Verso il Meeting
Il bello è splendore del vero
Mimmo Stolfi*** |
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Luzi, Degas, Solmi, Weil… Pillole di genialità verso il prossimo Meeting: «Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza». Apparenza, Mistero e realtà nella percezione di artisti del Novecento Con buona pace di Platone e di tutti i suoi seguaci, numerosissimi ancora oggi, la bellezza non è l’idea del bello. L’oggetto dell’estetica è la percezione, non un concetto. Non c’è dunque niente di più concreto della bellezza, la cui contemplazione non avviene nell’iperuranio, ma qui e ora nel mondo attraverso i sensi. Ecco perché in questa scelta antologica ispirata alla frase «il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza», non troverete quasi mai citazioni tratte da filosofi di professione, ma piuttosto pensieri di poeti, artisti, scrittori. Tutta gente per la quale la bellezza non è materia teorica, ma quello stimolo, quella scossa o quella carezza che la realtà spesso concede a chi non distolga lo sguardo dalle cose e dai volti. Ma la potenza della bellezza è tale che spesso assume i caratteri di una vera propria epifania. Di un’apparizione improvvisa che può coglierci anche nel tran tran quotidiano. Un vero e proprio urto che ci scuote suscitando in noi quell’anelito a un oltre, soffocato dal chiacchiericcio assordante che ci circonda. È quello che accade, per esempio, nella poesia A una passante di Baudelaire: «La via assordante strepitava intorno a me./ Una donna alta, sottile, a lutto, in un dolore immenso,/ passò sollevando e agitando/ con mano fastosa il pizzo e l’orlo della sua gonna/ (...) Un lampo...poi la notte! - bellezza fuggitiva/ dallo sguardo che m’ha fatto subito rinascere,/ ti rivedrò solo nell’eternità?». L’urto della bellezza risveglia anche quella promessa di felicità, quel desiderio di infinito che alberga in ogni uomo. E ancora una volta a donarci le parole più intense per dire quell’emozione che ci lavora dentro, e la cui intensità è tale che spesso non riusciamo a verbalizzarla, è un poeta. Un poeta, Rainer Maria Rilke, che quella felicità, quella bellezza, non la coglie in un platonico “mondo delle Idee”, ma nella terra, la nostra terra: «E noi che pensiamo la felicità/ come un’ascesa, ne avremmo l’emozione/ quasi sconcertante/ di quando cosa ch’è felice, cade». «Quella che io intendo per bellezza, ed è la sola che mi interessa, mi tocca e mi commuove, è una promanazione interiore armonizzata con la forma esterna». (Mario Luzi, Intervista a Doriano Fasoli, Radiotre) «Tanto in cuore aver d’amore/ da dire tutto è bello,/ anche l’uomo e il suo male,/ anche in me quello che m’addolora». (Umberto Saba, Canzoniere) «Se non vedi il gioiello nel sassolino circondato da fili d’oro, può darsi che ti lavi le mani così spesso da sbiadire i pensieri che vi sono stati riposti». (Emily Dickinson, Poesie) «Ho visto cose bellissime, grazie alla diversa prospettiva suggerita dalla mia perenne insoddisfazione, e quel che mi consola ancora, è che non smetto di osservare». (Edgar Degas, Scritti) «Il colore di ogni cosa ci commuove come un’armonia; ci vien voglia di piangere vedendo che le rose son rose o, se è inverno, scorgendo sui tronchi delle piante dei bei colori verdi quasi riflettenti; e, se un poco di luce batte su quei colori, come, ad esempio, nell’ora del tramonto, quando il lilla bianco fa cantare la propria bianchezza, ci si sente inondati di bellezza». (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto) «Altrove, senza dubbio, esistono i tramonti. Ma perfino da questo quarto piano sulla città si può pensare all’infinito. Un infinito con magazzini sottostanti, è vero, ma con stelle all’orizzonte». (Fernando Pessoa, Il libro) «L’abbandono di fronte alle cose e l’apertura al mistero si appartengono l’uno all’altra». (Martin Heidegger, L’abbandono) «La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l’uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua». (Andrej Tarkovskij, Intervista a Poiesis) «La rivelazione della poesia, una volta affacciandomi a una finestra, si impersonò per me in un grande mandorlo fiorito, candido nell’abbagliante chiarore della luna piena». (Sergio Solmi, Meditazioni e ricordi) «Ma perché essere qui è molto, e perché sembra che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste effimere che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri». (Rainer Maria Rilke, Elegie duinesi) «Sono solo un uomo, ho bisogno di segni sensibili, costruire scale di astrazioni mi stanca presto. Desta, dunque, o Dio, un uomo in un posto qualsiasi della terra e permetti che guardandolo io possa ammirare Te». (Czeslaw Milosz, La mente prigioniera) «Ringraziavo Dio del fatto di avermi creato artista per amare tutte le forme in cui Egli si manifesta, e piangere di esultanza e di giubilo davanti ad esse». (Boris Pasternak, Il soffio della vita) «Il bello è l’apparenza manifesta del reale». (Simone Weil, Quaderni) «L’uomo non può fare a meno della bellezza, e la nostra epoca finge di volerlo ignorare. Essa non vede il bello perché s’irrigidisce per raggiungere l’assoluto e il dominio, vuole trasfigurare il mondo prima di averlo esaurito, ordinarlo prima d’averlo capito. Per quanto dica, essa diserta da questo mondo». (Albert Camus, Lo straniero) «La bellezza si nasconde in ogni piega del mondo, anche nei posti più inimmaginabili. Coglierla significa dischiudersi alle ricchezze della vita. E anche comprenderne la responsabilità». (Elaine Scarry, Sulla bellezza) |
Postato da: giacabi a 20:13 |
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baudelaire, bellezza, luzi, proust, camus, rilke, tarkovskij, pasternak
LA NASCITA DI GESU'
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Se in te semplicità non fosse, come T'accadrebbe il miracolo di questa notte lucente? Quel Dio, vedi, che sopra i popoli tuonava si fa mansueto e viene al mondo in te. Più grande forse lo avevi pensato? Se mediti grandezza: ogni misura umana dritto attraversa ed annienta l’inflessibile fato di lui. Simili vie neppure le stelle hanno. Son grandi, vedi, questi re; e tesori, i più grandi agli occhi loro, al tuo grembo dinanzi essi trascinano. Tu meravigli forse a tanto dono: ma fra le pieghe del tuo panno guarda, come ogni cosa Egli sorpassi già. Tutta l'ambra imbarcata dalle terre più remote, i gioielli aurei, gli aromi che penetrano i sensi conturbanti: tutto questo non era che fuggevole brevità: d’essi, poi, ci si ravvede; ma è gioia - vedrai - ciò che Egli dà.
Rainer Maria Rilke
Grazie a: http://stellanuova.splinder.com/
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Postato da: giacabi a 19:23 |
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natale, rilke
"Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e ...
cerca di amare le domande, che sono simili a
stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che non possono esserti date
poiché non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa. Vivi le domande ora.
Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al lontano giorno in cui avrai la risposta."
Rainer Maria Rilke |
Postato da: giacabi a 21:14 |
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rilke
Il giudizio
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Penetrate in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s'essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore , confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi si negasse di scrivere.
Rainer Maria Rilke, da Lettere a un giovane poeta
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Postato da: giacabi a 20:33 |
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rilke
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Voci, voci. Ascolta mio cuore, come soltanto i Santi/ ascoltarono un giorno: il grande richiamo/ li alzava dal suolo; ma essi, impassibili,/ restavano assorti in ginocchio;/ così ascoltavano. Non
che tu possa mai reggere/ la voce di Dio. Ma lo spiro ascolta,/
l’ininterrotto messaggio che da silenzio si crea./ Ecco fruscia qualcosa
da quei giovani morti e viene a te. (Rilke, Elegie di Duino I,62
Ma chi ci ha rigirati così/ che qualsia quel che facciamo/ è sempre come fossimo nell’atto di partire?/ Come colui che sull’ultimo colle/ che gli prospetta per una volta ancora/ tutta la sua valle, si volta, si ferma, indugia,/ così viviamo per dir sempre addio. (Rilke, Elegie di Duino VIII)
“Essere
qui è splendido. In nessun dove, amata, ci sarà mai mondo se non in
noi./ (…) La nostra vita scorre trasmutando. E quel ch’è fuori di noi
/svanisce in forme sempre più meschine. Lo spirito del tempo si crea
vasti sili di forza, informi,/ come l’incalzante tensione ch’esso da
ogni cosa desume./ Templi non ne conosce più. Questo
prodigarsi del cuore/ ora risparmiamolo più segreto. Se dove mai resti
cosa/ un tempo implorata, servita, adorata in ginocchio,/ così come ora
sta, si tende di già nell’invisibile. Molti non la scorgono più, senza
per altro avere la grazia di edificarsela in cuore, con pilastri e
statue, più grande”. Rilke, Elegia VII)
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Postato da: giacabi a 23:08 |
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rilke
La pazienza
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Lo imparo ogni giorno, tra dolori cui sono grato: la pazienza è tutto.
Rainer Maria Rilke
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Postato da: giacabi a 20:25 |
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rilke
Julián Carrón su “EL MUNDO” alla manifestazione per la famiglia del 30 dicembre 2007, festa della “Sacra Famiglia”.
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Indiscutibile.
L’appello
a intervenire alla manifestazione di questa domenica (30 dicembre)
nella Plaza de Colón di Madrid ha suscitato un moto di adesione in
moltissime persone,desiderose di riunirsi per testimoniare gioiosamente
davanti a tutti il bene che per loro significa la famiglia. Non dovremmo
sottovalutare questa risposta. Da
decenni continuiamo a ricevere messaggi che vanno nella direzione
opposta: molte serie televisive, film e molta letteratura ci mettono
davanti il contrario. Davanti a questo impressionante spiegamento di mezzi, parrebbe normale che la famiglia avesse smesso di interessare.
Invece c’è qualcosa che siamo costretti a riconoscere quasi con sorpresa: questo impressionante apparato ha dimostrato di non essere più potente dell’esperienza elementare che ciascuno di noi ha vissuto nella propria famiglia, l’esperienza di un bene. Un bene del quale siamo grati e che vogliamo trasmettere ai nostri figli per condividerlo con loro.
Qual è l’origine di questo bene di cui siamo così grati?
È l’esperienza cristiana.
Non
è sempre stato così, come testimonia la reazione dei discepoli la prima
volta che sentirono Gesù parlare del matrimonio. “Allora gli si
avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “è
lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. Ed
egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò
maschio e femmina?”. E aggiunse: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e
sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola. Quello
dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. I discepoli gli
dissero: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non
conviene sposarsi”. (Mt 19,3-6.10)
Non dobbiamo sorprenderci, quindi.
La stessa cosa che a tanti oggi, e spesso a noi stessi, appare impossibile, tale appariva anche ai discepoli. Solo
la grazia di Cristo ha reso possibile vivere la natura originale della
relazione fra l’uomo e la donna. È importante guardare a questa origine
per poter rispondere alle sfide che dobbiamo affrontare.
Noi cattolici non siamo diversi dai più; molti fra noi hanno problemi
nella vita familiare. Dolorosamente constatiamo come fra noi vi siano
molti amici che non sono perseveranti di fronte alle numerose difficoltà
esterne e interne che attraversano. E quanto a noi, non è sufficiente
conoscere la vera dottrina sul matrimonio per resistere a tutte le
tentazioni della vita. Ce lo ha ricordato il Papa: “Le buone strutture
aiutano, ma da sole non bastano. L’uomo non può mai essere redento
semplicemente dall’esterno” (Spe salvi, 25).
Dobbiamo far nostro quello che abbiamo ricevuto per poterlo vivere nella nuova situazione che siamo tenuti ad affrontare, come ci invita Goethe: “Ciò che hai ereditato dai tuoi padri devi conquistarlo di nuovo per possederlo veramente”. Per riappropriarci veramente dell’esperienza della famiglia dobbiamo imparare che “la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna – come ha detto Benedetto XVI – affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da quì. Non può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: chi sono? che cosa è l’uomo?”. Davvero la persona amata ci rivela “il mistero eterno del nostro essere”. Nulla ci risveglia talmente, e ci rende così coscienti del desiderio di felicità che ci costituisce, quanto l’esperienza di essere amato. La sua presenza è un bene così grande che ci fa rendere conto della profondità e della vera dimensione di questo desiderio: un desiderio infinito. Le parole di Cesare Pavese sul piacere si possono applicare alla relazione amorosa: “Quello che l’uomo cerca nel piacere è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di raggiungere questo infinito”. Un io e un tu limitati si suscitano reciprocamente un desiderio infinito e si scoprono lanciati dal proprio amore verso un desiderio infinito. In questa esperienza, a entrambi si svela la propria vocazione. Per questo i poeti hanno visto nella bellezza della donna un “raggio divino”, ossia un segno che rimanda più oltre, a un’altra cosa più grande, divina, incommensurabile rispetto al suo limite naturale. La sua bellezza grida di fronte a noi: “Non sono io. Io sono solo un promemoria. Guarda! Guarda! Che cosa ti ricordo?”. Con queste parole il genio di C. S. Lewis ha sintetizzato la dinamica del segno, di cui la relazione fra l’uomo e la donna costituisce un esempio commovente. Se non comprende questa dinamica, l’uomo cede all’errore di fermarsi alla realtà che ha suscitato il desiderio. E la relazione finisce per diventare insopportabile. Come diceva Rilke, “questo è il paradosso nell’amore tra l’uomo e la donna: due infiniti trovano due limiti. Due infinitamente bisognosi di essere amati trovano due fragili e limitate capacità di amare. Solo nell’orizzonte di un Amore più grande non si divorano nella pretesa, né si rassegnano, ma camminano insieme verso la pienezza di cui l’altro è segno”.
La più bella esperienza, innamorarsi
In
questo contesto si può comprendere l’inaudita proposta di Gesù perché
l’esperienza più bella della vita, innamorarsi, non decada sino a
trasformarsi in una pretesa soffocante. “Chi ama il padre o la madre più
di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è
degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà
perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,37.39). Con queste
parole Gesù rivela la portata della speranza che la sua persona
costituisce per coloro che lo lasciano entrare nella propria vita. Non
si tratta di una ingerenza nei rapporti più intimi, ma della più grande
promessa che l’uomo ha potuto ricevere: se
non si ama Cristo – la Bellezza fatta carne – più della persona amata,
questo rapporto appassisce. È Lui la verità di questo rapporto, la
pienezza alla quale i due reciprocamente si rinviano e nella quale il
loro rapporto si realizza pienamente. Solo permettendogli di entrare in
essa, è possibile che la relazione più bella che accade nella vita non
decada e col tempo muoia. Noi sappiamo bene che tutto l’impeto col quale uno si innamora non basta a impedire che l’amore, col tempo, si corrompa.
Questa è l’audacia della sua pretesa. Appare quindi in tutta la sua importanza il compito della comunità cristiana: favorire una esperienza del cristianesimo per la pienezza della vita di ciascuno. Solo nell’ambito di questa relazione più grande è possibile non divorarsi, perché ciascuno trova in essa il suo compimento umano, sorprendendo in se stesso una capacità di abbracciare l’altro nella sua diversità, di una gratuità senza limiti, di un perdono sempre rinnovato. Senza comunità cristiane capaci di accompagnare e sostenere gli sposi nella loro avventura, sarà difficile, se non impossibile, che la portino a compimento felicemente. Gli sposi, a loro volta, non possono esimersi dal lavoro di una educazione – della quale sono i protagonisti principali –, pensando che appartenere all’ambito della comunità ecclesiale li liberi dalle difficoltà. In questo modo si rivela pienamente la natura della vocazione matrimoniale: camminare insieme verso l’unico che può rispondere alla sete di felicità che l’altro risveglia costantemente in me, cioè verso Cristo. Così si eviterà di passare, come la Samaritana, di marito in marito (cfr. Gv 4,18) senza riuscire a soddisfare la propria sete. La coscienza della sua incapacità a risolvere da sola il proprio dramma, nemmeno cambiando cinque volte marito, le ha fatto percepire Gesù come un bene così desiderabile da non poter fare a meno di gridare: “Signore, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete” (Gv 4,15). Senza l’esperienza di pienezza umana che Cristo rende possibile, l’ideale cristiano del matrimonio si riduce a qualcosa di impossibile da realizzare. L’indissolubilità del matrimonio e l’eternità dell’amore appaiono come chimere irraggiungibili. E in realtà esse sono frutti tanto gratuiti di una intensità di esperienza di Cristo che appaiono agli stessi sposi come una sorpresa, come la testimonianza che “a Dio nulla è impossibile”. Solo una tale esperienza può mostrare la razionalità della fede cristiana, come una realtà che corrisponde totalmente al desiderio e alle esigenze dell’uomo, anche nel matrimonio e nella famiglia. Un rapporto vissuto in questo modo costituisce la migliore proposta educativa per i figli. Attraverso la bellezza della relazione fra i genitori, essi vengono introdotti, quasi per osmosi, al significato dell’esistenza. Nella stabilità di questa relazione la loro ragione e la loro libertà vengono costantemente sollecitate a non perdere una tale bellezza. È la stessa bellezza, che risplende nella testimonianza degli sposi cristiani, che gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno di incontrare.
Julián Carrón
Siamo di fronte a un fatto strano. |
Postato da: giacabi a 20:17 |
link | commenti (1)
famiglia, rilke, lewis, carron
E tutto cospira a tacere di noi
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Gli amanti potrebbero, se sapessero
come, nell'aria della notte dire meraviglie. Perché pare che tutto ci voglia nascondere. Vedi, gli alberi sono, le case che abitiamo reggono. Noi soli passiamo via da tutto, aria che si cambia. E tutto cospira a tacere di noi, un po' come si tace un'onta, forse, un po' come si tace una speranza ineffabile. Rainer Rilke, "Elegie Duinesi” |
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