistemare una questione urgente.
Morte: Di che questione si tratta?
Cavaliere:
La mia vita è stata una futile impresa, un vagabondaggio, un mucchio di
chiacchiere senza significato. Non ne ho rimpianto né rimorso, poiché
la vita dei più è assai simile a questo.
bergman, senso religioso
IL CUORE DELL’UOMO
***
"Due
cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e
crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di
esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste
due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se
fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio
orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima
comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed
estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile,
con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi
illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro
durata. La seconda comincia
dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un
mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può
penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi
visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là,
semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo
di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza
di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto
nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata
provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore,
come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui
la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e
anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire
dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante
questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e
ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito”
Immanuel Kant [Critica della ragion pratica, Conclusione, Laterza, Bari, 1974]
bellezza, kant, senso religioso
PRIMA DEL VIAGGIO
***
Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano
le guide Hacchette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi:
prima del viaggio si informa
qualche amico o parente: si controllano
valige e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dá un'occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i disastri aerei
in percentuale sono nulla:
prima
del viaggio si é tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto é O.K. e tutto
é per il meglio e inutile
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano
le guide Hacchette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi:
prima del viaggio si informa
qualche amico o parente: si controllano
valige e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dá un'occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i disastri aerei
in percentuale sono nulla:
prima
del viaggio si é tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto é O.K. e tutto
é per il meglio e inutile
…………………………
E ora che ne sará
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l'ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
é la sola speranza. Ma mi dicono
ch'è una stoltezza dirselo.
E ora che ne sará
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l'ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
é la sola speranza. Ma mi dicono
ch'è una stoltezza dirselo.
Eugenio Montale
montale, senso religioso
Il desiderio umano di Infinito
Il
sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i
piaceri a riempirci l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere.
(…) Il fatto è che quando l’anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il piacere, e non un tal piacere; ora nel fatto trovando un piacere particolare, e non astratto, e che comprenda tutta l’estensione del piacere, ne segue che il suo desiderio non essendo soddisfatto di gran lunga, il piacere, appena è piacere, perché non si tratta di una piccola, ma di una somma inferiorità al desiderio e oltracciò alla speranza. E perciò tutti i piaceri debbono essere misti di dispiacere, come proviamo, perché l’anima nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato.
(…) Il fatto è che quando l’anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il piacere, e non un tal piacere; ora nel fatto trovando un piacere particolare, e non astratto, e che comprenda tutta l’estensione del piacere, ne segue che il suo desiderio non essendo soddisfatto di gran lunga, il piacere, appena è piacere, perché non si tratta di una piccola, ma di una somma inferiorità al desiderio e oltracciò alla speranza. E perciò tutti i piaceri debbono essere misti di dispiacere, come proviamo, perché l’anima nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato.
dallo Zibaldone, di Leopardi
leopardi, senso religioso
Il desiderio umano
di Felicità
***
Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo
e poi, più procedendo, desiderare uno augellino
e poi, più oltre, desiderare bel vestimento
e poi lo cavallo
e poi una donna
e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre.
Per
che vedere si può che l'uno desiderabile sta dinanzi all'altro alli
occhi della nostra anima per modo quasi piramidale, che 'l minimo li
cuopre prima tutti, ed è quasi punta dell'ultimo desiderabile, che è Dio, quasi base di tutti. Sì che, quanto dalla punta ver la base più si procede, maggiori apariscono li desiderabili
e questa è la ragione per che, acquistando, li desiderii umani si fanno più ampii, l'uno appresso dell'altro.
Dante Convivio
dante, senso religioso
L’istinto del Bello
***
È questo ammirevole, questo immortale istinto del Bello che ci fa considerare la terra e i suoi spettacoli come un’intuizione, come una corrispondenza del Cielo. La sete insaziabile di tutto quanto è al di là e che la vita svela, è la prova più viva della nostra immortalità. Allo stesso tempo è con la poesia e attraverso la poesia, con e attraverso la musica che l'anima intravede gli splendori situati dietro la tomba; e
quando una squisita poesia fa salire le lacrime agli occhi, queste
lacrime non sono la prova di un eccesso di godimento, quanto invece la
testimonianza di una malinconia irritata, di un postulato dei nervi, di
una natura esiliata nell'imperfetto e che vorrebbe impadronirsi
immediatamente, su questa terra stessa, di un paradiso rivelato»
C.Baudelaire. Opere A. Mondatori Editore
baudelaire, bellezza, senso religioso
Il senso religioso
***”
Appunto dell’11.6.1916
Che cosa so di Dio e del fine della vita?
So che questo mondo è.
Che io sto in esso come l’occhio nel suo campo visivo.
Che qualcosa in esso è problematico, ciò che noi chiamiamo il suo senso.
Che questo senso non risiede in esso, ma al di fuori di esso.
Che la vita è il mondo.
Che la mia volontà compenetra il mondo.
Che la mia volontà è buona o cattiva.
Che dunque bene e male sono in qualche modo congiunti al senso del mondo.
Il senso della vita, cioè il senso del mondo possiamo chiamarlo Dio.
E collegare a ciò la similitudine di Dio come padre.
La preghiera è il pensiero sul senso del mondo.
Non posso volgere gli avvenimenti del mondo secondo la mia volontà; piuttosto sono completamente impotente.
Solo
così posso rendermi indipendente dal mondo- e in un certo senso quindi
dominarlo- rinunciando a un influsso sugli avvenimenti. [Wittgenstein, op. cit.,p.167]
[Wittgenstein, Tractatus ]
wittgenstein, senso religioso
«È una cosa eccellente, l'unica necessaria e chiarificante, questa che dice Lutero: "Tutta
la dottrina (della Redenzione, e in fondo tutto il cristianesimo) deve
essere messa in rapporto alla lotta della coscienza angosciata. Elimina la coscienza angosciata, e tu puoi anche chiudere le chiese e farne delle sale da ballo". La coscienza angosciata capisce il cristianesimo, come un animale affamato; se
gli metti davanti un pezzo di pane o una pietra, capisce che l'uno è da
mangiare e l'altra no; a questo modo la coscienza angosciata capisce il
cristianesimo».
Kierkegaard
senso religioso, kierkeergaard
L'ATTESA
«Sei tu colui che ha da venire o attenderemo un altro?» (Mt 11,3)Un’affascinante riflessione di don Primo Mazzolari
La vita di ognuno è un'attesa.
Il presente non basta a nessuno: l'occhio e il cuore sono sempre
avanti, oltre la breve gioia, oltre il limite del nostro possesso, oltre
le mete raggiunte con aspra fatica.
In un primo momento pare che ci manchi solo qualcosa: più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno.
E lo attendiamo.
Ogni popolo, come ogni cuore, è in stato messianico. La nostra epoca è forse l'epoca più messianica della storia.
Tale attesa, calma o disperata, silenziosa o urlante, è il disegno inconfondibile della nostra povertà e della nostra grandezza.
L'uomo non è mai tanto povero come quando si accorge che gli manca tutto: non è mai tanto grande come quando, da questa stessa povertà, tende le braccia e il cuore verso Qualcuno.
Cristo è questo Qualcuno.
Il profeta lo chiama «il Veniente».
Poiché egli è colui che viene, io sono colui che attende.
E l'inquietudine di chi attende si placa nella carità di chi viene: come l'incarnazione è l'inizio compiuto ed esemplare dell'incontro, il suo fermento.
La nostra attesa è così assetata, che spesso rivolgiamo male la nostra ricerca e ancor peggio collochiamo il nostro cuore.
Gli stessi eletti possono avere momenti di esitazione. Il fatto di Giovanni il Battista, secondo l'odierno Vangelo, insegna.
Egli aveva visto Gesù sulle rive del Giordano: l'aveva battezzato e indicato al popolo come «l'Agnello di Dio...». Poi, non l'aveva più incontrato. E, adesso, era in prigione a motivo di Erodiade...
Certe prove mettono in discussione tutte le nostre certezze.
Io l'ho provato qualche mese fa. Lo scoramento spirituale può prendere anche i santi e i profeti; solo coloro, che si dimenticano di ascoltare il cuore dell’uomo nel santo, ne fanno meraviglia.
La differenza tra noi e i santi è nella maniera con cui si fa fronte allo smarrimento.
Noi accogliamo il dubbio e ci lasciamo prendere dall'accidia...
Nella domanda che i discepoli di Giovanni portano a Cristo c'è già qualcosa di bruciante.
Senza fede non si vive.
Un naufrago si attacca a tutto: a una tavola, a una corda, a un filo d'erba.
L'uomo non può fare il naufrago per tutta la vita.
Purché sia uomo e non «una canna agitata dal vento»! I problemi dello spirito sono guardati seriamente e vissuti passionalmente soltanto dai veri uomini.
Le «canne agitate dal vento» (che non hanno nulla a che vedere con «le canne pensanti» di Pascal perché non pensano affatto) si credono libere perché servono tutti i padroni e deridono il profeta che, per servire uno solo, abbandona la propria testa sul piatto del festino
In un primo momento pare che ci manchi solo qualcosa: più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno.
E lo attendiamo.
Ogni popolo, come ogni cuore, è in stato messianico. La nostra epoca è forse l'epoca più messianica della storia.
Tale attesa, calma o disperata, silenziosa o urlante, è il disegno inconfondibile della nostra povertà e della nostra grandezza.
L'uomo non è mai tanto povero come quando si accorge che gli manca tutto: non è mai tanto grande come quando, da questa stessa povertà, tende le braccia e il cuore verso Qualcuno.
Cristo è questo Qualcuno.
Il profeta lo chiama «il Veniente».
Poiché egli è colui che viene, io sono colui che attende.
E l'inquietudine di chi attende si placa nella carità di chi viene: come l'incarnazione è l'inizio compiuto ed esemplare dell'incontro, il suo fermento.
La nostra attesa è così assetata, che spesso rivolgiamo male la nostra ricerca e ancor peggio collochiamo il nostro cuore.
Gli stessi eletti possono avere momenti di esitazione. Il fatto di Giovanni il Battista, secondo l'odierno Vangelo, insegna.
Egli aveva visto Gesù sulle rive del Giordano: l'aveva battezzato e indicato al popolo come «l'Agnello di Dio...». Poi, non l'aveva più incontrato. E, adesso, era in prigione a motivo di Erodiade...
Certe prove mettono in discussione tutte le nostre certezze.
Io l'ho provato qualche mese fa. Lo scoramento spirituale può prendere anche i santi e i profeti; solo coloro, che si dimenticano di ascoltare il cuore dell’uomo nel santo, ne fanno meraviglia.
La differenza tra noi e i santi è nella maniera con cui si fa fronte allo smarrimento.
Noi accogliamo il dubbio e ci lasciamo prendere dall'accidia...
Nella domanda che i discepoli di Giovanni portano a Cristo c'è già qualcosa di bruciante.
Senza fede non si vive.
Un naufrago si attacca a tutto: a una tavola, a una corda, a un filo d'erba.
L'uomo non può fare il naufrago per tutta la vita.
Purché sia uomo e non «una canna agitata dal vento»! I problemi dello spirito sono guardati seriamente e vissuti passionalmente soltanto dai veri uomini.
Le «canne agitate dal vento» (che non hanno nulla a che vedere con «le canne pensanti» di Pascal perché non pensano affatto) si credono libere perché servono tutti i padroni e deridono il profeta che, per servire uno solo, abbandona la propria testa sul piatto del festino
Tratto da Primo Mazzolari - ”La parola che salva”- Edb 1995
senso religioso, don mazzolari
DIARIO DELLA AMICIZIA
di E. van Broeckoven
***
Scoprire la realtà dell'amicizia della persona, non solamente in noi ma anche negli altri.
Profondità
dell'intimità dell'uomo: il suo corpo, il suo temperamento, il suo
carattere più profondamente ancora ...egli è «di Dio ».
L'amicizia è l'amore che cerca l'altro e può fare a meno di ciò che l'altro ha, perché essa non cerca ciò che egli ha, ma ciò che egli è: «di Dio ».
L'amicizia
cerca ciò che in lui vi è di più intimo, cioè ciò per cui egli è di
Dio, ciò per cui la sua intimità sta nell'intimità di Dio. In tal modo
l'amicizia cerca di penetrare nel mistero di Dio che è Amore; se gli
uomini comprendessero questo, cercherebbero Dio. (...)
Solamente
quando l'amore si esprime in modo concreto mediante un impegno totale
nella situazione di colui che si ama e nella misura in cui si cerca
l'intimità concreta dell'altro, allora l'amore è veramente autentico,
esistenziale, profondo, senza limiti, superando il tempo (eterno), e la
materia (spirituale).
L'amore che non si esprime, non si esteriorizza concretamente,
-non è autentico: resta chimerico, astratto;
-non è esistenziale: resta estraneo a ogni impegno personale.
-non è profondo: non tocca nemmeno la superficie.
-non è senza limiti: solamente l'amore che si è concretizzato può, incarnandosi, scoprire delle prospettive reali infinite.
-non è eterno: solamente un atto posto nel tempo della storia può influenzare l'insieme della realtà storica.
-non è spirituale: tutte le realtà spirituali di questo mondo devono essere calate in una realtà corporale concreta.
Nella misura in cui si impegna concretamente nell'azione effettiva di colui che si ama, l'amore è autentico..
amicizia, senso religioso
Per arrivare alla Verità
***
Per arrivare alla verità bisogna rinunciare alla propria aseità*, uscire da se stessi e questo ci è decisamente impossibile perché siamo carne. E allora come aggrapparsi alla colonna della verità? Sappiamo soltanto che tra le crepe del raziocinio umano si intravede l'azzurro dell'Eternità; è inattingibile, ma è così. Sappiamo
anche che «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e non il Dio dei
filosofi» e dei dotti viene a noi, viene al nostro letto, ci prende per
mano e ci guida in una maniera che non avremmo mai potuto prevedere. «Agli uomini questo è impossibile, ma tutto è possibile a Dio».
P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità,
*L'"aseità" è la natura o la caratteristica di ciò che ha in sé la causa della del proprio essere. Il termine si contrappone ad "abalietà", che indica la natura o la caratteristica di cio che è ab alio, ossia di un essere, la cui esistenza dipende da un altro o comunque da qualcosa che è al di fuori di sé.
Se l'aseità indica un'esistenza totalmente indipendente, diviene attributo dell'Assoluto, di Dio
P. Florenskij,
P. Florenskij,
verità , senso religioso, florenskij
L’uomo:
attesa di essere redento
***
«Hai bisogno di redenzione, altrimenti ti perdi (…) Occorre che entri una luce, per così dire, attraverso il soffitto, il tetto sotto cui lavoro e sopra cui non voglio salire (…) Questo tendere all’assoluto, che fa sembrare troppo meschina qualsiasi felicità terrena… mi sembra stupendo, sublime, ma io fisso il mio sguardo nelle cose terrene: a meno che “Dio” non mi visiti».
L. Wittgenstein, Movimenti di pensiero. Diari 1930-32/1936-37
La speranza dell’Infinito
***
«La
speranza induce a esplorare il mondo alla ricerca di una piccola,
minuscola crepa che potrebbero aver lasciato rapporti e legami; una fessura sia pur sottilissima che
aiuti a ordinare e centrare il mondo indefinito perché l'inatteso
desiderato dovrà infine uscirne fuori come felicità definitiva. La speranza porta alla disperazione se la convinzione non fa trovare nessuna fessura, nessuna possibilità di essere felice.
Questa è la situazione di Rahel* a ventiquattr'anni; non ha ancora
vissuto nulla, in una vita che non ha ancora contenuto personale. "Sono sfortunata; non mi lascio convincere del contrario; il che ha un brutto effetto". La convinzione diventa definitiva; non si preoccupa del fatto che continui a sperare nella felicità per quasi tutta una vita; Rahel sa in segreto che in tutto quello che accadrà, la condizione della sua giovinezza aspetta solo di essere confermata». Hanna Arent
*intellettuale ebrea berlinese di epoca romantica
Nulla, Signore, io sono
***
Nulla, Signore, io sono
su questa terra. Nulla è questa terra
nell'universo. Ed io non so di dove
vengo, né dove andrò: tenebra fonda
prima che il tuo voler qui mi chiamasse,
cieca speranza nella tua clemente
misericordia, oltre il traguardo estremo.
Unica realtà questo mio nulla
che avanza in solitudine su angusto
ponte sospeso fra due sponde ignote:
e sotto ondeggia e rumoreggia il fiume
che non ha foce, e sopra ardon nei cieli
parole incomprensibili di stelle.
Che vuoi da me? Qual dono
chiedi alla mia miseria, e di qual luce
folgorerai l'anima mia,
nel giorno ch 'ella in Te rivivrà?
Ma tu giammai
ti scopri. Ed è nel tuo pensiero occulto
ch 'io più ti cerco e imploro: è in quest 'angoscia
di sapere da Te ciò che m'ascondi
ch 'io forza attingo per amarti -e il mio
tormento è grande come il tuo silenzio.
Ada Negri
negri, senso religioso
“Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita. Sono
nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e
guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti… Poi io muoio e la
carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccato.
Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo
mio, mi sentirei creatura finita”.
San Gregorio Nazianzeno
San Gregorio Nazianzeno
senso religioso, gregorio nanzianzeno
L'unica cosa che conta e' l'inquietudine divina delle anime inappagate
"Piu' si vive, piu' ci accosta a Pascal: l'unica
cosa che conta e' l'inquietudine divina delle anime inappagate.
Oh, gli spiriti limitati, le persone sedute in cattedra, in tribuna,
nelle loro poltrone, le persone soddisfatte, gli intellettuali, gli
u-n-i-v-e-r-s-i-t-a-r-i! Vedi, e' assolutamente necessario che diamo un senso alla nostra vita. Non quello che gli altri vedono e ammirano, ma il tour de force che consiste nell'imprimervi il sigillo dell'infinito."
[12-01-1928, E. Mounier a M. Mounier
malinconia, senso religioso, mounier
Teologia solubile –
I - Premessa
C'è il caffè, e c'è il caffè solubile. C'è la Teologia ,
e ci sono queste note che vi infliggerò saltuariamente nei prossimi
mesi in un tentativo vagamente masochistico di cercare di spiegare (in
modo spero semplice) alcune delle verità del Cristianesimo. Poichè noto
che spesso chi parla della Chiesa non ha la più pallida idea di cosa la Chiesa sia, partirò illustrando quella sequenza che la Chiesa
stessa, da sedici e passa secoli, usa per identificare se stessa: il
Simbolo Niceno-Costantinopolitano, noto con l'affettuoso soprannome di Credo.
Mi perdonino gli amanti del caffè espresso.
Mi perdonino gli amanti del caffè espresso.
Teologia vuol dire: parlare di Dio (Theo=Dio, Logia=parlare di). Corbezzoli. Roba grossa, difficile. Però...
Come uomini, noi desideriamo cose: una donna, un'auto, non essere tartassati, una giornata di sole. Ma se guardiamo bene, nessuna di queste cose ci soddisfa appieno. Vorremmo una donna che ci ama totalmente; una giustizia per il mondo; che tutto sia bello. Insomma L'Amore,LA Giustizia , LA Bellezza , LA Verità. Che non sono però di questa terra, evidentemente: sono come un Mistero a cui tendiamo ma a cui non riusciamo ad arrivare.
Il nome che diamo a questo Mistero, cioè alla Bellezza, all Giustizia, alla Verità, all'Amore, è Dio. Perciò quando parliamo in un certo modo della donna, dell'auto, di tutto, parliamo di Dio. Teologia, amici. Noi facciamo continuamente teologia.
La storia umana è un ininterrotto tentativo di conoscere questo Mistero dell’esistenza. Ma Dio, questo Mistero, non si può conoscere, se non per quello che Lui ci rivela. Dio si è rivelato facendosi Uomo, duemila anni fa. E il metodo con cui questo Mistero si rivela nel mondo oggi èla Chiesa.
Così
qui di seguito affronteremo parola per parola il fondamento che questa
stessa Chiesa ha dato per identificarsi, per evidenziare quello che la
distingue da tutti gli altri innumerevoli tentativi che l’Uomo ha fatto
nei secoli per conoscere questo Mistero. Insomma, il Credo.
Come uomini, noi desideriamo cose: una donna, un'auto, non essere tartassati, una giornata di sole. Ma se guardiamo bene, nessuna di queste cose ci soddisfa appieno. Vorremmo una donna che ci ama totalmente; una giustizia per il mondo; che tutto sia bello. Insomma L'Amore,
Il nome che diamo a questo Mistero, cioè alla Bellezza, all Giustizia, alla Verità, all'Amore, è Dio. Perciò quando parliamo in un certo modo della donna, dell'auto, di tutto, parliamo di Dio. Teologia, amici. Noi facciamo continuamente teologia.
La storia umana è un ininterrotto tentativo di conoscere questo Mistero dell’esistenza. Ma Dio, questo Mistero, non si può conoscere, se non per quello che Lui ci rivela. Dio si è rivelato facendosi Uomo, duemila anni fa. E il metodo con cui questo Mistero si rivela nel mondo oggi è
Ma la Chiesa è una vita, e come tale per comprenderla veramente, al di là delle parole, occorre viverla, parteciparvi.
Occorre coinvolgersi con essa, così come per conoscere una persona
bisogna viverci assieme. Solo così si riuscirà a dare un volto alle
parole, si farà sì che non rimangano puro suono che non incide e
svanisce. Capirle. Ed amarle. (segue...)
chiesa, bellezza, senso religioso
Il 'Newton scorretto' che a scuola non si insegna
di Corradi Marina
Non avevamo mai letto, e nemmeno sentito parlare ai tempi del liceo - un liceo milanese di fine anni Settanta, rigorosamente di sinistra e democratico - del ventottesimo commento all'Ottica di Isaac Newton. Dunque l'uomo che elaborò la teoria della gravitazione universale, all'alba del Settecento, si chiedeva: «Che cosa c'è in luoghi quasi completamente vuoti di materia, e donde deriva che il sole e i pianeti gravitino gli uni verso gli altri, senza che vi sia tra loro nessuna materia densa? Donde viene chela Natura
non fa nulla invano: e da dove trae origine tutto quell'ordine e tutta
quella bellezza che vediamo nel mondo? A qual fine esistono le comete, e
donde viene che i pianeti si muovano tutti in un unico e medesimo modo
in orbite concentriche; e che cosa impedisce alle stelle di precipitare
le une sulle altre? (.) È possibile che l'occhio sia stato costruito
senza conoscenza d'ottica, e l'orecchio di acustica? (.) Donde viene
l'istinto degli animali?».
di Corradi Marina
Non avevamo mai letto, e nemmeno sentito parlare ai tempi del liceo - un liceo milanese di fine anni Settanta, rigorosamente di sinistra e democratico - del ventottesimo commento all'Ottica di Isaac Newton. Dunque l'uomo che elaborò la teoria della gravitazione universale, all'alba del Settecento, si chiedeva: «Che cosa c'è in luoghi quasi completamente vuoti di materia, e donde deriva che il sole e i pianeti gravitino gli uni verso gli altri, senza che vi sia tra loro nessuna materia densa? Donde viene che
Giobbe e Newton, oltre due millenni lo stesso sbalordimento davanti alla creazione. Concludeva Newton: «Non risulta con evidenza dai fenomeni che esiste un Essere incorporeo, vivente, intelligente, onnipresente il quale vede intimamente le cose stesse e le capisce interamente in virtù della loro presenza immediata a se stesso?». Ecco perché di Newton in quel liceo si parlò solo nei libri di fisica. Newton era scorretto, era fuori linea in quella scuola pubblica, comunista di stretta osservanza. Nessuno dunque ci fece leggere le sue domande - le stesse che tutti si fanno, a sedici anni, come intuendo una risposta come nascosta appena dietro l'evidenza del creato. Positivismo, marxismo, esistenzialismo, quella, ci dissero, era l'unica modernità, e l'unico pensiero scientifico possibile. Su Giobbe e Newton, e la loro straordinaria simmetria, il silenzio.
newton, senso religioso
ragione, giussani, senso religioso
kierkeergaard “Discorso Edificante”1844
(traduzione italiana inedita)
Aver bisogno di Dio
(traduzione italiana inedita)
Aver bisogno di Dio
è la suprema perfezione dell’essere umano
Aver bisogno di Dio è la suprema perfezione dell’essere umano. Una circostanza, a tutti nota, sembra ricordare a ciascuno, almeno incidentalmente, che sia così, che l’aver bisogno di Dio sia una perfezione. Che cos’è un essere umano? È solo un ulteriore ornamento nell’ordine della creazione; oppure non ha alcun potere, non è capace di nulla da solo? E qual è allora questo potere, che cos’è la cosa suprema che può volere? Come suona la risposta a questa domanda, quando nel domandare l’audacia della giovinezza si unisce alla forza della virilità, quando questa magnifica unione è pronta a sacrificare tutto per compiere qualcosa di grande, quando l’ardente afferma infervorato: «Anche se nessuno al mondo c’è riuscito prima, io ci riuscirò; seppure milioni tralignarono dimenticando il compito, io combatterò - ma qual è la cosa suprema?». Ebbene, non vogliamo defraudare la cosa suprema del suo prezzo, non nascondiamo che è stata raggiunta di rado nel mondo, perché la cosa suprema è: che un essere umano si convinca fino in fondo di non essere capace di nulla da solo, assolutamente di nulla.
Certo, quando l’essere umano si volge all’esterno, sembra essere capace delle cose più sorprendenti, che gli darebbero ben altra soddisfazione, che sarebbero circondate da ammirazione e giubilo. Invece, quella rara elevazione non serve all’ammirazione, non tenta l’essere umano carnale, al contrario essa condanna l’ammiratore come persona stolta che non conosce ciò che ammira, invitandola a tornarsene a casa; oppure come anima ingannatrice, invitandola a tornare in se stessa. Osservato dall’esterno, l’essere umano è la più magnifica delle creature, ma la sua gloria è però solo esterna e per l’esterno: con la sua freccia, l’occhio non mira forse all’esterno, ogni volta che la passione e il piacere tendono l’arco, la sua mano non è volta all’esterno, il suo braccio non è proteso, la sua ingegnosità non è conquistatrice?
Ma se non vuol essere un attrezzo di guerra al servizio di inesplicati istinti, sì, al servizio del mondo, perché il mondo stesso, oggetto della sua brama, desta l’istinto; se non vuol essere come uno strumento a corda nelle mani di oscuri stati d’animo o, meglio, nelle mani del mondo, perché il movimento della sua anima dipende da come il mondo tocca le sue corde; se non vuole essere come uno specchio con cui fissa il mondo o, meglio, in cui il mondo si specchia; se non vuole tutto questo, se, prima che l’occhio miri a qualcosa per conquistarlo, vuole acchiappare l’occhio, così che gli appartenga, e non lui all’occhio; se afferra la mano, prima che questa afferri qualcosa all’esterno, così che gli appartenga, e non lui alla mano, se vuole tutto ciò così seriamente da non temere di cavarsi l’occhio, di tagliarsi la mano, di chiudere le finestre dei sensi, se fosse necessario - sì, allora tutto è cambiato, il potere e la gloria gli sono tolti. Non combatte con il mondo, ma con se stesso.
Guardalo adesso, la sua figura possente è cinta da un’altra figura, e si tengono abbracciati così strettamente, parimenti agili e forti si serrano l’un l’altro, così che la lotta non può neppure iniziare, perché l’altra figura nello stesso istante lo sopraffarebbe; ma l’altra figura è lui stesso. Così non può fare assolutamente nulla; perfino la persona più debole, che non fosse provata da questa contesa, sarebbe capace di molto di più. E questa contesa non è solo spossante, ma anche tremenda (se però non è lui stesso che, seguendo una propria trovata, si è avventurato in essa, ché, se è così, non è messo alla prova nella contesa di cui parliamo), quando la vita, grazie alla guida di Dio, getta un essere umano in essa per rafforzarlo in questa nullificazione che non conosce raggiro, che non permette fuga, che non produce autoinganno (quasi che in altre circostanze sarebbe capace di fare di più); infatti, quando la persona lotta con se stessa le circostanze non influiscono sull’esito. Questa è la nullificazione di un essere umano, e la nullificazione è la verità di esso. Egli non deve riuscire a fuggire da questa conoscenza; ché egli stesso è il proprio testimone, il proprio accusatore, il proprio giudice, egli è l’unico capace di confortare se stesso, giacché comprende l’indigenza della nullificazione, è l’unico incapace di conforto, poiché è egli stesso lo strumento della nullificazione. Cogliere questa nullificazione è la cosa suprema di cui è capace un essere umano, vegliare su questa comprensione - perché è un bene affidatogli, ossia confidatogli da Dio dei cieli come il segreto della verità - è la cosa suprema e più difficile di cui un essere umano è capace; ché l’inganno e la falsificazione sono presto fatti, così che egli stesso divenga qualcosa, a spese della verità. Questa è la cosa suprema e più difficile che un essere umano può, ma che dico?, neanche questo può un essere umano, può al massimo voler comprendere che questo incendio secco non fa che consumare, finché il fuoco dell’amore di Dio accende la fiamma in ciò che l’incendio secco non poteva consumare. Pertanto l’essere umano è una creatura indifesa; ogni altra comprensione, con cui esso comprenda di poter aiutare se stesso, è solo una mancata comprensione, seppure agli occhi del mondo sia ritenuta coraggio: il coraggio di restare in una mancata comprensione, cioè, il coraggio di non comprendere la verità.
senso religioso, kierkeergaard
IL SENSO RELIGIOSO
di HENRI MATISSE
Questo mattino egli ha insistito sull'unità di sentimento in tutta la sua opera, sul sentimento religioso nel quale ha sempre dipinto. “Anche le odalische”, ha detto. Appunto del 29 dicembre 1949. Da Marie-Alain Couturier, Se garder libre , Paris, Editions du Cerf, 1962, ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.270
CHAPELLE DU ROSAIRE
di Henri Matisse a Vance (Francia)
Gli errori che questa espressione del sentimento umano può contenere cadranno da soli, ma resterà una parte viva che potrà unire il passato con l'avvenire della tradizione plastica.
Mi auguro che questa parte, che io chiamo “le mie rivelazioni”, sia espressa con forza Se avessi messo tutti questi studi sotto forma di Via crucis, voi avreste quattordici piccole tavole, l'una a fianco dell'altra, senza continuità, mentre
Bisogna muoversi per seguire
H.Matisse, Via crucis |
sufficiente da essere fertile e da tornare alla sua sorgente
Il p.Rayssiguier avrebbe voluto la Vergine vestita con abiti moderni, seduta con i due gomiti sulle ginocchia, il mento tra le mani. Matisse replicò: La Vergine
sarà vestita come si ha l'abitudine di vederla ed avrà un bambino fra
le braccia, perché senza il bambino ella non avrebbe ragione di
essere... Per la Vergine voleva la purezza di una bambina. [39]
H.Matisse, |
Io considero (la Cappella di Vence), malgrado tutte le sue imperfezioni, come il mio capolavoro. Che
l'avvenire voglia ben giustificare questo giudizio per un interesse
crescente, al di là anche del significato superiore di questo monumento
Io
medito e lascio penetrare in me ciò a cui do inizio. Io non so se ho o
no la fede. Potrebbe darsi che io sia piuttosto buddista. L'essenziale è
di lavorare in uno stato di spirito, prossimo a quello della preghiera
Ho detto, a Picasso: Sì,
io faccio la mia preghiera, e voi anche, e voi lo sapete molto bene:
quando tutto va male, noi ci gettiamo nella preghiera, per ritrovare il
clima della nostra prima comunione. E voi lo fate. Voi anche. Non mi ha
detto di no.
Quei disegni là, bisogna che vi escano dal cuore
Quei disegni là, bisogna che vi escano dal cuore
Una domenica, Matisse mi telefonò per domandarmi se poteva venire alla cappella alle 17.00:
-Sì, mio signore, ma ci sarà la preghiera corale, la benedizione con il Santissimo, Sacramento, seguita dall'ufficio.
-Io vi disturbo?
-Per niente, l'ho detto per voi.
-Bene, allora io vengo.
Venne. Volle assistere alla preghiera corale, alla benedizione con il Santissimo e all'ufficio recitato dalle suore. Ogni tanto gli domandavo se preferiva uscire, ma mi faceva segno di no. Quel giorno se ne andò felice; aveva visto la cappella “in servizio”, la sua opera associata alla vita tal quale doveva essere da allora in avanti.
-Sì, mio signore, ma ci sarà la preghiera corale, la benedizione con il Santissimo, Sacramento, seguita dall'ufficio.
-Io vi disturbo?
-Per niente, l'ho detto per voi.
-Bene, allora io vengo.
Venne. Volle assistere alla preghiera corale, alla benedizione con il Santissimo e all'ufficio recitato dalle suore. Ogni tanto gli domandavo se preferiva uscire, ma mi faceva segno di no. Quel giorno se ne andò felice; aveva visto la cappella “in servizio”, la sua opera associata alla vita tal quale doveva essere da allora in avanti.
matisse, senso religioso
DISINTERESSE PER
IL SENSO DELLA VITA
Forse non è
mai stato più forte il tentativo dell’uomo di proporsi come un fine a se
stesso. E il nodo del problema è tutto qui. Milioni di esseri umani aspirano all’amore, ma la parola non viene pronunciata che nelle più sconce sedi della pubblicistica. .
montale, senso religioso
Sacchi a terra per gli occhi
Qualunque cosa tu dica o faccia
c’è un grido dentro:
non è per questo, non è per questo!
E così tutto rimanda
a una segreta domanda:
Nell’imminenza di Dio
la vita fa man bassa
sulle riserve caduche,
mentre ciascuno si afferra
a un suo bene che gli grida: addio.
rebora, senso religioso
ascoltato la Voce d'Amore che chiama e non langue:
Amore di Cristo che già qui nel mondo
Comincia ed insegna il viver più buono:
Felice amore di Spirito Santo
Che trasfigura in grazia e morte e pianto,
D’anima e corpo la miseria buia:
Eterna Trinità, dove alfin belli
- Finendo il mondo – saran corpi e cuori
In seno al Padre con la dolce Madre
Per sempre in Cristo amandosi fratelli,
Alleluia.
Da Poesie religiose, 1936 - 1947
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