A
quei medici che insistono che la connessione venosa alla Sclerosi
Multipla è una teoria non dimostrata, offro una elenco cronologico di
medici che si sono permessi di dissentire.
1863 Rindfleisch
Il Dr. E. Rindfleisch notò che, in modo coerente e in tutti gli esempi di autopsia del cervello di malati di SM, si vedeva con il microscopio una vena gonfia di sangue al centro di ogni lesione.
Rindfleisch ha scritto:
"Se si guardano attentamente le zone della sostanza bianca alterate di recente... si percepisce già ad occhio nudo un puntino rosso o una linea al centro di ciascuna lesione... il lume di un piccolo vaso pieno di sangue ... Ciò ci porta a ricercare quale causa principale della malattia, un'alterazione di singoli vasi e delle loro rami cazioni. Tutti i vasi che decorrono all'interno delle lesioni e quelli che sono localizzati nelle zone immediatamente attigue, che ancora sono indenni, si trovano in uno stato di infiammazione cronica.".
Rindfleisch E. - "Histologisches zu der dettaglio Grauen degenerazione ruckenmark Gehirn von und". Archivi di Anatomia Patologica e Fisiologia. 1863; 26:474-483.
1930 Putnam
Il Dr. TJ Putnam, studiando le lesioni, rilevò che la trombosi delle piccole vene di piccole dimensioni poteva essere il meccanismo alla base della formazione della placca.
Putnam, T.J. (1937), Prove di occlusione vascolare nella sclerosi multipla
1942 Dow e Berglund
Il Dr. Robert Dow e il Dr. George Berglund proseguirono con la ricerca del Dott. Putnam e continuarono a trovare collegamenti venosi a lesioni della SM.
PATTERN VASCOLARE DELLE LESIONI DELLA SCLEROSI MULTIPLA Arch Neurol Psychiatry. 1942; 47 (1) :1-18.
1950 Zimmermann e Netsky
Il dottor Zimmerman e Netsky portarono avanti le ricerche di Dow e Berglund, e notarono che le lesioni erano di natura venosa, ma non causate da piccole trombosi come Putnam aveva ipotizzato.
Zimmerman, HM, Netsky, MG: La patologia della sclerosi multipla. Res. Publ. Asino. Nerv. Ment. Dis. New York, 28, 271 - 312 (1950)
1960 Fog
Il Dr. Torben Fog, professore danese, osservò che le lesioni della SM erano prevalentemente intorno alle piccole vene. Il suo successivo studio di 51 placche in due tipici casi di SM, facendo delle sottili sezioni delle placche e seguendo la loro forma e il loro corso con disegni di ogni sezione, ha fatto emergere che la maggior parte erano prolungamenti delle placche periventricolari e che le placche avevano seguito il corso del sistema venoso.
Fog Torben, La topografia delle placche nella sclerosi multipla, con particolare riferimento alle placche cerebrali. Acta Neurol Scand, 41, Suppl. 15:1, (1965)
Fog T., Relazione fra i vasi e le placche nel cervello nella sclerosi multipla. Acta Psychiat Neurol Scand. 1963; 39, suppl. 4:258
1980 Schelling
La storia inizia nel 1973, presso l'Università di Innsbruck, quando F. Alfons Schelling, MD ha iniziato le indagini sulle cause e le conseguenze delle enormi differenze individuali nelle larghezze degli sbocchi venosi del cranio umano. I risultati di questo studio apparvero nel 1978, in "Anatomischer Anzeiger", organo ufficiale della Società di Anatomia di lingua tedesca.
La scoperta di F.A. Schelling del 1981, presso l'Ospedale per malattie nervose a Salisburgo, di un ampliamento notevole dei principali circoli venosi attraverso i cranii di vittime della sclerosi multipla, ha occupato i pensieri dell'autore nei decenni successivi della sua diversificata carriera medica. Nel mettere insieme, pezzo per pezzo, tutte le osservazioni sul coinvolgimento venoso nei casi di specifiche e particolari lesioni cerebrali di sclerosi multipla, è stato in grado di riconoscere le loro cause.
"La differenza di propagazione della pressione venosa centrale in eccesso nel sistema di drenaggio delle vene cerebrali e spinali, è la regola piuttosto che l'eccezione. E' sconosciuta l'intensità delle forze esercitate sulle fragili strutture cerebrospinale dal grado di pressione nello spazio craniovertebrale. Vi è la necessità di prendere in considerazione le diverse condizioni che possono causare propensione individuale al più pesante reflusso, in particolare nei compartimenti venosi cerebrali, così come in quelli epi e sub-durali spinali. Un tentativo è stato fatto per indicare eventuali conseguenze di una eccessiva dilatazione retrograda in particolare delle vene cerebrali interne. L'importanza di chiarire le implicazioni neuropatologiche e cliniche del non corretto reflusso nel cranio o alla colonna vertebrale, si deduce dalla probabilità di relazione tra riflusso localizzato nello spazio craniovertebrale e malattie cerebro-spinale non ancora chiarite. A questo proposito le caratteristiche della sclerosi multipla sono in discussione."
Damaging venous reflux into the skull or spine: relevance to multiple sclerosis. (Danni da reflusso venoso nel cranio o nella colonna vertebrale: rilevanza per la sclerosi multipla) - F. Schelling
Qui è il sito del dott. Schelling:
http://www.ms-info.net/evo/msmanu/984.htm
Il suo libro (disponibile gratuitamente sul suo sito), delinea la storia della connessione fra SM e sistema venoso.
Postato da: giacabi a 11:04 |
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Intervista del Corriere al professor Paolo Zamboni
«Un solista che canta fuori dal coro viene guardato male. È normale che nel dibattito scientifico, e non solo, quando si dice qualcosa di diverso, certe persone rimangano stimolate e incuriosite e altre abbiano un atteggiamento di rifiuto. Peggio ancora quando il rifiuto è preconcetto, cioè senza approfondimento. Ma questo fa parte della natura umana».
Non sembra sorpreso Paolo Zamboni, medico e docente del Dipartimento di Scienze chirurgiche, anestesiologiche e radiologiche all’Università di Ferrara, delle polemiche scoppiate intorno alla sua recente scoperta sulla sclerosi multipla.
Una ricerca tutta “made in Italy” che potrebbe fornire un nuovo contributo alla conoscenza delle cause e alla cura della malattia. C’è chi ha storto il naso. C’è invece chi, paziente o familiare, ha tirato un sospiro di sollievo e ora vive nella speranza che la malattia possa essere curata con una semplice operazione chirurgica. E anche la Multiple Sclerosis Society of Canada, che si era mostrata da subito piuttosto scettica, ha dovuto fare un passo indietro chiedendo agli studiosi di continuare le ricerche e promettendo più fondi per la ricerca.
«La nostra posizione non è cambiata - precisa però Yves Savoie, presidente della MS Society - ma vista la clamorosa risposta del pubblico, sollecitiamo il gruppo di ricercatori a continuare le ricerche per provare questa nuova teoria».
Gli scienziati dell’Università di Buffalo, rimasti affascinati da Zamboni - affiancato nelle sue ricerche dal 2007 da Fabrizio Salvi, medico dell’Unità di Neurologia dell’Ospedale Bellaria di Bologna - stanno ora valutando se lo sviluppo della sclerosi multipla sia associato al restringimento e alla chiusura del diametro delle vene primarie esterne al cranio. Una condizione chiamata “insufficienza venosa cronica cerebrospinale” (Ccsvi), scoperta proprio dal professore di Ferrara. Il restringimento, che limita il normale deflusso del sangue al cervello, potrebbe provocare un danno al tessuto cerebrale e, quindi, la degenerazione dei neuroni.
Lo studio ha mostrato come queste anomalie che incidono sul flusso del sangue si presentino più frequentemente in pazienti affetti da sclerosi multipla. La Ccsvi aumenterebbe di 43 volte il rischio di sviluppare la malattia.
Per confermare la sovrapposizione tra Ccsvi e sclerosi multipla il Jacobs Neurological Institute di Buffalo ha deciso di condurre uno studio su 1.100 pazienti affetti da sclerosi multipla e 600 volontari. Stando ai dati raccolti da Zamboni, se ulteriori studi dovessero dimostrare questo legame, in una buona parte dei pazienti si potrebbero avere notevoli benefici da un piccolo intervento chirurgico eseguibile in day hospital.
Il trattamento curativo della Ccsvi potrebbe quindi migliorare lo stato dei pazienti affetti da sclerosi multipla. I risultati dello studio saranno pubblicati all’inizio del 2010 sul Journal of Vascular Surgery. Se i risultati dei test saranno confermati, le cure per la sclerosi multipla potrebbero cambiare radicalmente. Kevin Lipp, un malato di sclerosi multipla, ha raccontato la sua storia alla Bbc: ha visto sparire i sintomi della patologia dopo essere stato curato da Zamboni. «Sono passati solo 10 mesi, se non accade nulla nei prossimi due o tre anni sapremo che sta funzionando», ha spiegato Lipp. Secondo il medico italiano fino ad ora si cercava la causa nel sistema immunitario mentre probabilmente potrebbe dipendere da problemi vascolari.
Zamboni, come è arrivato a questa sorprendente scoperta?
«La sclerosi multipla è una malattia di tipo autoimmunitario e neurodegenerativo, la più comune causa di disabilità nelle persone giovani. Causa di cui però non si conoscono le origini. La scienza è stata in grado nel tempo di identificare diversi fattori causativi. Pensiamo quindi che si tratti di una malattia multifattoriale. Quello che abbiamo scoperto è un ulteriore fattore. Nella sclerosi multipla la stragrande maggioranza dei pazienti ha delle vene che non funzionano bene e che probabilmente non sono mai state viste perché non si trovano all’interno del cranio, ma all’esterno, nel collo e nel torace. Paradossalmente molto più vicine al cuore che non al cervello. Ci siamo incuriositi e preoccupati al tempo stesso perché non era mai stato visto che le vene cerebrali potessero essere chiuse. Abbiamo così cercato di capire se questo poteva succedere nelle persone normali o in altre affette da malattie neurodegenerative. E abbiamo scoperto che questo difetto è peculiare della sclerosi multipla».
Queste vene possono essere riaperte?
«Se queste vene sono strette, e questo appunto potrebbe essere uno dei fattori causativi della sclerosi multipla, si può provare a riaprirle in un modo molto semplice e non rischioso per il paziente. Abbiamo inventato una “procedura di liberazione”, in sostanza un’angioplastica con il classico uso di “palloncini”, ma che si svolge nel territorio delle vene anziché in quello delle arterie come normalmente avviene. Un sistema che ci ha permesso di studiare il rapporto causa-effetto e di vedere se la correzione di questo elemento poteva aiutare anche il decorso della malattia. Abbiamo anche aspettato un po’ di anni per essere sicuri che ciò che abbiamo visto fosse durevole nel tempo».
Quando ha iniziato le sue ricerche?
«L’11 dicembre 2006. Dal 2007 sono partito con uno studio approvato dal Comitato etico. Ho esaminato la chiusura delle vene utilizzando macchine non invasive simili a quelle dell’eco-doppler, che ho modificato leggermente per renderle più inclini e funzionali al problema, e il cosiddetto “indice di resistenza” che in idraulica indica qualcosa di chiuso al di là di un determinato punto. Ero certo che ci sarebbe stato e lo trovai. Da quel momento mi sono reso conto di un quadro molto complesso e con numerose varianti. Negli anni sono riuscito a definirlo, a sistematizzarlo e a descriverlo».
Elena. Sua moglie. Vertigini, problemi alla vista, senso di affaticamento. E la diagnosi una decina di anni fa: sclerosi multipla. Un fattore che immagino l’abbia spinta ancora di più a un’intensa ricerca personale.
«Certo. Indubbiamente è stata la spinta iniziale. L’interesse era motivato dalla mia stessa famiglia, dai miei affetti. Mi ha dato l’impulso a lavorare molto sodo».
Parliamo degli esami effettuati sui pazienti.
«Abbiamo analizzato un gruppo di 120 persone, tutte della zona di Bologna. Un numero non consistente, ma abbastanza rilevante per trarre conclusioni. Ma soprattutto un numero che ha permesso a sua volta di sviluppare dati molto preziosi per progettare ulteriori studi che possono arrivare a definire se questo tipo di procedura è veramente importante e deve essere fatta a tutti i pazienti con la sclerosi multipla o solo a determinate categorie. La sclerosi multipla ha durata, cronicità e decorsi diversi, per cui può anche darsi che non serva a tutti nello stesso modo. Nei prossimi anni dovremo studiare e capire se questo metodo dovrà essere associato a farmaci. C’è ancora molto lavoro da fare. Quello che possiamo affermare con certezza è che c’è un fattore sconosciuto circolatorio che si presenta in modo preoccupante e molto frequente, che è possibile eliminare e che dà vantaggi da definire ulteriormente».
Com’è nata la collaborazione con il Neuroimaging Analysis Center di Buffalo?
«Questo non l’ho mai raccontato... Pratico interventi chirurgici innovativi anche su vene di altre parti del corpo e tengo letture sull’argomento. Una biologa molecolare giunta da Buffalo venne a fare questi interventi e vide nella stanza a fianco dei ragazzi che invece avevano fatto interventi per la sclerosi multipla. Impazzì dalla curiosità in quanto non era un ricercatore clinico, ma un biologo che studia la sclerosi multipla. Parlò con qualcuno di queste persone operate. All’epoca lo studio su questa malattia era ancora sotto embargo, non aveva ancora una certa diffusione. Fu molto gentile e mi invitò a Buffalo a fare una lettura sulle anomalie che avevo riscontrato nel sistema circolatorio cerebrale. I ricercatori ebbero un altro tipo di reazione, subito positiva. E vollero subito cercare di capire se questi fattori potevano esistere anche in quelle latitudini e su persone con un background genetico diverso. Ho quindi dato loro la metodologia di indagine in modo che poi, indipendentemente, potessero testare un grande numero di pazienti. Cosa che stanno facendo. E questo è stato un atteggiamento meraviglioso. Abbiamo poi lavorato insieme. Ho operato anche persone americane e le abbiamo valutate in cieco. Chi fa le risonanze magnetiche negli Stati Uniti, infatti, non sa esattamente se chi valuta ha fatto o no l’intervento con me. Questi sono dati ulteriori che saranno pubblicati nel 2010. Collaboro poi con i centri di Detroit, Harvard e Stanford».
Quali differenze ha trovato nei metodi di ricerca in queste città rispetto a quelle italiane?
«Gli scienziati, canadesi o americani, provano a valutare tutte le possibili sfaccettature di ciò che ho scoperto. Poi però ce ne sono altri che non provano neanche a discutere o a confrontarsi. Fanno opposizione per partito preso. Cosa che avviene soprattutto in Italia. La fatica più grande l’ho fatta proprio nell’ospedale in cui lavoro. In un ospedale vicino, una struttura molto più grande, invece c’erano neurologi molto sensibili e ben predisposti con i quali si è creata un’ottima collaborazione. È un modo per affrontare le cose positivamente».
Quindici anni fa non esistevano terapie per la sclerosi multipla. Cos’è cambiato da allora?
«Prima parlavo della multifattorialità di questa malattia. Una faccia molto costante e ben studiata è quella del meccanismo immunitario. Per cui tutti i farmaci sviluppati in questi quindici anni sono indirizzati a trattare questo particolare aspetto. Ma i dati che sto vedendo e quelli di chi sta riproducendo i miei esperimenti dicono che c’è un altro fattore. Trattare l’immunità e il sistema vascolare, quindi, non sono in contrasto. Avere identificato un altro fattore, e ora mi metto dalla parte del paziente, è molto importante e se questo fattore può essere risolto è giusto che si facciano subito degli studi. Se trattassi solo il sistema immunitario e non un grave difetto circolatorio come questo, la terapia sarebbe zoppicante, monca».
Come si manifesta la sclerosi multipla?
«Il tipo principale di sclerosi è chiamato “RR”, relapsing-remitting (recidivante remittente), cioè che va e viene. Senza nessun preavviso, si verifica un attacco nel quale si perdono una o più funzioni nervose. Perdita della vista, dell’equilibrio, della sensibilità muscolare. Attacchi che, in genere, rientrano in una ventina di giorni e si riesce a recuperare quasi totalmente. In un momento non prevedibile l’attacco ritorna. Il recupero non è mai completo, e segue un declino sempre più forte. E la forma diventa “progressiva”. Un altro tipo di sclerosi, meno frequente, visto che è presente solo nel 10 per cento dei casi, è quello che implica un continuo e incessante peggioramento che porta alla disabilità. Dopo 10, 15 anni di malattia tutti i pazienti hanno disabilità spiccate che le terapie non riescono a evitare, rallentano solo il processo».
Qualche dato.
«In Canada le persone che soffrono di sclerosi multipla sono 75mila. In Italia, 55mila. Nelle Isole Faroe (vicino alla Danimarca, ndr) e in Sardegna, per esempio, le frequenze sono doppie. Nel mondo sono tre milioni».
Quali sono le fasce d’età più colpite?
«Tra i 25 e i 30 anni. Alcuni vengono colpiti intorno ai quarant’anni. Poi ci sono casi pediatrici. Proprio il Centro di Buffalo cura pazienti colpiti durante la pubertà».
Più uomini o donne?
«Un po’ di più le donne. Poi ci sono alcuni fattori negativi, per esempio il fumo e la carenza di vitamina D considerata con molta attenzione in Canada perché ci sono acque povere di questo tipo di vitamina. In Italia non è mai stato identificato nessun fattore così ripetutamente presente come quello delle vene chiuse. Ora si dovrà accertare se percentuali superiori al 90 per cento dei pazienti sono presenti anche in Canada o negli Stati Uniti. Per esempio in Polonia hanno trovato che il 92 per cento dei polacchi ha la Ccsvi, un dato molto forte».
La MS Society of Canada ha fatto sapere che non trascurerà questa nuova scoperta e che prometterà fondi.
«Finora ho sempre sponsorizzato da solo i miei studi. Sarebbe importante collaborare e portare avanti queste ricerche insieme, per costituire una task force di centri internazionali e utilizzare un programma comune per ottimizzare le risorse anziché disperdere soldi in tanti luoghi e ricerche diverse. Con meno soldi si potrebbe fare di più».
Data pubblicazione: 2009-12-02
Indirizzo pagina originale: http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=94433
Postato da: giacabi a 10:12 |
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1863 Rindfleisch
Il Dr. E. Rindfleisch notò che, in modo coerente e in tutti gli esempi di autopsia del cervello di malati di SM, si vedeva con il microscopio una vena gonfia di sangue al centro di ogni lesione.
Rindfleisch ha scritto:
"Se si guardano attentamente le zone della sostanza bianca alterate di recente... si percepisce già ad occhio nudo un puntino rosso o una linea al centro di ciascuna lesione... il lume di un piccolo vaso pieno di sangue ... Ciò ci porta a ricercare quale causa principale della malattia, un'alterazione di singoli vasi e delle loro rami cazioni. Tutti i vasi che decorrono all'interno delle lesioni e quelli che sono localizzati nelle zone immediatamente attigue, che ancora sono indenni, si trovano in uno stato di infiammazione cronica.".
Rindfleisch E. - "Histologisches zu der dettaglio Grauen degenerazione ruckenmark Gehirn von und". Archivi di Anatomia Patologica e Fisiologia. 1863; 26:474-483.
1930 Putnam
Il Dr. TJ Putnam, studiando le lesioni, rilevò che la trombosi delle piccole vene di piccole dimensioni poteva essere il meccanismo alla base della formazione della placca.
Putnam, T.J. (1937), Prove di occlusione vascolare nella sclerosi multipla
1942 Dow e Berglund
Il Dr. Robert Dow e il Dr. George Berglund proseguirono con la ricerca del Dott. Putnam e continuarono a trovare collegamenti venosi a lesioni della SM.
PATTERN VASCOLARE DELLE LESIONI DELLA SCLEROSI MULTIPLA Arch Neurol Psychiatry. 1942; 47 (1) :1-18.
1950 Zimmermann e Netsky
Il dottor Zimmerman e Netsky portarono avanti le ricerche di Dow e Berglund, e notarono che le lesioni erano di natura venosa, ma non causate da piccole trombosi come Putnam aveva ipotizzato.
Zimmerman, HM, Netsky, MG: La patologia della sclerosi multipla. Res. Publ. Asino. Nerv. Ment. Dis. New York, 28, 271 - 312 (1950)
1960 Fog
Il Dr. Torben Fog, professore danese, osservò che le lesioni della SM erano prevalentemente intorno alle piccole vene. Il suo successivo studio di 51 placche in due tipici casi di SM, facendo delle sottili sezioni delle placche e seguendo la loro forma e il loro corso con disegni di ogni sezione, ha fatto emergere che la maggior parte erano prolungamenti delle placche periventricolari e che le placche avevano seguito il corso del sistema venoso.
Fog Torben, La topografia delle placche nella sclerosi multipla, con particolare riferimento alle placche cerebrali. Acta Neurol Scand, 41, Suppl. 15:1, (1965)
Fog T., Relazione fra i vasi e le placche nel cervello nella sclerosi multipla. Acta Psychiat Neurol Scand. 1963; 39, suppl. 4:258
1980 Schelling
La storia inizia nel 1973, presso l'Università di Innsbruck, quando F. Alfons Schelling, MD ha iniziato le indagini sulle cause e le conseguenze delle enormi differenze individuali nelle larghezze degli sbocchi venosi del cranio umano. I risultati di questo studio apparvero nel 1978, in "Anatomischer Anzeiger", organo ufficiale della Società di Anatomia di lingua tedesca.
La scoperta di F.A. Schelling del 1981, presso l'Ospedale per malattie nervose a Salisburgo, di un ampliamento notevole dei principali circoli venosi attraverso i cranii di vittime della sclerosi multipla, ha occupato i pensieri dell'autore nei decenni successivi della sua diversificata carriera medica. Nel mettere insieme, pezzo per pezzo, tutte le osservazioni sul coinvolgimento venoso nei casi di specifiche e particolari lesioni cerebrali di sclerosi multipla, è stato in grado di riconoscere le loro cause.
"La differenza di propagazione della pressione venosa centrale in eccesso nel sistema di drenaggio delle vene cerebrali e spinali, è la regola piuttosto che l'eccezione. E' sconosciuta l'intensità delle forze esercitate sulle fragili strutture cerebrospinale dal grado di pressione nello spazio craniovertebrale. Vi è la necessità di prendere in considerazione le diverse condizioni che possono causare propensione individuale al più pesante reflusso, in particolare nei compartimenti venosi cerebrali, così come in quelli epi e sub-durali spinali. Un tentativo è stato fatto per indicare eventuali conseguenze di una eccessiva dilatazione retrograda in particolare delle vene cerebrali interne. L'importanza di chiarire le implicazioni neuropatologiche e cliniche del non corretto reflusso nel cranio o alla colonna vertebrale, si deduce dalla probabilità di relazione tra riflusso localizzato nello spazio craniovertebrale e malattie cerebro-spinale non ancora chiarite. A questo proposito le caratteristiche della sclerosi multipla sono in discussione."
Damaging venous reflux into the skull or spine: relevance to multiple sclerosis. (Danni da reflusso venoso nel cranio o nella colonna vertebrale: rilevanza per la sclerosi multipla) - F. Schelling
Qui è il sito del dott. Schelling:
http://www.ms-info.net/evo/msmanu/984.htm
Il suo libro (disponibile gratuitamente sul suo sito), delinea la storia della connessione fra SM e sistema venoso.
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sclerosi multipla, zamboni
«La mia battaglia contro la sclerosi»
Intervista del Corriere al professor Paolo Zamboni
«Un solista che canta fuori dal coro viene guardato male. È normale che nel dibattito scientifico, e non solo, quando si dice qualcosa di diverso, certe persone rimangano stimolate e incuriosite e altre abbiano un atteggiamento di rifiuto. Peggio ancora quando il rifiuto è preconcetto, cioè senza approfondimento. Ma questo fa parte della natura umana».
Non sembra sorpreso Paolo Zamboni, medico e docente del Dipartimento di Scienze chirurgiche, anestesiologiche e radiologiche all’Università di Ferrara, delle polemiche scoppiate intorno alla sua recente scoperta sulla sclerosi multipla.
Una ricerca tutta “made in Italy” che potrebbe fornire un nuovo contributo alla conoscenza delle cause e alla cura della malattia. C’è chi ha storto il naso. C’è invece chi, paziente o familiare, ha tirato un sospiro di sollievo e ora vive nella speranza che la malattia possa essere curata con una semplice operazione chirurgica. E anche la Multiple Sclerosis Society of Canada, che si era mostrata da subito piuttosto scettica, ha dovuto fare un passo indietro chiedendo agli studiosi di continuare le ricerche e promettendo più fondi per la ricerca.
«La nostra posizione non è cambiata - precisa però Yves Savoie, presidente della MS Society - ma vista la clamorosa risposta del pubblico, sollecitiamo il gruppo di ricercatori a continuare le ricerche per provare questa nuova teoria».
Gli scienziati dell’Università di Buffalo, rimasti affascinati da Zamboni - affiancato nelle sue ricerche dal 2007 da Fabrizio Salvi, medico dell’Unità di Neurologia dell’Ospedale Bellaria di Bologna - stanno ora valutando se lo sviluppo della sclerosi multipla sia associato al restringimento e alla chiusura del diametro delle vene primarie esterne al cranio. Una condizione chiamata “insufficienza venosa cronica cerebrospinale” (Ccsvi), scoperta proprio dal professore di Ferrara. Il restringimento, che limita il normale deflusso del sangue al cervello, potrebbe provocare un danno al tessuto cerebrale e, quindi, la degenerazione dei neuroni.
Lo studio ha mostrato come queste anomalie che incidono sul flusso del sangue si presentino più frequentemente in pazienti affetti da sclerosi multipla. La Ccsvi aumenterebbe di 43 volte il rischio di sviluppare la malattia.
Per confermare la sovrapposizione tra Ccsvi e sclerosi multipla il Jacobs Neurological Institute di Buffalo ha deciso di condurre uno studio su 1.100 pazienti affetti da sclerosi multipla e 600 volontari. Stando ai dati raccolti da Zamboni, se ulteriori studi dovessero dimostrare questo legame, in una buona parte dei pazienti si potrebbero avere notevoli benefici da un piccolo intervento chirurgico eseguibile in day hospital.
Il trattamento curativo della Ccsvi potrebbe quindi migliorare lo stato dei pazienti affetti da sclerosi multipla. I risultati dello studio saranno pubblicati all’inizio del 2010 sul Journal of Vascular Surgery. Se i risultati dei test saranno confermati, le cure per la sclerosi multipla potrebbero cambiare radicalmente. Kevin Lipp, un malato di sclerosi multipla, ha raccontato la sua storia alla Bbc: ha visto sparire i sintomi della patologia dopo essere stato curato da Zamboni. «Sono passati solo 10 mesi, se non accade nulla nei prossimi due o tre anni sapremo che sta funzionando», ha spiegato Lipp. Secondo il medico italiano fino ad ora si cercava la causa nel sistema immunitario mentre probabilmente potrebbe dipendere da problemi vascolari.
Zamboni, come è arrivato a questa sorprendente scoperta?
«La sclerosi multipla è una malattia di tipo autoimmunitario e neurodegenerativo, la più comune causa di disabilità nelle persone giovani. Causa di cui però non si conoscono le origini. La scienza è stata in grado nel tempo di identificare diversi fattori causativi. Pensiamo quindi che si tratti di una malattia multifattoriale. Quello che abbiamo scoperto è un ulteriore fattore. Nella sclerosi multipla la stragrande maggioranza dei pazienti ha delle vene che non funzionano bene e che probabilmente non sono mai state viste perché non si trovano all’interno del cranio, ma all’esterno, nel collo e nel torace. Paradossalmente molto più vicine al cuore che non al cervello. Ci siamo incuriositi e preoccupati al tempo stesso perché non era mai stato visto che le vene cerebrali potessero essere chiuse. Abbiamo così cercato di capire se questo poteva succedere nelle persone normali o in altre affette da malattie neurodegenerative. E abbiamo scoperto che questo difetto è peculiare della sclerosi multipla».
Queste vene possono essere riaperte?
«Se queste vene sono strette, e questo appunto potrebbe essere uno dei fattori causativi della sclerosi multipla, si può provare a riaprirle in un modo molto semplice e non rischioso per il paziente. Abbiamo inventato una “procedura di liberazione”, in sostanza un’angioplastica con il classico uso di “palloncini”, ma che si svolge nel territorio delle vene anziché in quello delle arterie come normalmente avviene. Un sistema che ci ha permesso di studiare il rapporto causa-effetto e di vedere se la correzione di questo elemento poteva aiutare anche il decorso della malattia. Abbiamo anche aspettato un po’ di anni per essere sicuri che ciò che abbiamo visto fosse durevole nel tempo».
Quando ha iniziato le sue ricerche?
«L’11 dicembre 2006. Dal 2007 sono partito con uno studio approvato dal Comitato etico. Ho esaminato la chiusura delle vene utilizzando macchine non invasive simili a quelle dell’eco-doppler, che ho modificato leggermente per renderle più inclini e funzionali al problema, e il cosiddetto “indice di resistenza” che in idraulica indica qualcosa di chiuso al di là di un determinato punto. Ero certo che ci sarebbe stato e lo trovai. Da quel momento mi sono reso conto di un quadro molto complesso e con numerose varianti. Negli anni sono riuscito a definirlo, a sistematizzarlo e a descriverlo».
Elena. Sua moglie. Vertigini, problemi alla vista, senso di affaticamento. E la diagnosi una decina di anni fa: sclerosi multipla. Un fattore che immagino l’abbia spinta ancora di più a un’intensa ricerca personale.
«Certo. Indubbiamente è stata la spinta iniziale. L’interesse era motivato dalla mia stessa famiglia, dai miei affetti. Mi ha dato l’impulso a lavorare molto sodo».
Parliamo degli esami effettuati sui pazienti.
«Abbiamo analizzato un gruppo di 120 persone, tutte della zona di Bologna. Un numero non consistente, ma abbastanza rilevante per trarre conclusioni. Ma soprattutto un numero che ha permesso a sua volta di sviluppare dati molto preziosi per progettare ulteriori studi che possono arrivare a definire se questo tipo di procedura è veramente importante e deve essere fatta a tutti i pazienti con la sclerosi multipla o solo a determinate categorie. La sclerosi multipla ha durata, cronicità e decorsi diversi, per cui può anche darsi che non serva a tutti nello stesso modo. Nei prossimi anni dovremo studiare e capire se questo metodo dovrà essere associato a farmaci. C’è ancora molto lavoro da fare. Quello che possiamo affermare con certezza è che c’è un fattore sconosciuto circolatorio che si presenta in modo preoccupante e molto frequente, che è possibile eliminare e che dà vantaggi da definire ulteriormente».
Com’è nata la collaborazione con il Neuroimaging Analysis Center di Buffalo?
«Questo non l’ho mai raccontato... Pratico interventi chirurgici innovativi anche su vene di altre parti del corpo e tengo letture sull’argomento. Una biologa molecolare giunta da Buffalo venne a fare questi interventi e vide nella stanza a fianco dei ragazzi che invece avevano fatto interventi per la sclerosi multipla. Impazzì dalla curiosità in quanto non era un ricercatore clinico, ma un biologo che studia la sclerosi multipla. Parlò con qualcuno di queste persone operate. All’epoca lo studio su questa malattia era ancora sotto embargo, non aveva ancora una certa diffusione. Fu molto gentile e mi invitò a Buffalo a fare una lettura sulle anomalie che avevo riscontrato nel sistema circolatorio cerebrale. I ricercatori ebbero un altro tipo di reazione, subito positiva. E vollero subito cercare di capire se questi fattori potevano esistere anche in quelle latitudini e su persone con un background genetico diverso. Ho quindi dato loro la metodologia di indagine in modo che poi, indipendentemente, potessero testare un grande numero di pazienti. Cosa che stanno facendo. E questo è stato un atteggiamento meraviglioso. Abbiamo poi lavorato insieme. Ho operato anche persone americane e le abbiamo valutate in cieco. Chi fa le risonanze magnetiche negli Stati Uniti, infatti, non sa esattamente se chi valuta ha fatto o no l’intervento con me. Questi sono dati ulteriori che saranno pubblicati nel 2010. Collaboro poi con i centri di Detroit, Harvard e Stanford».
Quali differenze ha trovato nei metodi di ricerca in queste città rispetto a quelle italiane?
«Gli scienziati, canadesi o americani, provano a valutare tutte le possibili sfaccettature di ciò che ho scoperto. Poi però ce ne sono altri che non provano neanche a discutere o a confrontarsi. Fanno opposizione per partito preso. Cosa che avviene soprattutto in Italia. La fatica più grande l’ho fatta proprio nell’ospedale in cui lavoro. In un ospedale vicino, una struttura molto più grande, invece c’erano neurologi molto sensibili e ben predisposti con i quali si è creata un’ottima collaborazione. È un modo per affrontare le cose positivamente».
Quindici anni fa non esistevano terapie per la sclerosi multipla. Cos’è cambiato da allora?
«Prima parlavo della multifattorialità di questa malattia. Una faccia molto costante e ben studiata è quella del meccanismo immunitario. Per cui tutti i farmaci sviluppati in questi quindici anni sono indirizzati a trattare questo particolare aspetto. Ma i dati che sto vedendo e quelli di chi sta riproducendo i miei esperimenti dicono che c’è un altro fattore. Trattare l’immunità e il sistema vascolare, quindi, non sono in contrasto. Avere identificato un altro fattore, e ora mi metto dalla parte del paziente, è molto importante e se questo fattore può essere risolto è giusto che si facciano subito degli studi. Se trattassi solo il sistema immunitario e non un grave difetto circolatorio come questo, la terapia sarebbe zoppicante, monca».
Come si manifesta la sclerosi multipla?
«Il tipo principale di sclerosi è chiamato “RR”, relapsing-remitting (recidivante remittente), cioè che va e viene. Senza nessun preavviso, si verifica un attacco nel quale si perdono una o più funzioni nervose. Perdita della vista, dell’equilibrio, della sensibilità muscolare. Attacchi che, in genere, rientrano in una ventina di giorni e si riesce a recuperare quasi totalmente. In un momento non prevedibile l’attacco ritorna. Il recupero non è mai completo, e segue un declino sempre più forte. E la forma diventa “progressiva”. Un altro tipo di sclerosi, meno frequente, visto che è presente solo nel 10 per cento dei casi, è quello che implica un continuo e incessante peggioramento che porta alla disabilità. Dopo 10, 15 anni di malattia tutti i pazienti hanno disabilità spiccate che le terapie non riescono a evitare, rallentano solo il processo».
Qualche dato.
«In Canada le persone che soffrono di sclerosi multipla sono 75mila. In Italia, 55mila. Nelle Isole Faroe (vicino alla Danimarca, ndr) e in Sardegna, per esempio, le frequenze sono doppie. Nel mondo sono tre milioni».
Quali sono le fasce d’età più colpite?
«Tra i 25 e i 30 anni. Alcuni vengono colpiti intorno ai quarant’anni. Poi ci sono casi pediatrici. Proprio il Centro di Buffalo cura pazienti colpiti durante la pubertà».
Più uomini o donne?
«Un po’ di più le donne. Poi ci sono alcuni fattori negativi, per esempio il fumo e la carenza di vitamina D considerata con molta attenzione in Canada perché ci sono acque povere di questo tipo di vitamina. In Italia non è mai stato identificato nessun fattore così ripetutamente presente come quello delle vene chiuse. Ora si dovrà accertare se percentuali superiori al 90 per cento dei pazienti sono presenti anche in Canada o negli Stati Uniti. Per esempio in Polonia hanno trovato che il 92 per cento dei polacchi ha la Ccsvi, un dato molto forte».
La MS Society of Canada ha fatto sapere che non trascurerà questa nuova scoperta e che prometterà fondi.
«Finora ho sempre sponsorizzato da solo i miei studi. Sarebbe importante collaborare e portare avanti queste ricerche insieme, per costituire una task force di centri internazionali e utilizzare un programma comune per ottimizzare le risorse anziché disperdere soldi in tanti luoghi e ricerche diverse. Con meno soldi si potrebbe fare di più».
Data pubblicazione: 2009-12-02
Indirizzo pagina originale: http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=94433
1 commento:
Complimenti per la ricostruzione della sm nel vascolare. È incredibile come aism e neurologi continuino a far finta di niente davanti a queste evidenze, accettando invece la teoria autoimmune mai provata! Paolo da milano
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