Darwin e le origini illuministe
del razzismo moderno e
della schiavitù americana
***
di Gianfredo Ruggiero - 18/04/2009del razzismo moderno e
della schiavitù americana
***
Fonte: Excalibur
La pubblicazione, nel 1859, del celebre libro di Charles Darwin “L’origine delle specie” destò grande interesse negli ambienti accademici illuministi.
Concetti cardine dell’impianto darwiniano come “selezione naturale, sopravvivenza del più adatto” e il termine di “razza favorita” furono infatti accolti con grande entusiasmo tanto dai teorici del razzismo, quanto dai sostenitori del libero mercato e della superiorità della razza bianca i quali trovarono nelle teorie evoluzioniste di Darwin una inaspettata sponda scientifica.
Come rileva G. Mosse nel suo libro “Il razzismo in Europa: dalle origini all’olocausto”, fu grazie alle teorie di Darwin che in Europa, e poi in America, il razzismo riprese vigore e con esso la schiavitù e il neocolonialismo.
L’antropologo illuminista inglese Edward Tyson individua nei neri - e più precisamente nei pigmei - “l’anello mancante” tra la scimmia antropomorfa e l’uomo, collocando i neri al livello più basso dell’ipotetica scala evolutiva, mentre Arthur De Gobineau, teorico francese vissuto nella metà del diciannovesimo secolo e autore del “Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane”, interpreta la storia umana affermando che la purezza della razza determina la capacità di sopravvivenza e di dominio sulle popolazioni inferiori. Concetto poi ripreso dall’ideologo del nazismo Rosemberg e dagli assertori dell’eugenetica.
Altri pensatori illuministi Diderot, D’Alembert e Voltaire avevano rifiutato l’idea che bianchi e neri discendessero da un medesimo progenitore.
Lo stesso Voltaire, padre della democrazia, trovava normale investire i proventi della vendita dei suoi libri nelle compagnie dedite alla tratta dei negri. A conferma di come i principi di libertà, fratellanza ed uguaglianza proclamati dai filosofi illuministi e sanciti nel sangue della Rivoluzione francese riguardassero solo la razza bianca.
Fu grazie alle teorie evoluzioniste che in occidente si sviluppa una nuova variante del razzismo, quello scientifico, che ha portato in America alla segregazione razziale e alla riduzione in schiavitù di 14milioni di neri e ad accettare lo sterminio dei pellirosse.
La schiavitù, si può obiettare, è sempre esistita. E’ vero, ma a differenza di quella dei secoli passati che riguardava i prigionieri di guerra o i debitori - che tuttavia potevano riacquistare la libertà una volta saldato il debito o finita la guerra - la schiavitù moderna, di estrazione illuminista, considera i neri alla stregua di animali domestici, privi di qualsiasi umano diritto e destinati, di conseguenza, a servire l’uomo bianco per tutta la vita.
Il razzismo, se in America si manifestò con la schiavitù e la segregazione razziale (rimasta in vigore in molti Stati americani fino alla metà degli anni sessanta), in Europa ebbe la sua espressione più violenta nella dottrina e nella politica del nazismo, dove l’antiebraismo fu uno dei punti centrali del programma hitleriano basato sulla purezza della razza ariana.
La teoria di Darwin della selezione naturale, sostenendo la prevaricazione della razza più forte rispetto a quella più debole e giustificandola come necessità naturale, aveva dato inoltre origine al “darwinismo sociale”, che permise ai borghesi conservatori di ieri e ai sostenitori del libero mercato di oggi di affermare che le disuguaglianze sociali sono inevitabili necessità naturali.
In definitiva sia Hitler con la superiorità ariana, sia gli americani con la schiavitù e la segregazione razziale non hanno inventato nulla, hanno solo portato alle estreme conseguenze le teorie razziste già presenti in occidente e che nell’evoluzionismo di Darwin hanno trovato nuova linfa, un formidabile sostegno scientifico ed una insperata giustificazione morale.
Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it
Postato da: giacabi a 17:55 |
link | commenti
razzismo, voltaire
Razzismo ed eugenetica
nascono nell’ateismo materialista
***
Negare
Dio, significa innanzitutto negare l’uomo. La storia lo ha dimostrato
fin troppo bene. Per i naturalisti, i materialisti, i riduzionisti, i
positivisti, per tutti coloro che ritengono non ci sia un Legislatore
ultimo a cui rendere conto, che senso ha la vita morale degli individui?
Se non esiste un criterio superiore di giustizia, può esistere una
legge vera, giusta, che valga per tutti perché superiore, precedente
all’uomo? No. Per un ateo non esiste il concetto che una cosa è sempre
bene oppure è sempre male, la sua fede gli impone di credere che ogni
uomo ha il diritto di decidere lui cosa è bene e cosa è male, di
costruirsi la sua morale, la sua etica.
1. Introduzione
2. Illuminismo e razzismo
3. Darwinismo e razzismo
4. Ateismo, nazismo e razzismo
5. Eugenetica e ateismo nel ’900
6. Condanna della Chiesa Cattolica
7. Conclusione
2. Illuminismo e razzismo
3. Darwinismo e razzismo
4. Ateismo, nazismo e razzismo
5. Eugenetica e ateismo nel ’900
6. Condanna della Chiesa Cattolica
7. Conclusione
Scriveva molto coerentemente l’ateo J.P. Sartre (1905-1980): «Non
può più esserci un bene a priori perché non vi è nessuna coscienza
infinita e perfetta per pensarlo. Non sta scritto da nessuna parte che
il bene esiste, che bisogna essere onesti, che non si deve mentire e per
questa precisa ragione: che siamo su di un piano dove ci sono solamente
uomini»1.
Aveva pienamente ragione il grande esistenzialista Sartre: se Dio non
esiste tutto è permesso, non sta scritto da nessuna parte infatti ciò
che è bene e ciò che è male. Il razzismo è proprio dimostrativo di tutto
ciò. ieri la cultura laicista lo riteneva in piena sintonia con il
darwinismo, con l’assoluto diritto dell’uomo di creare una società più
pura e forte. Oggi la stessa cultura, per fortuna (anche se ci sono
parecchie eccezioni), ne ha preso ampiamente le distanze. Al contrario
il cristianesimo è rimasto radicato, ieri come oggi, nella sua profonda
opposizione alla concezione di razze adatte e meno adatte, pure e meno
pure, basata sul libero arbitrio e sulla genesi biblica dell’uomo,
figlio di un solo Padre e quindi fratello del “nero” come del “giallo”.
Come contriburremo a dimostrare, il razzismo e l’eugenetica si
nutriranno di una visione assolutamente atea, teoricamente o
praticamente, della vita, in cui non vi è alcuno spazio per un Dio
creatore, ma solo l’esistenza di popoli “superiori” ed “inferiori”, di
sangue, di luoghi, di colore della pelle, di forme e volumi cranici
(frenologia), di predisposizioni genetiche al di sopra della libertà
umana ecc.. Lo storico ebreo del razzismo, Lèon Poliakov (1910-1997),
nota come i primi teorici del razzismo, per lo più poligenisti,
deterministi e negatori del libero arbitrio umano, partirono spesso
dalla contestazione esplicita del racconto genealogico della Bibbia per
fondare in ottica materialistica, la psicologia sulla fisiologia, e così
«sbarazzarsi dei pregiudizi religiosi su cui era fondata» sino ad allora. Aggiunge poi: »Il
rifiuto di vedere l’uomo creato a immagine di Dio, fu in buona parte
alla base del pensiero determinista e razzista del XIX secolo». Infatti, «la
tradizione giudaico-cristiana era “antirazzista” e “antinazionalista”.
Per questo l’antropologia della Chiesa ha sempre giocato un ruolo di un
freno estremo alle teorie razziste»2.
L’uomo
nella visione materialista è concepito come un animale in-cosciente,
regolato dall’istinto, un elemento naturale, un aggregato di materia
senz’anima, un meccanismo geneticamente determinato. E’ così che i
positivisti atei, come Émile Zola (1840–1902),
ritennero lecito studiare, analizzare, abusare, sezionare l’uomo come
si farebbe con un «ciottolo della strada», non essendo, in fondo, nulla
di più. E’ così che i criminologi atei come Cesare Lombroso (1835-1909),
ritennero giusto e scientifico catalogare i «crani deficienti», volendo
rinchiudere la personalità, la libertà, l’originalità di ogni singolo
uomo nelle sue caratteristiche fisionomiche, “credendo” che l’uomo si
esaurisca in ciò che si vede e si tocca, dall’ampiezza del cranio dalla
lunghezza degli arti ecc. Esattamente come faranno i primi teorici del
razzismo, che riterranno, ad esempio, che la dimensione ridotta del
cranio della donna sia un segno della sua inferiorità rispetto all’uomo.
L’Illuminismo è sicuramente il momento di rinascita dell’ateismo filosofico3 e il razzismo è sicuramente figlio dell’Illuminismo. Il celebre storico contemporaneo George Mosse (1913-1999)
lo definisce una «religione laica», nata dall’Illuminismo e basata
essenzialmente sul materialismo biologico. Lo conferma anche il già
citato Poliakov, che sottolinea a lungo la stretta correlazione fra il pensiero illuminista e la genesi del razzismo4. Ad esempio Voltaire (1694-1778), il
famoso “apostolo della tolleranza” riteneva che l’idea cattolica,
secondo cui gli uomini sarebbero tutti “fratelli” essendo creature di
un’unico Padre, sarebbe una sciocchezza assolutamente antiscientifica.
Al monogenismo biblico, che esclude di per sè qualsiasi razzismo,
Voltaire sostituì il poligenismo, cioè l’idea secondo cui i diversi
gruppi umani discendevano da numeri e diversi antenati. Spiegò: «Checchè
ne dica un uomo vestito di un lungo e nero abito talare [il prete
N.d.A.], i bianchi con la barba, i negri dai capelli crespi, gli
asiatici dal codino, e gli uomini senza barba non discendono dallo
stesso uomo»5.
Continuava situando i negri nel gradino più basso della scala,
definendoli animali, dando credito all’idea mitica di matrimoni tra le
negre e le scimmie, e considerando i bianchi «superiori a questi negri, come i negri alle scimmie, e le scimmie alle ostriche»6.
In relazione a queste idee finiva poi per elaborare giustificazioni
“naturali” allo schiavismo e al colonialismo. Altri famosi illuministi
atei, come Diderot e D’Alambert (per i quali l’uomo era figlio del caso, «nel numero dei possibili»), scrissero nell’Encyclopédie (1772), compendio dei valori illuministici, che «all’animale
più evoluto, la scimmia, viene unito il tipo d’uomo ritenuto inferiore,
il negro: per il pallido europeo, infatti, questi trascina un’esistenza
semiferina, alinea dal pensiero razionale e dalla civile convivenza». I negri vengono poi dipinti come viziosi e «per lo più inclini al libertinaggio, alla vendetta, al furto, alla menzogna»7.
Nel 1800, dal preambolo illuminista, si sviluppò quello che gli storici chiamano il «razzismo scientifico»8,
una visione scientifica sviluppatasi in Europa e nelle Americhe in
ambienti universitari, basata su studi antropologici e comportamentali
mescolati a teorie derivanti da particolari rami della criminologia,
sociologia, biologia, medicina e genetica. Inoltre, la
strumentalizzazione da parte dei positivisti atei della teoria
evoluzionistica di Darwin, nel tentativo di screditare la visione
cristiana e biblica dell’uomo come creatura unica ed irripetibile,
produsse crimini disumani, troppo spesso dimenticati. Lo ammette il
genetista darwinista e divulgatore scientifico Edoardo Bonicelli: «Un
certo modo di vedere l’evoluzione è stato alla base di alcune delle
teorie più aberranti sul presente e sul futuro della specie umana e
sulla struttura dell’umanità in razze e strati sociali»9.
Calando totalmente l’uomo nella natura animale, misconoscendogli
qualsiasi altra natura, cioè spirituale, riducendolo alla biologia e
alla genetica, per la cultura atea, scientista e positivista, divenne
inevitabile connettere ogni differenza tra popoli a superiorità o
inferiorità di tipo biologico.
Alla
genesi di questa cultura, in piena continuità con le speculazioni
illuministiche, contribuirono, volenti o nolenti, anche uomini come Darwin, tanto venerato dalla cultura laicista, e Thomas Huxley. Nonostante i suoi grandi e meritati elogi per la teoria darwinistica, Charles Darwin (1809-1882)
è anche riconosciuto come uno dei primi teorici del razzismo moderno.
Vissuto nel secolo dell’esplosione atea, anch’egli era imbevuto di
credenze materialistiche tanto da essere convinto che l’intelligenza
maturata nel riflettere sull’evoluzione aveva modificato la forma del
suo stesso cranio: «E’ probabile che il mio cervello si sia
sviluppato proprio nel corso delle ricerche compiute durante il viaggio:
lo dimostra un’osservazione di mio padre, quando la prima volta che mi
vide dopo il viaggio, si volse alle mie sorelle ed esclamò: “Guardate,
gli è cambiata la forma della testa”.10. Oltre a queste schiocchezze, scrisse anche di peggio: «Si
crede generalmente che la donna superi l’uomo nell’imitazione, nel
rapido apprendimento e forse nell’intuizione, ma almeno alcune di tali
facoltà sono caratteristiche delle razze inferiori e quindi di un più
basso e ormai tramontato grado di civiltà. La distinzione principale nei
poteri mentali dei due sessi è costituita dal fatto che l’uomo giunge
più avanti della donna, qualunque azione intraprenda, sia che essa
richieda un pensiero profondo, o ragione, immaginazione o semplicemente
l’uso delle mani e dei sensi [...]. In questo modo alla fine l’uomo è
divenuto superiore alla donna». A conferma di ciò, Darwin citava una frase del materialista ateo Carl Vogt (1817-1895): «E’
una circostanza notevole che la differenza tra i due sessi per quanto
riguarda la cavità cranica, aumenti con lo sviluppo della razza, così
che il maschio europeo supera la femmina più di quanto un negro non
superi la negra»11. E ancora: «Noi
uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di
eliminazione: costruiamo asili per i pazzi, storpi e malati; istituiamo
leggi per i poveri e i nostri medici esercitano al massimo la loro
abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento. Vi è motivo
per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli
che per la loro debole costituzione un tempo non avrebbero retto il
vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro
genere. Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli
animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso
per la razza umana [...]. Dobbiamo quindi sopportare l’effetto
indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino
il loro genere, ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante,
impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i
sani»12. Il grande e stimato naturalista chiudeva così una delle sue opere di maggior successo: «I
più poveri e negligenti, che sono spesso degradati dal vizio, quasi
invariabilmente si sposano per primi, mentre i prudenti e i frugali, si
sposano in tarda età. L’irlandese imprevidente, squallido, senza
ambizioni, si moltiplica come i conigli; lo scozzese frugale,
previdente, pieno di autorispetto [...] trascorre i suoi migliori anni
nella lotta e nel celibato [...]. Nell’eterna lotta per l’esistenza è la
razza inferiore e meno favorita che ha prevalso e non ad opera delle
sue buone qualità ma dei suoi difetti»13. Dal canto suo Thomas Huxley (1825-1895), il cosiddetto “mastino di Darwin”, affermava: «Nessun
uomo razionale, che abbia cognizione dei fatti, crede che l’uomo negro
medio sia uguale o meno che mai superiore all’uomo bianco. Se questo è
vero, non è assolutamente credibile che, quando siano stati eliminati
tutti i suoi svantaggi e ottenute le condizioni di parità senza più
oppressori, il nostro prognato parente possa competere con il suo rivale
dal cervello più grande e dalle mascelle meno pronunciate. I gradi più
alti di civiltà non saranno mai alla portata dei nostri cugini di pelle
scura»14.
Al contrario, il diretto collega di Darwin, Alfred Russel Wallace (1823-1913),
co-scopritore della teoria evoluzionistica basata sulla selezione
naturale, non si volle mai rassegnare all’idea che l’uomo fosse una
semplice evoluzione della bestia, e affermò la superiorità dello spirito
sulla materia, ammettendo l’esistenza di un Dio trascendente: «Un’intelligenza
superiore ha guidato lo sviluppo dell’uomo in una direzione definita e
per uno scopo speciale, proprio come l’uomo guida lo sviluppo di molte
forme animali e vegetali»15. Nel 1912 arrivò addirittura a condannare l’eugenetica originata dalla cultura ateistica, ritenendola «null’altro che l’invadente interferenza di un’arrogante casta scientifica»16.
Fu questa sua posizione teistica e non riduzionista a permettergli di
non cadere nel razzismo e nell’eugenetica, a differenza di moltissimi
evoluzionisti materialisti.
Uno di essi fu Ernst Haeckel, (1834-1919) ateo, materialista e amico personale di Darwin, membro nel 1905 della “Società internazionale dell’igiene razziale” («destinata a promuovere la qualità della razza bianca»17). Haeckel -spiega lo storico della scienza Federico Di Trocchio- riteneva il darwinismo la negazione «del vecchio dogma dell’immortalità dell’anima personale»18.
Per dimostrare le sue tesi non eistò a proporre falsificazioni a ritmo
continuo (si vedano ad esempio le tre figure di embrione di cane e i
ventidue anelli dalla “monera” all’uomo). Haeckel era anche convinto
della superiorità della razza indogermanica e della bontà del modello
spartano (dove i bambini malformati e malati venivano gettati da una
rupe perché poco idonei alla guerra). e della credenza in un Dio
creatore
Il già citato socialista ateo Cesare Lombroso (1835-1909),
padre dell’antropologia criminale, riteneva invece che i criminali
fossero espressioni di regressioni evolutive, tipi somigliante al
“negroide” o al “mongolico”, in cui determinate conformazioni del cranio
e del corpo avrebbero determinato l’onestà o meno di una persona. Il
suo figlioccio più noto, Enrico Ferri (1856-1929),
ateo, senatore di estrema sinistra e darwinista convinto, negava
l’esistenza del libero arbitrio e sosteneva che il delinquente giungesse
al delitto necessariamente spinto da causa antropologiche, fisiche e
sociali, cioè dalle caratteristiche genetiche di cui era schiavo.
Sosteneva anche la teoria del “tipo napoletano”, cioè l’idea che il
popolo meridionale avesse un’iinata propensione a delinquere a causa di
un’inferiorità biologica atavica (da qui l’idea di non mescolare le
razze del Nord con quelle del Sud)19
Il grande evoluzionista Stephen Jay Gould (1941-2002) ha raccontato in alcuni suoi saggi del famoso “processo alla scimmia” del 1925 contro l’insegnante di biologia John Scopes
(che in realtà stava sostituendo il collega biologo, essendo lui
un’insegnante di ginnastica), reo di aver esposto il darwinismo ai suoi
alunni di una scuola del Tennessee (Stati Uniti). Gould spiega che il
divieto di insegnamento della teoria darwinistica era dovuto al fatto
che biologi, etologi e filosofi della natura, uscendo dal terreno
scientifico, sostenevano una “visione marziale” del darwinismo, un’idea
razzista dell’umanità, divisa tra superiori e inferiori, in nome della
selezione del più forte, dello scontro inevitabile tra le nazioni,
dell’animalità inevitabilmente aggressiva degli uomini. Questa era la
modalità di esporre le teorie di Darwin nei libri di testo scolastici,
politici e militari, come -scrive Gould-«la piena giustificazione
della guerra e di progetti altamente organizzati di politica nazionale
in cui la dottrina della forza divenne la dottrina del diritto»20. E’ ciò che verrà chiamato darwinismo sociale,
cioè il desumere comportamenti morali dalla teoria darwinistica.
Sopratutto in Germania, ma anche in America, si cercava di veicolare,
attraveso l’evoluzionismo, un concetto non scientifico come il
determinismo biologico. Propio nel libro adottato da Scopes, “A civic biology”, di G.W. Hunter (1914), è contenuta «l’affermazione
a chiare lettere che la scienza possiede la risposta morale a questioni
sul ritardo mentale o sulla povertà sociale». Gould spiega che nel
testo scolastico si proponeva l’idea di impedire il matrimonio,
attraverso la sterilizzazione o segregazione, di quanti potevano essere
considerati «parassiti della società», a causa di una tendenza innata, genetica ed ereditaria alla povertà, al crimine, al vagabondaggio21.
Il culmine comunque lo toccò Francis Galton (1822-1911),
cugino di Darwin, ateo e fondatore dell’eugenetica moderna, per la
quale tutto ciò che un uomo è, è determinato dai suoi geni, che decidono
anche del suo essere ricco o povero, onesto o meno. L’eugenetica nasce
dall’antico sogno ateistico di creare un’umanità perfetta,
assolutamente sana e senza macchia, che non abbisogni di un Dio
Salvatore e di una Redenzione. Le teorie di Galton vennero attuate con
sistematicità e scientificità negli Stati Uniti alla fine
dell’Ottocento, prima di essere riprese da Hitler per il suo programma
eutanasico.
Chiamiamo in causa ancora uno fra i massimi storici del razzismo, Lèon Poliakov,
il quale ricorda nel suo celeberrimo studio che la seduzione del mito
ariano si fondava in gran parte sul desiderio di distanziarsi
dall’antropologia biblica e dalle «favole ebraiche»: «La
teoria ariana si iscrive dunque bene nella tradizione anticlericale e
antioscurantista e fa parte dei primi tentativi delle scienze umane, che
cercando di fondare i loro metodi sul modello delle scienze esatte, si
impegnavano in quest’epoca nel loro secolare impasse meccanicistico e
determinista»22.
Infatti anche la visione razzista di Hitler era definita dalle
caratteristiche fisiche e biologiche. Il Führer toglieva ogni spazio
alla libertà, alla crescita morale, all’anima esattamente secondo i
dettami del determinismo positivista e materialista di un Comte o di un Zola. Scriveva: «E’
chiaro che le qualità peculiari dell’individuo sono innate in esso: chi
è egoista resta sempre tale, chi è idealista, lo sara sempre. Il
crimnale nato rimarrà sempre un criminale»23. Come accennato sopra, Hitler riprenderà le dottrine razziste dell’antropologo ateo Francis Galton,
il primo a proporre sistematicamente l’idea di matrimoni selettivi, di
segregazione dei disgenici, di sterilizzazione di barboni, poveri,
malati, idioti, persone «inferiori», convinto che le caratteristiche «sia fisiche che mentali delle persone sono ereditarie».
Tutto divenne spiegabile con l’ereditarietà, dalla prostituzione alla
disoccupazione, dall’alcolismo alla improduttività, selezionava così
«adatti» e «inadatti» affinché il loro patrimonio genetico non si
diffondesse. Il fine di Galton -spiega Cristian Fuschetto dell’Istituto Italiano di Bioetica- «era
quello di guidare attraverso l’eugenetica il corso dell’evoluzione al
fine di raggiungere nessun altro scopo se non il bene dell’umanità
intera», sacrificando, se necessario, i singoli individui. Galton arrivò a negare la dottrina del peccato originale e «trovò
nell’eugenetica un sostituto scientifico dell’ortodossia clericale, una
sorta di fede secolarizzata, capace di avverare concretamente il sogno
di un miglioramento del genere umano, prospettando un paradiso
eugenetico dove l’ordine e la felicità sono garantiti dalla segregazione
dei malati (disgenici) e dall’accoppiamento dei migliori (eugenici)»24.
Si discute se Galton abbia preso o meno spunto da suo cugino Darwin
(anche se abbiamo visto che il grande naturalista non era affatto
lontano da queste convinzioni), anche perché entrambi si citavano a
vicenda a mò di conferma. Lo storico della scienza Andrè Pichot sottolinea comunque che «Darwin
sembra essere stato in buon accordo con suo cugino Galton, e se non ha
parlato propriamente di eugenetica è stato verosimilmente perché
l’eugenetica è stata teorizzata dopo la sua morte»25. La
convergenza tra Darwin e Galton anche su tematiche razziste ed
eugenetiche è stato comunque confermato anche da una fitta
corrispondenza tra i due e dal racconto di Alfred Russel Wallace,
il quale, durante una delle sue ultime discussioni con Darwin, lo trovò
davvero preoccupato del fatto che nella moderna società, i più adatti
non sopravvivessero, mostrandosi totalmente d’accordo con le previsioni
di Galton.
Tornando al nazismo, è pienamente dimostrato che Hitler ereditò le convinzioni di Galton e Darwin. Il premio Nobel per la Medicina, James Watson, conferma che «nel
1933, i nazisti avevano promulgato una legge completa sulla
sterilizzazione esplicitamente basata sulle teorie di Galton. Nell’arco
di tre anni furono sterilizzate 225 persone»26. Nel Mein Kampf, dopo aver spiegato che lo Stato «dovrà impedire ai malati o ai difettosi di procreare», Hitler scriveva: «Basterebbe
per seicento anni non permettere di procreare ai malati di corpo e di
spirito per salvare l’umanità da una immane sfortuna e portarla a una
condizione di sanità oggi pressoché incredibile»27. Oggi il neodarwinista e leader dell’ateismo scientista, Richard Dawkins, oltre ad entusiasmarsi per Galton28, non sembra distanziarsi di molto: «Se
un paese volesse vincere la gara di salto in alto alle Olimpiadi entro
un paio di secoli basterebbe far accoppiare saltatori in alto esperti,
maschi e femmine, e si potrebbe fare lo stesso per i matematici e i
musicisti. Ma non è mai stato fatto. C’è una diffusa ostilità verso
questa idea purtroppo. Credo che in larga misura provenga
dall’esperienza del nazismo. Hitler era entusiasta di questa idea e
quindi da allora essa ha goduto di pessima fama»29. Gli stessi nazisti, come Rudolf Hess
(1894-1987), definivano la loro ideologia una «biologia applicata»,
perché fondata su una visione di controllo assoluto dei processi
biologici. Utilizzando il termine darwiniano “selezione”, essi cercarono
di sostituirsi alla natura (selezione naturale) e a Dio, per essere
loro a dirigere e controllare l’evoluzione umana. E così nacquero leggi
razziali sul matrimonio, luoghi in cui ariani e ariane di particolare
bellezza e forza venivano spinti a procreare una discendenza “superiore”
(come si augura ancora oggi Dawkins), sterilizzazioni forzate,
eliminazioni tramite eutanasia di determinate categorie di inadatti e
improduttivi, aborti per donne tedesche gravide di bambini non “puri”
ecc.
Alle loro dottrine razziste, non rispose alcun intellettuale laico,
nessun profeta dell’ateologia, ma soltanto i “soliti” Pio XI,
nell’enciclica Mit brennender Sorge (1937) e Pio XII, nella Summi pontificatus (1939), dove si ribadiva l’errore insito nella volontà di dimenticare «quella
legge di umana solidarietà e carità, che viene dettata e imposta [...]
dalla comune origine e dell’uguaglianza della natura razionale in tutti
gli uomini, a qualunque popolo appartengano. [...] E’ necessario
contemplare il genere umano nell’unità di una comune origine in Dio
[...] nell’unità della natura, ugualmente costituita in tutti di corpo
materiale e di anima spirituale e immortale».
L’appoggio concesso alle teorie razziste di Galton da parte di Charles Darwin e da personaggi assai noti come il matematico Bertrand Russel, padre dell’ateologia moderna, e lo scrittore George Bernard Shaw
(il quale specificò letteralmente nel suo testamento di non voler che
alcun monumento pubblico o alcuna opera d’arte suggerisca che lui abbia
accettato i principi di una qualsiasi chiesa o religione, né desidera
essere ricordato sotto alcun simbolo che abbia la forma di una croce30),
portarono alla veloce diffusione dell’eugenetica in molti paesi:
Inghilterra, USA, Belgio, Svizzera, Svezia, Olanda, Norvegia, Danimarca,
Finlandia, tutti paesi, non a caso, in cui la voce della Chiesa
cattolica era debole o quasi nulla. Galton, scrive l’evoluzionista S.J. Gould, «era considerato all’epoca uno dei massimi intelletti del suo tempo»,
voleva dimostrare scientificamente la naturale inferiorità dei neri e
la superiorità della razza anglosassone. Nel 1902 ricevette la “Darwin Medal of the Royal Society” e nel 1910, sempre per i suoi scritti sull’eugenetica, ottenne la “Copley Medal of the Royal Society”, che però, a causa della sua salute inferma, venne ritirata per suo conto da Sir George Darwin (1845-1912), figlio del padre dell’evoluzionismo ed eugenista convinto, come del resto suo fratello Leonard Darwin (1850-1943), presidente della britannica Eugenics Education Society.
Dopo il “Primo Congresso Internazionale di Eugenetica” del 1912, le
riviste più prestigiose, da «Nature» al «Times», si contendevano i suoi
articoli: le sue disquisizioni sulla necessità di sostituire il vecchio
libero arbitrio col più aggiornato determinismo andavano letteralmente
“a ruba”. Negli Stati Uniti l’eugenetica raggiunse l’apice della
diffusione: i milioni di immigrati provenienti dall’Europa divennero,
assieme ai ritardati, ai poveri, alle prostitute e agli alcolisti, i
principali bersagli dell’eugenetica. L’obiettivo, anche qui, era
migliorare l’umanità per arrivare alla selezione di individui perfetti.
Nel 1917 quindici Stati degli USA adottarono una legislazione in campo
eugenetico (sterilizzazioni, segregazioni e restrizioni), nel 1944
divennero trenta (la Virginia, nel 1979, fu l’ultimo Stato a rimuovere
la legge sulla sterilizzazione forzata). Nel 1928 l’eugenetica divenne
un corso universitario in 328 college, tra cui Yale, Harvard e Stanford31. Il già citato James Dewey Watson, scrive che fu sopratutto la sinistra liberale ad abbraciare in massa le teorie razziste. L’ateo Bernard Shaw (1856-1950) scrisse ad esempio: «Oggi
non esiste alcune scusa ragionevole per rifiutarsi di affrontare il
dato di fatto che nulla, se non una religione eugenetica, può salvare la
nostra civiltà»32. L’eugenismo -continua Watson- era
d’obbligo anche nel nascente movimento femminista: la paladine della
contraccezione, come l’atea britannica Marie Stopes33), considerava l’eugenetica una forma di controllo delle nascite. Negli Stati Uniti, Margaret Sanger (1879-1966), l’atea fondatrice di Planned Parenthood (ancor oggi la più influente associazione abortista del mondo) scriveva: «Più
figli da chi è dotato e meno da chi non lo è: questo è il primo punto
per il controllo delle nascite. Il problema più urgente oggi è come
limitare e scoraggiare l’iper fertilità di quelli mentalmente e
fisicamente inferiori. E’ possibile che metodi drastici e spartani siano
inevitabili per la società americana, se si continua a incoraggiare con
compiacenza la procreazione casuale e caotica che nasce dal nostro
stuipido e crudele sentimentalismo»34. In Svezia i primi provvedimente eugenetici nascono sotto l’impulso delle teorie del premio Nobel Alva Myrdall (1902-1986, atea e aderente al partito socialistademocratico35).
L’eugenetica divenne una vera ossessione in quegli anni, anche in
Italia, dove però fu mitigata dalla cultura cattolica e non riuscì mai a
tradursi in provvedimenti legislativi concreti. (1880-1950, abortista e
fan accanita di Adolf Hitler
Già
nel VI secolo la Chiesa aveva cominciato ad opporsi alla schiavitù e
per la fine del X secolo era riuscita ad eliminarla in gran parte
d’Europa. Quando però gli spagnoli conolizzarono le isole Canarie, nel
1435, Eugenio IV (1383-1487), con la bolla Sicut dudum,
sotto la minaccia di scomunica, concesse a chi era coinvolto nello
schiavismo, quindici giorni dal ricevimento della bolla per «riportare
alla precedente condizione di libertà tutte le persone di entrambi i
sessi una volta residenti delle dette isole Canarie»36. I papi successivi, Pio II e Sisto IV ribadirono l’illiceità della schiavitù37. Nel 1537, con la bolla Veritas Ipsa, papa Paolo III (1468-1549), scontrandosi duramente con le autorità laiche, «stabiliva
il principio della pari razionalità e quindi della piena uguaglianza e
dignità di tutti gli uomini, compresi gli indigeni, condannando la
schiavitù»38. Emise tre decreti contro la schiavitù nel Nuovo Mondo e dichiarò che «gli
stessi indiani in verità sono uomini autentici, perciò secondo la
nostra Autorità Apostolica decretiamo e dichiariamo che gli stessi
indiani e tutti gli altri popoli anche se non appartenenti alla nostra
religione [...] non dovrebbero essere privati della loro libertà o delle
loro proprietà». Urbano VIII (1568-1644), nel 1639 emise la bolla Commissum Nobism,
nella quale riaffermava la scomunica di Paolo III a coloro che erano
coinvolti nella tratta degli schiavi. Lo storico delle religioni, Rodney Stark, ricorda: «Nel
Nuovo Mondo era illegale pubblicare queste bolle antischiaviste, come
qualsiasi altra dichiarazione papale, senza il consenso del re, che non
fu mai concesso. Quando i gesuiti lessero in pubblico la bolla di Urbano
VIII, a Rio de Janeiro, si scatenò una rivolta che provocò il
saccheggio del loro collegio locale e il ferimento di diversi sacerdoti.
A Santos, la folla travolse il vicario generale gesuita quando tentò di
pubblicare la bolla. Nel 1767 i gesuiti vennero brutalmente espulsi dal
Nuovo Mondo per aver continuato ad opporsi alla schiavitù e aver dato
vita, con successo, a comunità di nativi notevolmente avanzate»39. Papa Benedetto XIV (1675-1758), nel 1741, attraverso la bolla “Immensa Pastorum principis”, continuò la dura opposizione allo schiavismo nelle Americhe40.
Nel
XX° secolo, quando le aberranti considerazioni promosse dalla cultura
atea materialista crebbero ed esplosero, anche a seguito delle già
citate strumentalizzazioni scientifiche, la Chiesa tornò ad opprosi
fermamente. Lo fece con l’enciclica Casti connubii (1930), nella quale Pio XI (1857-1939),
condannò duramente l’aborto e la pretesa dell’autorità pubblica di
vietare ad alcuni il matrimonio, o sterilizzare quanti venissero
ritenuti a rischio di «prole difettosa». Occorre, scriveva il papa,
provare a dissuadere dalla procreazione coloro che rischiano di avere
figli malati, ma «le pubbliche autorità non hanno alcuna potestà diretta sulla membra dei sudditi» e «non
possono mai, in alcun modo, ledere direttamente o toccare l’integrità
del corpo, nè per ragioni eugenetiche, nè per qualsiasi altra cagione». Le reazione della cultura laicista ed eugenetica? La stessa che sarebbe avvenuta oggi: «Bisogna
tristemente riconoscere che da qui in avanti non ci può essere nessuna
tregua tra noi, che cerchiamo la salvezza a modo nostro, e i crociati di
Roma. Poiché in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa di più che
un invito a regredire al Medioevo, ci troviamo di fronte a un invito
alla crociata contro la libertà di pensiero e di azione dalla Stato
moderno» scrisse la rivista «Eugenics Review» nel 193141.
Insomma, la solita intromissione della Chiesa che si oppone allo
sviluppo scientifico e alle onorevoli iniziative della cultura laicista:
sterilizzazione di massa, razzismo biologico, segregazioni, isolamento
ed eliminazione dei ceppi umani di qualità inferiore, controllo delle
nascite ecc…
Cedere
ad una deriva laicista, atea, materialista e riduzionista (come
purtroppo toccò anche al grande Darwin) porta inevitabilmente a perdere
di vista l’unicità dell’uomo, riducendolo ad un semplice animale, solo
quantitativamente e non qualitativamente, diverso dagli altri. Si
dimentica violentemente l’altra dimensione umana, quella spirituale, si
censura l’esistenza dell’anima e si abbandona l’insegnamento evangelico e
della Chiesa. L’uomo diventa oggetto, cavia per indagine scientifica
come qualsiasi altro animale, credendo di poter studiare
scientificamente il pensiero, la volontà, la libertà, l’amore, la
moralità, la fede ecc. L’uomo
che vuole creare una società senza Dio, mettendosi al suo posto, ha
dimostrato troppe volte di saper solo produrre disastri e tragedie
disumane. All’inizio del ’900, il convertito Gilbert Keith Chesterton (1874-1936)«Uomini
che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e
dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur
di combattere la Chiesa»42. commentò egregiamente:
dal bel sito: http://www.uccronline.it
Bibliografia fondamentale
F. Agnoli, Perché non possiamo essere atei, il fallimento dell’ideologia che ha rifiutato Dio, Piemme 2009Note
1 J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanesimo, Mursia 1963, pag. 46
2 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 245,246,370,371
3 si veda ad esempio C. Tamagnone, L’illuminismo e la rinascita dell’ateismo filosofico, Clinamen 2008
4 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori riuniti 1999
5 Voltaire, Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni, 1756
6 Ibid.
7 citato in F. Castradori, Le radici dell’odio, Xenia 1991, pag. 52,53 e M. Marsilio, Razzismo, un’origine illuminata, Vallecchi 2006
9 E. Bonicelli, Le forme della vita, Einaudi 2006, pag. 165
10 C. Darwin, Autobiografia, Einaudi 2006
11 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 936,937
12 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 628
13 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 631
14 citato in R. Dawkins, The God Delusion, Bantahm Books 2006, pag. 263.
15 citato in G. Scarpelli, Il cranio di cristallo, Bollati Boringhieri 1993
16 citato in J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33-45
17 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori riuniti 1999, pag. 337
18 F. Di Trocchio, Le bugie della scienza, Mondadori 1993, pag. 254,256
19 A. Gaspari, Da Malthus al razzismo verde, XXI Secolo 2000, pag. 94,95
20 S.J. Gould, Risplendi grande lucciola, Feltrinelli 2006, pag. 186
21 S.J. Gould, Risplendi grande lucciola, Feltrinelli 2006, pag. 189
22 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 370,371 e G. Mosse, Il razzismo in Europa, Mondadori 1992
23 A. Hitler, Mein Kampf, La Lucciola 1992, pag. 39
24 C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando 2004, pag. 27
25 citato in C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando 2004, pag. 28,29
26 J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33-45
27 A. Hitler, Main Kampf, La Lucciola 1992, pag. 30
28 si veda R. Dawkins, L’illusione di Dio, Mondadori 2006, pag. 68
29 Intervista a Dawkins, in R. Stannard, La scienza e i miracoli, TEA 2006, pag.95-96
30 dal The Times 4/12/1950
31 V. Costa, L’origine anglosassone dell’eugenetica, Trento 2007
32 citato in J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33,45
34 citato in E. Roccella – L. Scaraffia, Contro il cristianesimo, Piemme 2005, pag. 85
35 Judith Stiehm, Champions for peace: women winners of the Nobel Peace Prize, Rowman & Littlefield Publishers 2006, pag. 104 e L. Dotti, L’utopia genetica del welfare state svedese, Rubettino 2004
36 da Wikipedia/SicutDudum e R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 299-300
37 da Wikipedia/SicutDudum
38 M. Viglione – E. Nistri – R. De Mattei, Alle radici del domani, Sedes 2004, pag. 74 e Wikipedia/VeritasIpsa
39 R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 300, e Wikipedia/CommissusNobis
41 citato su Il Foglio, 23/9/04
42 Chesterton, Ortodossia, 1908
Postato da: giacabi a 14:55 |
link | commenti
illuminismo, razzismo, voltaire
L'Illuminismo ha inventato il razzismo
ACCECATI DAI LUMI
ACCECATI DAI LUMI
Il
vero mito fu quello del “selvaggio difettoso”. Da “rettificare”,
rigenerare. Jean de Viguerie racconta l’antropologia eugenetica di certi
“virtuosi”
di Marco Respinti
I negri sono brutti, i brasiliani sono bestie e gli ebrei puzzano. Non è il Mein Kampf, ma la summula del pensiero antropologico illuminista così come descritta dallo storico francese Jean de Viguerie, autore, fra l’altro, di Louis XVI, le roi bienfaisant (Éditions du Rocher, Monaco 2003), Christianisme et révolution: cinq leçons d’historie de la révolution française (NEL-Nouvelle Éditions Latines, Parigi 2000), Histoire et dictionnaire du temps de Lumières, 1715-1789 (Laffont, Parigi 1995) e Le catholicisme des français dans l’ancienne France (NEL 1988). Le “razze” umane, infatti, nascono da Voltaire, con tanto di annessi e connessi.
A partire da un seminario di ricerca su Les lumières et les peuples condotto nell’anno accademico 1992-1993 all’Università di Lilla III (dove insegna), De Viguerie è venuto raccogliendo e mettendo in parallelo numerosi documenti sulle concezioni antropologiche del siècle français. Oggi le ripropone in una efficace sintesi sul trimestrale Nova Historica (n.8, 2004), diretto a Roma da Roberto de Mattei – docente di Storia moderna all’Università di Cassino e vicedirettore del Consiglio Nazionale delle Ricerche – ed edito per i tipi di Pagine (tel. 06/39738665).
Nella lingua francese, il termine “specie” è stato adoperato fino al Seicento solo in ambito medico o farmacologico e mai in relazione agli esseri umani. È il Settecento che ne inaugura l’uso biologico. Da qui l’espressione passa poi all’antropologia e così si parla per la prima volta di “specie umane” a loro volta suddivise in altre “specie” più... specifiche, altrimenti dette “varietà”. O – come fa François Marie Arouet detto Voltaire (1694 - 1778) nell’Essai sur les mœurs et l’esprit des nations et sur les principaux faits de l’histoire depuis Charlemagne jusqu’à Louis XIII (1756) – “razze”. Ciò che accomuna i rappresentanti della “specie umana” è, per Voltaire, l’avere «tutti gli stessi organi vitali, dei sensi e del movimento»; eppure «solo un cieco può mettere in dubbio che i bianchi, i negri, gli albini, gli ottentotti, i lapponi, i cinesi e gli americani siano razze completamente diverse».
Contro i “primitivi”
Il postulato voltaireano «la razza dei negri è una specie d’uomo diversa dalla nostra» viene illustrato da Jean-Baptiste-Claude Delisle de Sales (1741-1816) e da George-Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), che peraltro adoperano sempre solo il termine “varietà”.
In De la philosophie de la nature ou Traité de morale pour l’espèce humaine. Tiré de la philosophie et fondé sur la nature (la cui «troisième édition et la seule conforme au manuscrit original» fu pubblicata a Londra in 6 volumi nel 1777), Delisle de Sales nota che la natura «non fa altro che produrre una serie d’individui in cui ciascuno rappresenta solamente un anello della lunga catena di esseri che compongono le varietà della specie umana». Ma, nell’Histoire de l’Homme – parte dei 15 volumi della sua Histoire naturelle (1749-1767) –, Buffon aggiunge che le varietà individuali degli uomini si sono cristallizzate in «varietà della specie umana» le quali con il tempo «si sono perpetuate».
Vale a dire: i singoli uomini nascono con determinate caratteristiche fisiche (Delisle de Sales), nei secoli questi si raggruppano in base a quelle caratteristiche (Buffon) e queste sono le “razze” in cui si suddividono quelli che chiamiamo genericamente “uomini” in ragione di alcune loro somiglianze morfologiche (Voltaire). L’orizzonte globale è di tipo esclusivamente biologico (ciò che viene definito “morale” ne è infatti solo by-product o al massimo offshoot) e tali sono quindi pure la natura dell’essere umano così come le differenze fra singoli e “razze”.
«Ciò significa – commenta De Viguerie – che il carattere dipende dal fisico e che lo “spirito delle nazioni” caro agli umanisti, ma anche a Montesquieu, non c’entra niente. Gli usi e i costumi, e il naturel di un popolo sono caratteristiche razziali legate a un aspetto fisico, al colore della pelle». Si è, insomma, «pigri perché si è negri, oppure si è più o meno civilizzati perché si è bianchi» giacché «i popoli sono divenuti razze».
Per Voltaire, del resto, tutti i selvaggi sono brutti e stupidi, in specie i negri e gli ebrei, ma non da meno sono i paysan suoi compatrioti. Quanto ai primi, «gli occhi tondi, il naso camuso, le orecchie dalla strana conformazione, i capelli crespi e il livello della loro intelligenza producono tra loro e le altre specie di uomini una differenza sorprendente». I secondi – così alla voce Juifs del Dictionnaire philosophique del 1764 – vengono definiti «solo un popolo ignorante e barbaro, che coniuga da lungo tempo l’avarizia più sordida alla superstizione più odiosa e all’odio più irrefrenabile per i popoli che li tollerano e che li arricchiscono». I terzi, nell’Essai sur les mœurs, sono descritti come «zotici che vivono in capanne con le proprie donne e qualche bestia [...], i quali parlano un gergo mai sentito nelle città»; a loro sono addirittura superiori gli autoctoni «del Canada e i cafri».
Così ammaestrati (anche per Buffon i contadini francesi del nord sono «grossolani, pesanti, mal fatti, stupidi» e le loro mogli «quasi tutte brutte»), i giacobini del 1793 e 1794 ci metteranno poco a decretare lo sterminio totale della race maudite della Vandea.
I calmucchi poi... E gli ebrei...
Per Buffon il top sono quindi gli europei: gli uomini (così ne sintetizza il pensiero De Viguerie) «più belli, più bianchi e meglio fatti su tutta la Terra». Fuori dal Vecchio Continente qualcuno pur si salva (grosso modo i popoli che una “scienza” posteriore definirà di ceppo ariano), la Cina e il Giappone ancora passano perché vi abitano uomini più o meno sapienti ancorché non belli, ma quello che proprio non va è il resto del mondo, popolato di esseri affetti da tare fisiche o morali (che è sostanzialmente lo stesso). I tartari, per esempio: del tutto sproporzionati. O alcuni indù, pure fuori misura e per di più gialli. Ma certo nessuno batte i calmucchi, «il cui aspetto ha qualcosa di spaventoso». A Timor, poi, sono pigrissimi, gli egiziani oziosi e i negri della Sierra Leone capiscono solo di femmine e di non-far-nulla. Gli arabi, che sono più belli, «si fanno onore dei propri vizi».
Più parco con l’aggettivo “brutto” è Guillaume-Thomas-François Raynal (1713-1796), parroco a Saint-Sulpice di Parigi (e da lì cacciato per ignoti motivi), autore dell’Histoire philosophique et politique des établissemens et du commerce des Européens dans les deux Inde (1774). Eppure per lui, a parte i cinesi, tutti gli orientali sono viziosi. E così pure sono i brasiliani.
Ma il pezzo forte dell’illuminismo restano comunque i negri e gli ebrei.
Johann Heinrich Samuel Formey (1711-1797), ministro di culto protestante franco-tedesco (tant’è che è noto pure come Jean Henri etc.) scrisse la voce Nègre dell’Encyclopédie; così: «se ci si allontana dall’Equatore verso l’Antartico, il nero si schiarisce, ma la bruttezza rimane».
Sugli ebrei s’incentra invece specificamente l’attenzione di Baptiste-Henri Grégoire (1750-1831), il famoso “abbé Grégoire” che fu il primo, nel 1790, a giurare fedeltà a quella scismatica Costituzione civile del clero che costò la vita a molti suoi confratelli e che lo creò “vescovo”. Pubblicò un Essai sur la régénération physique, morale et politique des Juifs, vantata come «ouvrage couronné par la Société royale des Sciences et des Arts de Metz, le 23 Août 1788» di cui l’autore era membro. In essa Grégoire afferma che la «maggior parte delle fisionomie ebree sono di rado abbellite dal colorito della salute e dai tratti della bellezza. [...] Essi hanno un colorito smorto, il naso adunco, gli occhi infossati, il mento prominente», inoltre «sono arcigni e molto soggetti alle malattie», e per di più «esalano costantemente cattivo odore». Insomma, «sono piante parassite che succhiano la sostanza dell’albero al quale si attaccano finendo con esaurirlo o distruggerlo».
E se in mano illuminista negri ed ebrei piangono, certo i lapponi e gli ottentotti non ridono. I primi sono per Formey «termini estremi della razza dell’uomo» e per Delisle de Sales «aborti della razza umana»; i secondi «hanno qualcosa della sporcizia e della stupidità degli animali che rigovernano» per Raynal, «si tratta di uomini imperfetti» per Delisle de Sales e sono un «popolo spregevole» per Buffon.
Ma c’è addirittura dell’altro.
Uomini come renne e licheni
Viziose e turpi, molte “razze” non sono nemmeno pienamente umane.
Voltaire afferma che la natura produce una tal varietà qui e un’altra là. Volatili, licheni o uomini, sono tutti il prodotto del territorio su cui vivono: «la natura che ha posto solo renne o rangiferi in una contrada sembra aver prodotto i lapponi». Diversi i terreni, diversi gli abitanti. Le caratteristiche fisiche, cioè, che gl’individui possiedono per natura, le quali poi generano i popoli secondo l’idea che il simile sta con il simile, da cui si esplicitano infine le differenze anche morali fra le “razze”, sono solo il prodotto materiale di un determinato luogo geografico. Inutile chiedersi da dove derivi l’uomo: lo sprigiona la terra che poi egli abita. Non a caso, però, ma secondo una catena gerarchica dell’essere, «un sistema – indica De Viguerie – che comporta livelli intermedi fra uomo e animale».
Al tempo si credeva che gli albini fossero una “razza” di “negri bianchi”: ebbene, per Voltaire «sono al di sotto dei negri per la forza del corpo e dell’intendimento, e la natura li ha forse collocati dopo i negri e gli ottentotti, e sopra le scimmie, come uno dei livelli che scendono dall’uomo verso le scimmie». E poi, nel settimo dialogo dell’A.B.C. Dialogues et anedoctes philosophiques (1768), sempre Voltaire scrive: «il brasiliano è un animale che non ha ancora raggiunto la maturazione della propria specie».
Né dal sistema antropologico illuministico è assente il concetto di “degenerazione”. Per questo Grégoire può auspicare la «rettificazione» degli ebrei. Attorno al 1790, infatti, il termine “rigenerazione” cominciò ad assumere connotati sia antropologici sia politici. La Grande Révolution, del resto, fu intesa proprio così: una colossale palingenesi dell’umanità, finalmente liberata dai propri difetti. Era insomma una natura sbagliata quella che aveva prodotto piante, bestie e una catena dell’essere tanto rabberciata; ma l’analisi degli “scienziati” e l’action dei virtuosi della République corresse il tiro.
Nel febbraio 1757, sul Journal économique, tale «M. le C**» propose di arruolare «dei reggimenti di gobbi, di storpi e di guerci, facendo diminuire nello stesso modo l’estinzione di uomini forti tolti dalle campagne e che, servendo le truppe, non sarebbero in seguito più in grado di sposarsi». Venne poi l’Essai d’éducation nationale (1763) con cui Louis-René Caradeuc de La Chalotais (1701-1785) si chiese: «Esiste un’Arte per cambiare la razza degli animali, non ce ne sarebbe una per perfezionare quella degli uomini?». Gli rispose, nel 1883, Sir Francis Galton (1822-1911), cugino di Charles R. Darwin, coniando il neologismo: eugenetica.
Le magnifiche sorti e progressive avevano la strada spianata. Anzi, illuminata.
Nessun commento:
Posta un commento