È Lui che prende una cosa che è niente e la salva
tratta da 30Giorni:
***
Don Luigi Giussani e Rose Busingye
La
prima volta che ho visto di persona don Giussani era l’estate del 1990.
Ero salita fino a Corvara, ero entrata nell’albergo, e lì c’era un uomo
che stava pregando. Era lui, ma io non lo conoscevo ancora. Siamo
entrati insieme nello stesso ascensore. Lui si è girato e mi ha detto:
ma tu sei Rose! Ci siamo abbracciati forte e a lungo, e l’ascensore
continuava a aprirsi e a chiudersi e nessuno spingeva il bottone per
partire.
A
quel tempo avevo letto un articolo su 30Giorni in cui don Giussani
parlava dei Memores Domini. Diceva che Cristo poteva abbracciare tutti i
momenti e tutti gli aspetti della vita. Allora – avevo pensato io –
anche il mio niente, la mia incapacità, Gesù poteva prenderla e
abbracciarla così come era, se voleva. Mi avevano avvertito che per
entrare nei Memores Domini avrei dovuto fare dieci anni di noviziato.
«Gesù mio, ma quanto tempo ci vuole per stare con Te», pensavo. Quando
don Gius mi ha detto che sarei potuta entrare subito, ho avuto paura.
«Ma sai quanti anni ho? Non so neanche cosa siano questi Memores», gli
ho detto. «Ma tu vuoi bene a Gesù?», mi ha chiesto Giussani. «Beh,
quello sì», ho risposto io. «E vuoi dare la vita?». «Eh, la vita... Io
non ho niente di importante nella vita da dare a Gesù», ho risposto io,
«ma se Lui vuole, voglio che Lui si prenda questo niente». A quel punto
Giussani si è alzato, quasi gridando: «Questa cosa qui, vai fuori e
dilla a tutti, a tutti! Perché tutti pensano di avere qualcosa di
importante da dare a Gesù, e così per tutta la vita è come se
aspettassero la ricompensa. E invece è Lui che prende una cosa che è
niente, e la salva».
Così
era don Gius. Io non bevo vino, e lui, ogni volta: «Bevi il vino, senti
come è buono! Ma lo sai come lo fanno, il vino?». Ti spiegava tutto
sulle viti, la vendemmia, le botti, le cantine, e ti trovavi a bere il
vino… Era così bello mangiare così, che mangiavi e bevevi anche le cose
mai assaggiate.
Don
Gius ti faceva gustare tutto. E non ti parlava di Dio. Non c’era
bisogno di parlare di Dio. Diceva sempre che un bambino non fa fatica a
descrivere come è il papà: sa come fa le boccacce, come fa i muscoli...
Anzi, nemmeno lo descrive. Semplicemente, uno vede il bambino e dice: è
proprio figlio di suo padre! Ha un modo di fare che assomiglia a suo
padre. Giussani diceva che noi non siamo immersi in Cristo, e per questo
moltiplichiamo parole su Cristo, fino alla noia. Invece chi è immerso
in Cristo è cambiato. Uno vede come tocca le cose, come mangia, come
beve, e pensa: ma come mangia! Avrei voglia di mangiare come lui. Di
fare le cose come le fa lui.
Una
volta sono andata da lui e mi ha detto una cosa sulla Madonna. Che è
grazie alla Madonna che capiamo di più come opera l’umanità di Cristo,
che guardava magari un mendicante, o una prostituta, e chiedeva che il
suo destino si compisse. La Madonna ha fatto quello che Dio le aveva
chiesto. E basta. Non è andata in giro a far prediche. Noi non avremmo
fatto così. Se a uno di noi fosse capitato ciò che è capitato a lei,
figùrati, saremmo andati in giro sventolando la bandiera, a dire a
tutti: l’angelo di Dio è venuto a parlarmi! Don Gius mi ha detto:
«Guarda, se davvero ci tieni che le persone si salvino, fai un passo
indietro e chiedi che accada. Perché alla fine puoi solo chiedere a chi
può salvare te, se vuole, che salvi anche chi ti sta a cuore».
Comunque,
quando incontravi don Giussani, la prima cosa di cui ti accorgevi era
che era bello stare con lui. Anche se non capivi niente, questo lo
capivi: ci saresti tornato volentieri, domani, e anche dopodomani.
Quando lo portavano a fare il riposino, lui ripeteva: «Non andar via,
aspettami, ci rivediamo dopo». Io e lui non ci siamo mai salutati.
Finiva sempre così: ci vediamo dopo. Una volta mi ha telefonato. «Non
vieni in Italia?». «Gius, sto qua, a Kampala, non ho in mente di
venire». E lui: «Dai, vieni! Vieni!». Io prendo l’aereo, e passo tutto
il viaggio a chiedermi: chissà cosa deve dirmi. Arrivo lì, saluti, e
lui: «Niente, volevo vederti... ».
Per
le mie amiche del Meeting Point, è come un padre. Hanno chiamato i loro
figli Luigi, non sanno che significa quel nome. Non lo fanno perché è
amico mio: quello che è mio è loro, perciò don Gius è diventato il loro
grande amico. La sua faccia, adesso, la metterebbero su tutti gli alberi
dell’Africa.
Mi manca la sua fisicità. Però adesso vede di cosa abbiamo bisogno, prima ancora che noi ce ne accorgiamo.
grazie ad: anna vercors
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Postato da: giacabi a 20:32 |
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giussani, rose busingye
SENTINELLA DELLA FEDE
***
CHIESA
MONSIGNOR MASSIMO CAMISASCA RICORDA "DON GIUS" Nel quarto anniversario della morte di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione, la biografia scritta da chi l'ha avuto professore e gli è stato amico per 45 anni.
È più che mai vivo nel ricordo di monsignor Massimo Camisasca – autore del libro Don Giussani. La sua esperienza dell'uomo e di Dio (San Paolo, 14 euro)
– il ricordo del fondatore di Comunione e liberazione, l’amico
carissimo venuto a mancare il 22 febbraio 2005. Così come riecheggiano
ancora oggi con particolare vibrazione le parole pronunciate dall’allora
cardinale Joseph Ratzinger, durante l’omelia funebre nel duomo di
Milano.
«Il
libro nasce dalla necessità di rispondere alle domande che sento
dentro. Chi è stato per me don Giussani? Che cosa ho ricevuto da lui? E
nasce anche dal desiderio di fare incontrare don Luigi Giussani a chi
non lo conosce».
«L’uomo
e Dio sono stati i due fuochi dell’esperienza di don Giussani, prima
ancora che della sua riflessione. Da una parte l’infinito, il mistero e,
infine, il Verbo che si è fatto carne; dall’altra l’uomo, quasi un
nulla, ma nello stesso tempo "superiore agli angeli", abitato
dall’infinito. Tutto il pensiero e tutta l’esperienza di don Giussani
sono interamente segnati dalla realtà dell’Incarnazione».
«Ho
incontrato don Luigi Giussani nella mia adolescenza, a Milano, tra i
banchi del liceo Berchet. Posso dire con assoluta certezza che è stato
il maestro della mia vita, colui che mi ha insegnato a vivere ogni
istante come incontro e come conoscenza sempre nuova».
«Le
parole del cardinale Ratzinger descrivono bene la vita di don Giussani:
egli, attraverso il dono della sua parola, si è speso interamente in
centinaia di incontri, nell’educazione di migliaia e migliaia di
persone. Giussani era segnato ogni giorno dal desiderio di correre, di
parlare, vedere, comunicare. Un fuoco lo animava, quel fuoco che si era
acceso in lui molto presto, quando aveva sperimentato che ciò che l’uomo
attende è una presenza ragionevole e amante».
«Don
Giussani ha lottato per fare uscire il cristianesimo dal moralismo e
dall’intellettualismo: facendoci incontrare la musica, l’arte, la
letteratura ci ha mostrato che tutto è voce di Cristo, tutto parte da
lui e porta a lui. Ha dato all’avventura della nostra esistenza un
colore affascinante, fatto di continue scoperte e di una pienezza
affettiva».
«Penso
sia stata una delle esperienze più dure e drammatiche della sua lunga
esistenza. Non ne parlava mai: questo mi ha rivelato quanto per lui
fosse doloroso non essere stato capito proprio da coloro che riteneva i
suoi padri. Certamente il riconoscimento di Giovanni Paolo II ha
manifestato l’accoglienza della Chiesa nei confronti della sua opera e
il riconoscimento della sua profonda dedizione».
«Perché,
già dagli anni Cinquanta, aveva colto la sclerotizzazione di tanti
ambienti cattolici, la loro difficoltà di parlare all’uomo moderno e, in
positivo, la necessità di rimettersi in ascolto dei giovani,
riproponendo loro la fede di sempre con un accento nuovo, più attento
alle loro esigenze e alle loro attese. Ma soprattutto perché nutriva una
grande fiducia nel fatto che, seguendo Cristo, si incontra veramente la
strada per rivelare l’uomo a sé stesso».
«Da
un lato, la recente udienza del Santo Padre concessa a don Julián
Carrón, la sua presenza agli ultimi due Sinodi dei vescovi come Padre
sinodale, il grande incontro del Movimento da lui guidato con il Santo
Padre, il 23 marzo 2007; dall’altro, la presenza di migliaia di ciellini
nei consigli pastorali, nelle opere caritative, catechetiche e
liturgiche delle parrocchie italiane e degli altri Paesi in cui Cl è
presente. Questi due elementi stanno a dimostrare una collaborazione
ecclesiale, che spero possa diventare sempre più feconda».
«Ho
dedicato molto spazio nel libro a questo tema. Il carisma educativo è
stato certamente un punto di vista riassuntivo della vita di don
Giussani, che ha definito l’educazione, riprendendo una formula del
grande liturgista austriaco Josef Andreas Jungmann, "introduzione alla
realtà totale". Oggi, c’è bisogno più che mai di "introdurre" le nuove
generazioni alla realtà. Abituati spesso a un rapporto virtuale con le
cose, essi hanno bisogno di qualcuno che li educhi a vedere, a toccare, a
gustare ciò che è reale e vivo, a incontrare sé stessi, aprendosi così,
nell’incontro con i fatti, a quella voce che risuona in ciascuno di
loro, a quella presenza che li ha originati e li guida. L’incontro con
Dio è una grazia. L’incontro con le cose e gli avvenimenti della vita
sono il primo manifestarsi di questa grazia».
«C’è
sempre stato in lui un fuoco, si vedeva nei suoi occhi, nelle sue mani,
ma soprattutto nelle sue parole, nel tono della sua voce. Da quando
aveva scoperto e accolto nella sua vita Gesù Cristo, per lui nulla fu
più banale. Questa è la cosa che più mi ha impressionato in don
Giussani: egli non viveva mai un istante senza dargli peso. Anche la
continua ricerca di una creatività nel linguaggio esprimeva questa
personale tensione a vivere il peso reale delle cose e delle ore della
vita».
«Don
Giussani ha sentito sempre il cattolicesimo come un evento ecumenico.
Cattolico, infatti, è una parola che in greco vuol dire "secondo la
totalità". Non solo nel senso inclusivo, dentro la Chiesa, ma proprio
anche come spinta a incontrare tutto e a trattenere il valore secondo le
parole di san Paolo: "vagliate ogni cosa e trattenete ciò che vale"».
«Sono
anni segnati dalla malattia. Ma non l’ho mai sentito lamentarsi.
Certamente si sarà chiesto: "perché, Signore, mi mandi questa prova?". E
sono altrettanto certo che egli abbia accettato tutto considerandolo
come parte privilegiata della sua missione».
«Giussani
ci ha educati per tutta la vita a guardare a Cristo attraverso lo
sguardo di Maria, soprattutto nei giorni della Settimana santa. Penso
alle sue parole di introduzione all’Angelus in centinaia di incontri, all’ascolto dello Stabat Mater di
Pergolesi, a certi brani di Charles Peguy e, più in generale, allo
sguardo meditativo di Giussani, che seguiva quello della Madonna. Negli
ultimi anni la figura di Maria è diventata per lui un tema che tornava
continuamente. Lo era nelle sue parole e, prima ancora, nella sua
meditazione. Soprattutto il canto XXXIII del Paradiso di Dante, con
l’Inno alla Vergine di san Bernardo. In Maria, Giussani ha visto la
profezia della grandezza possibile a ogni uomo e donna, nel suo "sì", la
strada per la fecondità di ogni nostra obbedienza».
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Postato da: giacabi a 16:07 |
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giussani
Giussani è vivo ed è vivo se seguiamo radicalmente Carròn
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Da: padre Aldo TRENTO
Data: Sat, 21 Feb 2009 09:56:07 -0300
Oggetto: lettera 22/02/200
Cari amici,
“non ci ardeva il cuore mentre lungo il cammino parlavamo con lui?”
Si domandavano i due discepoli di Emmaus. Ebbene, alla fine di questi
giorni passati in compagnia di Carron, durante l’incontro responsabili
dell’America Latina a S. Paolo e il commovente incontro allo stadio con 15000 amici guidati dai miei carissimi amici, gli Zerbini, è quanto vibra dentro di me.
Ho rivisto vivo, palpitante, fisicamente presente, don Giussani.
Guardando
Carròn, ascoltandolo, lasciandomi provocare dall’intensità della sua
umiltà che ci conduce sempre a quello che Giussani definisce “il
criterio oggettivo, infallibile per giudicare tutto, il cuore” era
evidente che Giussani stava lì. Che bello: per me Giussani non è morto,
anzi, direi che in Carròn è più vivo di prima. Ed è il mio cuore a
dirmelo, perché ero commosso nel seguirlo, era come quel primo giorno
che avevo incontrato Giussani in via Martinengo, era come quando 20 anni
fa mi ha tenuto con sé due mesi: la stessa intensità di sguardo, una
capacità impressionante di parlare al mio io. Davvero nei miei 62 anni
solo Giussani ed ora Carròn hanno saputo e sono capaci di parlare così
al mio cuore.
Uno spettacolo che, avvicinandosi l’anniversario della morte di Giussani, mi fa gridare: Giussani
è vivo, più vivo di prima perché adesso quelle parole che avevano
soffocato il mio cuore, salvandomi dall’ideologia, hanno in me uno
spessore impensabile allora. Allora sentivo la verità della promessa,
oggi vedo il lento, inesorabile, progressivo compimento.
Amici, che razza di uomo questo amico e padre Carròn!
E
come vorrei che con l’intelligenza dei “piccoli”, con la semplicità dei
bambini ci potessimo immedesimare con lui, con quanto ci indica. Ho
visto in lui il Giovanni Battista: un uomo che rimanda ad altro, ci
indica quei segni inconfondibili del Mistero che sono fra noi. Sono
tornato commosso, come ai primi giorni del mio incontro con il Giuss,
fino al punto di chiedere ai miei ammalati terminali questa mattina:
“amici, da oggi in avanti offriamo
i nostri dolori ed anche il sacrificio della nostra vita per questo
uomo che davvero è la garanzia per ognuno che quell’abbraccio del Giuss
mediante il quale Dio ha cambiato la mia vita, segua vivo”.
Come
vorrei che quanti hanno la grazia di ascoltarlo di frequente o vivergli
al fianco vibrassero come vibra il mio cuore da quando due anni fa l’ho
conosciuto prendendo sul serio la sua instancabile ripetizione: “io
sono Tu che mi fai” o quella del vangelo “anche i capelli del vostro
capo sono contati”. È proprio da quel giorno che è sbocciata anche la
grande amicizia con gli Zerbini, un’amicizia piena di chiarezza, di
tenerezza che ha spinto loro a venire ben due volte a visitarci e a P.
Paolino con 4 ragazzini fare 50 ore di corriera per partecipare al
grande gesto di domenica scorsa allo stadio.
Amici,
uno spettacolo di fede che, credo solo nel Medio Evo era possibile
vedere, quando un re aderiva alla fede, tutti aderivano, così come
erano, grandi peccatori.
Davvero ho rivisto il cuore del Movimento, della libertà. Dopo
anni di stanchezza, di rischio di vivere di ricordi, oggi a 62 anni
comprendo, vedo che Giussani è vivo ed è vivo se seguiamo radicalmente
Carròn, assimilandoci con il suo modo di vivere Giussani. La paternità
umana di quest’uomo, che ha come centro l’io, la realtà, il cuore umano,
commuove e sconvolge tutti. Come è successo venerdì
mattina quando con gli Zerbini ho incontrato il cardinale di S. Paolo e
alcuni fra i più importanti Rettori universitari della città.
Amici,
volevo solo “festeggiare” con voi la certezza che Giussani vive e che
quanti seguono con intelligenza Carròn toccano con mano questa verità:
siamo più felici, più contenti. Mentre chi vive di nostalgia è triste.
Un abbraccio
P.Aldo
grazie a: http://ceccus.blogspot.com/
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Postato da: giacabi a 20:39 |
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giussani, carron, padre trento
GIUSSANI/
Socci: quello sguardo è ancora presente
Antonio Socci ***lunedì 23 febbraio 2009
Spesso ai miei figli ho desiderato parlare degli occhi di don Giussani. Del suo sguardo. Perché gli amici di Gesù finiscono per somigliargli, per avere lo stesso cuore e lo stesso sguardo.
Noi abbiamo potuto accorgercene. La nostra generazione ha avuto questa
sfacciata fortuna. Questa Grazia. Noi che abbiamo potuto ascoltare don
Giussani, conoscerlo, parlarci. Guardarlo parlare. Noi che ci siamo
sentiti guardare, uno per uno, ognuno – anche fra altri diecimila – in
una maniera esclusiva, che abbracciava la mia anima, la tua anima. Con
una stima indomabile in noi che stava insieme a una infinita
misericordia. Il suo
sguardo diceva a ciascuno di noi: “io sono con te!”. Era veramente con
me, più di me stesso. Mi avrebbe difeso contro il mondo intero. Anzi, mi
ha difeso contro il mondo intero. Ha scommesso su di me anche dopo
mille miei errori. Mi ha abbracciato dopo mille cadute. (E come
lui anche i suoi figli, i miei fratelli, lo fanno). Questo è quello che
si percepiva. E che abbiamo visto con i nostri occhi. E che continua ad
accadere.
E pensando al suo sguardo e al suo volto mi viene in mente quando
raccontava certi episodi del Vangelo. Li avevi letti tante volte, li
avevi sentiti una miriade di volte, ma con lui succedeva una cosa
strana: li faceva accadere. Lì, davanti ai tuoi occhi. Ti
sembrava di vederli, ti sembrava di sentirli per la prima volta. Ti
sembrava che lui li avesse visti. Che lui ci fosse quel giorno con Gesù.
Viene in mente, pensando a don Giussani, ciò che Hauviette – nel “Mistero della carità” di Péguy – diceva a Giovanna d’Arco: «Tu
vedi. Tu vedi. Quello che sappiamo, noi altri, tu lo vedi. Quello che
c’insegnano, a noi altri, tu lo vedi. Il catechismo, tutto il
catechismo, e la chiesa, e la messa, tu non lo sai, tu lo vedi, e la tua
preghiera non la dici, non la dici soltanto, tu la vedi. Per te non ci
sono settimane. E non ci sono giorni. Non ci sono giorni nella
settimana; e non ore nella giornata. Tutte le ore per te suonano come la
campana dell’Angelus. Tutti i giorni sono domeniche e più che domeniche
e le domeniche più che domeniche».
La
generazione dei nostri figli non ha visto lo sguardo che ha incantato e
fatto fiorire la nostra giovinezza. Io mi sono sentito dire: “beati
voi”. E’ vero. Beati.
Anche la Giovanna d’Arco di Péguy, pensando a coloro che poterono vedere Gesù, dice così: «Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi». E dice ancora: «Voi
avete visto il colore dei suoi occhi; avete udito il suono delle sue
parole. Voi avete udito il suono stesso della sua voce. Come dei
fratelli minori vi siete rifugiati nel calore, nel tepore del suo
sguardo. Vi siete riparati, vi siete messi al coperto al riparo della
bontà del suo sguardo. Di voi stessi ebbe pietà davanti a quella folla.
Gesù, Gesù, ci sarai mai così presente».
“Egli
è qui”, così Madre Garvaise risponde a questo grido di Giovanna. E
anche attraverso il volto dei santi Gesù raggiunge ogni generazione. Nei
secoli. Attraverso
lo sguardo, il volto, la voce di don Giussani ci ha raggiunto lo
sguardo, il volto, la voce di Gesù. E si vive per questo. Per vedere
ogni giorno, di nuovo, il suo sguardo che “ebbe pietà di noi”. Per
risentirlo parlare e accadere. Oggi proprio come allora. Come don Gius ripeteva sempre, con le parole di Moelher: «Io credo che non potrei più vivere se non lo sentissi più parlare».
Ma “Egli è qui”. da: .ilsussidiario.net/
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Postato da: giacabi a 20:03 |
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socci, giussani
Se la realtà non aderisce alla fede …
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« Se la realtà non aderisce alla fede,si alterano tutti i termini dei i rapporti .L'esempio che sempre bisogna fare e quello dell'affezione tra l'uomo e la donna, perche questo e l'esempio che Dio ha messo per primo nel mondo. Si altera il rapporto tra l'uomo e la donna: diventa egoismo invece che amore, negazione invece che affermazione, fragilità rinsecchita invece che creatività feconda, chiusura invece che apertura. Invece che spalancare le braccia ad abbracciare il mondo, si vuole ridurre l'abbraccio all'oggetto che piace, che ci e davanti, e così uno lancia le braccia -secondo il paragone dell' Eneide -e stringe il nulla, abbraccia e stringe il niente..»
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 08:59 |
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fede, reale, giussani
L a fede
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« La
novità nel mondo e la possibilità di un incontro nel quale l'uomo
percepisce che esiste la risposta al suo cuore, alle esigenze del suo
cuore. Questa risposta -che esiste, cioè, che il cuore desidera -influisce già sul presente, e già nel presente.
Quando Giovanni e Andrea hanno trovato Cristo, non capivano l'aldilà, cosa volesse dire il paradiso, ma avevano lì qualche cosa che era come un paradiso, un pezzo di paradiso: era un pezzo di qualcosa d' Altro. C'è già, è un presente. Perciò la
fede è accogliere, riconoscere un presente, riconoscere che già nel
presente inizia qualcosa che ci aspetta oltre tutto: già nel presente
esiste qualcosa che appartiene al destino, che ha la forma del destino. Ecco, questa è la parola più bella: l'incontro con un presente nella cui forma esiste già il destino.».
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 07:28 |
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fede, giussani
L’avvenimento di Cristo diventa presente “ora” in un fenomeno di umanità diversa
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Il movimento è il dilatarsi di un avvenimento, dell’avvenimento di Cristo. Ma come si dilata tale avvenimento? Qual è, cioè, il fenomeno iniziale, originale, per cui della gente rimane colpita e attratta e si coagula? È una catechesi - quello che noi chiamiamo “Scuola di comunità” -? No, ogni catechesi viene dopo, è strumento di sviluppo di qualcosa che viene prima.
La modalità con cui il movimento - l’avvenimento cristiano - diventa presente è l’imbattersi in una diversità umana, in una realtà umana diversa, che ci colpisce e ci attrae perché - sotterraneamente, confusamente, oppure chiaramente - corrisponde a un’attesa costitutiva del nostro essere, alle esigenze originali del cuore umano. L’avvenimento di Cristo diventa presente “ora” in un fenomeno di umanità diversa: un uomo vi si imbatte e vi sorprende un presentimento nuovo di vita, qualcosa che aumenta la sua possibilità di certezza, di positività, di speranza e di utilità nel vivere e lo muove a seguire. Gesù Cristo, quell’uomo di duemila anni fa, si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l’aspetto di una umanità diversa. L’incontro, l’impatto, è con una umanità diversa, che ci colpisce perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce lo aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove. La diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente nella maggior corrispondenza, nell’impensabile e impensata maggiore corrispondenza di questa umanità in cui ci imbattiamo alle esigenze del cuore - alle esigenze della ragione -. Quest’imbattersi della persona in una diversità umana è qualcosa di semplicissimo, di assolutamente elementare, che viene prima di tutto, di ogni catechesi, riflessione e sviluppo: è qualcosa che non ha bisogno di essere spiegato, ma solo di essere visto, intercettato, che suscita uno stupore, desta una emozione, costituisce un richiamo, muove a seguire, in forza della sua corrispondenza all’attesa strutturale del cuore. «Poiché in realtà - come dice il cardinal Ratzinger - noi possiamo riconoscere solo ciò per cui si dà in noi una corrispondenza» (Il Sabato, 30.1.93). È nella corrispondenza il criterio del vero.
Don Giussani da: www.tracce.it di nov.08
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Postato da: giacabi a 15:02 |
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giussani
La povertà di spirito
***
“La
vita si gioca tutta nella grande alternativa che quell'Uomo ha posto
per tutti i tempi, fino all'ultimo: "Qual vantaggio avrà l'uomo se
guadagnerà il mondo intero e poi perderà se stesso? O che darà l'uomo in
cambio di sé?". Per coloro che incontravano Gesù lungo le strade
polverose della Palestina, così come per noi che ne sentiamo l'annuncio
duemila anni dopo, l'alternativa ha come forma l'atteggiamento descritto
in due opere poetiche di Karol Wojtyla: "Io
t'invoco e Ti cerco, Uomo - in cui /la storia umana può trovare il suo
Corpo. /Mi muovo incontro a Te, non dico "Vieni" /semplicemente dico:
"Sii"" (Pietra di luce).
L'altro brano descrive la figura opposta a Cristo, al povero di
spirito; questa è l'immagine del rivoluzionario o, se vogliamo, del fariseo evangelico: "Il
peggio è che vogliono convincervi che tutto ciò che avete non vi spetta
di diritto, ma vi è dato per grazia. Non state ad aspettare la carità!
La carità vi umilia. Voi non ne avete bisogno. Dovete capire che tutto
vi appartiene assolutamente.
Niente per grazia. Volevo dimostrarvi che si pensa a voi. Si lotta per i vostri diritti. Occorre soltanto la vostra ira" (Fratello del nostro Dio).
Quello
indicato dal Papa è veramente l'aut-aut culturale radicale per il quale
passa la sottile lama della libertà, la quale, nel suo livello
crepuscolare, esprime una posizione di fronte al reale - di apertura
originale o di chiusura preconcetta -, che le permette di percepire
l'accento del Vero nella presenza e nell'annuncio di Cristo o di
rimanere sorda e ribelle agli echi delle Sue parole.
Sotto questo aspetto è impressionante per me un brano di Kafka: "Non sono solo perché ho ricevuto una lettera d'amore, eppure sono solo perché non ho risposto con amore". Questa è la descrizione della situazione dell'uomo contemporaneo verso Dio, cioè verso Cristo. Per rispondere con amore occorre povertà di spirito; Per
rispondere con amore occorre povertà di spirito; la pagina più
emblematica, da questo punto di vista, è nel Santo Evangelo: "E, detto
questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". Il morto uscì, con i
piedi e le mani avvolti di bende, e il volto coperto da un sudario.
Gesù disse loro: "Scioglietelo e lasciatelo andare". Molti dei giudei
che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto,
credettero in Lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto.
Allora i farisei dicevano: "Che facciamo? Se lo lasciamo fare così,
tutti crederanno in Lui"… Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo"
(Gv 11,43ss). Qui
sta il dramma della libertà. Anche noi non possiamo evitare
l'alternativa tale e quale, perché il segno e l'accento della Sua verità
giungono anche al nostro cuore e alla nostra coscienza, qui e ora,
attraverso la testimonianza viva di uomini che nella loro carne Lo
riconoscono.”
Don Giussani da: Il Giornale del Pellegrino, n.1, 24 dicembre 1999
grazie a: http://www.sensoreligioso.it/
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Postato da: giacabi a 10:32 |
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kafka, giussani, giovanni paoloii
La fede
***
É un fenomeno di conoscenza. Se e un fenomeno di conoscenza implica la ragione: non «si riduce», ma la implica.
Perciò un fenomeno di conoscenza che implica la ragione è un fenomeno di conoscenza di ciò che c'è, della realtà.
E siccome quello che dice la fede, nella realtà che la nostra ragione
misura e capisce, non c’è -e infatti noi abbiamo detto che la fede è una conoscenza di una realtà che è al di la, di una realtà che e più di quello che la ragione conosce -, come fai ad ammetterlo, questo più di quello che la ragione conosce? Perché soltanto di fronte all'ipotesi, all'annuncio, all'intuizione di questo più, il cuore sente la risposta a quello che è. Così la fede e la cosa più razionale che ci sia, perche compie la ragione, vale a dire, risponde finalmente a ciò che il cuore desidera, indica l'esistenza della realtà che compie ciò che il cuore desidera.
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 09:12 |
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fede, giussani
Un movimento nasce proprio con il ridestarsi della persona
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«Voi non avete patria, perché voi siete inassimilabili a questa società».
Come ci piacerebbe essere degni di queste parole che Giovanni Paolo II
rivolse a don Giussani, durante un'udienza privata nell'estate del 1982!
In realtà, queste parole esprimono la situazione in cui viene a trovarsi qualsiasi cristiano, se vive il cristianesimo secondo la sua vera natura. Così lesse don Giussani le parole del Papa: «Non ha patria da nessuna parte nella società di oggi colui che riconosce la presenza di Cristo – una presenza diversa da tutte le altre – nella propria vita, nella trama dei propri rapporti, nella società in cui vive . Fino a quando il cristianesimo è sostenere dialetticamente e anche praticamente valori cristiani, esso trova spazio e accoglienza dovunque. Ma là dove il cristiano è l'uomo che annuncia nella realtà umana, storica, la presenza permanente di Dio fatto Uno tra noi, oggetto di esperienza la presenza di Cristo centro del modo di vedere, di concepire e di affrontare la vita, senso di ogni azione, sorgente di tutta l'attività dell'uomo intero, vale a dire dell'attività culturale dell'uomo, questo uomo non ha patria» . Dal 1982 sono successe tante cose, che ci consentono di capire quanto fosse profetica l'osservazione del Papa. Come cristiani siamo sempre più senza patria. Questa è la bellezza della sfida che abbiamo davanti, se non fosse allo stesso tempo tragica: «L'epoca moderna, anzi, l'epoca contemporanea è la documentazione tragica di ciò cui l'uomo arriva nella pretesa di autonomia: la pretesa di farsi da sé, di realizzarsi da sé, di crearsi da sé, di decidere da sé, di avere sé come centro. Questa pretesa porta alla dissoluzione, alla perdita della libertà come originalità di giudizio sulla vita: si diventa alienati nell'opinione comune, nella cultura, nelle opinioni indotte dalla cultura dominante» Etica o sentimentalismo: ecco le due interpretazioni riduttive del cristianesimo, operate dall'uomo moderno, lungo una strada che ha reso sempre più astratto Cristo. E ha lasciato l'uomo da solo. La conseguenza non si è fatta aspettare: concependosi come autonomo, sganciato dal rapporto con l'Infinito, l'io diventa preda del potere: «La persona individualista è il fascio dei suoi fatti. L'individualista non ha consistenza personale, è un fascio di reazioni. Invece un fatto veicola una funzione, un riferimento a un ordine più grande: è questo che dà il senso della sua consistenza. Un fatto, una reazione, appartiene a qualcosa di più grande \. Per questo la lotta di oggi – culturale – è fra due concezioni dell'uomo, fra l'uomo che appartiene a qualcosa di più grande, oppure che appartiene a se stesso. Ma dov'è il veleno che sta in coda a tutta questa situazione? Che l'uomo che appartiene a se stesso è una manciata di polvere in cui ogni grano è staccato dall'altro e perciò può essere utilizzabile facilmente dal potere». Venticinque anni dopo vediamo tutta la verità di questo giudizio. Anche noi ci troviamo immersi in questa lotta. Perciò la domanda più stringente è come venirne fuori vincitori. O, detto con altre parole: come possiamo vivere da cristiani, inassimilabili a questa situazione? Per don Giussani è chiaro qual è il primo passo da compiere: «L'uomo ritorna a essere se stesso quando ritorna a essere mendicante, a mendicare il suo traguardo, il suo destino, come un bambino che mendica la presenza della madre». Solo così ciascuno di noi potrà capire la portata di Cristo nella propria vita. Parlando agli universitari nell'estate del 1982, don Giussani la descrive così: «Cristo è una risposta all'uomo», ma «una risposta è capita solo nella misura in cui uno sente la domanda addosso a sé. E se Cristo è il Redentore, è perché io sono un poveraccio, un povero». E più avanti augura ai suoi giovani amici che abbiano «a covare la percezione della Presenza che è risposta al vuoto che si ha addosso, a quello che non si è ancora». Si capisce così qual è il nostro vero bisogno per potere vivere da cristiani senza patria: «Vivere l'urgenza personale di Cristo nella nostra vita, vivere l'incombenza di questa Presenza sulla nostra vita». La conseguenza che si prospetta non può essere più entusiasmante per chi vuole vivere il cristianesimo di fronte a tutto e tutti: «Centrare questo punto stabilisce una iniziale libertà, rappresenta un punto fermo al di là di tutto, consente una stabilità umana indipendente dalle circostanze, e perciò finalmente la libertà, finalmente l'autonomia che è propria della personalità» . Non smetto mai di stupirmi di come don Giussani continua ad accompagnarci, sgomberando il campo dagli equivoci e mettendo davanti ai nostri occhi il vero compito: «Abbiamo riconosciuto stamattina che mai il movimento è stato così attivo, mai le comunità sono state così in attività e anche così presenti. Il progetto del movimento va! Allora, il momento che stiamo attraversando ci obbliga a sgomberare la nostra attesa o pretesa di una implicazione progettuale. Questa volta non possiamo parlare di cose da fare, ma di un atteggiamento che la storia oramai esige. La differenza è che l'atteggiamento è un problema della tua persona. Il punto non è dunque la proposta di sviluppo di un discorso né la proposta di cose da realizzare. Se il movimento non è un'avventura per sé e non è il fenomeno d'un allargarsi del cuore, allora diventa il partito, che può essere sovraccarico di progetti, ma nel quale la singola persona è destinata a rimanere sempre più tragicamente sola e individualisticamente definita». da:prefazione di Julián Carrón al libro di don Luigi Giussani Uomini senza patria, Bur |
Postato da: giacabi a 15:31 |
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giussani, carron
San Giuseppe
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«San Giuseppe è la più bella figura d’uomo concepibile e che il cristianesimo ha realizzato. San Giuseppe era un uomo come tutti gli altri, aveva il peccato originale come me. […] San Giuseppe ha vissuto come tutti: non c’è una parola sua, non c’è niente, niente: più povera di così una figura non può essere».
Giussani:L’attrattiva Gesù, Rizzoli, Milano 1999, pp. 95-96
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Postato da: giacabi a 14:42 |
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santi, giussani
Buon Natale a tutti!
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Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui. La novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non é un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos - presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14)… Il fatto è ragionevole. Certamente
occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre
l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio.
– Benedetto XVI –
L’avvenimento
di Cristo diventa presente ora in un fenomeno di umanità diversa: un
uomo vi si imbatte e vi sorprende un presentimento nuovo di vita,
qualcosa che aumenta la sua possibilità di certezza, di positività, di
speranza e di utilità nel vivere e lo muove a seguire. Gesù Cristo, quell’uomo di duemila anni fa, si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l’aspetto di un’umanità diversa. L’incontro, l’impatto è con un’umanità diversa, che ci
colpisce perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di
qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce
lo aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è
reperibile altrove.
– Luigi Giussani –
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Postato da: giacabi a 22:15 |
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canti, benedettoxvi, giussani
La bellezza del gusto
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«Tutte
le cose che possiamo vedere, toccare e percepire con il gusto sono
state create da Lui. Ed Egli le ha viste tutte in qualche modo
indispensabili per l"uomo».
Hildegard von Bingen
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«Dopo la poesia e la musica, la bellezza sugli uomini si esercita attraverso il cibo e il vino».
don Luigi Giussani
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Postato da: giacabi a 11:44 |
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bellezza, giussani
Seguire
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“Seguire vuol dire guardare uno che ti sta davanti. Qual’è la prima caratteristica, la caratteristica fondamentale di quello che vi sta davanti?
Quello che vi sta davanti è la faccia di ciò che avete incontrato e che
per primo vi ha dato una spinta, vi ha dato un'idea, una voglia. Dal
punta di vista esteriore è stato qualcuno, è stato l'incontro con uno (con un campagno, con un prete...) o con alcuni in un contesto (in una chiesa, in una strada, in classe a scuola, al lavoro) che vi ha fatto dire, senza che voi ci pensaste: «Come e diverso questo qui!». Vi ha fatto notare una diversità, una diversità umana che aveva come caratteristica quella di corrispondere più acutamente, più profondamente al cuore nella sua semplicità; una diversità umana, una diversità nel vivere l'umano che voi avete accusato confusamente, più o meno confusamente, ma avete accusato in quanto il modo di vivere di quello lì o di quelli lì corrispondeva
all'esigenza del vostro cuore in un modo diverso dal solita.
Comprendeva, cioè, un ideale, suscitava o provocava un'immagine ideale
che normalmente il modo con cui gli altri vivevano non aveva mai
suscitato.
Più
particolarmente, c'era una caratteristica su cui voi non vi siete
fermati a riflettere, ma su cui adesso dovete fermarvi a riflettere:
quell'uomo, quella gente, quei compagni... quella
diversità innanzitutto implicava una serietà del vivere. La vita per
quello lì era una cosa seria, implicava una serietà del vivere, che
portava dietro di sè un gusto del vivere, una volontà di fare, una
utilità nei rapporti, una bontà.”
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 14:45 |
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giussani
L’opposto di una compagnia
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L’opposto di una compagnia che nasca così è un egoismo pieno di illusioni, un' egoistica illusione, un' egocentrica illusione, vale a dire quella posizione che cerca sollievo nei propri pensieri, che è contro la ragione. Perchè cercare la soddisfazione nei propri pensieri e contro la ragione? Perchè la ragione è coscienza della realtà, non dei tuoi pensieri avulsi da un riferimento all’ideale. È coscienza di una realta! La ragione ti fa intuire la presenza dell'ideale e perseguire l'ideale. L’alternativa all'ideale, seguire i tuoi pensieri, si chiama sogno. L’ideale è la realtà che tu conquisti pezzo per pezza, passo per passo; mentre il sogno svanisce, muta e svanisce da un giorno con l'altro.
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 09:50 |
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chiesa, giussani
Sabato 29 novembre
Giornata Nazionale della Colletta Alimentare
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Sabato 29 novembre 2008 si svolgerà la dodicesima edizione della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare. |
Postato da: giacabi a 20:40 |
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giussani
L’ideologia
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«L’ideologia è la costruzione teorico-pratica sviluppata su un preconcetto. Più precisamente è
una costruzione teorico-pratica, basata su un aspetto della realtà,
anche vero, ma preso in qualche modo unilateralmente e tendenzialmente
assolutizzato per una filosofia o un progetto politico. L’ideologia è costruita su uno spunto che l’esperienza offre, così che l’esperienza stessa è presa come pretesto per una operazione determinata da preoccupazioni estranee o esorbitanti»
L. Giussani, Il senso religioso, Rizzoli, Milano 1997, p. 131..
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Postato da: giacabi a 14:19 |
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ideologia, giussani
L’amicizia
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"Perchè siamo cosi diventati amici, noi che non ci conoscevamo? Perché abbiamo incominciato a intuire e a parlare di certe cose, al di fuori delle quali non valeva la pena vivere.È questa la profondità cui Dio ci ha fatto la grazia a 13 o 14 anni : capire che al di fuori di certe cose, all’infuori di Cristo insomma , non val la pena vivere, nel senso letterale del termine;”
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 15:16 |
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amicizia, giussani
L’amicizia
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“un uomo è se stesso quando è insieme”
“un io solitario è un io perduto”
“una compagnia positiva può nascere solo da un'amicizia: l'amicizia è la virtù, l'energia che costruisce la compagnia”
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 13:36 |
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amicizia, giussani
Postato da: giacabi a 14:22 |
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giussani
Gesù Cristo diventa presente sotto l'aspetto di una umanità diversa.
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Gesù Cristo, quell'uomo di duemila anni fa, si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l'aspetto di una umanità diversa. L'incontro, l'impatto, è con una umanità diversa, che ci sorprende perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce l'aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove. La
diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente in ciò:
nella maggior corrispondenza,nell'impensabile e impensata
corrispondenza maggiore di questa umanità in cui ci imbattiamo, alle
esigenze del cuore -alle esigenze della ragione.
Quest'imbattersi
della persona in una diversità umana è qualcosa di semplicissimo, di
assolutamente elementare, che viene prima di tutto, prima di ogni
catechesi, riflessione e sviluppo: è qualcosa che non ha bisogno di
essere spiegato, ma solo di essere visto, intercettato, che suscita uno
stupore, desta una emozione, costituisce un richiamo, muove a seguire,
in forza della sua corrispondenza all'attesa strutturale del cuore.
L'imbattersi
in una presenza di umanità diversa viene prima non solo all'inizio, ma
in ogni momento che segue l'inizio: un anno o vent'anni dopo.
Il fenomeno iniziale -l'impatto con una realtà umana nuova, lo stupore che ne nasce - è destinato ad essere il fenomeno iniziale e originale di ogni momento dello sviluppo. Perché non vi è alcuno sviluppo se quell'impatto iniziale non si ripete, se l'avvenimento non resta cioè contemporaneo. O
si rinnova, oppure nulla procede, e subito si teorizza l'avvenimento
accaduto, e si brancica alla ricerca di appoggi sostitutivi di Ciò che è
veramente all'origine della diversità. ,
Il
fattore originante è, permanentemente, l'impatto con una realtà umana
diversa. Se dunque non riaccade e si rinnova quello che è avvenuto in
principio non si realizza vera continuità:
se uno non vive ora l'impatto con una realtà nuova non capisce ciò che
gli è accaduto prima. Solo se l'avvenimento riaccade ora, si illumina e
si approfondisce ad un livello più maturo l' avvenimento iniziale, e si
stabilisce così una continuità, uno sviluppo.
Qui si chiarisce l'accenno al fatto che «tutto è grazia». L'imbattersi
in una realtà umana nuova è una grazia, è sempre una grazia -altrimenti
diventa la scoperta tentata dei propri pensieri o l'affermarsi
presuntuoso delle proprie capacità critiche. La diversità che si nota,
l'origine della diversità umana in cui-ci si imbatte, è gratuità
assoluta.
'L'avvenimento
iniziale prosegue solo se continuamente si parte dall'imbattersi in una
realtà umana nuova: «Cercate ogni giorno il volto dei santi e traete
conforto dai loro discorsi», diceva l'invito contenuto in uno dei
documenti della cristianità primitiva, la Didachè. La
continuità con quello che è avvenuto al principio si avvera perciò solo
attraverso la grazia di un impatto sempre nuovo e stupito come la prima
volta.
Altrimenti,
in luogo di tale stupore, dominano i pensieri che la propria evoluzione
culturale rende capaci di organizzare, le critiche che la propria
sensibilità formula a quello che si è vissuto e che si vede vivere,
l'alternativa che si pretenderebbe imporre, eccetera.
Don Giussani da: il Sabato 27 febbraio 1993
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Postato da: giacabi a 15:07 |
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chiesa, gesù, giussani
La compagnia
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É solo nella compagnia
che questa mortificazione o questa seduzione dell'essere, che è il
senso religioso, questo fascino dell'essere o questa coscienza della
propria fragilità, dovuta a qualcosa che è una scelta -è
un bene poter scegliere, ma è un male poter scegliere male, perciò è
ambiguo; non è che la libertà sia in una posizione cattiva, è in una
posizione ancora ambigua, può scegliere il bene e può scegliere il male -, sono richiamati.
È nella comunità che si è aiutati a capire questo, ad
avere coscienza di quando si sceglie male, a riconoscere quando si
sceglie male, ad avere la forza del dominio di sé per strapparsi al male
-per la mortificazione, penitenza o metànoia, cambiamento di mentalità
-, per aderire a ciò che porta al destino e per attendere il destino
tutti i giorni, tutti i giorni attendere che venga.
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 08:16 |
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chiesa, giussani
La riduzione del cuore
a sentimento
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Noi prendiamo il sentimento invece che il cuore come motore ultimo, come ragione ultima del nostro agire. Cosa vuol dire? La
nostra responsabilità è resa vana proprio dal cedere all'uso del
sentimento come prevalente sul cuore, riducendo cosi il concetto di
cuore a quello di sentimento. Invece, il cuore rappresenta e agisce come il fattore fondamentale dell'umana personalità; il sentimento no, perché preso da solo il sentimento agisce come reattività, in fondo è animalesco. «Non ho ancora compreso -dice Pavese -quale sia il tragico dell' esistenza [. ..] Eppure è chiaro: bisogna vincere l'abbandono voluttuoso e smettere di considerare gli stati d'animo quali scopo a se stessi». Lo stato d'animo ha ben altro scopo per essere dignitoso: ha lo scopo di una condizione messa da Dio, dal Creatore, attraverso la quale si è purificati. Mentre il cuore indica l'unità di sentimento e ragione. Esso implica una concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta l'ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza quella che si chiama affezione. È il cuore -come ragione e affettività -la condizione dell'attuarsi sano della ragione. La condizione perché la ragione sia ragione è che l'affettività la investa e cosi muova tutto l'uomo. Ragione e sentimento, ragione e affezione: questo è il cuore dell'uomo.
don Giussani, L’uomo e il suo destino in cammino,ed.Marietti 1820
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Postato da: giacabi a 19:06 |
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ragione, pavese, giussani
CAPIRE
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Cosa vuol dire capire ? Capire è un atto della ragione, è un verbo che si riferisce alla ragione, e il modo di vivere della ragione. Cosa vuol dire capire come modo di vivere della ragione? Vuole dire sorprendere, afferrare, renderti evidente (o intravedere almeno) la corrispondenza tra quello che ti si dice e quello che sei (e le urgenze del tuo cuore, cioè le esigenze della tua vita, le esigenze profonde del tuo io). Capire vuole dire cogliere la corrispondenza profonda tra quello che ti si dice ed il tuo io, le esigenze del tuo io, le esigenze profonde del tuo cuore, le esigenze profonde del tuo vivere.
Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli
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Postato da: giacabi a 20:01 |
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ragione, giussani
Cristo, vita della vita
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Luigi Giussani
Un avvenimento presente
L’uomo e il suo destino. In cammino,
Marietti, Genova 1999, pp. 56-57
Diceva sant’Agostino: In manibus nostris sunt codices, in oculis nostris facta (sant’Agostino, Sermo sancti Augustini cum pagani ingrederentur, in Codice di Magonza). In manibus nostris sunt codices, i Vangeli da leggere, la Bibbia da leggere; ma non sapremmo come leggerli, senza l’altra clausola: in oculis nostris facta. La presenza di Gesù è alimentata, confortata, dimostrata dalla lettura dei Vangeli e della Bibbia, ma è assicurata e si rende evidente tra noi attraverso un fatto, attraverso fatti come presenze. Per
ognuno c’è un fatto che ha avuto un significato, una presenza che ha
influito su tutta la vita: ha illuminato il modo di concepire, di
sentire e di fare. Questo si chiama avvenimento. Quello in cui siamo introdotti resta veramente vivo, si avvera tutti i giorni; perciò tutti i giorni noi prendiamo coscienza, dobbiamo prendere coscienza dell’avvenimento come ci è accaduto, dell’incontro fatto.
Concludo questa sottolineatura di mie preoccupazioni, dicendo: Cristo,
questo è il nome che indica e definisce una realtà che ho incontrato
nella mia vita. Ho incontrato: ne ho sentito parlare prima da piccolo,
da ragazzo, ecc. Si può diventar grandi e questa parola è risaputa, ma
per tanta gente non è incontrato, non è realmente sperimentato come
presente; mentre Cristo si è
imbattuto nella mia vita, la mia vita si è imbattuta in Cristo proprio
perché io imparassi a capire come Egli sia il punto nevralgico di tutto,
di tutta la mia vita. È la vita della mia vita, Cristo. In Lui si
assomma tutto quello che io vorrei, tutto quello che io cerco, tutto
quello che io sacrifico, tutto quello che in me si evolve per amore
delle persone con cui mi ha messo.
Come diceva Möhler in una frase che ho citato molte volte: «Io penso di non poter più vivere se non lo sentissi più parlare»
(cfr. A.J.Möhler, Dell’unità della Chiesa, Tipografia e libreria
Pirotta e C., Milano 1850, p. 52). È una frase che avevo messo sotto
un’immagine del Carracci raffigurante Cristo quando ero al liceo. Forse
una delle frasi che ho più ricordato nella mia vita.
Cristo, vita della vita, certezza del destino buono e compagnia per la
vita quotidiana, compagnia familiare e trasformatrice in bene: questo
rappresenta l’efficacia di Lui nella mia vita.
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Postato da: giacabi a 20:25 |
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cristianesimo, giussani
Lo stupore
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"Lo stupore, la meraviglia di questa realtà che mi si impone, di questa presenza che mi investe è all'origine del risveglio dell'umana coscienza."
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Postato da: giacabi a 19:46 |
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stupore, giussani
L’inferno
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Per rispondere dovevo ricondurre anche quel particolare che mi si opponeva all'ultimo destino dell'uomo, all'ultima idea dell'uomo. L'ultima
idea dell'uomo è che l'uomo è una libertà, cioè qualcosa fatto per la
felicità: e, paradossalmente, l'inferno nasce di qui. Senza inferno non ci sarebbe libertà, senza possibilità dell'inferno non ci sarebbe libertà. Perché? Perché la libertà implica la possibilità di dire di no, e dire di no è l'inferno: l'inferno è un grande no. Perciò l'inferno, paradossalmente, diventa la parola che indica di più la dignità dell'uomo. Non perché sia bello l'inferno, ma perché - come ho già detto -afferma l'uomo come libertà, che vuol dire, nella sua traduzione positiva, che non può esser mia una felicità a cui non abbia detto di sì io. Se non dico sì, la felicità che raggiungessi non sarebbe mia. Per essere mia devo sceglierla, devo volerla, deve essere oggetto della mia libertà.
Luigi Giussani "Si può vivere così?"
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Postato da: giacabi a 12:36 |
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libertà , felicità , giussani
Obbedienza
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La parola obbedienza non è niente altro che la virtù dell’amicizia.
Luigi Giussani "Si può vivere così?"
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Postato da: giacabi a 14:31 |
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amicizia, giussani
L’amicizia
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L’amicizia non è un optional; se è un optional non è amicizia; non è qualcosa che si può avere o non avere:senza amicizia uno non è più se stesso…..
In che senso l’amicizia non è un optional,ma è necessaria , cioè uno non può averla o non averla? Se non ha amicizia non è neanche un uomo, non è se stesso, e smarrito, non può apparire che triste.
Luigi Giussani "Si può vivere così?"
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Postato da: giacabi a 14:26 |
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amicizia, giussani
L’astratto
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Non dobbiamo avere paura del sacrificio: dobbiamo
avere paura dell'astratto; l'astratto è la condanna della nostra
dignità umana. L'astratto è ciò che elude il tuo nesso con il destino,
perciò l'astratto è ciò che elude ciò per cui è fatto il tuo cuore,
e tende ad identificare il concreto con la punta del naso che si tocca,
con i capelli che si ravviano, con la pancia che fa male, col gelato
che piace, e tutto questo è così ironicamente concreto che finisce nel marcio della tomba.
Luigi Giussani "Si può vivere così?"
grazie a:StellaNuova
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