Il senso religioso  
*** “Io sono pieno di una domanda a cui non so rispondere”. 
P.P.Pasolini Teorema 
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Postato da: giacabi a 18:20 |
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        pasolini, senso religioso 
       
    
Il senso religioso  
*** Un giorno il viandante sbattè una porta dietro di sé, si arrestò e pianse. Poi disse: "Questa inclinazione, questo impulso verso il vero e il reale, il non apparente, il certo, mi fanno rabbia! ..Come lo odio! "» 
Nietzsche La gaia scienza e Idilli di Messina Adelphi 
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Postato da: giacabi a 18:17 |
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        nietzsche, senso religioso 
Cielo stellato 
*** 
Nell'ombra azzurra, brulicar di stelle.  
Non lume ai campi. Tutto lumi il cielo.  
E più gli occhi v'immergo, e più s'accresce 
 quel tremolio, quel palpito, quel folle  
moltiplicarsi d'astri: -e Più mi perdo 
 nell'infinita vastità del coro  
 che d'angelici accordi empie gli spazi. 
 O stelle, e quando mai fui così vostra  
come in quest'ora?  
L'una canta: «Vieni»:  
e l'altra: « Vieni»: e tutte: « Vieni, vieni, 
 anima innamorata della morte  
ch'è vita eterna». -Or io vi prego, o stelle, 
 che alcuna fra di voi scenda stanotte 
 a raccoglier di me ciò che la terra  
non può rapirmi; e via di fuoco in fuoco  
mi porti al Dio che mi creò: ch'io possa 
 mirare il Volto e ascoltar la Voce. 
Ada Negri 
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Postato da: giacabi a 13:53 |
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        preghiere, negri, senso religioso 
L’uomo creazione di Dio 
*** 
«L'uomo è un grande mistero, i suoi 
milioni
 di neuroni cerebrali costituiscono un tipo di macchina che uno spirito 
potrebbe far funzionare, anche se uno spirito è l'agente che fino ad ora
 è sfuggito alle ricerche degli strumenti più raffinati. Io
 credo che il nostro io sia una creazione soprannaturale, sia cioè 
quello che la religione definisce "anima". Attraverso i miei studi ho 
capito l'unicità di ciascun individuo in quanto creazione di Dio»." 
1  
Sir John Eccles Premio Nobel per la Medicina 1963,:  
14Articolo-intervista di Boris Luban Plozza, in « Riza psicosomatica», aprile 1983, n. 26, p. 
1; simili affermazioni nel volume L'io e il suo cervello, Ed. Armando, Roma 1981, voi. 
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Postato da: giacabi a 12:32 |
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        senso religioso, eccles 
Dio senso della vita 
*** 
« Ci comportiamo come se le comodità fossero il principale requisito, mentre ciò che ci occorre è qualcosa che dia un senso alla nostra vita» 
(Francois Mauriac). 
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Postato da: giacabi a 11:55 |
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        senso religioso 
Dio senso della vita 
*** 
«Quando
 la via non è più segnata dagli ideali, con la scala dei valori va 
smarrito anche il senso del nostro agire e soffrire, per cui l'ultima 
parola può essere soltanto della negazione e della disperazione. La religione è quindi il fondamento dell'etica, e questa a sua volta è il presupposto della vita. Ogni giorno   prendere decisioni, dobbiamo conoscere, o per lo meno intuirei valori in base ai quali orientare il nostro agire». 
Werner Heisemberg L'inventore della teoria quantlstica e Premio Nobel 1932  
Discorso all'Accademia Cattolica di Baviera, in Schritte iiber Grenzen, 
Mùnchen 1973, p. 335. 
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Postato da: giacabi a 08:59 |
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        dio, senso religioso 
Il senso religioso 
*** 
            
E ti vengo a cercare  
di Franco Battiato 
da Fisiognomica, EMI 1988 e Giubbe Rosse, EMI 1989 
E ti vengo a cercare 
anche solo per vederti o parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza. Questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine un rapimento mistico e sensuale mi imprigiona a te. Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri non accontentarmi di piccole gioie quotidiane fare come un eremita che rinuncia a sé. E ti vengo a cercare con la scusa di doverti parlare perché mi piace ciò che pensi e che dici perché in te vedo le mie radici. Questo secolo ormai alla fine saturo di parassiti senza dignità mi spinge solo ad essere migliore con più volontà. Emanciparmi dall'incubo delle passioni cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male essere un'immagine divina di questa realtà. E ti vengo a cercare perché sto bene con te perché ho bisogno della tua presenza.  | 
        
Postato da: giacabi a 14:41 |
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        senso religioso 
Il senso religioso 
*** 
"
 Nel mio mestiere sono dunque re. In dieci anni ho fatto tutto. Se penso
 alle esitazioni di allora. Nella mia vita sono più disperato e perduto 
di allora. Che cosa ho messo insieme? Niente. Non ho più nulla da desiderare su questa terrà, tranne quella cosa che quindici anni di fallimenti ormai escludono... Scrivo: o Tu, abbi pietà. E poi?” 
Cesare Pavese (1908-1950). Il mestiere di vivere 
Con questo grido di invocazione disperata si chiude il Diario e la vita di Cesare Pavese, morto suicida a 42 anni, nel pieno successo letterario  | 
        
Postato da: giacabi a 06:27 |
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        pavese, senso religioso 
Il senso religioso 
*** 
  I bianchi sbarcano. Il cannone! Bisogna sottomettersi al battesimo, abbigliarsi, lavorare.   
    Ho ricevuto al cuore il colpo di grazia. Ah! io non l’avevo previsto! 
 
 Io non ho mai fatto il male. I giorni mi saranno leggeri, il pentimento
 mi sarà risparmiato. Io non avrò avuto i tormenti dell’anima quasi 
morta al bene, dove risale la luce severa come i ceri funerari. La sorte
 del figlio di famiglia, feretro prematuro coperto di limpide lacrime. 
Senza dubbio la dissolutezza è stupida, il vizio è stupido; bisogna 
gettare il putridume da una parte. Ma l’orologio non sarà arrivato a 
rintoccare che l’ora del puro dolore! Sarò rapito come un bambino, per 
giocare in paradiso nell’oblio di tutta la sventura? 
  
 Presto! vi sono altre vite? - Il sonno nella ricchezza è impossibile. 
La ricchezza è sempre stata bene pubblico. L’amore divino soltanto 
concede le chiavi della scienza. Io vedo che la natura non è che uno 
spettacolo di bontà. Addio chimere, ideali, errori. 
   
 Il canto ragionevole degli angeli si alza dalla nave salvatrice: è 
l’amore divino. - Due amori! io posso morire di amore terrestre, morire 
di devozione. Io ho lasciato anime cui crescerà dentro la pena del mio 
partire! Voi mi eleggete tra i naufraghi, quelli che restano non sono 
miei amici? 
     Salvateli! 
   
 La ragione m’è nata. Il mondo è buono. Io benedirò la vita. Amerò i 
miei fratelli. Non sono più le promesse di bimbo. Né la speranza di 
scappare alla vecchiaia e alla morte. Dio fa la mia forza, e io lodo Dio. 
ARTHUR RIMBAUD UNA STAGIONE ALL’INFERNO 
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Postato da: giacabi a 06:07 |
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        rimbaud, senso religioso 
Il senso religioso 
*** 
" «Di qui potrebbe dedursi che il mondo, la vita in generale si valorizzano unicamente avendo l'animo a un 'altra realtà, oltremondana. Diciamo, avendo l'animo  a Dio. Possibile?»  
(C. Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 1973, p. 273).  
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Postato da: giacabi a 11:59 |
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        pavese, senso religioso 
"Il cieco "  
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Postato da: giacabi a 07:37 |
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        pascoli, senso religioso 
Il  Senso Religioso 
*** 
«Non restava ormai che quel cuore angosciato, avido di vita, ribelle all’ordine mortale del mondo, che lo aveva accompagnato per quarant’anni e continuava a battere con la stessa forza contro il muro che lo separava dal segreto di ogni vita, con la volontà di andare più in là, di andare oltre, e di sapere, sapere prima di morire, sapere finalmente per essere, una sola volta, un solo secondo, ma per sempre» Albert Camus, Il primo uomo, Bompiani  | 
        
Postato da: giacabi a 07:49 |
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        camus, senso religioso 
I  limoni  
*** 
Ascoltami , i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati : bossi ligustri o acanti . Io , per me , amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla : le viuzze che seguono I ciglioni , discendono tra I ciuffi delle canne e mettono negli orti , tra gli alberi dei limoni . Meglio se le gazzarre degli uccelli si spegono inghiottite dall'azzurro : più chiaro si ascolta il sussurro dei rami amici nell'aria che quasi non si muove , e i sensi di quest'odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta . Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra , qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l'odore dei limoni . Vedi , in questi silenzi in cui le cose s'abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura , il punto morto del mondo , l'anello che non tiene , il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità . Lo sguardo frugal d'intorno , la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga quando il giorno più languisce . Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata Divinità Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra soltanto a pezzi , in alto , tra le cimase . La pioggia stanca la terra , di poi ; s'affolta il tedio dell'inverno sulle case , la luce si fa avara – amara l'anima . Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si scrosiano le loro canzoni le trombe d'oro della solarità . 
E.Montale  
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Postato da: giacabi a 07:34 |
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        montale, senso religioso 
IL SENSO RELIGIOSO 
*** 
“non trovar fondo, non trovar mai posa,  
da spazio immenso ad altro spazio immenso; forse, giù giù, via via, sperar... che cosa? La sosta! Il fine! Il termine ultimo! Io, io te, di nebulosa in nebulosa, di cielo in cielo, in vano e sempre, Dio!” 
G.Pascoli  
La vertigine da Nuovi poemetti 
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Postato da: giacabi a 06:37 |
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        pascoli, senso religioso 
FORSE UN MATTINO ANDANDO IN UN’ARIA DI VETRO 
*** 
Forse un mattino andando in un’aria di vetro, 
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco. 
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto 
alberi case colli per l’inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto 
E. Montale Ossi di seppia, 1925 
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Postato da: giacabi a 06:21 |
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        montale, senso religioso 
IL SENSO RELIGIOSO 
*** 
"Il
 credente: Io sono un credente, Signore, afflitto dal dubbio che Dio non
 esista. L'ateo: Io, peggio. Sono un ateo, Signore, afflitto dal dubbio 
che Dio invece esista realmente. E' terribile."  
Achille Campanile (1900-1977)  
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Postato da: giacabi a 16:58 |
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        campanile, senso religioso 
IL SENSO RELIGIOSO 
*** 
"Anche se la salvezza non viene, voglio però esserne degno a ogni momento".  
Kafka, G. Janouch, Colloqui con Kafka, Aldo Martello Editore, Milano 1964, p. 79  
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Postato da: giacabi a 16:54 |
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        kafka, senso religioso 
IL SENSO RELIGIOSO 
*** 
Nulla, Signore, io sono  
Nulla, Signore, io sono  
su questa terra. Nulla è questa terra  
nell'universo. Ed io non so di dove  
vengo, né dove andrò: tenebra fonda  
prima che il tuo voler qui mi chiamasse,  
cieca speranza nella tua clemente 
 misericordia, oltre il traguardo estremo.  
Unica realtà questo mio nulla  
che avanza in solitudine su angusto 
 ponte sospeso fra due sponde ignote:  
e sotto ondeggia e rumoreggia il fiume 
 che non ha foce, e sopra ardon nei cieli 
 parole incomprensibili di stelle.  
Che vuoi da me? Qual dono  
chiedi alla mia miseria, e di qual luce  
folgorerai l'anima mia, nel giorno 
 ch 'ella in Te rivivrà?  
Ma tu giammai  
ti scopri. Ed è nel tuo pensiero occulto  
ch 'io più ti cerco e imploro: è in quest'angoscia 
 di sapere da Te ciò che m'ascondi  
ch 'io fona attingo per amarti -e il mio 
 tormento è grande come il tuo silenzio.  
Ada Negri 
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Postato da: giacabi a 16:29 |
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        negri, senso religioso 
IL SENSO RELIGIOSO 
*** 
 Raf > Collezione Temporanea (1996) >  
Siamo Soli Nell'Immenso Vuoto Che C'è 
*** 
Che vuoto che c'e la vita cos'e? e' una gara senza senso e no siamo soli nell'immenso vuoto che c'e la vita cos'e? agnus dei non ci sarà redenzione per i nostri peccati e non c'e verità che non vada a pezzi siamo pazzi siamo dannati non prendersi mai, ritrovarsi qui distratti e abbandonati quante stelle nei cellophane questa notte avvolgerai? quanti sogni nell'anima come angeli incontrerai? non lo vedi? lo sai ! siamo fragili noi siamo soli nell'immenso vuoto che c'e soli in fondo all'universo senza un perché c'e bisogno di una luce quaggiù non lasciarmi amore almeno tu come me siamo soli nell'immenso vuoto che c'e dove sei? come si fa a resistere in questi momenti? se non c'e chi ci da neanche una certezza una carezza siamo violenti quante stelle hai raccolto gia per il buio che vivrai? nei deserti dell'anima quanti angeli incontrerai? non lo senti, lo sai! siamo fragili noi siamo soli nell'immenso vuoto che c'e condannati a dare un senso al nulla perché c'e bisogno di una luce quaggiù non lasciarmi amore almeno tu come me dammi un segno che non vivo più ne ho bisogno credi! almeno tu siamo soli nell'immenso vuoto che c'e soli in fondo all'universo senza un perché e ho bisogno di una luce quaggiù Non lasciarmi amore almeno tu Dove sei? Siamo soli nell’immenso vuoto che c’è E ho bisogno di te e ho bisogno di te Dove sei? Dove sei? Dove sei? 
Raf > Collezione Temporanea (1996) 
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Postato da: giacabi a 13:44 |
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        senso religioso 
IL SENSO RELIGIOSO 
*** 
Chi che tu sia, che non vedo io, che vedi me, parla dunque: dove sono? Io voglio cansar l'abisso che mi sento ai piedi...  
 di fronte? a tergo? Parlami. Il gorgoglio  n'odo incessante; e d'ogni intorno pare che venga; ed io qui sto, come uno scoglio,  tra un nero immenso fluttuar di mare".  
G. Pascoli, Il cieco, in Poesie  
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Postato da: giacabi a 13:23 |
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        pascoli, senso religioso 
IL SENSO RELIGIOSO 
*** 
Se credi in dio e non esiste un dio 
Se credi in dio e non esiste un dio:  
Se credi in dio e non esiste un dio,  
allora è la tua fede miracolo anche maggiore.  
Allora è davvero qualcosa di incomprensibilmente grande.  
Perché giace una creatura nel fondo delle tenebre 
 ed invoca qualcosa che non esiste?  
Perché così avviene?  
Non c'è nessuno che ode la voce invocante  
nelle tenebre. Ma perché la voce esiste?.  
Par Lagerkvist, "Se credi in dio e non esiste un dio", in Poesie, Guaraldi  | 
        
Postato da: giacabi a 13:11 |
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        senso religioso, lagerkvist 
L’ESSENZA DELL’UOMO: 
RAPPORTO CON L’INFINITO 
*** 
«Il seme è libero, ma soltanto di trasformarsi in albero [il seme di pioppo è libero di trasformarsi in pioppo. Ognuno di noi è libero ma solo di diventare ciò che nella sua originale essenza era già. La nostra originale essenza è la sete di felicità; l'uomo è libero di diventare ciò che nella sua originale essenza era già: sete di felicità]. Gli ostacoli alla naturale crescita si chiamano schiavitù»…. «L'originale essenza dell'uomo è rapporto con l'Infinito».  
            Papini  | 
        
Postato da: giacabi a 12:45 |
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        libertà, papini, senso religioso 
IL SENSO RELIGIOSO 
in Pirandello 
*** 
"Spesso
 la grandezza mia consiste nel sentirmi infinitamente piccolo: ma 
piccola anche per me la terra, e oltre i monti, oltre i mari cerco per me qualche cosa che per forza ha da esserci, altrimenti non mi spiegherei quest'ansia arcana che mi tiene, e che mi fa sospirar le stelle..." 
L. Pirandello  
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Postato da: giacabi a 15:48 |
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        pirandello, senso religioso 
IL SENSO RELIGIOSO 
in  L. Bloy 
Il dolore nostro fratello 
Mi sento indicibilmente solo e so in anticipo 
che non avrò neanche un secondo per precipitarmi 
nell'abisso di luce... 
Ma voglio ancora sperare. 
Attendo ancora Qualcuno. 
Qualcuno di molto povero, molto conosciuto e molto grande. 
Qualcuno deve venire. 
Qualcuno che io sento galoppare sul fondo degli abissi 
deve venire, in modo inaudito. 
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Postato da: giacabi a 16:52 |
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        senso religioso, bloy 
IL GRANDE, PAVESE! 
Ad un passo da Cristo 
*** 
“Tu sei solo, e lo sai. Tu sei nato per vivere sotto le ali di un altro. Non basti da solo e lo sai: un altro di carne e di sangue - una donna, un'amicizia vera - qualcuno (magari Qualcuno). Con cui salire sulle colline e andare oltre e infine, restare.”     
 C. Pavese, Il mestiere di vivere; diario dal 1935 al 1950  
a P.  
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Postato da: giacabi a 13:14 |
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        pavese, senso religioso 
Pirandello e la fede 
*** 
Sipario sul senso religioso 
Intervista a Luigi Pirandello di Giovanni Cavicchioli, «Termini», 1936 
Lo
 vado a trovare all'albergo. Mattiniero, già vestito, pronto per andare 
alla prova: mi ha dato un appuntamento che scombussola un po' le 
abitudini: sveglia, caffè anticipato, piani serali come per una partenza
 di buon mattino: «si gira». 
Eccolo
 davanti a me, il Pirandello vivo, quello che scappa ai suoi 
imbalsamatori, che non gliela perdonano. Ecco la sua voce acre e fredda,
 da diagnostico, da gran medico chiamato al nostro ca-pezzale di 
sedentari, malati di tutte le malattie del sedentarismo. Eppure, nei 
toni più bassi, specialmente quando parla abbassando la voce, per 
entrare nel denso dell'argomento (come nel mondo fisico si abbassa la 
testa per entrare da una porta bassa) la voce si rivela fredda, 
incisiva, a lama di coltello proprio per questa anatomia della nostra 
vita psichica, per recidere tumori e tessuti necrotizzati: una volontà 
religiosa, inflessibilmente religiosa e morale presiede a queste 
anatomie, a queste operazioni d'alta chirurgia. 
- Teatro serio, il mio - dice Pirandello - vuole tutta la partecipazione dell'entità morale uomo. Non è un teatro comodo. 
-
 Sì - confermo - ma capisco che il borghese, non più protetto dalla 
«beata infanzia», e non ancora adulto, non ancora cresciuto al 
«problema» ne rifugga temendo per l'incolumità personale. Il pericolo è 
la dissociazione della personalità quando manchi un forte centro 
unificatore. 
-
 Teatro difficile, diciamo, teatro pericoloso- aggiunge Pirandello. - 
Nietzsche diceva che i Greci alzavano bianche statue contro il nero 
abisso, per nasconderlo. Sono finiti quei tempi. Io le scrollo, invece, 
per rivelarlo. 
«In questo nulla spero di trovare il tutto» dice Faust avventurandosi alla regione inferna delle madri. Per poter scendere in fondo all'abisso ci vuole almeno la speranza di trovarci Elena... Bisogna abituarsi a vedere nel buio. 
-
 Certo è un teatro assolutamente antiborghese, e nello stesso tempo il 
più adatto al borghese per venirci a fare i suoi esercizi spirituali. 
-
 La difficoltà - risponde Pirandello - è tutta nell'esecuzione che 
dovrebbe essere pari alle difficoltà proposte. È la tragedia dell'anima 
moderna. Bisogna farla discendere dal palcoscenico fra questo pubblico. 
L'esecuzione dovrebbe avere appunto un carattere religioso: si tratta di
 un «mistero» moderno. Se l'ese-cuzione fosse come la voglio, come la 
vedo, il pubblico, sono certo, seguirebbe, entrerebbe nel mio giro. 
-
 In tempi d'azione e di rivoluzione questo teatro è teatro di 
rivoluzione e di esecuzioni capitali. In questo senso lo considero 
teatro del mio tempo. La distruzione esige una ricostruzione. Fa tabula 
rasa perché appaiano nuovi valori. - Esso chiama a raccolta perciò, le 
più profonde forze vitali dell'uomo. 
-
 Ma in che senso il suo teatro risponde alle esigenze dell'arte moderna?
 E, anzitutto, a suo parere, quali sono le necessità della nostra epoca,
 in fatto d'arte? 
-
 Non ci sono programmi, non ci possono, non ci devono essere 
preformazioni e imbrigliamenti. L'arte, libera vita dello spirito, deve 
essere assolutamente libera, per manifestare se stessa. Tutto il mio 
teatro riconosce solo una necessità, proprio nel senso greco, una 
duplice contraddittoria necessità primordiale della vita: essa deve 
consistere e nello stesso tempo, fruire. La vita ha pur da consistere in
 qualche cosa se vuole esse-re afferrata. Per consistere le occorre una 
forma, deve darsi una forma. D'altra parte questa forma è la sua morte 
perché l'arresta, I'imprigiona, le toglie il divenire. Il problema è 
questo, per la vita: non restar vittima della forma. E' qui tutto il 
tragico dissidio della storia della libertà. Nietzsche, Weininger, 
Michelstädter vollero far coincidere assolutamente a ogni istante, forma
 e sostanza, e furono spezzati e travolti. 
-
 Questo dissidio era anche alla base della vita spirituale greca: 
Parmenide, filosofo dell'ente immobile, dell'Uno: Eraclito, il 
proclamatore della trasformazione, della instabilità, dell'eterno 
fluire. In lei, forse per le profonde radici della razza, riappaiono le 
due esigenze, ma si unificano e prendono coscienza di sé come 
antagoniste.  
Quale soluzione pone lei al conflitto? 
-
 Questo: non lasciar soffocare dalla forma la vita. Esiste in noi un 
punto fondamentale, un nucleo di sostanza vitale che non può essere 
impunemente chiuso e soffocato. Nei grandi momenti della vita lo 
sentiamo in pericolo e allora lo difendiamo. 
- Il Lazaro - domando - vuole dare una risposta in questo senso? 
- Sì. Nel Lazaro do la risposta più netta al dissidio fondamentale, nel mio teatro, in quanto fatto religioso e sociale. 
Se
 all'uomo non libero togliete la forma, in quanto legame spirituale, 
subito egli ricasca fra le bestie, e il primo atto della sua così detta 
libertà è una fucilata contro un altro uomo, contro l'Adamo nuovo che 
vive in pace con la sua Eva. Il figlio allora si sacrifica, rientra 
nell'ordine, indossa ancora la veste sacerdotale per coloro a cui è 
necessaria. La sua fede razionale conduceva alla rovina, e non era che 
forma essa pure. Cristo è carità, amore. Solo dall'amore che 
comprende, e sa tenere il giusto mezzo fra ordine e anarchia, fra forma e
 vita, è risolto il conflitto. Sono anche lieto che nessuna autorità religiosa abbia trovato da condannare.
 Della mia opera nulla è all'indice. La Civiltà Cattolica ne ha parlato a
 fondo, in tre articoli che formano addirittura un volume, e conviene 
della sua perfetta ortodossia. Voglio dire che uno degli aspetti della 
mia opera è que-sto: perfetta ortodossia in quanto posizione di 
problemi. E tali problemi non comportano che una soluzione cristiana. 
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Postato da: giacabi a 23:32 |
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        pirandello, senso religioso 
Se manca Cristo …. che solitudine! 
*** 
In stracarichi tramvai 
In stracarichi tramvai  
accalcandoci insieme, dimenandoci insieme, insieme barcolliamo. Uguali ci rende una uguale stanchezza. Di quando in quando ci inghiotte il metrò, poi dalla bocca fumosa ci risputa il metrò. Per incerte strade, tra vortici bianchi camminiamo, uomini accanto a uomini. I nostri fiati si mescolano tra loro, si scambiano e si confondono le orme. Dalle tasche tiriamo fuori il tabacco, mugoliamo qualche canzonetta di moda. Urtandoci coi gomiti, diciamo scusa, o non diciamo niente. La neve sbatte contro le facce tranquille. Avare, sorde parole ci scambiamo. E proprio noi, tutti noi, ecco qui, tutti insieme siamo quello che all'estero chiamano Mosca! Noi che qui ce ne andiamo con le nostre borse sotto il braccio, coi nostri pacchetti e fagottelli, siamo coloro che nei cieli scagliano astronavi e sbigottiscono i cuori ed i cervelli. Ognuno per conto suo, attraverso le nostre Sadovye, Lebjazie, Trubnye, secondo un proprio itinerario e senza conoscerci l'un l'altro noi, sfiorandoci l'un l'altro andiamo... 
E. Evtusenko  
"In stracarichi tramvai", in Poesie, Garzanti,  
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Postato da: giacabi a 14:25 |
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        evtusenko, senso religioso 
 Se manca Cristo… che tristezza! 
       ... Ahi, per la via  
Odo non lunge il solitario canto 
Dell'artigian, che riede a tarda notte,  
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;  
E fieramente mi si stringe il core,  
A pensar come tutto al mondo passa, 
E quasi orma non lascia. 
Ecco è fuggito 
Il dì festivo, ed al festivo il giorno  
Volgar succede, e se ne porta il tempo  
Ogni umano accidente.  
Or dov'è il suono  
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido 
De' nostri avi famosi, e il grande impero  
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio  
Che n'andò per la terra e l'oceano?  
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa  
II mondo, e più di lor non si ragiona.  
Nella mia prima età, quando s'aspetta 
Bramosamente il di festivo, or poscia 
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,  
Premea le piume; ed alla tarda notte  
Un canto che s'udia per li sentieri  
Lontanando morire a poco a poco, 
Già similmente mi stringeva il core.. 
Leopardi Da:La sera del dì di festa  
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Postato da: giacabi a 14:02 |
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        leopardi, senso religioso 
 VERITÀ E RAGIONE 
NELLA STORIA 
            
 
Il rifiuto del mistero della vita, del soprannaturale. 
L’idea che il verificabile 
sia la sola realtà e che l’uomo sia autosufficiente. 
A salvarci, semmai, ci penserà la 
scienza. Eccolo, secondo il filosofo cattolico 
Augusto Del Noce (1910-1989), il marchio 
di fabbrica della modernità: un razionalismo 
ateo, vero e proprio dogma che fa da 
sottofondo a tutte le ideologie totalitarie 
del Novecento. Da Cartesio in su, dunque, 
la modernità nasce da un opzione della ragione: 
Dio non c’è, altrimenti l’uomo dipenderebbe 
da qualcosa che non è sè stesso. 
Ma attenzione, ci avverte Del Noce: questo 
ateismo, questo divorzio tra fede e ragione, 
è appunto una scelta aprioristica, un “postulato”, 
non l’inesorabile destino dell’occidente. 
Per il filosofo torinese (d’adozione, 
essendo nato a Pistoia) non si tratta di cancellare 
la modernità e di rifugiarsi nel passato, 
piuttosto è il momento di raccogliere 
la sfida che una certa idea di ragione germogliata 
negli ultimi secoli ci pone. Considerazioni 
di stretta attualità, sviluppate da 
Del Noce trenta, quaranta, cinquant’anni 
fa. Riscoperto già da qualche anno grazie 
al lavoro di una pattuglia di studiosi raccolti 
a Savigliano (Cuneo) dal professor 
Giuseppe Riconda intorno alla Fondazione 
Centro Studi che porta il nome del grande 
filosofo, il pensiero delnociano viene adesso 
condensato in una antologia di scritti appena 
uscita dalla Biblioteca Universale 
Rizzoli nella collana “I libri dello spirito 
cristiano”. Il volume, intitolato “Verità e ragione 
nella storia”, curato da Alberto Mina, 
uno dei massimi specialisti del pensatore 
piemontese, e con l’introduzione dello stesso 
Riconda, contiene una selezione di testi 
tratti da alcune delle opere più importanti 
di Del Noce (“Il problema dell’ateismo” del 
1964; “Il suicidio della rivoluzione” del 
1978) oltre che articoli apparsi su riviste 
specializzate, interventi preparati in occasioni 
di conferenze, interviste. Prima di 
ogni sezione con le riflessioni del grande 
studioso su un determinato argomento, una 
scheda introduttiva redatta da Mina consente 
al lettore di acciuffare gli aspetti essenziali 
del discorso. Tutta la prima parte 
del libro è quindi dedicata alle origini della 
filosofia moderna, all’ambiguità di Cartesio 
dal quale paradossalmente scaturiscono, 
secondo Del Noce, anche quei pensatori 
come Malebranche, Pascal, Vico, 
Gioberti, Rosmini, che rappresentano 
un’alternativa “ontologista” al razionalismo. 
“Perché – scrive Alberto Mina – tutte 
le opere di Del Noce sono da leggersi come 
tasselli di questa faticosa ricostruzione che 
ha lo scopo di riaprire il problema che il 
razionalismo vorrebbe chiudere, proprio in 
merito al mistero dell’essere e della vita 
dell’uomo”. Un’impostazione che legge il 
marxismo, altro grande tema al centro di 
questa antologia, nei termini di una filosofia 
anticristiana che vuole “rifare completamente 
il mondo”. Marx, osservava Del Noce, 
voleva realizzare il rifiuto radicale di 
ogni dipendenza dell’uomo da Dio, ma laddove 
il comunismo si è realizzato ecco verificarsi 
invece la peggiore schiavitù dell’uomo 
sull’altro uomo. “La completa riuscita 
del marxismo – scrive Del Noce – coincide 
col suo completo scacco”. E’ l’“eterogenesi 
dei fini”, una categoria mutuata da Giambattista 
Vico, il rovesciarsi delle speranze 
e delle profezie dei rivoluzionari dell’Ottocento 
nel loro contrario, perché quelle utopie 
distillate in laboratorio, abolendo Dio, 
uccidono l’uomo e il senso della realtà. 
“Del Noce – nota ancora Mina – parla dell’inevitabile 
decomposizione del marxismo 
in decenni di egemonia comunista: il tratto 
profetico che gli è stato riconosciuto deriva 
dall’estrema serietà con la quale ha fatto i 
conti da subito con il marxismo per quello 
che esso è”. Posizioni che gli sono costate 
l’isolamento da parte dell’intellighenzia 
laica, oltre che una certa freddezza del 
mondo cattolico-progressista. Sì, perché dopo 
uno sbandata per il pensiero cattolico 
democratico negli anni Quaranta, il filosofo 
e politologo Del Noce approda ad un giudizio 
poco conciliante nei confronti dei cosiddetti 
“cristiani adulti”. Gratta gratta, è come 
se ci mettesse sull’avviso lo studioso, al 
fondo del catto-comunismo trovi Pelagio, il 
monaco bretone che nei primi secoli cristiani 
arriva a negare il peccato originale, 
sostenendo che l’uomo può salvarsi con le 
sue sole forze. Il “male assoluto”, insiste 
Del Noce, non è il fascismo, ma è questa 
perdita del sacro (dunque della verità dell’umano) 
nella quotidianità della vita, perdita 
di cui fascismo e comunismo sono entrambi 
figli. Il “male” è in questo “separatismo” 
tra vita e opere, grazia e natura, vita 
pubblica e privata, fede e ragione. E i 
cattolici che abitano la storia convinti che 
la sola lettura possibile della vicenda umana 
sia quella dello schema fascismo-antifascismo, 
modernità-reazione, vanno a rimorchio 
di categorie altrui e si condannano all’insignificanza. 
Del Noce, che mai fu fascista 
considerando il movimento di Mussolini 
un momento del percorso verso l’ateismo 
e dunque un errore dentro la cultura 
moderna e non contro di essa, analizza in 
profondità il rapporto tra Giovanni Gentile 
e Antonio Gramsci. Il libro ne dà conto, 
ricordando come entrambi immaginassero 
una “rivoluzione” nella quale la politica 
sostituisse la religione. Ma questa cultura, 
argomenta il filosofo, favorisce l’insorgere 
di una società scientista (“il prodursi dello 
scientismo – scriveva Del Noce – indica 
sempre una crisi della filosofia”), sazia, ma 
omologata. Una società sempre più borghese, 
dalla mentalità radicale, prigioniera 
dei suoi intellettuali dissacratori custodi 
di un nichilismo per il quale “l’umanità 
è considerata come mezzo e non come fine”. 
Del Noce sperimentò la possibilità di 
un’alternativa incontrando negli anni Settanta 
i giovani di Cl. “Occorre una fede – 
annotava – che salva la religione liberandola 
dall’idolatria di se stessa, dal razionalismo”. 
“Una fede – conclude Alberto Mina 
– che continuamente contrasti il tentativo 
di ridurre la ragione e di sterilizzarne 
l’efficacia”. 
 (Mauro Pianta) 
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Postato da: giacabi a 22:13 |
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        comunismo, nichilismo, del noce, senso religioso 
 Lo sguardo umano 
*** 
“Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più.  
E d'un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno - uno sguardo umano - ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”. 
Tarkovskij 
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