Io, Cristo e la Zambrano
***
Davide Perillo Riportare la domanda di senso nel mondo, a cominciare dalla scuola. Ed essere «disponibili a qualcosa che accade». Solo così l’umanità può «salvarsi dal suicidio». Parola di Pietro Barcellona, filosofo ex comunista. Che al Meeting ha fatto una scoperta
«Scusi, lei è Pietro Barcellona? Volevo ringraziarla per quello che ha detto ieri». Capita anche questo, a Rimini. E lascia il segno sul filosofo del diritto già marxista
a tutto tondo, che è venuto per parlare di scuola e si ritrova
intercettato dalla gratitudine dei giessini. «L’impressione del Meeting?
Enorme. Non vedo niente di paragonabile. E non solo in Italia». Detto
da uno che ha attraversato mezzo secolo di storia nostrana partendo da
sponde lontane (è stato dirigente e parlamentare Pci, prima di entrare anche al Csm),
fa una certa impressione. Con Cl c’era già un buon rapporto, alimentato
da amicizie private (tra tutte, don Ciccio Ventorino) e uscite
pubbliche (vedi il caso del liceo “Spedalieri”, dove è sceso in campo
accanto ai ragazzi di Gs che - dopo la morte allo stadio di Filippo
Raciti - reclamavano il diritto a parlare di verità anche a scuola, cfr.
Tracce n. 4/2007). Ma da Rimini in poi, c’è da scommettere che l’amicizia si farà più salda.
Barcellona ha parlato di «verità tra i banchi». Della necessità che nelle aule si torni a porre la domanda di senso. Dell’idea che la scuola, insomma, diventi quello che deve essere: un luogo dove accade e cresce l’umano, perché - ha detto citando Saint-Exupery - «se c’è una terra su cui crescono le arance, quella è la verità delle arance», mentre una società che non si pone più il problema del destino «è destinata a suicidarsi». Molti applausi all’incontro, parecchie domande dopo, tra gli stand. E tanti fili che vale la pena di riprendere. A cominciare dalla questione di partenza.
Perché questa “domanda di vero” ormai viene regolarmente archiviata?
Non è archiviata: è combattuta. Se ne nega la legittimità. Come se riguardasse solo chi ha la testa tra le nuvole. Il senso comune oggi diffonde sostanzialmente cinismo, apatia, impotenza. Sembra che tutto quello che accade non sia controllabile. Che non ci sia nessuno spazio di intenzionalità. Siamo precipitati in un’astrazione assoluta, indeterminata. Abbiamo talmente frantumato gli aspetti del mondo che non riusciamo più a percepire le connessioni.
Da dove si può ripartire?
Da quella che Gramsci definiva «una rivoluzione morale». Le transizioni forti avvengono in maniera molecolare, per piccoli gruppi. Cenobi, comunità. Da questo punto di vista il Meeting è una cosa enorme. Ci sono migliaia di persone, qui. Se ognuna di loro facesse nascere forme di vita diverse, questa sì che sarebbe una rivoluzione. Io la rivoluzione non la penso più come un avvenimento che da un giorno all’altro cambia i connotati del potere. È un progressivo sgretolarsi dell’ideologia del potere che penetra nei nostri comportamenti. Tante pratiche diffuse, esemplari. Per esempio, questa mostra della Cometa mi ha molto colpito. Questa dimensione del rapporto comunitario nella vita di oggi è completamente esaurita. E invece riguarda le persone, le vite reali. Ecco, Rimini mi sembra una cosa importante perché si vedono le persone.
In fondo è una conferma che l’umano ricomincia da un’educazione, come diceva anche lei nell’incontro…
Io una volta ho dato questa definizione della democrazia: l’assunzione consapevole di un progetto di paideia, cioè di educazione, da parte dell’intera comunità. Non in un’ottica statalista o burocratica, ci mancherebbe. Prenda la grande tradizione greca o quella stessa cristiana: avevano grandi progetti educativi, un’idea precisa di paideia. Ma non era mica l’idea di produrre esseri omologati: avevano in testa la costruzione della libertà dell’individuo. Noi invece abbiamo confuso l’educazione con l’informazione. Abbiamo ridotto la scuola a una specie di trasmissione coatta di informazioni. Mentre le informazioni, di per sé, non significano niente, senza la capacità di elaborarle.
Per
questo lei ha parlato di una scuola «che rimetta insieme i cocci»,
ovvero che combatta gli eccessi di specialismi e ristabilisca il più
possibile dei nessi.
Io ho insegnato per anni Diritto, poi sono passato a insegnare Filosofia. Sa perché? Più spiegavo i dettagli delle norme e meno gli studenti capivano. Allora mi sono chiesto: faccio capire di più a che serve il diritto raccontando il succedersi delle leggi o affrontando, per dire, il problema del rapporto tra ordine e disordine? Questo vale per tutto, anche la medicina. Si studiano gli organi: fegato, pancreas, cuore… Ma non si studia più il malato come persona.
E questo può accadere solo se si parte dalla domanda di verità, di scoperta del nesso tra l’io e la realtà.
E chi è il pazzo che lo nega?
Be’, nella vicenda dello “Spedalieri” certi docenti mettevano in discussione proprio questo…
Il problema è che ormai c’è un arroccamento: ognuno si tiene quello che ha. Dopo quei fatti io mi sono trovato a rispondere a domande stranissime: ma che ti sei convertito? Non eri ateo? In primo luogo, mai stato ateo. Ci sono persone che non professano una fede pubblica, ma ammettono che senza il problema di Dio, il pensiero muore. Il pensiero esiste perché la prima domanda che un uomo si fa è: ma perché io non sono Dio? Una mia nipotina di sette anni ha dato questa spiegazione dell’esistenza di Dio: nonno, noi esistiamo, io sono figlia di papà e mamma, loro sono figli vostri… Ma all’inizio della catena chi c’è? Ecco, questa è una domanda che si pongono anche i bambini. Guardano la realtà e si domandano da dove viene. E infatti la sanno molto più lunga dei grandi.
Ma noi “grandi” siamo ancora capaci di appassionarci al vero?
Il problema è appassionarci alla vita. La passione per la vita ha in sé la ricerca della verità. Che, alla fine, è l’adesione alla vita. È una dimensione dell’esistenza in cui questa tensione si placa. Quando uno si trova a vivere un momento di pienezza, quella è la verità. Non è una deduzione logica da una serie di premesse. Il problema è che questa società per certi versi è la più innovativa, ma di fatto è anche la più statica. Non riesce ad avere un orizzonte diverso da quello che si è dato all’inizio della modernità: individuo, consumo, denaro. Stop.
Come si spezza la catena?
Questa domanda è un po’ nella logica della stessa modernità, che vuole sapere prima cosa succede. C’è poca disponibilità ad accogliere il nuovo, l’evento. In fondo nessuno si aspettava che Cristo nascesse. Al di là di quello che uno pensa di lui, nessuno si aspettava che arrivasse uno che andava in giro a dire: io sono il Figlio di Dio. Ecco, è la stessa cosa: i profeti possono dare delle visioni, ma nessuno può dire che ci siano ricette matematiche per prevedere quello che succederà. Né ci sono ricette che garantiscono il cambiamento.
Bisogna che accada qualcosa, allora. Un avvenimento.
Sì, ma il problema preliminare è essere disponibili a farlo accadere.
E
se l’avvenimento accadesse proprio così, come una proposta alla nostra
disponibilità? Quando parlava di “evento”, prima, lei stesso ha
accennato a Cristo.
Certo, quello è un grande evento con cui tocca misurarsi. Però anche lì non si può fossilizzarlo come un accaduto da contemplare, del passato. A me piace molto l’idea di María Zambrano di una Parola vivente. Io non ho la fortuna di avere un rapporto di fede. Ma la questione di Cristo, con questa affermazione scandalosa, «io sono il Figlio di Dio», è molto interessante. E poi, il suo era un invito a seguirlo senza promesse di benessere economico, anzi mostrando una strada segnata da povertà e rinuncia.
Però con una promessa di compimento umano.
Vero. Ma questo deve portare a un’interpretazione dinamica della presenza del Divino. Una presenza che si incarna continuamente, che rinasce.
Non le sembra che la pretesa della Chiesa, in fondo, sia proprio questa? Essere un luogo dove quella Presenza permane.
Sì, ma questo non riaccade perché c’è qualcuno che schiaccia il bottone. La Chiesa è un po’ una contraddizione che vivete anche voi. C’è il problema della gerarchia, ci sono certi schematismi...
Però la vita che si vede qui a Rimini nasce da lì, da quella Presenza.
La vita, per fortuna, come diceva Saint-Exupery, è più forte di una logica.
Perdoni la brutalità: ma lei perché non è cristiano?
Cristo è una figura che mi inquieta molto. Soprattutto per via di certe letture. Io sono stato a scuola dai preti. Poi mi sono staccato. E ho iniziato a studiare la teologia protestante. Soprattutto Kierkegaard. Oggi mi affascina molto il pensiero della Zambrano. Però, c’è una cosa che mi fa ostacolo: Cristo è venuto in un luogo e un momento precisi della storia. In un contesto che era stato preparato ad accoglierlo. E questo mi sembra strano. Perché è venuto proprio in quel momento? Questa domanda mi fa sbandare.
In
fondo, però, è la stessa questione di prima: occorre che accada
qualcosa per salvare l’umano. Ma un avvenimento può accadere solo in un
punto della storia.
Infatti continuo a pensarci. Non ho preconcetti. Ma da quello che leggo, anche dalla Zambrano, quando uno incontra Cristo ha una sensazione di pace interiore, di grande illuminazione. Ecco, io questa non l’ho mai avuta. Per ora. |
Postato da: giacabi a 15:23 |
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barcellona, senso religioso, zambrano
Il “Significato”
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Ciò che è in crisi è questo nesso misterioso che unisce il nostro essere con il reale, qualcosa di così profondo e fondamentale che è il nostro intimo sostento.
Marìa Zambrano, Verso un sapere dell'anima, Cortina editore,
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Postato da: giacabi a 14:59 |
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senso religioso, zambrano
Il senso religioso
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Io non chiedo né pane, né gloria, né compassione. Non domando abbracci alle donne o soldi ai banchieri o elogi ai "geniali". Di codeste cose fa a meno o le guadagno o rubo da me.
Ma chiedo e domando, umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell'anima mia, un po' di certezza; una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità!...
Ho bisogno di un po' di certezza -ho bisogno di qualcosa di vero. Non posso farne a meno; non so più vivere senza. Non chiedo altro, non chiedo nulla di più, ma questo che chiedo è molto, è una straordinaria cosa: lo so.
G. PAPINI, Un uomo finito,
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Postato da: giacabi a 17:52 |
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papini, senso religioso
Ormai solo un dio ci può salvare
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"Se
mi è concesso dare una risposta breve e forse un po' forte, ma comunque
basata su una lunga meditazione, direi che la filosofia non potrà
produrre nessuna trasformazione immediata dello stato attuale del mondo.
Ciò non vale solo per la filosofia, ma per tutte e aspirazioni
meramente umane. Ormai solo un
dio ci può salvare lo vedo come unica possibilità di salvezza quella di
preparare nel pensare e nel poetare, una disponibilità all'apparizione
del dio o all'assenza del dio nel tramonto; nel fatto che noi,
detto grossolanamente, non «crepiamo» ma, se tramontiamo, tramontiamo al
cospetto del dio assente”
Martin Heidegger
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Postato da: giacabi a 20:48 |
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heidegger, senso religioso
La sete di infinito
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Questo malessere spirituale è più grave quando l'uomo, insoddisfatto di una operosità infelice, si rifugia nella tranquillità e nello studio privato; ma neppure questo riesce a sopportare l'animo umano, fatto per la vita pubblica, bramoso d'agire e inquieto per natura, in quanto ha scarso conforto in se stesso;
perciò, abbandonate le soddisfazioni che l'impegno offre a chi non si
risparmia, l'uomo non sopporta la casa, la solitudine, le mura:
malvolentieri si accorge di essere abbandonato a se stesso. "
Di qui nasce la noia e l'insoddisfazione di sé e la volubilità dell'
anima che non trova pace, e la sopportazione amara e penosa della
propria inazione, soprattutto quando ci vergogniamo di
ammettere le cause e il rispetto umano ci costringe a tener dentro i
tormenti: le brame, chiuse senza sbocco in spazio angusto, si soffocano
da sole. Di qui la tristezza e il languore e l'ondeggiare della mente incerta.
(Seneca, La tranquillità dell'anima, 2, ,,6 s)
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Postato da: giacabi a 21:11 |
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tristezza, seneca, senso religioso
L’ urlo di Pasolini al Mistero
***
di Giovanni Cubeddu
Un
povero frate cieco, malandato in salute. Per andare a trovarlo
occorreva lasciare l’automobile qualche chilometro prima ed incamminarsi
pazientemente tra i monti dell’Oltrepò pavese. Era l’unico modo
di raggiungere l’eremo di Sant’Alberto di Butrio, dimora del religioso
già in fama di santità, al secolo Cesare Pisano, per la Chiesa frate Ave
Maria, eremita della Divina Provvidenza, famiglia religiosa fondata da
don Luigi Orione. È la primavera del 1963 quando Pier Paolo Pasolini intraprende anch’egli la lunga passeggiata per l’eremo. Sta
lavorando al Vangelo secondo Matteo, e non è la prima volta che cerca
ispirazione in colloqui con uomini di fede o visitando luoghi di
preghiera. Lo accompagna un’amica, Angela Volpini, personalità
nota nel mondo cattolico italiano di quegli anni e attualmente teste nel
processo di beatificazione del frate, dichiarato venerabile nel
dicembre 1997. Delle testimonianze della Volpini raccolte nell’archivio
dell’Opera don Orione a Roma (cfr. box a p. 75 il cui contenuto è
inedito) e di una precedente ricerca pubblicata in Messaggi di don
Orione (n. 100/2000) ci siamo avvalsi nella ricostruzione dell’episodio,
pressoché sconosciuto.
Quando
Pasolini arrivò all’antica abbazia di Sant’Alberto si fermò ad
ammirarne gli affreschi del Quattrocento. Frate Ave Maria come sempre
era dietro l’altare, nella sua confidenza col Signore fatta di
impercettibili rosari, litanie recitate a memoria e pie intenzioni da
deporre ai piedi della Madonna. Vi fu qualche minuto di silenzio,
interrotto improvvisamente dal gioviale saluto del frate al quale
Pasolini rispose avvicinandosi, attraversando la chiesa per finire anche
lui dietro l’altare. Il frate gli chiese di prendere una sedia per
stare accanto a lui, in un colloquio che nessuno udì e che durò
all’incirca due ore. Finalmente il respiro affannoso del frate annunciò
che i due stavano scendendo dalla chiesa al chiostro. Pasolini tentava
di aiutare la discesa del frate cieco, ma egli lo fermò bonariamente:
«Queste pietre sono mie amiche. Le calpesto tante volte al giorno per
andare da Gesù, non ho niente da temere da esse!». E rise della sua
stessa allegra battuta. Poi proseguì dritto ritirandosi nella sua cella,
luogo, assieme al cantuccio dietro l’altare, della predilezione del
Signore verso di lui.
In
questo grido, reso forse più acuto dall’aver intravisto un bagliore, si
può forse ritrovare un’altra diversa allusione a quella giornata a
Sant’Alberto di Butrio:
g
g
g
h
E questa fu la via per cui da uomo senza
«Quando scrivo poesia è per difendermi e lottare, compromettendomi,
rinunciando a ogni antica mia dignità: appare, così, indifeso quel mio
cuore elegiaco di cui ho vergogna», dicono i primi versi di La Realtà. E ora viene facile pensare che la misericordia del vecchio eremita nei suoi confronti abbiano a che vedere con quella tentazione di santità.
per approffondire: http://www.host-lime.com/do/messaggi/articolo.asp?ID=202 http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=291 ......................
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Postato da: giacabi a 19:29 |
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pasolini, senso religioso
Il senso religioso
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L'uomo si rende conto, talvolta con stupore, talvolta con contrarietà e talvolta anche con disperazione, che col soddisfare qualunque suo desiderio egli cerca di realizzare in fondo quell'unico desiderio fondamentale. In una certa misura ciascuno di noi è Don Giovanni che aspira alla pienezza
e perciò fugge via da ciò in cui la pienezza è appena accennata. Le
analisi dell'uomo fatte dalla filosofia contemporanea sono altrettanto
analisi di Don Giovanni. C'è in esse un fascino biblico, quando, disvelandoci
l'uomo strato dopo strato nella sua struttura essenziale, ci mostrano
al fondo di ogni passione umana quella stessa sete di una realtà piena,
di un Assoluto. E chissà, forse proprio il deviarsi di
questa bramosia, presente in ogni azione concreta, con la quale l'uomo
agogna i valori apparenti, quelli comuni di tutti i giorni, costituisce
la perdurante realtà della caduta originaria. Questa caduta provoca ad
un tempo il rivelarsi del bene e del male morale nella creazione
ragionevole e libera ...
La
realtà desiderata in ogni desiderio umano non può essere colta come si
colgono i suoi contorni, cioè le cose dei vari desideri che
costituiscono la fattura di ogni giorno. Noi le voltiamo le
spalle come l'uomo del mito platonico della caverna volta le spalle al
mondo delle idee che costituiscono la realtà vera. Perciò molti nel desiderio fondamentale vedono solo la proiezione dei loro desideri non soddisfatti fino in fondo ».
Stanislaw Grygiel :"L’uomo visto dalla Vistola"
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Postato da: giacabi a 15:03 |
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senso religioso, gryigiel
Il senso religioso
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Dannazione
Chiuso tra cose mortali
(anche il cielo stellato finirà) perché bramo Dio?
,,
G. Ungaretti |
Postato da: giacabi a 20:25 |
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ungaretti, senso religioso
L’urlo del cuore
***
Ora, mi pare di aver già detto che c'era un guasto nel mio cuore, una voce che mi parlava dentro e diceva voglio, voglio, voglio! Succedeva tutte le sere, e quando io cercavo di soffocarla, diventava anche più forte. Diceva
solo quella cosa, voglio, voglio! E io chiedevo: «Ma cosa vuoi?»Ma non
mi diceva altro, mai. Non diceva altro che voglio, voglio! ., A volte quella voce la trattavo come un bambino a cui si offre una caramella, o una filastrocca. La facevo camminare. La facevo trotterellare. Le leggevo una poesia, gliela cantavo. Niente.
Indossavo la tuta e montavo sulla scala per riparare le crepe del
tetto; spaccavo legna, uscivo a bordo del trattore, lavoravo nel granaio
in mezzo ai porci. No,
no! Risse, sbornie, fatica, la voce continuava, in campagna, in città. Non c'era oggetto, per quanto costoso, che la placasse.
S. Bellow, Il re della pioggia
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Postato da: giacabi a 20:10 |
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senso religioso
L’attesa
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Mi sforzo di essere veramente colui che aspetta la grazia. Sono in attesa e osservo forse essa verrà, forse non verrà. Forse questa attesa tranquilla e inquieta è già annunziatrice della grazia o è la grazia stessa. Non lo so. Ma questo non mi tormenta. Ho stretto amicizia, intanto , con la mia ignoranza.
F. Kafka
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Postato da: giacabi a 18:30 |
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kafka, senso religioso
Urlo di significato
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Ah, miei piedi nudi, che camminate sopra la sabbia del deserto!
Miei piedi nudi, che mi portate là dove c'è un'unica presenza e dove non c'è nulla che mi ripari da nessuno sguardo! [...]
Non c'è infatti, qui intorno, niente oltre a ciò che è necessario: la terra, il cielo e il corpo di un uomo.
Per
quanto folle, abissale o etereo sia l'orizzonte oscuro, la sua linea è
una: e qualunque suo punto è uguale a un altro punto.
Il
deserto oscuro che sembra sfolgorare tanta è la sua durezza zuccherina,
e la cavità del cielo," immedicabilmente azzurra, mutano sempre ma sono
sempre uguali.
Bene. E cosa dire di me?
Di me, che sono dove ero, e ero dove sono, automa di una persona reale mandato nel deserto a camminare per essa?
lo sono pieno di una domanda a cui non so rispondere.
Triste risultato, se questo deserto io l'ho scelto come il luogo vero e reale della mia
vita!
Colui che cercava per le strade di Milano è lo stesso che cerca ora per le strade del deserto?
È
vero: il simbolo della realtà ha qualcosa che la realtà non ha: eppure
vi aggiunge- per la stessa sua natura rappresentativa -un significato
nuovo.
Ma -non certo come per il popolo d'Israele o l'apostolo Paolo -questo significato nuovo mi resta indecifrabile. Nel
profondo silenzio dell'evocazione sacra, mi chiedo allora se, per
andare nel deserto "non bisogni avere avuto una vita già predestinata al
deserto"; e se, dunque, vivendo nei giormi della storia -così meno
bella, pura ed essenziale della sua rappresentazione -non bisogni avere
saputo rispondere alle sue infinite e inutili domande per poter
rispondere, ora, a questa del deserto, unica e assoluta.
Misera,
prosaica conclusione, -laica per imposizione di una cultura di gente
oppressa -di una vicenda cominciata per portare a Dio!
Ma
cosa prevarrà? L'aridità mondana della ragione o la religione,
spregevole fecondità di chi vive lasciato indietro dalla storia? [...]
Ma perché, improvvisamente, mi fermo? Perché guardo fisso davanti a me come vedessi qualcosa?
Mentre
non c'è nulla di nuovo oltre l'orizzonte oscuro, che si disegna
infinitamente diverso,e uguale, contro il cielo azzurro di questo luogo
immaginato dalla mia povera cultura?
Perché,
fuori dalla mia volontà, la mia faccia mi si contrae, le vene del collo
mi si gonfiano, gli occhi mi si riempiono di una luce infuocata?
E
perché l'urlo, che, dopo qualche istante, mi esce furente dalla gola,
non aggiunge nulla all'ambiguità che finora ha dominato questo mio
andare nel deserto?
È
impossibile dire che razza di urlo sia il mio: è vero che è terribile
-tanto da trasfigurarmi i lineamenti rendendoli simili alle fauci di una
bestia -ma è anche, in qualche modo, gioioso, tanto da ridurmi come un
bambino.
È un urlo fatto per invocare l'attenzione di qualcuno o il suo aiuto; ma anche, forse, per bestemmiarlo.
È un urlo che vuoi far sapere, in questo luogo disabitato, "che io esisto", oppure, che non soltanto esisto, "ma che so". È un urlo in cui in fondo all'ansia si sente qualche vile accento di speranza; oppure un urlo di certezza, assolutamente assurda, dentro a cui risuona, pura, la disperazione.
Ad
ogni modo questo è certo: qualunque cosa questo mio urlo voglia
significare, esso è destinato a durare oltre ogni fine possibile.
(PP. Pasolini, Teorema)
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Postato da: giacabi a 18:14 |
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pasolini, senso religioso
Il totale disinteresse per il senso della vita
***
Oggi gli individui -un’infinità- chiedono di rappresentarsi di esistere individualmente, chiedono di vivere la propria vita sul piano che ad essi è possibile: quello delle emozioni e delle sensazioni.
E su questo piano non sono possibili deleghe privilegiate: l'uomo
qualunque ha gli stessi diritti dell'uomo di eccezione e può persino
illudersi che la sua trivellazione della couche vitale sia più autentica
di quella dell'uomo di studio. Ma all'uomo-massa corrisponde il male di
massa, al quale nessuno di noi sfugge.
E il lato più pericoloso della vita attuale è il dissolversi del sentimento della responsabilità individuale. La solitudine di massa ha reso vana ogni differenza tra il dentro e il fuori. Poiché il nostro tempo ha sostituito l'eccitazione alla contemplazione
e il numero non è più il segreto delle leggi divine, bensi l'oggetto
della statistica, non vedo perché non si debbano trarre le debite
conclusioni della mutate condizioni di vita dell'uomo che fu ' detto sapiens e faber (e poi ludens ed ora è destruens) a vantaggio dell'immenso tutti- nessuno che stiamo avviandoci a formare.
Quel che avviene nel mondo cosiddetto civile a partire dalla fine dell'illuminismo (ma ora in sempre più rapida escalation) è il totale disinteresse per il senso della vita. Ciò non contrasta con il darsi da fare, anzi. Si riempie il vuoto con "inutile. L'uomo non ha più molto interesse per l'umanità. L'uomo si annoia spaventosamente.
....
(E. Montale, Nel nostro tempo)
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Postato da: giacabi a 16:50 |
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montale, senso religioso
SE E’ VERO CHE CI SEI
(Biagio Antonacci)
***
Certe volte guardo il mare,
questo eterno movimento,
ma due occhi sono pochi per questo immenso
e capisco di esser solo
e passeggio dentro il mondo
ma mi accorgo che due gambe non bastano
per girarlo e rigirarlo
e se è vero che ci sei
batti un colpo amore mio
ho bisogno di dividere
tutto questo insieme a te
certe volte guardo il cielo
i suoi misteri e le sue stelle
ma sono troppe le mie notti passate senza di te
per cercare di ricordare
ma se è vero che ci sei
vado in cerca dei tuoi occhi io
non ho mai cercato niente
e forse niente ho avuto mai
è un messaggio per te
sto chiamandoti
è un messaggio per te
sto inventandoti
prima che cambi luna
e che sia primavera
ma se è vero che ci sei
batti un colpo amore mio
ho bisogno di dividere
tutto questo insieme a te
è un messaggio per te
sto chiamandoti
sto cercandoti
sono solo e lo sai
è un messaggio per te
sto inventandoti
prima che cambi luna
e che sia primavera
ma se è vero che ci sei
con i tuoi i occhi e le tue gambe
io riuscirei a girare il mondo
e guardare quell'immenso
ma se è vero che ci sei
a cacciar via la solitudine di questo uomo
che ha capito il suo limite nel mondo
è un messaggio per te
sto chiamandoti
sto cercandoti
sono solo e lo sai
è un messaggio per te
sto inventandoti
prima che cambi luna
e che sia primavera
a P.
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Postato da: giacabi a 16:17 |
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canti, senso religioso
La perdita del gusto di vivere
***
“Il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è né la fame né la peste, è invece quella malattia spirituale. la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli, che è la perdita del gusto di vivere”
Teilhard de Chardin
|
Postato da: giacabi a 15:53 |
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vita, senso religioso
Cristo:il Significato
***
"Si
esamini l'ordine del mondo sotto questo aspetto e si veda se tutte le
cose non concorrono alla conferma dei due punti fondamentali di questa
religione: Gesù Cristo è l'oggetto di tutto e il centro a cui tutto tende. Chi conosce Lui, conosce la ragione di tutte le cose. Quelli che si smarriscono, si smarriscono solo per non avere visto una di queste due cose. Si può conoscere Dio, senza conoscere la propria miseria, e così pure la propria miseria senza Dio; ma non si può conoscere Gesù Cristo senza conoscere insieme e Dio e la propria miseria»
«La conoscenza di Dio senza quella della nostra miseria (causata dal peccato) fa nascere l'orgoglio. La conoscenza della nostra miseria senza quella di Dio produce la disperazione. La conoscenza di Gesù Cristo costituisce il punto di mezzo perché in lui noi troviamo Dio e la nostra miseria»
«Non soltanto non conosciamo Dio che per mezzo di Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi che per mezzo di Gesù Cristo. Al di fuori di Gesù Cristo non sappiamo che cosa sia né la nostra vita, né la nostra morte, né Dio, né noi stessi [...] non sappiamo e non vediamo che oscurità e confusione, nella natura di Dio e nella nostra propria»
PASCAL, Pensieri
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Postato da: giacabi a 14:15 |
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gesù, senso religioso
Come la nube
***
Come la nube,
come la farfalla, come l'alito lieve su uno specchio. Fortuito, Mutevole, svanito in breve istante. O signore di tutti i cieli, di tutti i mondi, di tutti i destini, che cosa hai inteso fare con me? Par Lagerkvist - Som molnen |
Postato da: giacabi a 20:20 |
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senso religioso, lagerkvist
LA SCOMMESSA SU DIO
Un aiuto per scommettere (in chiave umoristica)
***
"Che ne potete sapere voi di cosa rappresentano per me i peperoni. La prova provata dell'esistenza di Dio. Sono anni che porto i peperoni a sostegno della certezza che Dio esista.
Il ragionamento è dei più semplici, elementare perfino: immaginate i miliardi di galassie che al momento siamo riusciti a configurare, immaginate che alla periferia! di una di quelle galassie i ci sia la Terra e sulla terra la vita con la sua straordinaria complessità. Immaginate adesso che dopo aver cercato tutto ciò ci si sia accorti che mancava qualcosa: i peperoni! E si provveda. Beh, non è fantastico tutto questo, non è forse degno della potenza divina, ché lei sola avrebbe potuto non smarrirsi in quell'intrigo di creature, in questa congerie di piante ed animali e capire cosa mancava alla perfezione, il tocco finale, la griffe dell'artista? Dopo aver organizzato un simile circo, Domeneddio SI deve essere detto: "Caspita, qui mancano i peperoni, il loro colore, il loro profumo! E che schifezza di Creazione stavo per autenticare!?" Sì, lo so, vi sento già dire che queste sono stupidaggini, che lo stesso discorso si potrebbe fare per qualunque altra cosa… Beh, provate a farmela, la vostra contestazione. Obiettatemi: "E i carciofi, allora? E le patate? Vi risponderei: "Ecco, bravi, avete visto che anche voi siete capaci di trovare le prove dell'esistenza di Dio?" E voi restereste confusi. O meglio, sareste restati confusi fino a poco fa, fino a che Carlo non mi ha mostrato i peperoni "fasulli" verniciati in Olanda perché ora non avrò più il coraggio di lanciarmi in un ragionamento così spericolato, senza l'adeguato conforto di un buon piatto di peperonata in prospettiva, come premio meritato alla mia fede. Non c'è più religione." Bruno Lauzi |
Postato da: giacabi a 14:06 |
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senso religioso
LA SCOMMESSA SU DIO
Un aiuto per scommettere
***
«Ignoro chi mi ha messo al mondo e cosa sia il mondo, e cosa io stesso. Mi trovo in
una terribile ignoranza di tutte le cose, non so cosa siano il mio
corpo, i miei sensi, la mia anima e quella stessa parte di me che pensa
ciò che dico, che riflette su tutto e su se stessa, e non si conosce più
di quanto conosca il resto. Io
vedo questi spaventosi spazi dell'universo dentro cui sono rinchiuso,
mi trovo come afferrato a un angolo di questa vasta estensione, senza
sapere perché io mi trovi qui piuttosto che altrove, né perché quel poco
di tempo che mi è stato concesso di vivere sia in un punto piuttosto
che in un altro di tutta quell'eternità che mi ha preceduto e che mi
seguirà.
Non vedo che infinità da ogni parte, che mi rinchiude come un atomo e come un'ombra che dura un solo istante.
Tutto ciò che so è che tra breve dovrò morire, ma ciò che maggiormente ignoro è proprio quella morte che posso evitare.
Così
come non so da dove vengo, non so dove vado, so solo che uscendo da
questo mondo cadrò per sempre nel nulla o nelle mani di un Dio
incollerito, senza conoscere quale di queste due condizioni sarà la mia
sorte eterna. Ecco la mia condizione, piena di debolezza e incertezza.
Da tutto ciò deduco che devo dunque passare ogni giorno della mia vita
senza pensare a ciò che mi capiterà.
Forse potrei trovare qualche chiarimento ai miei dubbi, ma non voglio
preoccuparmene, né fare un solo passo per cercare; anzi, disprezzando
quelli che si macereranno in questa preoccupazione, andrò incontro, incurante e senza paura, a questo grande avvenimento, mi lascerò docilmente condurre alla morte, incerto sull'eternità della mia condizione futura».
Chi
si augurerebbe di avere per amico un uomo che parla in questo modo? Chi
lo sceglierebbe per confidargli i propri problemi? Chi ricorrerebbe a
lui nei momenti difficili?
E infine a quale impiego può essere destinato nella vita?
A
dire il vero la religione può gloriarsi di avere per nemici uomini così
irrazionali; e la loro opposizione è così poco pericolosa che, al
contrario, serve a confermare le sue verità. Perché
la fede cristiana si riduce quasi esclusivamente ad affermare queste
due cose: la corruzione della natura e la redenzione di Gesù Cristo.
B. Pascal: I Pensieri
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Postato da: giacabi a 09:02 |
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pascal, senso religioso
La scommessa su Dio
Un aiuto per scommettere
***
Nel bridge, mi dicono,
si deve giocare a soldi,"altrimenti il gioco non è serio". Qui è la stessa cosa, a quanto pare. La dichiarazione - Dio o nessun Dio, Dio buono o Sadico Cosmico, vita eterna o nulla - non è seria se non c'è una posta di qualche valore. E solo fino a che punto sia seria lo si scopre solo quando le puntate diventano paurosamente alte, quando si capisce che la posta in gioco non è un pugno di gettoni o di monetine, ma la nostra intera ricchezza. Niente che sia meno di questo può scuotere l'uomo (non, almeno, un uomo come me) dalle sue riflessioni meramente verbali e dalle sue convinzioni meramente immaginarie. C.S.Lewis Diaro di un dolore |
Postato da: giacabi a 07:57 |
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lewis, senso religioso
La filosofia come stupore
***
Nella filosofia e nel pensiero moderni, il dubbio occupa la stessa posizione centrale che occupò per tutti i secoli prima il thaumàzein dei greci, la meraviglia per tutto ciò che è in quanto è.
Descartes fu il primo a concettualizzare questo dubitare moderno, che dopo di lui divenne il motore evidente .. e dato per scontato che ha mosso tutto il pensiero, l'asse invisibile sul quale si è incentrato ogni pensare. Propri come da Platone
e Aristotele fino all'età moderna, la filosofia, nei suoi maggiori e
più autentici rappresentanti è stata l'articolazione dello stupore di
fronte a ciò che è, così la filosofia moderna, da Descartes in poi, è consistita nelle articolazioni e ramificazioni del dubbio.
Hannah Arendt da: Vita activa
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Postato da: giacabi a 15:48 |
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bellezza, arendt, avvenimento, senso religioso
Il cuore dell’uomo
batte per l’Infinito
***
E
non è forse vero che le vostre amicizie più durevoli sono nate nel
momento in cui finalmente avete incontrato un altro essere umano che
aveva almeno qualche sentore (sebbene vago e incerto anche nei migliori
amici) di quel qualcosa che desiderate fin dalla nascita e che cercate
sempre di trovare, di vedere e di sentire, sotto il flusso di altri
desideri e in tutti i temporanei silenzi tra le altre passioni più
forti, notte e giorno, anno dopo anno, dall'infanzia alla vecchiaia? Non
l'avete mai posseduto. Tutte le cose che hanno mai posseduto
profondamente la vostra anima ne sono state solo degli indizi - barlumi
allettanti, promesse mai completamente realizzate, echi che si
spegnevano subito appena vi arrivavano alle orecchie. Ma se
questa cosa dovesse veramente manifestarsi - se mai dovesse sentirsi
un'eco che non si spegnesse subito ma si espandesse nel suono stesso -
voi lo sapreste. Al di là di ogni possibilità di dubbio direste: "Ecco finalmente quella cosa per cui sono stato creato". Non possiamo parlarne gli uni con gli altri. E'
la firma segreta di ogni anima, l'incomunicabile e implacabile bisogno,
la cosa che desideravamo prima di incontrare le nostre mogli, i nostri
amici o prima di scegliere il nostro lavoro, e che desidereremo ancora
sul nostro letto di morte, quando la mente non riconoscerà più né moglie
né amico né lavoro. Mentre noi esistiamo, questa cosa esiste. Se la
perdiamo, perdiamo tutto.
C.S. Lewis, da Il cielo
a P.
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Postato da: giacabi a 12:09 |
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dio, bellezza, lewis, senso religioso
Tratto da:
Il senso religioso in Matisse
***
La risposta di Matisse ad una lettera a Monique, ormai sr. Jacques-Marie
"Voi vivete la vostra vita spirituale nella luce. Ed io? Io non vivo che per la luce e sono stato a cercarne una nuova sfumatura agli antipodi [10]... La sottomissione, l'ho anch'io, è per questo che ho potuto essere insultato da tutti i critici d'arte per più di 20 anni, poiché io ero sottomesso alla volontà divina, piuttosto
che ai gusti di un pubblico che si basava su delle abitudini meccaniche
indegne di una creatura d'origine divina o abitata da una particella
divina donata ad ogni essere. Il Signore ha detto: “Fuori della Chiesa non c'è salvezza” [11]. La mia strada non si è precisata così. Io sono stato condotto (molto modestamente) pertanto ed io l'ho constatato solamente in questi ultimi anni, guardando a ritroso il mio cammino, a considerarmi
come destinato dall'Altissimo a risvegliare nello spirito degli altri
uomini la visione delle cose, che conduca ad una elevazione dello
spirito, fino a giungere al Creatore. Io obbedisco – io lo credo fermamente – al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
La mia contemplazione non può essere soltanto di ammirazione ma deve
essere attiva, mettendo in moto tutte le risorse dello spirito per
creare il mezzo più diretto per elevare lo spirito dei miei simili verso una regione che li faccia uscire dalla loro bassa condizione umana – soprattutto
dall'interesse “del guadagno per il guadagno” con il quale si pensa di
poter tutto comprare. Voi pregate per me. Ve ne ringrazio. Domandate
a Dio di donarmi nei miei ultimi anni la luce dello spirito che mi
tenga in contatto con Lui, che mi permetta di far giungere la mia
carriera lunga e laboriosa allo scopo che io ho sempre cercato; rendere la Sua gloria evidente ai ciechi per un nutrimento esclusivamente terrestre...
Il bisogno di rispondervi mi ha obbligato a trovare, nel mio più
profondo, delle cose che io non formulo mai con pensieri, che non provo
il bisogno di comunicare agli altri... Io vado in questo momento, come tutte le mattine, a fare la mia preghiera, con la matita in mano, davanti ad un melograno
coperto di fiori nei diversi stadi della fioritura e spio la loro
trasformazione, facendo questo non con uno spirito scientifico ma compenetrato di ammirazione per l'opera divina. Non è questo un modo di pregare? Ed io non faccio che (ma, in fondo, io non faccio niente, perchè è Dio che conduce la mia mano) rendere evidente per gli altri l'intenerimento del mio cuore"
Henri Matisse
H.Matisse e sr.Jacques-Marie |
Postato da: giacabi a 08:31 |
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matisse, senso religioso
Il paese fatato
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Da: berlicche mercoledì, 10 ottobre 2007
Viviamo in un paese fatato.
Possiamo molto di più dei re e dei maghi delle fiabe. Ognuno ha il suo cavallo metallico più veloce del migliore purosangue; mangiamo cibi che i nobili e i ricchi delle epoche passate non si sognavano. Torme di servi invisibili ci lavano i piatti, ci puliscono la casa, e i migliori attori del mondo si esibiscono per noi mentre stiamo comodamente sdraiati su morbidi divani. Viviamo a lungo, fino ad età che in altri tempi sarebbero state leggendarie, e in buona salute, con denti in grado di masticare ed occhi capaci di vedere. Abbiamo conoscenze che i saggi e i sapienti dell'antichità non sognavano neanche. Eppure non siamo felici. Qualcosa ci manca, ci sfugge sempre, è sempre un passo più in là. Un giorno contempleremo pianeti e galassie dalle nostre finestre, e forse vivremo vite così lunghe che le nostre attuali ci sembreranno quelle di effimere farfalle. Ma quello che vorremo afferrare sarà sempre un passo più avanti, là dove le nostre corte dita non riusciranno a raggiungere. |
Postato da: giacabi a 15:07 |
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senso religioso
IL SENSO RELIGIOSO
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“noi
sentiamo che, anche se tutte le possibili domande scientifiche avessero
una risposta, i nostri problemi vitali non sarebbero neppure sfiorati”
Wittgenstein
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Postato da: giacabi a 20:36 |
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wittgenstein, senso religioso
IL SENSO RELIGIOSO
«“Tutto non morirò, non morirò tutto”
“Certe volte sento con assoluta chiarezza che
io non sono tutto dentro me stesso.
C’è qualcosa d’altro di indistruttibile, di altissimo!
Una specie di scheggia dello Spirito Universale.
Lei non lo sente?"»
Solzenicyn Reparto C
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Postato da: giacabi a 16:40 |
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solzenicyn, senso religioso
L'uomo di neve
***
di H. C. Andersen
«Fa
così freddo che scricchiolo tutto» disse l'uomo di neve. «Il vento,
quando morde, fa proprio resuscitare! Come mi fissa quello là!» e
intendeva il sole, che stava per tramontare. «Ma non mi farà chiudere
gli occhi, riesco a tenere le tegole ben aperte.»Infatti i suoi occhi
erano fatti con due pezzi di tegola di forma triangolare. La bocca
invece era un vecchio rastrello rotto, quindi aveva anche i denti.Era
nato tra gli evviva dei ragazzi, salutato dal suono di campanelli e
dagli schiocchi di frusta delle slitte.Il sole tramontò e spuntò la luna
piena, rotonda e grande, bellissima e diafana nel cielo azzurro.«Eccolo
che arriva dall'altra parte!» disse l'uomo di neve. Credeva infatti che
fosse ancora il sole che si mostrava di nuovo.
«Gli
ho tolto l'abitudine di fissarmi, ora se ne sta lì e illumina appena
perché io possa vedermi. Se solo sapessi muovermi mi sposterei da
un'altra parte. Vorrei tanto cambiare posto! Se potessi, scivolerei sul
ghiaccio come hanno fatto i ragazzi, ma non sono capace di correre.»
«Via,
via!» abbaiò il vecchio cane alla catena. Era un po' rauco, lo era
diventato da quando non stava più in casa e non dormiva più vicino alla
stufa. «Il sole ti insegnerà senz'altro a correre! L'ho già visto con il
tuo predecessore dell'anno scorso, e con quello dell'anno prima. Via,
via! e tutti ve ne andrete!»
«Non
ti capisco, amico!» disse l'uomo di neve. «Quello lassù mi deve
insegnare a correre?» e intendeva la luna. «È corso via infatti, quando
l'ho fissato prima, ma ora spunta fuori da un'altra parte!»
«Tu
non sai nulla» gli rispose il cane alla catena «ma sei appena stato
fatto! Quella che tu vedi si chiama luna, quello che se n'è andato era
il sole. Tornerà domani e ti insegnerà a scorrere nel fosso. Tra poco
cambierà il tempo, lo sento dalla zampa posteriore che mi fa male.
Cambierà il tempo.»
«Non
lo capisco» commentò l'uomo di neve «ma ho la sensazione che stia
dicendo qualcosa di spiacevole. E quello che mi fissava e se ne è andato
si chiama sole, non deve essermi amico neppure lui, lo sento.»
«Via! Via!» abbaiò il cane alla catena, poi girò tre volte su se stesso e si ritirò nella cuccia per dormire.
Il
tempo cambiò davvero. Una nebbia fitta e umida si stese durante la
mattinata su tutto il territorio, all'alba cominciò a soffiare il vento,
un vento gelato che fece spuntare dappertutto il ghiaccio, ma che
splendore quando comparve il sole! Tutti gli alberi e i cespugli erano
ricoperti di ghiaccio, era come vedere un intero bosco di coralli
bianchi, come se tutti i rami fossero ricoperti di lucenti fiori
bianchi. Quei rami sottili che d'estate non si possono vedere a causa
delle molte foglie si mostravano ora uno per uno, sembravano un ricamo, e
tutto era bianco splendente come se da ogni ramo sgorgasse un bianco
splendore. La betulla si piegava al vento, c'era vita in lei, come in
tutti gli alberi nel periodo estivo, era uno splendore senza fine.
Quando brillò il sole ogni cosa scintillò, come se tutto fosse stato
ricoperto di una polvere lucente, e sulla distesa di neve che ricopriva
la terra luccicavano grandi diamanti, o meglio si poteva credere che
bruciassero infiniti lumini ancora più bianchi della bianca neve.
«È
una meraviglia incredibile!» disse una fanciulla che con un giovane
attraversava il giardino, poi si fermò proprio vicino all'uomo di neve e
si mise a guardare quei meravigliosi alberi «In estate non c'è una
vista così bella!» disse, e le brillavano gli occhi.«E non abbiamo
neppure un tipo come questo qui!» disse il giovane indicando l'uomo di
neve. «È proprio bello!»La fanciulla rise, fece una riverenza all'uomo
di neve e ballò col suo amico sulla neve che scricchiolò sotto di loro,
come fosse stata di celluloide.«Chi erano quei due?» chiese l'uomo di
neve al cane alla catena. «Tu vivi da più tempo qui nel cortile, li
conosci?»«Certo!» disse il cane alla catena. «Lei mi ha accarezzato, e
lui mi ha dato un osso. Così non li mordo.»
«Ma che cosa rappresentano qui?» chiese l'uomo di neve.
«Innamo-o-r-a-t-i» disse il cane. «Si trasferiranno in un canile e rosicchieranno insieme le ossa. Via! Via!»
«E due come loro sono importanti quanto te e me?» chiese l'uomo di neve.
«Appartengono
alla classe dei padroni» disse il cane. «Non si sa proprio nulla quando
si è nati ieri, lo vedo bene guardando te! Io invece sono vecchio e ho
una grande conoscenza delle cose, conosco tutti qui nel cortile! E ho
conosciuto un tempo in cui non stavo qui al freddo e alla catena. Via!
Via!»
«Il freddo è bello» disse l'uomo di neve. «Racconta, racconta! ma non devi agitare la catena perché mi fa scricchiolare.»
«Via!
Via!» abbaiò il cane. «Io ero un cucciolo; piccolo e grazioso, così
dicevano, quando stavo su una sedia di velluto o mi prendeva in grembo
il padrone più importante; mi baciavano sulla gola e mi asciugavano le
zampette con un fazzoletto ricamato. Mi chiamavamo “Bellissimo”,
“Tesoruccio”, ma poi divenni troppo grande per loro, allora mi diedero
alla governante. Passai così al pianterreno. Lo puoi vedere da dove ti
trovi, puoi vedere in quella cameretta dove io sono stato padrone,
quando ero dalla governante. Naturalmente era più piccola di quella di
sopra, ma era molto più piacevole: non venivo stuzzicato e trascinato
dappertutto dai bambini, come accadeva di sopra; e avevo del buon cibo,
proprio come prima, anzi di più! avevo il mio cuscino e poi c'era una
stufa che in questa stagione è la cosa più bella del mondo! Mi
raggomitolavo lì sotto e era come se sparissi. Oh, quella stufa me la
sogno ancora. Via! Via!»
«È bella la stufa?» chiese l'uomo di neve. «Mi assomiglia?»
«È
proprio il tuo contrario! È nera come il carbone, ha un lungo collo e
uno sportelletto d'ottone; divora pezzetti di legno, così le esce il
fuoco dalla bocca. Bisogna mettersi proprio di fianco, vicini vicini, o
anche sotto, che meraviglia! Tu dovresti riuscire a vederla attraverso
la finestra!»
L'uomo
di neve guardò e vide veramente un grande oggetto nero, lucido, con una
porticina di ottone, e il pavimento intorno tutto illuminato. L'uomo
di neve si sentì molto strano, aveva una sensazione che non riusciva a
spiegarsi, sentiva qualche cosa che non conosceva, ma che tutti
conoscono se non sono fatti di neve.
«Perché l'hai lasciata?» chiese l'uomo di neve: sentiva che doveva
essere una creatura femminile. «Come hai potuto lasciare un posto
simile?»
«Ci
fui costretto» spiegò il cane alla catena. «Mi cacciarono fuori e mi
misero alla catena. Avevo morso il padrone più giovane alla gamba,
perché aveva dato un calcio a un osso che stavo rosicchiando. Osso per
osso, pensai io! Ma loro se la presero molto e da allora mi trovo alla
catena e ho perso la mia bella voce: senti come sono rauco! Via! Via! E
così finì la bella vita per me.»
L'uomo
di neve non ascoltava più, fissava continuamente la stanza della
governante dove si trovava la stufa sulle quattro gambe di ferro:
sembrava alta quanto lui. «Come scricchiolo!» disse. «Riuscirò mai a
entrare? Sarebbe un desiderio innocente e tutti i nostri desideri
innocenti dovrebbero venire esauditi. È la mia massima aspirazione, il
mio unico desiderio, e sarebbe quasi ingiusto se non venisse esaudito.
Devo andare lì dentro, devo arrivare fino a lei, anche se devo rompere
il vetro.»
«Non
entrerai mai!» rispose il cane alla catena. «E se mai arrivassi alla
stufa, allora te ne andresti, hai capito? te ne andresti.»
«È come se fossi già andato!» disse l'uomo di neve. «Mi viene da vomitare.»
Per
tutto il giorno l'uomo di neve guardò in quella stanza; nella penombra
il locale sembrava ancora più bello, dalla stufa proveniva una luce così
tenue che neppure la luna o il sole sapevano eguagliare, un bagliore
tipico di una stufa quando c'è qualcosa dentro. Se aprivano la porta,
allora usciva una fiammata, era una sua abitudine; questa fece diventare
il bianco volto dell'uomo di neve tutto rosso, e lo illuminò fino al
petto. «Non resisto più!» disse. «Come le dona tirar fuori la lingua!»
La
notte fu molto lunga, ma non per l'uomo di neve che si era abbandonato
ai suoi bellissimi pensieri, e questi, gelando, scricchiolavano. Al
mattino le finestre del pianterreno erano gelate, ricoperte dei più bei
fiori di ghiaccio che un uomo di neve possa desiderare, ma gli
toglievano la vista della stufa. Il ghiaccio dei vetri non voleva
sciogliersi, così lui non riusciva a vederla. Si sentiva uno
scricchiolio, un crepitio, era proprio un tempo da gelo che doveva
divertire un uomo di neve, ma lui non era per niente divertito: avrebbe potuto sentirsi felicissimo ma non lo era, perché aveva nostalgia della stufa.
«È
una pessima malattia per un uomo di neve!» commentò il cane alla
catena. «Ho sofferto anch'io di quella malattia, ma ormai l'ho superata.
Via! Via! Ora cambierà il tempo.»
E
infatti il vento cambiò, e sciolse la neve. Venne il caldo, e l'uomo di
neve dimagrì. Non disse nulla, non scricchiolò, e questo era proprio il
segno della fine. Una
mattina crollò. Nel punto in cui si trovava rimase infilzato qualcosa
che assomigliava a un manico di scopa: i ragazzi ce lo avevano costruito
intorno. «Adesso capisco quella sua nostalgia!» disse il cane alla
catena. «L'uomo di neve aveva un raschiatoio della stufa in corpo; è quello che lo turbava, ma adesso tutto è finito. Via! Via!»
E ormai anche l'inverno era quasi finito.
«Via! Via!» abbaiava il cane alla catena, ma le bambine in giardino cantavano:
Affrettati, mughetto, bello e fresco,
getta i rametti, o salice.
Venite, cuculi, allodole, cantate!
C'è già primavera alla fine di febbraio!
Io canto con voi, cuculi, cucù!
Vieni, caro sole, esci anche tu!
E nessuno pensò più all'uomo di neve
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Postato da: giacabi a 21:41 |
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senso religioso
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VINCENT VAN GOGH: UNA FEBBRE DI TA
***dal bellissimo sito di: Roberto Filipetti Presentazione in videoproiezione dell'intero percorso creativo di Vincent Van Gogh: i dipinti e le folgoranti riflessioni del pittore.
Un
viaggio reso affascinante dal racconto di ROBERTO FILIPPETTI, studioso
d'arte e letteratura. Un ideale museo virtuale con i capolavori di Van
Gogh riprodotti ad alta definizione in grandi dimensioni.
Un viaggio in dodici tappe di cui diamo qui di seguito la traccia, e qualche assaggio delle riflessioni del pittore, tra dramma esistenziale e autoesegesi:
1 Vocazione
2 La gabbia e la via d'uscita
Sai
tu ciò che fa sparire questa prigione? E' un affetto profondo, serio.
Essere amici, essere fratelli, amare spalanca la prigione per grazia
potente. Ma chi non riesce ad avere questo rimane chiuso nella morte.
3 Autoritratti
4 La compassione per gli umili, piegati e dignitosi
5 La poetica
Voglio fare dei disegni che vadano al cuore della gente...
Sia nella figura che nel paesaggio vorrei esprimere, non una malinconia sentimentale, ma il dolore vero. Voglio che la gente dica delle mie opere: "sente profondamente, sente con tenerezza"... ... ...cosa voglio: riconciliare gli uomini con il loro destino terreno. Vorrei fare un'arte che apporti consolazione agli uomini.
6 Millet padre & Van Gogh figlio
7 Bellezza, splendore del vero
8 L'infinito
Se tutto ciò che facciamo si affaccia sull'infinito, si lavora più serenamente.
9 Grandezza dell'uomo
Vorrei dipingere uomini e donne con un non so che di eterno, di cui un tempo era simbolo l'aureola.
10 L'infinito negli occhi di un bambino
un bambino nella culla, se lo si osserva con calma, ha l'infinito negli occhi.
... Se si sente il bisogno di qualcosa di grandioso, di infinito, di qualcosa che ci faccia sentire la presenza di Dio, non c'è bisogno di andare lontano per trovarlo. Penso a volte di vedere qualcosa di più profondo e di infinito, di più eterno che nell'oceano, negli occhi di un bimbo, quando si sveglia al mattino, e ride, perché vede il sole che splende sulla sua culla.
11 De-siderio
Quando sono colto dal mio «terribile bisogno di religione», vado fuori di notte a dipingere le stelle...
12 Morte e rinascita
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Postato da: giacabi a 19:30 |
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van gogh, senso religioso
La nostalgia dell’infinito
***
Se
vuoi costruire una nave non chiamare la gente che procura il legno, che
prepara gli attrezzi necessari, non distribuire compiti, non
organizzare il lavoro.
Prima invece sveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena si sarà svegliata in loro questa sete, gli uomini si metteranno subito al lavoro per costruire la nave.
Antoine de Saint-Exupéry
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Postato da: giacabi a 17:39 |
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bellezza, saintexupery, senso religioso
Il senso religioso
***
"Quando
considero la breve durata della mia vita, inghiottito dall'eternità che
la precede e la segue, il piccolo spazio che occupo e che vedo,
sprofondato nell'infinita immensità degli spazi che ignoro e mi
ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là,
perchè non c'è alcuna ragione per essere qui piuttosto che là, per
esserci ora piuttosto che allora. Chi mi ci ha messo? Per ordine e per opera di Chi questo luogo e questo tempo è stato a me destinato?"
Pascal
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Postato da: giacabi a 16:58 |
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pascal, senso religioso
Qualcosa per cui valga la pena di vivere
***
L'uomo
non riesce a trattenere il suo amaro e struggente desiderio di sapere
se la vita sia soltanto una serie di momentanei processi fisiologici, di
desideri e sensazioni che scorrono come i granelli in una clessidra che
segna il tempo una volta sola. Si domanda se la vita è soltanto un
miscuglio di fatti privi di rapporti reciproci. Non
esiste un'anima sulla terra che non si sia resa conto che la vita è
tetra se non si rispecchia in qualcosa che possa durare. Vogliamo tutti
convincerci che esiste qualcosa per cui valga la pena di vivere.
A. Heschel
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